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INNOVAZIONE,CONTINUITÀ,TRADIZIONE CAPITOLOI

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CAPITOLO I

INNOVAZIONE, CONTINUITÀ, TRADIZIONE

1.1.

INTRODUZIONE: IDEE E VISIONI, FILM COSTELLAZIONI

Il lavoro di Danièle e Jean-Marie Straub è formato ormai da quasi trenta film fatti in un’arco di tempo che supera gli ultimi quarant’anni, film di durata molto diversa e realizzati sempre con la presa diretta del suono e con il formato dei quattro terzi per l’immagine (1:1.33 in ripresa che può divenire 1:1.37 in proiezione, a seconda del tipo di ottica usata per le riprese stesse)1; tutti questi film nascono sempre insieme a materiale già preesistente tratto da “prodotti culturali” di genere molto diverso, secondo le stesse parole dei due autori2, per “un’ idea o una visione” in essi contenuta, per “un soggetto che resista nel tempo, che sia più forte di noi”3: è in qualche modo questa la prima materia da guardare ed ascoltare, e a cui dare tempi e luoghi per quel soggetto nella costruzione di un film, il quale, attraverso il loro metodo di lavorazione, diviene una sorta di costellazione audiovisiva4 che nasce per rendere percepibili quelle idee e visioni nella nuova materia filmica. Da quell’incontro con “prodotti culturali”, nel caso di opere letterarie, e in particolare per i romanzi, gli autori del film intervengono con selezioni che possono portare a

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Esistono delle eccezioni e delle differenze importanti nell’uso della presa diretta del suono nella realizzazione dei vari film, e nel corso di questa vi è anche il cambiamento dei supporti da analogici a digitali nella sua registrazione e nella sua diffusione: per quanto riguarda il suono diretto gli autori stessi hanno specificato sia la tecnica di costruzione del procedimento che le eccezioni occorse a questo nel corso di un intervista a cura di Luca Bandirali intitolata “Quello che si vede e quello che si sente sono inseparabili”, contenuta nel numero 131 della rivista Segnocinema del gennaio-febbraio 2005. A proposito del formato dell’immagine, che è stato mantenuto uguale nel corso di tutta la loro produzione, alcune osservazioni sono contenute nell’intervista a cura di Adriano Aprà e Piero Spila, “Straub-Huillet cineasti italiani”, in “Il cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet”, a cura di Piero Spila, Bulzoni, Roma, 2001, pp.21-32.

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J.-M. Straub, in “C’era una volta il cinema”, intervista di F. Gambero, “la Repubblica”, 26 settembre 2000: “(…) la cultura e la letteratura non mi interessano in quanto tali. M’interessa invece un’idea o una visione presente all’interno di un certo prodotto culturale, un libro o un brano musicale. Per fare un film occorre molto tempo, si deve lavorare per molti mesi, da soli o con gli attori, ma è uno sforzo che si può fare solo per un soggetto per cui valga la pena di impegnarsi, un soggetto che resista nel tempo, che sia più forte di noi.”.

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Alcuni film sono costruiti con materiali provenienti da più testi, di un solo autore come nel caso di Cesare Pavese per il filmDalla Nube alla Resistenza, di autori diversi per Troppo Presto/Troppo Tardi, Il fidanzato, l’attrice e il ruffiano, ma questo vale, anche se in modo diverso per altri film: il più ampio rapporto tra il materiale originario e il materiale che partecipa alla composizione del film divenendo materia filmica, che sta alla base del loro metodo di lavorazione, riceverà quindi particolare attenzione.

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Il termine è usato anche dagli autori stessi nei titoli di coda di Sicilia! dove si legge – Costellazioni, dialoghi dal romanzoConversazione in Sicilia di Elio Vittorini -, e nei titoli di testa di Operai, contadini con il cartello in francese – Personaggi, costellazioni e testo di Elio Vittorini -; è presente inoltre all’interno del poemaUn Coup de Dés di Stephane Mallarmé portato al cinema da loro con il filmToute révolution est un coup de dés nel 1977.

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riduzioni molto grandi, amplissime del testo5, dove sono di solito la forma diretta del discorso e dei dialoghi (raramente, ma alcune volte vi è per questi anche un cambiamento di forma da indiretta a diretta6) ad entrare nel découpage preparatorio al film; ma per quanto grande possa essere questa selezione, non vi è mai una riscrittura della lingua dell’autore, è il suo testo il primo elemento di lavorazione per il film. Molto spesso si trova tra le loro produzioni cinematografiche anche l’integralità originale dell’opera stessa, in quasi tutti i casi per esempio in cui ci siano opere musicali, tragedie teatrali e composizioni di poesia, rispetto ad altre opere letterarie di genere saggistico-commentario, diaristico o epistolare; ma appunto, per quanto grande possa essere questa selezione, che è già uno “spostamento”, un’uscita dal supporto, se vogliamo, di alcune parti del testo, non vi è una riscrittura della lingua dell’autore o una perversione dell’impianto da lui creato: la possibilità di lavorare direttamente sul testo di un autore non diviene mai un’operazione sintattica che astrae dalla costruzione e dal significato delle frasi, anche se il preciso metodo di realizzazione degli Straub ci porterà a riflettere sui rapporti che intercorrono tra la morfologia della parola e la sintassi della stessa frase letteraria attraverso la lunga lavorazione del testo per il film, vera “azione” necessaria al loro cinema, con un procedimento misurato della sua esecuzione da parte degli attori, e che affronteremo più specificamente in seguito nell’analisi testuale di alcuni film. Se molto più spesso si trova, tra le loro produzioni cinematografiche, l’integralità originale dell’opera stessa, in quasi tutti i casi7 appunto in cui ci siano opere di genere diverso rispetto al romanzo, questo non costituisce pregiudizialmente una differenza di metodo nella costruzione stessa del film: è comunque il testo stesso, nella scrittura del suo autore, il fattore attraverso il quale, nella sua trasposizione all’interno della struttura filmica, gli Straub vanno a trovare una forma per esso con la materia cinematografica, individuando nella costruzione di un découpage lo spazio necessario, e il suo “taglio”, che viene dato dal trovare le posizioni della macchina da presa sempre in relazione alle singole inquadrature di ogni sequenza, e iniziando poi la preparazione del testo stesso con gli attori (se presenti) per la sua messa in scena nel film8. In questo senso una particolare attenzione merita

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Per esempioNon riconciliati (da H. Böll), Lezioni di storia (da B. Brecht), Amerika/Rapporti di classi (da F. Kafka);

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Per Cronaca di Anna Magdalena Bach gli autori hanno utilizzato anche il cambiamento della persona del soggetto stesso, attribuendo così alla moglie di Bach la narrazione in forma di commento della messa in scena del film, quando in realtà il testo è tratto dalle lettere e dai diari scritti in prima persona dallo stesso musicista e dal figlio (ma questo sembra rimanere un caso del tutto particolare nella loro produzione, inoltre rimanda in modo diretto al rapporto coniugale e “lavorativo” del musicista stesso con Anna Magdalena: Jean-Marie Straub ha dettagliato meglio tutto questo in un testo su questo film dal titolo “Il Bachfilm”, ora in “Testi cinematografici”, Editori Riuniti, Roma, 1992, pag.143).

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L’opera teatrale di Ferdinand Bruckner contenuta nel filmIl fidanzato, l’attrice e il ruffiano è al contrario fortemente ridotta, ma sembra costituire un’eccezione, qui la costruzione del film non è infatti interamente basata su di essa ed è inoltre direttamente rappresentata in una situazione di messa in scena in uno spazio teatrale, ripresa attraverso un unico piano sequenza con un solo punto di vista, durante la prima parte del film.

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Alcuni film loro sono caratterizzati da un commento in voceover: Troppo presto, troppo tardi, i due film su Cézanne, e altri da un utilizzo della forma di commento mescolata ad una rappresentazione diretta del soggetto con vocein e/o off. Parleremo più diffusamente di questo durante l’analisi dei film.

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poter ricondurre il “più forte di noi” della rilavorazione di un’opera da parte degli Straub alla ricerca della materia necessaria che, da quella “idea o visione” di partenza, permetta loro di procedere alla realizzazione di un’unità filmica, la quale nel loro metodo porta al costituirsi di ogni aspetto del film in un preciso valore ritmico-compositivo, dove è l’incontro fisico di una lavorazione dal vero dell’opera di partenza nella materia diretta del loro cinema che “muove” la stessa struttura di rappresentazione, portando quelle “idee e visioni” allo spettatore nella nuova costellazione creata attraverso lo strumento cinematografico con il ricongiungimento di forma e pensiero nella materia filmica. Il lavoro degli Straub può nascere e andare a compimento solo all’interno di questo metodo che partendo da un’idea esterna la riporta con un film ancora verso l’esterno: l’intero uso dello strumento cinematografico si connatura in modo continuo e prolungato alla loro stessa capacità, come cineasti, di ascolto e di visione, per produrne ancora di nuove con uno o più film, e, affinché questa realizzazione diventi, con la precisione di un metodo, un’operazione compiuta, è imprescindibile la creazione e l’uso di una materia cinematografica diretta quale è presente in tutti i loro film, e che questa, nell’intera lavorazione e per ogni struttura filmica, vada a costituirsi sempre come “unica parte attiva” nella continuità del film stesso.

Il fatto che questi cineasti abbiano lavorato con opere di genere molto diverso, e spesso con più di una di esse, crea quasi un “inventario” di varietà di materie per il cinema, e questo dentro un metodo unitario che si differenzia principalmente attraverso quelle stesse, creando variazioni percepibili e riconducibili ad esso da un film all’altro; inoltre nella trasposizione all’interno della struttura di ciascun film può succedere che l’opera di partenza “ecceda”, presentando sviluppi diversi al suo interno, l’unità stessa di un film che non può svolgere l’esplorazione di tutte le idee e visioni contenute in essa; quest’opera può così necessitare di un secondo ritorno sul suo “proseguimento”, come per i due film dalla tragedia di HölderlinLa morte di Empedocle e Peccato

Nero, i due su Paul Cézanne, questi, che tratteremo anche con un’analisi, dal romanzo Le donne di Messina di Elio Vittorini, nonché l’ultimo film Quei loro incontri che è nuovamente la messa in

scena di cinque dialoghi daDialoghi con Leucò ed era già stato ripreso nella prima parte di Dalla

nube alla Resistenza. Questo può essere importante per riconoscere come la stessa materia di

lavorazione per il film, letteraria o meno, e al di là del genere a cui l’opera appartiene, si costituisca sempre anche come documento, e il prodotto culturale si riveli anche come produzione sociale data, con una sua funzione da usare e che il cinema può raccogliere. Nella creazione di ogni film degli Straub, su questa doppia ricaduta che il lascito storico di un opera rappresenta arrivando nel presente della produzione cinematografica, tutto l’arco di produzioni cinematografiche con il loro metodo lavorativo sembra innestarsi, dando quindi una tensione di percorso dall’inizio in ogni singola creazione cinematografica, che trova appunto nella costruzione di un découpage, (molto

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vicino ad uno shooting script9) e con la ricerca dei luoghi e delle persone (del corpo attoriale, se necessario, e della troupe tecnica) il suo fondamento, per poter giungere quindi, dopo un lungo periodo alla vera e propria preparazione del testo, che nel loro procedimento arriva a costituirsi in una sua nuova riproduzione mnemonica misurata da uno o più soggetti/attori per la messa in scena. A questo punto il testo si può strutturare assieme, se presenti, alle situazioni di una rappresentazione “scenica” con gli attori in uno spazio reale, divenendo un materiale per la ripresa solo dopo l’emersione di una sua decisa stabilità nell’esecuzione, data anche dalla lunga continuità delle prove, che portano il lavoro ad una sua piena autonomia e possono quindi dar luogo ed essere utilizzate anche nella continuità di una messa in scena a teatro10, che per gli Straub rimane comunque una verifica ulteriore al lavoro svolto e un suo assestamento definitivo in questa diversa forma di “uscita” in uno spazio “condizionato”, mentre resta, anche per l’attore, l’unica occasione di mantenere “in filata” tutto il suo lavoro11. Si giunge infine all’uso pratico dello strumento cinematografico sul set o sui diversi set di ripresa, con una troupe di una diecina di persone12, momento di raccolta del materiale filmico da selezionare per il montaggio, che nelle produzioni degli ultimi vent’anni è quasi sempre più di uno, (esistono quindi più versioni di uno stesso film13), fatto sempre dai due autori del film, come anche la responsabilità e la cura dell’intera produzione, esecutiva e finanziaria (alla quale si aggiungono finanziamenti pubblici e privati).

La possibilità di parlare della creazione filmica degli Straub come di una costellazione che nasce per rendere percepibili le idee e le visioni di un’opera o più, in una loro rinnovata forma con

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Può succedere che manchino dai découpages delle inquadratureen plein air dello spazio naturale, ma questo non significa che gli autori non le prevedano già nella struttura del film:è invece più probabile che siano inquadrature con una certa autonomia dal resto del découpage e che vadano solo verificate alcune scelte tecniche sul campo stesso di ripresa; è raro inoltre che si verifichino cambiamenti nel modo di ripresa delle inquadrature o delle porzioni di testo pensate per esse, ancora di più che ci siano cambiamenti all’interno dei rapporti che si stabiliscono tra le inquadrature, o addirittura una loro completa sostituzione (come vedremo con più precisione nella seconda parte con un’analisi più approfondita del rapporto fra i dècoupages e il testo filmico definitivo, e la versione edita a stampa dello stesso, quando presente). L’analisi di questi découpages è comunque “già” il montaggio dei film stessi.

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Questo è successo regolarmente per gli ultimi quattro film girati a Buti, dove il Teatro Comunale Francesco di Bartolo ha partecipato alla produzione e ha messo a disposizione la sala per le prove: lì poco prima dell’inizio della lavorazione dei film sul set di ripresa, per alcune serate con apertura al pubblico, sono andate in scena le rappresentazioni di Sicilia!, Operai, contadini, Umiliati, e Quei loro incontri; ma anche di questo si parlerà più dettagliatamente nella seconda parte, rimandando comunque al materiale contenuto in Appendice riguardante le rappresentazioni per il Teatro di Buti.

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Nel corso progressivo di queste quattro rappresentazioni teatrali l’attenzione dei due cineasti per la messa in scena del teatro è stata fatta differenziando maggiormente, di volta in volta, il lavoro teatrale, il quale pur avendo aumentato la sua autonomia, è rimasto comunque un’esecuzione pubblica in prima assoluta, e, per quanto riguarda il testo e le posizioni degli attori nello spazio è sempre rimasto identico al film, non perdendo mai quindi il carattere di lavorazione preparatoria per le riprese cinematografiche. Per alcuni dettagli di questo si rimanda ai fotogrammi tratti dal film-video di queste rappresentazioni e alle note al materiale contenuti in Appendice alla presente trattazione.

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Per questi ultimi film la troupe era di solito composta da tre persone per la fotografia, due per il suono, e tre o quattro assistenti (solo perSicilia! vi erano anche un elettricista e il suo assistente).

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Con l’eccezione diDall’oggi all’indomani del 1996 che è un film con un solo montaggio (bisogna ricordare anche che è la rappresentazione di un’opera musicale); ci sono inoltre alcuni film che hanno due montaggi legati anche al loro commento in lingue diverse come il primoCézanne, e Lorena!. Vd. Catalogo Retrospettiva Straub-Huillet, “Die früchte des zorns und der zärtlichkeit”, Viennale 2004.

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una “coordinazione di elementi”14 della materia cinematografica nella quale “le idee si rapportano alle cose come le costellazioni si rapportano alle stelle”15, ci permette di riferirsi ad un film come ad una costruzione con una materia diretta dal reale stesso per queste stesse idee. Nella prefazione al libro La massa come ornamento16, una raccolta di articoli di Siegfried Kracauer, Remo Bodei crea un legame fra la costellazione benjaminiana (al quale peraltro un articolo del libro è dedicato) e la

wirklichkeit di Kracauer, la realtà effettuale come costruzione, che è sia il risultato delle operazioni

della vita stessa ma anche una possibile operazione di montaggio, una costruzione vera e propria che altera le dimensioni spazio-temporali ritenute naturali: entrambe le accezioni di essa permettono di poter risalire a delle piccole totalità della realtà stessa, dai piccoli indizi, dai particolari, dove è comunque la sua costruzione attraverso strutture formali che partono dai fenomeni che la rende intelligibile, mettendo in luce la coerenza interna, regionale di quell’insieme di fenomeni17. Il lavoro cinematografico degli Straub sembra particolarmente connaturato a queste riflessioni, e anche, come vedremo a quelle dei formalisti russi, a partire proprio da quelle sul fatto filmico; in effetti gli sviluppi del pensiero teorico sul cinema e, appunto, della parte più sociologica della filosofia degli anni venti e trenta uscendo fortemente da un’estetica soggettiva, permettono di visualizzare nell’elaborazione teorica una relazione diretta sia alla pratica cinematografica che al fenomeno sociale del cinematografo, in piena evoluzione nella scoperta e nello sviluppo della forma filmica e con una sua funzione riconosciuta rispetto alla realtà e all’individuo nella società stessa. Questo, non a caso, prima che l’asservimento all’ideologia e alla censura delle dittature nazista e fascista degli anni seguenti riducesse ad una propaganda volta al controllo sociale il potenziale dello strumento del cinema nel suo lavoro con la realtà stessa, e ciò, senza che gli Stati Uniti avessero mai smesso di cercare di prendere il controllo assoluto dello stesso strumento e del mercato dello spettacolo mondiale creato con esso, consolidando gli accordi di produzione, vendita e distribuzione, ad invenzione ed uso degli stessi organismi americani (tuttora esistenti in una piena continuità storico-economica ed ideologica), asservendo quindi al capitalismo gli investimenti delle produzioni cinematografiche, con la massima gestione possibile delle risorse tecniche e umane, e dello stesso impianto di rappresentazione delle strutture filmiche.

Bodei riconduce il pensiero delle osservazioni di Kracauer sui fenomeni della società di massa usata come “ornamento” a sé stessa, all’individuazione dellaratio del capitalismo, che non è la ragione stessa, ma una “una ragione distorta, che non razionalizza troppo il mondo, ma troppo

14

L’autore specifica che le idee “si rappresentano non in se stesse, ma solo e unicamente attraverso una coordinazione di elementi cosali nel concetto: ossia in quanto configurazione di elementi”;idem, pag. 10.

15

W. Benjamin, “Il dramma barocco tedesco”, Einaudi, Torino, 1999, pag. 9.

16

R. Bodei, “«Le manifestazioni della superficie»: filosofia delle forme sociali in Siegfried Kracauer”, in: S.Kracauer, “La massa come ornamento”, Prismi Editrice Politecnica, Napoli, 1982, pag. 20.

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poco” e “che permette alla naturalità cieca dei processi spontanei di ricomparire al livello delle società organizzate”; egli collega in sintesi a questo ciò che sostiene Kracauer stesso quando dice che “Una ragione superiore dovrebbe portare alla luce il contenuto umano ancora immerso nella naturalità non sviluppata, in linguaggio blochiano l’oscuro nucleo utopico dell’Humanum che non si è ancora rivelato in tutta la sua potenzialità. La ratio invece compie un cammino a metà e non conosce vie d’uscita (…)”.18Queste riflessioni legate all’osservazione dei fenomeni sociali, possono rimandare direttamente ad alcune procedure di costruzione del cinema degli Straub, sia per la scelta delle opere da mettere in scena, che per il loro metodo nella costruzione della forma cinematografica per esse, che è anche, film per film, una sfida razionale con lo strumento filmico al rapporto di creazione che esso può stabilire con la natura stessa: il forte carattere antinaturalistico di ogni loro rappresentazione e l’approfondita lavorazione del testo e delle situazioni della messa in scena come forme concrete di lavoro sul corpo e la voce degli attori, nella continuità data da situazioni reali, sembrano proprio partecipare di questa “tensione” tra forze organiche, partendo da un “meccanicismo pigro” di quella “naturalità cieca e spontanea” verso una “ragione superiore che porta alla luce il contenuto umano ancora immerso nella naturalità non sviluppata”. Il mezzo cinematografico, il suo utilizzo e la lavorazione con gli attori nel cinema degli Straub è una messa in gioco di forze “dal reale e per il reale” e ciò infatti conduce il loro lavoro ben al di là della loro stessa posizione personale avversa ad un progresso cieco e senza misura razionale di controllo nel suo pregiudiziale sviluppo (che comunque non è da identificare con un ingenuo ritorno alla natura). Il loro uso dello strumento cinematografico attraverso le più grandi conquiste delle opere di creazione della cultura occidentale sembra portare la rappresentazione filmica, con le parole di Kracauer, proprio nel luogo “Dove la ragione spezza il tessuto organico e strappa la superficie naturale comunque configurata, là essa parla, là scompone la figura umana, affinché la verità non distorta possa dare all’uomo una nuova forma”19. La lunga lavorazione dell’opera di partenza, lo “spaccarsi la testa” per trovare i luoghi e di punti di ripresa giusti, e tutta la costruzione di partitura mnemonica misurata del testo per gli attori, sembrano tendere a questa “messa in luce” di una realtà effettuale che un film può essere e che coinvolge in un’unica azione con la costellazione delle sue idee e visioni, senza metafora, anche lo stesso procedimento fisico-meccanico del cinematografo: vedremo nel corso dell’analisi dei film tratti dai testi di Elio Vittorini di farla emergere anche nell’evoluta processualità che ne ha consentito la sua costruzione.

Il fatto che il cinema degli Straub sia fatto sempre attraverso opere di creazione già esistenti, rispetto a queste ultime osservazioni, spinge a chiedersi in che misura l’arte partecipi di una forza razionale e di una forza naturale, e forse il campo è abbastanza vasto da contenere i due estremi e 18Idem, pag.19.

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tutte le diverse serie di varibili: la scelta delle opere da mettere in scena ha quindi anche il valore di riconoscimento del lavoro che l’artista da sé ha compiuto per strappare una “forma nuova di verità”, attraverso lo sviluppo di strumenti e nell’uso della forza della ragione sulla sua natura stessa: ed è per questo forse che gli Straub tendono a portare ad una forma essenziale il testo filmico e ad una forma il più possibile asciutta il lavoro di recitazione, affinché anche la materia diretta del loro cinema risponda a tutto questo e possa servirlo con tutto il suo potenziale. L’emersione della struttura filmica nella sua completa percepibilità, il movimento visivo e sonoro reale della sua materia in cui è sempre possibile riconoscere un fondamento ritmico comune: il loro cinema può essere un modo di spezzare la forma organica “pigra” dello spettacolo e di farne emergere una nuova, che con il contributo di una parte scelta della tradizione possa tendere a quella “verità non distorta”, attraverso delle messe un scena che sono la manifestazione diretta della forma limite che la produzione classica dell’arte è e resta in faccia alla stessa Storia, affinché anche un film sia una possibilità di ricreare realmente e con “pazienza e violenza” quella forma e quel pensiero, di nuovo insieme nel presente filmico dato dello strumento cinematografico al suo spettatore. Il cinema di Danièle e Jean-Marie Straub lavora dunque approfonditamente attraverso la volontà e la capacità di portare di nuovo fuori e di dare una nuova uscita quale la creazione e la fruizione di un film possono essere, ad una parte, selezionata in piena autonomia, della tradizione, una scelta fatta di opere con cui poter lavorare ancora con la loro materia già costituita, trasponendola, per riportarla poi all’esterno con un nuovo mezzo, quello cinematografico, uno strumento di creazione che ha avuto, e in parte ha ancora il suo luogo di fruizione nella vita civile esterna, pubblica, la quale è il primo fondamento storico dell’attività politica, con cui quindi tutto il cinema si connatura, se ancora inteso come una attività sociale collettiva. Con il loro lavoro una parte di produzione delle arti e del pensiero, testi e poesie, opere e brani musicali, tragedie, commedie e racconti, saggi e lettere, diari, con vari altri materiali, vengono scelti, precisamente, fra i “residuati” della Storia, che, come dice Boris Ejchenbaum “ci dà quello che la contemporaneità non ci può dare: la completezza del materiale”20; gli Straub usano questa completezza di produzioni ormai relegate all’ombra di accademie, biblioteche e musei nell’attuale presente storico: lo stesso presente che utilizzano per dare tempo e luogo con una messa in scena cinematografica a quel materiale tradizionale. Così ogni loro progetto filmico va oltre il recupero di un materiale e della sua “nuova illustrazione”, perché il cinema sia il rilancio operativo di una materia in piena luce ad ogni film con la costruzione di una complessa struttura fisico-chimico-meccanica, quale il cinematografo è, con la possibilità di rappresentare in modo nuovo tutto questo in un rincontro pubblico di queste idee e visioni, attraverso questa materia che ogni film veicola, ma che di volta in volta è anche un confronto

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nell’uso di strumenti di creazione e di supporti diversi, vecchi e nuovi. Tutto questo è ancora possibile in una realizzazione filmica che continua a sviluppare e a rinnovare ciò che era destinato probabilmente a rimanere nella sfera della propria fruizione individuale di lettura, di ascolto o di visione: con il loro lavoro la duplicazione analogica del reale che il cinematografo consente può far ritornare, nel presente stesso di un film, sulla realtà della materia e del percorso storico che queste opere di creazione sono, e compiere, dando forma nuova a quella materia stessa, le sue stesse scelte di rinnovamento nel procedimento di creazione cinematografica, ma inevitabilmente differenziandosi a sua volta, attraverso quella stessa trasmissione in quello che è appunto ancora una possibile sviluppo comune di quelle idee e di visioni, da attuare, ora, in un nuovo percorso di emissione audiovisiva.“Una forma nuova appare non per esprimere un nuovo contenuto ma per sostituire una forma vecchia”.21 Gli Straub vanno a ritrasmettere così, con un film, un lavoro svolto nel corso della storia attraverso le forme della sua stessa materia, su cui lo stesso strumento cinematografico sembra poter lavorare e indagare contemporaneamente, potendo dare, per tratti, i procedimenti di costruzione della stessa, nella presente tenace fiducia di una continuità storica ritrovata sui mezzi dell’arte e di una funzione sociale per questa, con una reale presenza filmica a quella costellazione che è una emanazione diretta di quelle idee e visioni nel presente di un luogo civile e pubblico quale il cinema può essere ancora.

Nel modo in cui cercano di portar avanti, scegliendo, una parte di tradizione e di continuarla rinnovandola con il cinema, avvicinando il cinema all’arte classica e agli strumenti dell’arte che lo hanno preceduto, e rifiutando, anche così, di subordinare la rappresentazione filmica alle sole esigenze narrative, i due cineasti sembrano infatti riuscire a coniugare l’assunto pertinente alla Storia di Antonio Gramsci per cui si condanna in blocco il passato quando non si riesce a differenziarsene, con l’indicazione del possibile legame sociale tra la materia, i mezzi e la funzione dell’arte data da Bertold Brecht: “non possiamo desumere da determinate opere esistenti il realismo, ma utilizzeremo in maniera viva tutti i mezzi, vecchi e nuovi, sperimentati e non, attinti all’arte e altrove, per consegnare delle mani degli uomini viventi, affinché sappiano padroneggiarla, la viva realtà”; e, insistendo ancora: “i metodi si logorano, le attrattive si scontano. Nuovi problemi emergono e richiedono nuovi mezzi. Tutta la realtà, per rappresentarla, deve mutare il metodo di rappresentazione. Dal nulla viene il nulla, il nuovo discende dal vecchio ma nondimeno è nuovo.”22 Un’opera diviene un classico quando può continuare a svolgere quello che ancora ha da dire alla collettività riuscendo a rimanere nel suo stesso presente, ed è una funzione che non è identificabile con nessun canone estetico, non si tratta quindi di un classicismo, di uno stile o di maniera, ma di un possibile superamento di questi, un elemento concreto di produzione della realtà storica, ad uso 21Idem, p.63.

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della collettività che l’opera stessa riconosce. La messa in scena di un film degli Straub diviene l’occasione di una (e anche più di una) messa in rapporto dell’opera prescelta nel nuovo presente che il film gli dà quando, fra ripetizione e ricreazione, nasce la possibilità di suo rinnovamento con lo strumento cinematografico attraverso un film. Nell’analisi più precisa di alcuni film si potrebbe forse individuare se in un tale metodo di lavorazione rientrano alcune regole di composizione in termini di misura, di proporzione tra le parti e di unità dell’insieme, e di come essi decidono rispetto a questo; e se le forme del dialogo e del commentario sono una forma linguistica che più di altre possono dare sviluppo ad una fattura classica “di rappresentazione” attraverso il cinema. Questa trasposizione può dunque avvenire sempre attraverso l’opera di un autore, e diversamente: su di una sua singola opera letteraria, che, abbiamo visto, può dar vita anche a più film, o su più opere, o per la sua stessa vicenda biografica ed artistica, come per il film su Bach, e, in altra forma, per quelli su Cézanne; oppure anche attraverso più testi23, che in un nuovo insieme possono contenere e muovere quelle idee e visioni verso un film, la cui struttura di “costellazione”, di costruzione della

wirklichkeit, in tutti i casi, per gli Straub nascerà sempre nella lunga e continua preparazione del

terreno alla sua produzione e quindi attraverso l’uso di una materia cinematografica diretta, che è infine sempre il frutto del momento reale e di una scelta razionale nell’uso degli strumenti cinematografici24. Il loro metodo è quindi una vera e propria costruzione filmica progressivamente costituita da una cura continua in un’attenta e lunga lavorazione; questa si attua in scelte tecniche che, come vedremo anche dall’analisi dei découpages rispetto ai film realizzati, sono sempre molto precise e relazionate tra loro strutturalmente, in un procedimento realizzativo che i due autori portano avanti dall’inizio alla fine di ogni loro progetto, quando della nuova costellazione filmica creata si può vedere e sentire il movimento della sua stessa realtà effettuale.

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Come nel caso di Troppo presto / Troppo tardi, dei due film su Cèzanne, dell’ Introduzione alla una musica di accompagnamento per la scena di un film, di Fortini/Cani, ma in particolare questo sembra importante per Il fidanzato, l’attrice e il ruffiano dove l’eterogeneità sia dei testi che delle diverse forme di rappresentazione che costituiscono il materiale filmico utilizzato per il film, che dura poco più di venti minuti, è forse la più grande nella loro produzione.

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Si possono trovare anche altri “materiali” all’interno del loro cinema, infatti il loro metodo non crea contraddizione tra l’uso di documenti, film e altre opere esistenti e la creazione filmica stessa: questo ha accompagnato tutta la loro produzione, costituendo una parte molto rilevante del loro procedimento di lavorazione, e solo questo aspetto meriterebbe lo sviluppo di una riflessione a parte.

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