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Capitolo 6. La vita quotidiana. Gli Otto di Guardia e Balia a proposito di uno scontro tra ebrei nonché di uno tra cristiani ed ebrei.

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Capitolo 6. La vita quotidiana.

Gli Otto di Guardia e Balia a proposito di uno scontro tra ebrei nonché di uno tra cristiani ed ebrei.

Una prima testimonianza relativa a rapporti privati tra membri di una stessa comunità ebraica (gli ebrei sanminiatesi di cui ci stiamo occupando) vede contrapposti di fronte al podestà empolese e agli Otto di Guardia e Balia due ebrei che ricoprivano ruoli evidentemente diversi all’interno di uno stesso gruppo. Si tratta di una lite scoppiata il 17 marzo 14981 tra un Guglielmo di Isacco, nipote di Manuele di Abramo da San Miniato, e un certo Simone “spagnolus maranus”. I magistrati fiorentini chiedono l’intervento di Stefano di Giovanni Parenti, podestà di Empoli, perché metta fine a certe “diferentie intra gli ebrei e marani habitanti costì”. Oggetto della lite avvenuta “in domo ebreorum in castro Emporei et in eroum sinagoga” era la restituzione di un libro di proprietà di Guglielmo che Simone invece voleva trattenere per sé. Il sefardita, definito uomo superbo e scandaloso [“hominem superbum ac scandalosum male conditionis vite et fame”], colpisce il da San Miniato con un pugno ferendolo al volto “cum sanguinis effusione”. Di fronte al podestà Simone confessa di aver spinto e percosso Guglielmo all’interno della sinagoga. Perciò viene condannato ad una pena pecuniaria di 50 lire. Jacob di Joseph, anch’egli sefardita, compare come suo garante. L’intera vicenda ha termine il 9 aprile 1498 con la lettura della sentenza presso il banco del podestà.

La vicenda che abbiamo appena raccontato è affidata alla pura documentazione ufficiale, la sola di cui siamo in possesso. Sono del tutto assenti i racconti dei protagonisti del fatto stesso. Questo per spiegare, almeno in parte, la rigidità di queste pagine. Infatti, come si è cercato di spiegare nel capitolo precedente, è senz’altro documentata, a partire dagli ultimi anni del secolo XV, una fitta presenza ad Empoli di ebrei sefarditi, non appartenenti cioè al potente gruppo parentale dei da San Miniato. Ma quali fossero i rapporti reali tra componenti italiane ed iberiche è abbastanza difficile a dirsi. A parere di chi scrive, tentativi di ricostruire storie e racconti di destini individuali, per quanto

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non sempre in modo esaustivo per una documentazione lacunosa o andata irreparabilmente perduta, fanno emergere emblematici aspetti e questioni più generali.

L’episodio con cui si è introdotto il capitolo documenta – oltre al fatto già noto per altra via di una presenza di altri gruppi ebraici ad Empoli accanto a quello sul quale si ha una più ricca documentazione ufficiale perché contraenti di capitoli di prestito – i rapporti tra il primitivo nucleo ebraico sanminiatese ad Empoli e i nuovi arrivati che frequentavano la sinagoga privata dei da San Miniato.

Agli inizi del XVI secolo la presenza ebraica ad Empoli era evidentemente aumentata rispetto al primo insediamento e, cosa che forse più saltava agli occhi della popolazione empolese, il numero degli ebrei era più visibile per le botteghe e i maggiori traffici in cui erano impegnati.

Sulla vita della componente ebraica, soprattutto quella firmataria di condotte, mantennero un costante controllo i magistrati fiorentini degli Otto di Guardia e Balia, allo stesso tempo unici giudici ma anche difensori degli ebrei. Vanno in questo direzione i bandi emanati dagli Otto per gli ebrei di Empoli e conosciuti, per la prima metà del 1500, a partire dal 20 marzo 15092. In questa data infatti da Firenze si invitava il podestà di Empoli a prendere i necessari provvedimenti per la tutela delle persone e dei beni degli ebrei per tutta la durata della Settimana Santa di Pasqua affinchè “non seghua inconveniente alchuno contro alli hebrei habitanti costì”. I successivi bandi3 vennero emanati sempre in occasione delle festività pasquali o in prossimità di esse, specificando l’ammenda pecuniaria, che andava dai 50 ai 100 fiorini d’oro per “qualunque persona di qualunque stato” che avesse osato fare violenza agli ebrei “in persone o a loro habitationi”. Indice, se non di confidenza, certo di una qualche usuale frequenza di rapporti tra ebrei e Otto di Guardia è il fatto che fossero gli stessi ebrei empolesi a recapitare al podestà locale le missive contenenti i bandi dei magistrati fiorentini: per esempio è il caso di “Abraam hebreum” [di Dattilo di Abramo da

2

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.143, c.131r.

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Per la lettura degli atti emanati in difesa degli ebrei si vedano i documenti in Appendice Documentaria e si confronti ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.149, c.163r; ibid., n.223, c.107r; ibid., n.200, c.196v; Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.96, c.93v; ibid., n.103, c.54v; ibid., n.105, cc.60v. e 81rv; ibid., n.107, c.58r; ibid., n.115, cc.29r. e 91v.

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San Minato] che il 4 aprile 1517 recapita al podestà Niccolò Guicciardini l’ordine di pubblicare il bando degli Otto in difesa della popolazione ebraica4.

Appare ancor più interessante il bando del 29 marzo 1518 perché sembra quasi anticipare un episodio che ha già attirato l’attenzione di studiosi di storia locale per una certa sua eccezionalità e che si inserisce in un contesto meno noto che è quello riguardante i rapporti quotidiani tra ebrei e popolazione cristiana. Gli Otto di Guardia e Balia infatti avevano notificato al podestà di Empoli l’ordine di rendere pubblico all’intera popolazione un bando in difesa degli ebrei per tutto il periodo pasquale fissando una pena di 100 fiorini d’oro larghi per gli eventuali trasgressori di questo bando.

Ciò nonostante scoppiarono tumulti, a mala pena sedati, in occasione della Pasqua del 1518 perchè il figlio del banchiere Zaccaria di Isacco – nipote di Manuele di Abramo da San Minato e fratello di quel Guglielmo in lite con il sefardita Simone – gettò da una finestra della sua abitazione dei pezzi di vasi sul baldacchino del Santissimo, “super vexillo crucis”5, che chiudeva una solenne processione.

Gli Otto di Guardia e Balia condannarono Zaccaria e suo figlio Angelo, di un’età non maggiore ai cinque anni, ad un’ammenda di 25 fiorini d’oro più altri 10 per “fare una vergine maria”6. Il successivo 28 maggio7 gli Otto di Guardia rilasciarono Zaccaria, che probabilmente aveva già pagato la multa, e bandirono un atto in difesa degli ebrei il 31 maggio8 per tenere sotto controllo una situazione non certo serena dopo i fatti delle precedenti festività pasquali. Anche in questo caso il bando fu recapitato al podestà empolese da un ebreo, ancora da Abramo di Dattilo [di Abramo da San Miniato].

I magistrati fiorentini si lamentavano degli “insulti, soprusi et violentie” subite dagli ebrei di Empoli, per cui imponevano a chiunque di non “insultare o fare soprusi o violentie o forze di qualunque sorte contro hebrei et loro case et substantie”. Fissarono una pena di 50 fiorini larghi da pagarsi al loro ufficio e una

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Già in due precedenti atti podestarili del tardo Quattrocento, esattamente del 21 marzo 1485 (Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.59, c.54v.) e del 4 novembre 1494 (Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.72, c.87r.) gli Otto di Guardia e Balia avevano ordinato al podestà di Empoli di proteggere gli ebrei "di costì" e di trovare i colpevoli di azioni violente contro di loro.

5

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.171, cc.13v.-14r.

6

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.230, c.227r.

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Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.171, c.16r.

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pena corporale consistente in sei tratti di corda o venticinque staffilate da subire “alla colonna pubblicamente”. Stabilirono pure che per ogni sopruso subito dagli ebrei “ne sarà tenuto et constretto il padre pel figlio, il zio pel nipote che non havessi padre et il marito per la mogl[i]e et il maestro pel discepolo”. Gli Otto, a garanzia degli ebrei empolesi e dei loro beni, ordinarono di leggere pubblicamente il bando in luoghi assai frequentati e in particolare “nel dì di merchato una volta e più et tante” affinchè nessuno si potesse dichiarare ignorante di queste disposizioni nel caso fosse stato trovato colpevole.

Il successivo 3 giugno9 il podestà fece pubblicare il bando che prevedeva, oltre alle ammende, pecuniaria e corporale, anche l’allontanamento dai confini della Stato e “maxime sotto refectione di dannj spese e interessi”, per chiunque avesse osato “insultare o fare soprusi o violentie o forze di qualunque sorte contro a dettj hebrei o loro case e substantie”.

L’intera questione sembra trovare la sua definitiva conclusione il 16 giugno10 quando Zaccaria fu giudicato a Firenze, dove ebbe modo di ottenere maggiore clemenza di quanta ne avrebbe potuto sperare da un eventuale giudizio “in loco”.

Zaccaria di Isacco da San Miniato, ritenuto colpevole del gesto ma con l’attenuante di aver lasciato compiere un gesto sacrilego involontariamente (“per lo errore commesso costì nel dì della procissione pontificale”), fu condannato a pagare 10 fiorini per l’erezione di un tabernacolo “con la immagine della gloriosa Sempre Vergine Maria et altri Sancti”. Gli Otto probabilmente speravano di calmare gli animi degli empolesi nel mostrare loro un lavoro proveniente dalla bottega del della Robbia in onore di Maria “convenientemente dipinta et ornata come a tale ymagine debitamente si conviene” a spese degli ebrei. Il lavoro dell’artista fiorentino infatti doveva suonare come un risarcimento per l’offesa arrecata alla Madonna e a placare gli animi della popolazione.

Questo tabernacolo è fra l’altro ben visibile ancora oggi sotto il loggiato del Museo della Collegiata di Empoli e recenti studi sembrano dimostrare trattarsi di un bassorilievo in terracotta robbiana. Lo storico dell’arte Waldman11 infatti sostiene che il tabernacolo pagato dagli ebrei proviene dalla bottega di Andrea

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Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.105, cc.81rv.

10

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.105, c.87r.

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Cfr. L.A.WALDMAN, A late work by Andrea della Robbia rediscovered: The Jews’ Tabernacle at Empoli Apollo, CL (september 1999), pp.13-20.

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della Robbia in base ad un contratto del 3 luglio 1518 con cui il podestà di Empoli, Domenico Parigi, il cui mandato aveva scadenza nel mese di giugno, aveva commissionato ad Andrea della Robbia un tabernacolo di terracotta con rilievi e intagli. Il prezzo del tabernacolo era fissato in dieci fiorini di cui l’artista riceveva un anticipo di tre; il resto sarebbe stato versato a conclusione del lavoro una volta installato il tabernacolo nella residenza ufficiale del podestà di Empoli a fine settembre, tre mesi dopo la data del contratto di commissione.

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Prime considerazioni sulle donne da San Miniato.

E’ nota la centralità della donna nell’organizzazione familiare ebraica, sia per il principio della trasmissione matrilineare dell’identità ebraica che per motivi economici12. Nella società ebraica il principio di patrilinearità, come pure nella società cristiana, era moderato dalle pratiche reali che confermavano il ruolo autorevole delle donne.

Tra i da San Miniato che abbiamo studiato ricopre un ruolo di un qualche rilievo Bionda, figlia di Ventura di Sabatuccio da Pescia e vedova di Angelo di Abramo da San Miniato, che seppe imporre la propria figura al pari di personaggi indubbiamente importanti della famiglia tanto da avere rapporti diretti con le magistrature fiorentine e con quelle empolesi.

Alla morte del marito Bionda dovette occuparsi degli affari legati al banco di Empoli di cui era una dei titolari e nel cui castello risiedeva. Inoltre era tutrice dei suoi cinque figli dei quali solo Fiore e Stella però le sopravvissero se, come sembra, non resta traccia dei maschi Abramo, Dattilo e David.

Uno dei documenti più interessanti che ci mostrano il ruolo non certo secondario ricoperto da Bionda è la stipula della condotta del 6 novembre 148113 con cui si rinnovavano i capitoli di prestito per l’attività feneratizia ad Empoli. Fra i nomi dei titolari della condotta decennale compare il nome di Bionda che, con ogni probabilità, aveva investito la sua quota dotale nel banco di prestito o in altre attività commerciali del marito.

Già da tempo Bionda si occupava degli affari del defunto marito e tutelava i beni dei figli come ci conferma un atto degli Otto di Guardia e Balia del 26 gennaio 147814 con cui si concedeva a Bionda e alla figlia Stella, entrambe abitanti ad Empoli, e ai loro famuli Angelo e Guglielmo, di recarsi e dimorare

12

Cfr. L. ALLEGRA La madre ebrea nell’Italia moderna: alle origini di uno stereotipo, in D’AMELIA (a cura di) Storia della maternità, Torino 1996 pp.53-75. M.LUZZATI Alle origini della “judische Mutter”: note sul lavoro femminile nel mondo ebraico italiano fra Medioevo e Rinascimento, in La donna nell’economia. Secc.XIII-XVIII. a cura di S. Cavacciocchi, (Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Prato, Serie II – Atti delle “Settimane di Studi” e altri Convegni, 21), Firenze 1990, pp.461-473. K.STOW E S.DEBENEDETTI STOW Donne ebree a Roma nell’età del ghetto: affetto, dipendenza, autonomia, in “Rassegna Mensile di Israel”, LII, 1986, pp.63-116.

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Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.80r.-81v. [v.n. cc.56r.-57v.].

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nella città di Firenze per i due mesi seguenti. E’ ipotizzabile che tale permesso servisse alle due donne per sbrigare affari o chiudere certi interessi che nel banco fiorentino dei Quattro Pavoni manteneva il ramo maschile della famiglia da San Miniato di cui faceva parte il defunto Angelo di Abramo, ora rappresentato da Bionda appunto.

Il documento dei magistrati fiorentini smentisce per Bionda la frequente pratica di designare procuratori per coprire un raggio d’azione degli affari abbastanza vasto: Bionda segue personalmente i suoi interessi mantenendo autonomia anche nel viaggiare, spostandosi con la figlia Stella e due famuli tra Empoli e Firenze.

La documentazione reperita, a parte un’eccezione che vedremo subito, ribadisce la consuetudine di Bionda di mantenere rapporti diretti con le autorità cittadine senza alcuna mediazione maschile se è vero, come è vero, che in una serie di documenti15 compare, a partire dal 25 luglio 1478 fino alla fine del 1492, sempre a proprio nome e titolare di se stessa.

Al 13-14 gennaio 148016 risale il solo caso in cui Bionda demandò ad interposta persona, precisamente a David di Manuele nipote del defunto marito, una sua questione. Si trattava della richiesta presentata agli ufficiali degli Otto di Guardia e Balia, da David appunto, di far sgomberare una casa di proprietà di Bionda sita a San Miniato ma occupata da alcuni ammorbati di peste dopo che un lavoratore della donna con tutta la sua famiglia ne era stato cacciato.

I magistrati fiorentini, ricordando come loro solito di essere i soli “giudici competenti et ogni diterminatione in ciò appartiene al nostro uficio et non ad altri”, denunciano il cattivo esempio di tale azione e impongono al vicario di San Miniato l’immediata evacuazione degli appestati dalla casa di Bionda perchè vi possa fare ritorno “certo lavoratore chon suoi figl[i]uoli et famiglia”.

Non possiamo dire se questa casa di proprietà di Bionda fosse la stessa citata in un interessante documento sottoscritto da Bionda con le figlie Fiore e Stella il 26 novembre 149217 per mezzo del quale le donne donavano ad Abramo del fu Dattilo di Abramo da San Miniato e ad Abramo del fu Manuele di Abramo

15

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.47, c.12r; ibid., n.50, c.83v; ibid., n.59, c.37v; ibid., n.74, c.61r. Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.69, cc.128v.-129r; ibid., n. 76, c.50r.

16

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.54, c.70r. e ASCSM, Vicariato di San Miniato. Atti vari, n.1346, c.6v.

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da San Miniato un podere con casa da signore e terre “et cum sepulturis et monumentis hebreorum dictorum de Sancto Miniate” nel popolo di Santa Maria a Fibbiastri, “loco detto nella valle di Charraggia, loco detto Londra”.

E’ questo il già citato podere all’interno del quale era situato un cimitero, non privo di una certa monumentalità, che da luogo di sepoltura della sola famiglia da San Miniato si trasformò nel principale cimitero per gli ebrei dell’area fiorentina.

Questo importante bene immobile era stato ereditato dal marito di Bionda, come da testamento di Angelo di Abramo da San Miniato e la donna, per difendere la discendenza maschile data l’esistenza delle sepolture, aveva deciso di donarlo ai rappresentanti degli altri due rami della famiglia da San Miniato riservandosi l’usufrutto vita natural durante che sarebbe poi passato, dopo la sua morte, alle figlie Fiore e Stella.

Insieme a Bionda compare con una certa frequenza negli atti civili del podestà di Empoli, come feneratrice in proprio, anche un’altra ebrea della cui identità non siamo sicuri. Si tratta di una certa Chiara indifferentemente citata, anche all’interno dello stesso documento sia come “domina Clara hebrea de Emporio” o “domina Chiara hebrea”. Con molta probabilità è la vedova18 del sefardita Simone di Jacob di Joseph che abbiamo visto in lite con Guglielmo di Isacco da San Miniato nel marzo del 1498. Chiara, negli atti in cui compare, risulta sempre libera e autonoma da qualunque presenza maschile che le faccia da procuratore, mundualdo o quant’altro. Sappiamo che Chiara aveva due figli: quell’Abramo e quel Mosè, di cui al capitolo precedente.

La presenza della donna nel castello di Empoli è attestata a partire dal 30 dicembre 151519, data cui risale la richiesta di soluzione di un debito da parte di un cittadino fiorentino creditore di molti empolesi tra i quali compaiono anche Abramo di Dattilo da San Miniato, i nipoti di quest’ultimo, Zaccaria e Raffaele di Isacco da San Miniato e la stessa Chiara.

Altri documenti20 ci informano sulla sua attività di prestito che la porta ad essere ora debitrice ora creditrice degli empolesi. In particolare uno del 25

18

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.111, c.21v. e c.48r.

19

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.101, c.6v.

20

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.101, c.88r; ibid., n.104, c.50r; ibid., n.106, cc.19v.-24r; ibid., n.111, cc.13r. e 49v; ibid., n.113, cc.8r. e 50v.

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gennaio 152421 ricorda le lamentele del rigattire Sandro di Simone perché non riesce a recuperare da Chiara “una gamurra panni turchini cum manichis” che aveva impegnato per ottenere dalla donna un prestito di 5 lire.

Le ultime notizie relative alla sua presenza ad Empoli risalgono al 4 agosto 152822, giorno della sua convocazione presso l’ufficio degli Otto di Guardia e Balia perché insolvente, insieme a Zaccaria di Isacco [da San Miniato] e Sansone “tucti hebrei di costì”, nei confronti di Antonio di Fabrizio di Bernardo.

Se Chiara, vedova, agisce come titolare di se stessa, Gentile di Salomone di Dattilo da Camerino, sposata con Abramo di Dattilo di Abramo da San Miniato, compare dietro il banco di Empoli insieme al marito. In data 25 giugno 151823 il “publicum et famosum latronem et hominem male conditionis” Bastiano del fu Francesco “de Ferraccinis” aveva infatti impegnato presso quel banco oggetti rubati.

Vittima o beneficiaria di un curioso tentativo di ricatto di cui tratta un documento del 6 aprile 147624 fu una certa Bella, figlia del fu Jacob “digrais hebrea de Pedemontibus” e vedova di Joseph “de Francia” ebreo, abitante a Firenze nel popolo di Santa Maria a Ughi, che ottenne come mundualdo “magister” Abramo di Mosè ebreo da Prato. Successivamente confessò con giuramento ebraico che Jacob suo figlio, di un anno e mezzo, non era figlio di David di Manuele di Abramo da San Miniato, abitante a Firenze, ma era stato concepito “ex alio concubitu”. A conclusione promise quindi di non molestare David “occasione dicti partus”. Pena di 200 fiorini d’oro larghi.

Un’altra Bella, non altrimenti identificata, compare ad Empoli, esattamente il 26 ottobre 152225, come debitrice insolvente per 13 soldi di Alberto di Antonio Alberti, camerario del Popolo di Sant’Andrea. Altri due documenti del febbraio e dell’agosto 152426 rimandano ad un quadro finanziario non propriamente florido per Bella se compare ancora in un elenco di debitori del camerario di Empoli prima, e come debitrice del linaiolo “Antonius Fabritii”, poi. Vero è però che la donna risulta in entrambi i casi solvente.

21

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.112, c.25r.

22

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.115, c.118v.

23

Cfr. ASCC, Archivio del Vicario di Certaldo, Atti criminali, n.54, c.33v

24

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n.16829, cc.275v.-276v.

25

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.110, c.100r.

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Di altro tenore le notizie che possediamo su Fiorina, una figlia di Salomone di Manuele da San Miniato. Dato che per la legge ebraica il marito può ripudiare la moglie trovata “defloratam et impudicam”, i medici Agostino di Stefano Santucci da Urbino, un cristiano, e Abramo di Mosè da Prato e Salomone di Simone da Pisa, il 29 marzo 146827, giurarono che Fiorina, di 7 anni e mezzo circa, perse la verginità per una caduta accidentale da una scala che si trovava in casa del padre (“casu et fortuna ceciderit ex quadam schala sita in domo habitationis dicti Salomonis patris”). Il marito di Fiorina, Salomone di Manuele da Toscanella, accetta di buon grado quanto stabilito dai medici28. E’ da notare quanto importante sia un documento del genere per conoscere la storia dell’infanzia, e del mondo femminile in generale, che altrimenti resterebbe più oscuro per mancanza di fonti e notizie, essendo le bambine totalmente relegate al mondo domestico29.

Se siamo stati in grado di ricostruire, anche se solo parzialmente, attività di alcune donne da San Miniato perché, in qualche modo, implicate negli affari pubblici della famiglia, rimane nella sua difficile decifrazione un caso di cui è testimonianza un atto ufficiale. Infatti con lettera del 22 aprile 149330 gli Otto di Guardia e Balia ordinano al podestà di Empoli di cercare presso le case degli ebrei “certa femina marrana” che, dopo essere giunta ad Empoli da qualche giorno, si è rifugiata in una “baliscura” delle mura del castello prima e presso una fornace di un certo Tornabuoni poi. I magistrati fiorentini sono stati informati del fatto che gli ebrei di Empoli “se l’anno tirata in casa”, ma di questa donna non abbiamo altre notizie nè sappiamo la conclusione di questa vicenda. Le congetture sulla donna, dalla sua identità al motivo per cui non aveva cercato rifugio subito presso i suoi correligionari, potrebbero essere molte. Purtroppo dalla documentazione non emergono altre notizie al riguardo.

27

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n.16827, c.2r.

28

Per un episodio similare accaduto in ambito cristiano si veda V.PACIFICI, Note storiche di un notaio del 1400, in “Atti e memorie della Società Tiburtina di storia e d’arte”, XIII-XIV (1933-1934), pp.279-292.

29

Cfr. O. NICCOLI, Il seme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento, Roma-Bari 1995, pag.XII.

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Conversioni e battesimi forzati: alcuni casi particolari.

Il peso esercitato dalla società cristiana sui numerosi nuclei ebraici, isolati geograficamente e sottoposti a possibili violenze, rimaneva senz’altro forte nonostante la sottoscrizione di condotte garantisse almeno il gruppo ebraico firmatario. Del resto si è indirettamente accennato a questo aspetto quando si è sottolineato il ruolo importante svolto dagli Otto di Guardia e Balia che frequentemente riconfermano presso le autorità locali la propria funzione di magistratura che difende gli ebrei nella loro vita quotidiana. Nel ricostruire la storia della famiglia da San Miniato ci si è imbattuti in alcuni casi di conversione al cristianesimo e, dato che il fenomeno per i secoli XIV-XV relativamente ai territori soggetti a Firenze rimane scarsamente conosciuto, è opportuno proporre alcuni casi di conversione di ebrei al cristianesimo31.

Una apostasia anche per uno dei membri dei da San Miniato che si convertì al cristianesimo è già stata studiata. Si tratta di Abramo, figlio di Daniele di Elia da Castel della Pieve e di Rosa di Dattilo da San Miniato, nipote di quell’Abramo di Dattilo da San Miniato che per primo aprì un banco ebraico in Firenze. Abramo di Daniele si battezzerà nel 1438 con il nome di Angelo32.

Il seguente invece sembra essere un caso di battesimo forzato. Una lettera del 15 novembre 148733 degli Otto di Guardia e Balia, la cui copia34 è stata reperita anche nella trascrizione che ne fece fare il podestà di Empoli, ci informa del rapimento di una ragazza ebrea. I magistrati fiorentini mettono al corrente il podestà empolese dell’avvenuto rapimento di una fanciulla ebrea di quindici anni da parte di alcuni contadini empolesi, perciò ordinano al podestà di catturare e inviare a Firenze i colpevoli di tale malefatto. Si ordina pure di trattenere la fanciulla in un luogo sicuro in compagnia di una donna “honesta et di buona fama” per tutta la notte prima di inviarla al loro ufficio. L’ultima raccomandazione consiste nell’impedire alla rapita di avere rapporti e tanto meno parlare con qualunque ebreo. L’intera vicenda sembra concludersi il successivo 19

31

Cfr. CIARDINI, I banchieri ebrei in Firenze, op. cit., pp. 54,55,56; CASSUTO, Gli ebrei a Firenze, op. cit., pp. 40,126,141,183,191-194,203,208,221,275,316-317; LUZZATI, Matrimoni e apostasia di Clemenza di Vitale da Pisa, in IDEM, La casa dell’ebreo, cit., pp. 59-106.

32

Si veda la tesi di laurea di chi scrive.

33

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.78, c.16v.

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novembre35 con il battesimo dell’ebrea “christiana novella” con il nome di “Maria”. Gli Otto ringraziano “di tutto iddio” e il podestà per la sua diligenza nella gestione del caso. Da Firenze si prende atto dell’avvenuto battesimo limitandosi a denunciare il comportamento insolente del popolo empolese e ordinando al podestà locale di pubblicare l’ennesimo bando in difesa degli ebrei perché episodi del genere non si abbiano a ripetere in futuro.

Nel campo delle conversioni il valore simbolico delle donne era del tutto eguale a quello dei maschi e anzi persino superiore, dato il principio della trasmissione dell’ebraicità per via femminile, che i cristiani ben conoscevano, con la conseguente importanza di convertire le donne36.

Accanto a questo caso di battesimo si pone quello di un certo “Francescum olim ebreum”37 che l’otto marzo 1514 compare per la prima volta ad Empoli dove è attestato fino al 25 agosto 1524.

Francesco viene citato in nove documenti sempre come debitore, spesso insolvente, di somme di denaro, anche se non elevate, con il semplice nome di battesimo. In due casi è detto più precisamente Francesco di Abramo cristiano di Empoli ma, a parte questa unica notizia sul suo nome, la documentazione relativa alla sua conversione non è sufficiente a chiarire le circostanze che lo avevano condotto all’apostasia né a ricostruire le tappe fondamentali della sua vita come i rapporti che intercorsero tra lui e i suoi familiari prima e dopo la conversione o il tipo di lavoro che svolse nel castello di Empoli.

Al 27 aprile 151838 risale l’ultimo caso da me conosciuto e studiato di un ebreo battezzato, non sembra in modo forzato, ad Empoli39. Si tratta del figlio di un Gabriello ebreo che una fonte40 a stampa del Settecento ci dice fosse commorante ad Empoli.

E’ interessante notare che al battezzato viene dato il nome del patrono di Empoli, Andrea, e che l’avvenimento deve aver rivestito una qualche importanza se presenziano alla cerimonia in qualità di padrini due persone abbastanza note ad

35

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.78, cc.19rv.

36

Cfr. M. CAFFIERO, Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma 2004, pag.91.

37

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.99, cc.42v. e 44r; ibid., n.100, cc.4r. e 26v; ibid., n.102, c.72r; ibid., n.108, cc.35r.e 106r; ibid., n.112, cc.35r.-36r; ibid., n.113, c.8r;

38

Cfr. ASEE, Battezzati (1482-1547), n.35, c.112v.

39

In realtà sappiamo di altri casi di conversioni di ebrei ma esulano dal periodo temporale preso qui in esame.

40

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Empoli. Si tratta del podestà della città, Domenico Parigi – lo stesso che di lì a pochi giorni si troverà in mezzo alla bufera del “baldacchino” – e di Battista Dini che podestà era già stato nel semestre gennaio-giugno 1510.

Il fatto che Andrea “battezzossi in su le gradole”41 anziché nel chiuso di una chiesa sembra confermare l’ipotesi di una volontà collettiva di dare più risalto all’episodio con un richiamo di popolo.

La conversione, attraverso il battesimo, permette al neofita di ottenere la salvezza dell’anima e l’importanza di questo rito nel mondo cattolico è duplice perché ha una portata sia teologica che culturale. Infatti il concetto di “identità individuale” e di individuo non possono prescindere dal ruolo nodale del battesimo come atto fondatore dell’identità cristiana e dalla evoluzione nel tempo del significato attribuito al rito battesimale42.

Il processo di individualizzazione viene segnalato concretamente dalla cerimonia del nuovo nome impartito con il battesimo ribadendo il cambiamento e la nuova identità assunta, oltre alle relazioni non soltanto simboliche e spirituali, ma concrete e materiali con le nuove parentele acquisite. Lo stesso rito battesimale, se celebrato con una certa solennità, ricadeva positivamente su chi lo amministrava e il battesimo del neofita costituiva uno spettacolo di grande richiamo per il pubblico, oltre ad essere un’occasione religiosa e un atto di vasta portata politico-ideologica.

La documentazione non ci permette di seguire le vicende dei neofiti citati oltre quanto detto né di conoscere le motivazioni che li portarono ad abbracciare la nuova fede. Prescindendo dai casi di battesimi più o meno forzati come quello di Maria, potremmo rilevare motivazioni più evidenti o esteriori (solitamente economiche) che conducevano alla conversione, ma non sappiamo dire perché ci si convertisse né possiamo ricostruire l’esperienza interiore delle singole conversioni.

41

Cfr. ASEE, Index primus baptismatum, “Masti”, sub anno 1518, n.46. Non sono stato in grado di recuperare questo registro in occasione dei miei sopralluoghi nell’Archivio della Collegiata di Empoli ma viene citato con la definizione che ho riportato in G.LASTRAIOLI, Israele a Empoli nei due secoli della Rinascenza, in “Bullettino Storico Empolese” 3 (1959), pp.443-457.

42

A questo proposito si veda A. PROSPERI, Scienza e immaginazione teologica nel Seicento: il battesimo e le origini dell’individuo, in “Quaderni Storici”, 100 (1999), pag.173-198; CAFFIERO, Battesimi forzati, op. cit., p.266.

(14)

“Litigatores et certantes inter se etiam super minimis et pauci momenti”: la proprietà immobiliare.

Abramo di Dattilo da San Miniato avvia, a partire dal maggio 1430, l’attività feneratizia nel castello di Empoli. Due anni dopo, il 20 ottobre 1432, è lo stesso Abramo che sottoscrive la prima condotta che concede ai da San Miniato le garanzie per aprire un banco di prestito ad Empoli. Da questa data, per oltre un quarto di secolo, non si può dire con certezza se Abramo stesso, o i figli o quanti altri lavorassero in quel banco, abitassero nel castello di Empoli né tantomeno se in questo castello possedessero case d’abitazione o altri beni immobili. Un documento del 147343 relativo ad una lite per l’acquisto di una consistente proprietà immobiliare posta nel castello di Empoli nel popolo di Sant’Andrea nella “via cui dicitur la via del merchato degl’asini” ci introduce, all’interno di una questione solo tra cristiani, al fatto che nell’aprile 1457 un “pellipparius” del popolo di Santa Lucia Ognissanti di Firenze, Piero del fu Cristoforo di Puccio, aveva venduto per 300 fiorini d’oro l’unità immobiliare di cui sopra a Manuele di Abramo da San Miniato che comprava a nome del padre Abramo, lo stesso sottoscrittore della prima condotta feneratizia per Empoli.

L’immobile, costituito da una casa “cum palcis, salis, cameris et orto et aliis hedifitiis”, è oggetto di successiva spartizione il 28 giugno 147444 quando Salomone del fu Manuele di Abramo da San Miniato, abitante a Firenze, vende la sua parte al fratello David che, in questo atto, rappresenta anche gli altri fratelli Isacco, Mosè, Jacob ed Abramo. L’ammontare del sesto del valore della casa era di fiorini 58 e un terzo. Tale edificio, lo stesso già comparso negli atti della precedente lite, è posto “in via mercato de’ buoi” e confina per un lato con le mura castellane.

Venti anni dopo, proprio negli anni in cui si decideva la cacciata degli ebrei dal territorio fiorentino, in piena Repubblica savonaroliana, e in mancanza di quello scudo protettivo rappresentato - secondo certa storiografia45 - dalla famiglia

43

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n. 16830, cc.29rv. Il documento è datato 17 maggio 1473 e riassume un contrasto ventennale relativo alla proprietà degli ebrei da San Miniato. La lite si compose per recessione da parte dei cristiani a favore dei “detti ebrei” che rimasero proprietari dell’immobile.

44

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano n.16830, c.206r.

45

Per alcuni aspetti della politica savonaroliana nei confronti dei banchi ebraici fuori dal territorio di Firenze cfr. C.GALASSO, Banchi ebraici e Monti di Pietà in Toscana, in D.MONTANARI (a cura

(15)

Medici, un uomo di chiesa e commissario del comune fiorentino vendeva, a nome della Repubblica di Firenze, beni immobili agli ebrei, nella persona di Isacco del fu Manuele di Abramo da San Miniato, quello stesso Isacco che aveva rilevato insieme agli altri quattro fratelli il sesto dell’edificio venduto da Salomone.

Giovanni “olim Dominici alias vocati Patani” Dotti, “religiosus vir”46, canonico della pieve di Sant’Andrea di Empoli, era stato nominato, con una provvisione del 6 agosto 149647, commissario alle mura con l’obiettivo preciso di sovrintendere ai lavori di costruzione della terza cinta muraria del castello di Empoli. Aveva la possibilità di imporre nuove tasse nonché quella di dividere in lotti e di vendere la vecchia cerchia muraria con il riutilizzo del materiale edilizio di recupero.

Per utilità della Repubblica fiorentina, in data 19 agosto 1496, il Patani vende ad Isacco del fu Manuele di Abramo da San Miniato, che compra anche a nome dei fratelli, beni immobili posti in un luogo detto alla Torre Nuova, ovvero “dirietro agli hebrei”, “in dicto castro Emporii inter menia vetera et nova ditti castri, partem ex latere faciei (?) Senas versus, dirieto a l’orto dello Spedale di Sancto Andrea, et partem ex latere faciei (?) Pisas versus et partem Arnum versus loco decto alla Torre de Cognano”48.

Evidentemente ai beni immobili di cui si è parlato sopra e di cui si comincia ad avere notizia a partire dal 1457, si aggiunge ora un acquisto più consistente che ingloba anche una parte delle vecchie mura. Protagonista dell’acquisto risulta essere, come abbiamo visto, Isacco che opera a nome dei fratelli.

I beni di residenza degli ebrei dovevano avere una qualche consistenza ed estensione se in un pubblico contratto, per identificare l’ubicazione dell’acquisto, che ingloba il muro vecchio, misurato in cinque panora e mezzo: “inter menia

di), Monti di Pietà e presenza ebraica in Italia (secc. XV al XVIII), Roma 1999, in particolare pp.162-163 e la relativa bibliografia.

46

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n. 11294, cc. 204rv.

47

Cfr. ASFi, Dieci di Balia, Carteggio, Responsive, n.48, c.79r. e cfr. ARRIGHI V., Fatti e vicende della costituzione delle mura di Empoli: 1452-1507, in “Bullettino Storico Empolese”, nn.7-8, XXX (1986), p.306.

48

Questa e successive diciture delle denominazioni acquistano un senso per chi sappia che il “castrum Emporii” era il punto d’incontro di quattro direttrici viarie fondamentali al cui capo stavano, in senso orario, le città di Pisa, Pistoia, Firenze e Siena. La via verso Siena è la “via hebreorum” di cui si parla nella nostra documentazione e che per larghi tratti corrispondeva alla via Francigena.

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nova et vetera ditti castri”49, viene genericamente indicata la sua collocazione: “dirietro agli hebrei”.

Un lodo che vede contrapposti Zaccaria e Raffaele, figli di Isacco di Manuele di Abramo da San Miniato, e arbitri Manuele di Buonaventura da Volterra e Abramo del fu Manuele di Abramo da San Miniato (uno dei fratelli che aveva mantenuto la sua parte di proprietà del primo insediamento di cui si ha certa documentazione), ripropone il problema relativo alla consistenza dell’insediamento dei da San Miniato nel castello di Empoli.

Il lodo risale al 17 dicembre 150950 e interviene a proposito della divisione di un edificio fatto costruire da Isacco, padre di Zaccaria e Raffaele, e aggiunge qualche elemento di novità relativamente all’esistenza, in una cosiddetta via degli ebrei “prope portam versus Senas”, di una casa, di magazzini e di botteghe di proprietà dei da San Miniato.

I due fratelli sono infatti i “litigatores” a cui si intitola il presente paragrafo e si muovono in una situazione nella quale le residenze ebraiche ad Empoli dovevano essere abbastanza numerose e gli edifici oggetto di affari.

Il lodo, come detto, viene emesso dagli arbitri Manuele di Buonaventura da Volterra e Abramo del fu Manuele di Abramo da San Miniato che conoscono i due fratelli come appunto “litigatores et certantes inter se etiam super minimis et pauci momenti”. Probabilmente per questo hanno fatto un’accurata ricognizione della casa che viene pertanto descritta. L’edificio, sito in “via que dicitur la via degl’hebrei versus et prope portam versus Senas”, comprende anche una sala “seu pavimentum secundi palchi et torrazzum super dicta sala una cum talamo”; la stessa sala nella quale viene redatto il lodo.

Una parte dell’immobile che, vivente il padre, è stata attribuita a Raffaele è costituita da un “terrenum subtus ad introytum domus anterioris pro faciendo apothecam” e una “volta […] que est sub terreno subter (sic) in via magistra”. In questa parte della casa si trovano anche “balnea inferius existentia” che resteranno comuni fra i due fratelli.

Dalla descrizione si ricava l’impressione della presenza di locali, da adibirsi a botteghe, nella parte del piano terra che si apre sulla strada; si parla di un ambiente con uso di magazzino o deposito mentre al primo piano esisteva

49

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n. 11294, cc.204rv.

50

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l’ingresso alla casa d’abitazione vera e propria che possedeva anche un “torrazzum” da intendersi forse come un ambiente rialzato con un utilizzo più privato e separato dal resto degli altri locali. Il documento risulta assai interessante perché è l’unico a nostra conoscenza che attesti la quasi sicura presenza di bagni rituali, che rimangono bene comune fra quei due fratelli che si sono divisi su tutto51.

Gli arbitri, a conclusione del loro operato, precisano anche altre minute clausole relative al diritto di passaggio o al diritto di deposito, addirittura anche per piccole quantità di legname.

Le caratteristiche che si possono desumere dalla lettura del documento e le destinazioni d’uso rimandano all’idea di una costruzione sita in una via ormai chiaramente definita (“via hebreorum”) nella quale dovevano trovarsi molte botteghe di rigattieri. Non deve sfuggire il fatto che non sembra esserci il bisogno di identificare le residenze degli ebrei: il notaio, gli arbitri e i testimoni sapevano bene dove gli edifici di cui si parlava erano ubicati: bastava citare la “via hebreorum”.

I due fratelli Zaccaria e Raffaele saranno pur stati, come affermano gli arbitri da loro scelti, “litigatores et certantes inter se”, ma si deve tuttavia sollevare il dubbio che non si scontrassero propriamente “super minimis et pauci momenti”.

Infatti nel febbraio 150752, a Bologna, Zaccaria aveva ottenuto in affitto, con una scrittura privata, “tres mansiones et habitationes terrenas contiguas sub domo Habraam Manovelli Habraam sitas <et> prope primam mansionem dicti Zaccherie una cum dimidio volte terrene et sitas in castro Emporii in via que dicitur hebreorum et etiam ratam suam orti existentis in castro predicto”, dalla zia Sara, figlia di Consiglio di Salomone da Cortona e vedova di Jacob di Manuele di Abramo da San Miniato, abitante a Bologna.

Le case d’abitazione, i magazzini e i terreni locati occupavano, insieme alla casa dello zio di Zaccaria, Abramo di Manuele di Abramo da San Miniato,

51

Per un altro verso si dice anche della mobilità dei membri della famiglia; infatti è in occasione di questo lodo che Raffaele, chiamato qui in causa per il suo impegno, poi revocato, a non aprire bottega ad Empoli, si fa indennizzare per essere dovuto venire ad Empoli da una località lontana per la sottoscrizione del compromesso. Da altra documentazione si sa che anche il fratello Zaccaria doveva avere degli affari fuori Toscana, esattamente a Bologna relativamente all’affitto di alcuni locali posti nel “castro Emporii”.

52

(18)

una parte consistente di quella generica “via hebreorum” in prossimità della Porta Senese o Giudea che disegna un’attività economica, non solo di Zaccaria ma di un intero gruppo parentale che risulta in posizione egemonica53.

L’affitto, a partire dal 1507, doveva durare cinque anni e Zaccaria si riconosceva debitore di Sara per un precedente affitto passato non ancora saldato. Tutto questo risultava nel libro delle “ricordantie” di Zaccaria.

La scrittura privata diventa strumento pubblico il 4 settembre 1511 con una atto rogato ad Empoli nella casa dello stesso Zaccaria alla presenza di un Battista di Paolo di Banco abitante ad Empoli e di Simone del fu Bernardo di Simone da Correggio “comitatus et sub duce et seu ducatu Ferrarie”.

Il contratto d’affitto, confermato anche dal figlio di Sara, Manuele, configura uno Zaccaria impegnato nella gestione di un’attività complessa; egli aveva cercato di ottenere dal fratello Raffaele che non gli fosse concorrente con l’apertura di una bottega.

Per quanto riguarda Manuele, il figlio di Sara e di Jacob di Manuele di Abramo da San Miniato, sembra avesse trasferito i propri interessi a Bologna dove con lui se ne va un ramo della famiglia da San Miniato, pur non essendo esclusa la possibilità di tornare ad Empoli dove si mantenevano proprietà immobiliari e legami parentali.

Un successivo documento del 28 settembre 151354 ci informa sulla proprietà di immobili da parte degli ebrei, o in uso ad essi, anche in via Fiorentina dove Abramo del fu Dattilo da San Miniato aveva un bottega di rigattiere posta sotto la casa di Nicola di Maso di Jacopo, dove abitava lo stesso Abramo55.

Si consolida l’immagine del possesso da parte ebraica di beni immobili fra di loro confinanti e che sembrano occupare parti consistenti del castello di Empoli.

53

Dei sei fratelli, attori dell’atto con il quale Salomone del fu Manuele di Abramo da San Miniato vende la sua parte della casa il 28 giugno 1474, ben tre e cioè Isacco, Jacob ed Abramo, risultano direttamente, o attraverso i loro figli, attori di un’intensa attività economica che ha insediamento nel castello di Empoli. Degli altri, Salomone agiva probabilmente a Firenze impegnato nella conduzione del banco dei Quattro Pavoni insieme al fratello David; più lacunose le notizie relative al fratello Mosè di cui tuttavia sappiamo che morì a Napoli.

54

Cfr. ASFi, Notarile Antecosimiano, n.8827, cc.228v.-229r.

55

Dalla lettura dello stesso documento si evince che nei confronti dell’ebreo, un Francesco del fu Lorenzo di Stefano di Carmignano, abitante a Castelnuovo Valdelsa, “laborator terre et predii ser Antonii ser Pieri del Serra”, riconosceva di essere suo vero e legittimo debitore di 40 lire per aver comprato da lui “una cultrice cum uno pimaccio novo cum penna pulli et una cum uno linteo veteri”.

(19)

Localizzare i beni immobili posseduti dagli ebrei ad Empoli risulta difficile così come anche stabilire se all’origine di un’intensa attività economica tesa all’acquisto di edifici da adibire sia a case di abitazione per la famiglia come a magazzini e a botteghe, ci fosse una volontà di radicamento, se non addirittura di creare un patrimonio fondiario da parte dei da San Miniato. Infatti tale attività fu intensa ma ristretta in pochi anni e comunque manca del tutto finora una documentazione certa relativa ai primi anni in cui i da San Miniato cominciarono a operare ad Empoli.

Tuttavia da atti ufficiali rogati da notai diversi si è in grado di disegnare un quadro dell’ubicazione delle loro proprietà immobiliari. Tale quadro configura proprietà abbastanza consistenti che si estendono in prossimità della nuova ed ultima terza cerchia muraria del castello di Empoli56 fino a delineare una vera e propria “vicinia hebreorum”57 nei primi anni del 1500.

56

Anche se un documento del 29 novembre 1452 [in ASCE, Archivio del Podestà, Atti Civili, n.14, c.60v] evidenzia la necessità di restaurare e consolidare le mura di Empoli, sarebbe stato un provvedimento del 29 dicembre 1466 a segnare la vera data delle terze mura e la costruzione di una nuova cinta muraria che vedrà il suo definitivo completamento soltanto nel 1507. A questo proposito si veda ARRIGHI, op. cit., pp.299-334.

57

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