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4. La mediazione editoriale

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4. La mediazione editoriale

Nessuno ha il diritto di credersi uno specchio. Renato Solmi, 1955

1.

Il 1959 e il 1960 rappresentano per la storia della collana un biennio di mutamenti in bilico tra sperimentazione e crisi. In questa fase di transizione, che ha come effetto immediato il drastico rallentamento del numero di pubblicazioni offerto dalla collana – nel ’59 escono sette Lb, nel ’60 solo tre – mutano gradualmente le modalità del lavoro editoriale che precede e prepara i libri: si va concludendo la fase di gestione collettiva della collana mentre emergono come decisive due personalità che, a titolo diverso, determineranno gli sviluppi successivi della nostra collana. Si tratta di Renato Solmi e di Raniero Panzieri.

Abbiamo già visto emergere dai documenti il nome di Solmi: egli era stato coinvolto nel progetto dei Lb già dal gennaio del 1957, quando ancora risiedeva a Francoforte. Gli scriveva da Torino Daniele Ponchiroli per domandargli, a nome di Einaudi, la sua collaborazione «alla ricerca dei testi per i ‘corpuscoli’. La tua presenza e le tue indicazioni su questo punto sono, per noi, di fondamentale importanza».1 La collana ha fatto il suo esordito con la pubblicazione di Qui Budapest e l’editore sta cercando di strutturare il lavoro editoriale sfruttando le diverse competenze e sensibilità dei suoi vari collaboratori. Solmi accetta di collaborare a distanza alla nuova collana di attualità su cui esprime, in un breve arco di tempo, giudizi contrastanti: dall’entusiasmo iniziale del luglio del ’57 – «il programma di corpuscoli (Mao, Deutscher, Lukács e Cases!) è quanto di meglio si potrebbe desiderare»2 – alla delusione velata di ottobre, espressa nella già citata lettera a Ponchiroli.

1 AE, incart. Solmi, 26 gennaio 1957. 2 AE, incart. Solmi, 22 luglio 1957.

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Il primo impegno di Solmi nell’ambito della collana consiste nella cura redazionale di un saggio di Enrica Pischel sulla Cina di Mao che che uscirà nel ’59 con il titolo Le origini ideologiche della rivoluzione cinese. La tematica cinese, che troverà nei Lb uno spazio di indagine privilegiato, era stata introdotta nel 1957 dalla pubblicazione del testo [mi pare che sia un unicum] della raccolta di scritti di Mao Delle contraddizioni tra il popolo, prima traduzione italiana non di partito di uno scritto del segretario comunista cinese.3

Nel maggio del ’57 Solmi scrive a Ponchiroli una lunga lettera nella quale espone pregi e difetti della trattazione della Pischel, invitando a soffermarsi sui primi e a non sopravvalutare i secondi: «quello che vi è di valido e di sostanziale nel libro (e che si ricollega, secondo me, alla sua interpretazione propriamente filosofica del rapporto fra il marxismo e la rivoluzione cinese) è così importante da far passare in secondo piano i difetti o le ingenuità dell’esecuzione».4 L’ottica marxista attraverso cui la rivoluzione cinese è interpretata dalla Pischel rappresenta per Solmi la ragione di maggior interesse dell’analisi proposta: per questo andava pubblicata in fretta. Al libro, che nasceva come sviluppo di un saggio pubblicato su «Nuovi Argomenti», Enrica Pischel lavorava dalla fine del ’55 sollecitata soprattutto da Solmi a concluderlo in fretta.5 Ma nel marzo del ’56 il saggio non è ancora pronto e Solmi informa l’autrice che occorre fare in fretta perché «tra poco uscirà il libro di Fortini (Asia maggiore) di cui il tuo dovrebbe essere il pendant scientifico-storico».6 Questo tentativo di intrecciare insieme la testimonianza dell’intellettuale e la trattazione storica sullo stesso argomento fallisce a causa del ritardo della correzione delle bozze: la pubblicazione del libro avverrà solo in novembre.

Tuttavia, questo ritardo non diminuisce la portata innovativa dello studio della Pischel che nella nota redazionale Solmi presenta ai lettori come primo contributo

3

Prima del ’57 in Italia erano stati pubblicati i seguenti scritti di Mao: La nuova democrazia, Le edizioni sociali, Milano 1951; Politica e cultura, Edizioni di cultura sociale, Roma 1951; Scritti

scelti. Volume 1.: 1921-1936, Editori Riuniti, Roma 1954; La cooperazione agricola in Cina,

Editori Riuniti, Roma 1956; Sulla nuova democrazia, Rinascita, Roma 1956. 4

AE, incart. Solmi, 28 maggio 1957.

5 Il 18 febbraio 1956 Solmi scrive: «a che punto è il tuo saggio sulla Cina? Mi raccomando di farcelo avere entro la fine del mese o al massimo entro i primi di marzo» (AE, incart. Collotti Pischel).

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per rimediare all’insufficienza di studi sulla storia della Cina e del suo rapporto con il mondo moderno e occidentale:

A colmare questa «lacuna» – scrive Solmi – e cioè a tracciare la storia della «risposta» cinese all’Occidente, della «via cinese al mondo moderno» – di cui la rivoluzione cinese e la Cina socialista rappresentano solo lo sbocco e il risultato – è dedicato questo libro: che si presenta quindi, almeno per noi, come uno strumento indispensabile, non solo di conoscenza storica ma anche di orientamento nella realtà politica – così strettamente, ormai, solidale e connessa – del mondo contemporaneo.

Nell’analisi proposta dalla Pischel un secolo di storia cinese, dalla guerra dell’oppio del 1840-42 alla proclamazione della Repubblica socialista del 1949, veniva interpretato come lungo e complesso processo rivoluzionario che aveva investito la civiltà cinese modificandone le strutture sociali, economiche e politiche ma, prima ancora, le categorie morali, religiose e culturali. Questo processo storico, di cui la Pischel individua come tappe fondamentali la rivoluzione dei T’ai-p’ing, la cosiddetta “riforma dei gentiluomini”, la rivolta dei boxer, il radicalismo teorico elaborato da Sun Yat-Sen, l’attivismo degli studenti universitari di «Gioventù nuova», si conclude nell’adesione all’unica ideologia che può definitivamente portarla al superamento di millenni di stabilità, chiusura rispetto al mondo, disuguaglianze e squilibri: il socialismo. La ricostruzione di secoli di storia cinese serve alla studiosa per meglio comprendere il ruolo di Mao nella rivoluzione:

Dire che Mao fu l’uomo che fece fare ai contadini la rivoluzione proletaria in Cina, che suscitò dal nulla le forze eversive e le portò al potere, che creò un’ideologia nuova per metterla nelle mani dei contadini ribelli o, infine, che fu il «genio salvatore» della Cina, non sarebbe dire cosa nuova, ma sarebbe comunque dire cosa totalmente errata: sarebbe far torto alle masse cinesi come forza rivoluzionaria ed a Mao come marxista.7

Conciliando in una teoria unitaria la tradizione filosofica cinese e il marxismo importato dall’Occidente Mao inaugura la «via cinese al mondo moderno»: «molti e vari – scrive la Pischel – furono da parte cinese i tentativi di trovare la via dell’Occidente e del mondo moderno, ma soltanto con la via al socialismo è stato

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possibile operare quel superamento di entrambi i termini antitetici entrati in conflitto che può dar luogo al durevole equilibrio della sintesi».8

La pubblicazione del libro suscita reazioni molto positive: «un libro necessario», lo definisce Sergio de Santis sulle pagine di «Comunità», il primo studio italiano «di organica sistemazione di cento anni di pensiero cinese: si tratta di un tentativo che – malgrado la sua mole ridotta – giunge a spiccare nel panorama della saggistica nazionale grazie al rigore dell’indagine, e alla rassicurante vastità della documentazione».9 Sulle pagine dell’«Unità» Mario Spinella saluta il libro della Pischel come studio innovativo rispetto a quanto è stato pubblicato fino a quel momento in Italia sulla Cina: «si tratta infatti di un’opera condotta sulla base di un’ampia e minuziosa informazione di reale valore scientifico, e di orientamento marxista».10 Benché l’autrice, secondo Spinella, sia in alcuni passi indotta «dalla passione per la materia che tratta» a sopravvalutare alcuni risultati del movimento reale e ideale in Cina, rispetto alle esperienze di altri Paesi, e soprattutto dell’Unione Sovietica,11 il suo volume «testimonia in modo esemplare di una verità che non ci stancheremo mai di ripetere: che cioè il meglio della cultura europea, il marxismo, è il vero ponte che unisce sempre più i popoli del mondo». Se il recensore dell’«Unità» interpreta il marxismo come ponte ideologico tra i popoli, Solmi definisce il marxismo come la sola «forma mentis in grado di interpretare secondo una prospettiva universale i processi storici anche più diversi e remoti del mondo moderno».12 La prospettiva marxista della Pischel, che trovava in Calvino un convinto sostenitore,13 diventa la linea di interpretazione

8 Ibidem, p. 270.

9 Sergio De Santis, rec. a Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, «Comunità», luglio-agosto 1960.

10 Mario Spinella, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, «l’Unità», 2 aprile 1959. 11 Questa stessa critica viene mossa alla Pischel da Franco Calamandrei che recensisce il libro sul numero 5 di «Rinascita» del maggio 1961. Benché il libro debba essere considerato «un contributo documentato e attento (…) di ricerca accurata e di studio», prima occasione per l’opinione pubblica italiana di avvalersi di uno studio serio sulle ragioni storiche dell’esperienza rivoluzionaria cinese, Calamandrei imputa alla Pischel una certa leggerezza nel contrapporre «il pensiero marxista precedente a Mao e il pensiero di Mao, e fra questo e i contemporanei teorici dell’Internazionale comunista e di Stalin».

12 Nota editoriale a Le origini ideologiche cit.

13 Solmi, nella già citata lettera a Ponchiroli, ricorda che il primo libro della Pischel «aveva fatta molta impressione anche a te e a Calvino (da cui partì, anzi, proposta)». Nella riunione editoriale del 17 settembre Calvino propone al consiglio editoriale il Diario di un regista italiano in Cina di Carlo Lizzani: «l’autore racconta la sua esperienza in Cina e tutte le difficoltà incontrate per girare

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della questione cinese che la collana adotta a discapito di altri punti di vista, di altre ideologie: nel ’62 verrà proposta La rivoluzione ininterrotta14 (1962), seguita nel ’64 dalla raccolta di documenti sulla disputa cino-sovietica Coesistenza e rivoluzione curata dalla Pischel con Paolo Calzini e nel ’65 da La Cina rivoluzionaria.

2.

Dietro la pubblicazione di ogni singolo libro si celano i meccanismi del lavoro editoriale che funziona come griglia interpretativa e, inevitabilmente, selettiva: tra le proposte avanzate dai redattori e le pubblicazioni approvate dal consiglio editoriale c’è uno scarto nel quale si situano i libri da non pubblicare o da pubblicare in altre collane. Nei capitoli precedenti abbiamo visto casi in cui la decisione di pubblicare o non pubblicare un libro è subordinata al criterio dell’attualità/inattualità dell’argomento trattato anche al costo, come nel caso di Gabrieli, di dilatare il concetto stesso di attualità oltre la sua più comune accezione.

L’attività editoriale agisce come mediazione tra il sapere in assoluto e il sapere effettivamente divulgato. La sua azione sul sapere in assoluto si articola in tre fasi: selezione del sapere (la discussione delle proposte avanzate e l’approvazione da parte del consiglio editoriale delle proposte ritenute valide), organizzazione del sapere (la collocazione dei libri nelle collane e collezioni), diffusione del sapere (i criteri e i tempi delle pubblicazioni e dell’immissione sul mercato del prodotto

il suo lungometraggio a colori. […] È un libro che andrebbe bene nei Libri Bianchi perché si legge con grande interesse» (AE, Verbali riunioni editoriali, 17 novembre 1958). Due mesi dopo Calvino attirava l’attenzione su alcuni documenti programmatici che «Rinascita» aveva pubblicato sulla questione delle comuni in Cina: «è difficile dare un giudizio sulla bontà o meno di questo programma ma sarebbe sommamente interessante poterlo conoscere nei dettagli» (AE, Verbale del 29 novembre 1958). Il libro non venne fatto.

14 Il libro, pubblicato nell’aprile del 1962, consiste nella ripubblicazione ampliata e aggiornata di un saggio pubblicato sul numero 53-54 di «Nuovi Argomenti». Il 26 aprile 1962 Solmi scrive alla Pischel «il tuo saggio su «Nuovi Argomenti» è stato letto da altri redattori e Einaudi vorrebbe ripubblicarlo tale e quale nei “Lb” (magari con una tua breve prefazione)».14 Lei gli risponde: «per me sta bene per la pubblicazione del saggio di “Nuovi Argomenti”: soltanto vorrei farvi delle aggiunte, dato che ho precisato alcune mie idee nel frattempo»14 (AE, incart. Pischel).

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editoriale). Nella prima fase entrano in gioco filtri di varia natura che non sempre è facile ricostruire in sede di analisi storica.15 Tra questi vi sono i filtri di tipo ideologico: la loro natura è nascosta, sfuggente, raramente esplicitata a viva voce, più spesso adombrata in mezzo ad altri tipi di argomentazione sull’opportunità o meno di pubblicare un libro. Nel caso dei libri sulla Cina maoista abbiamo invece la possibilità di osservare da vicino come l’ideologia politica orienta la selezione dei testi.

Il libro della Pischel era stato voluto, curato e promosso da Solmi. Nella già citata lettera inviata a Ponchiroli per sostenere il libro della Pischel, Solmi riferiva un parere di lettura su China auf eigenen Wegen di L.L. Matthias: pur riconoscendo che lo studio era dotato di sistematicità e profondità analitica, Solmi constatava che esso aveva «il guaio di essere scritto per un pubblico borghese». Ma non era forse borghese, o perlomeno anche borghese, il pubblico a cui i libri pubblicati da Einaudi erano rivolti? Per il giovane Solmi l’attività editoriale è militanza politica: e l’aggettivo «borghese» va allora ad identificare, più che un’appartenenza sociale, una condizione intellettuale e ideologica.

Matthias, prosegue Solmi, ha adottato prospettive intellettuali e ideologiche che lo conducono a una visione parziale e deviata della rivoluzione maoista: in questo modo muovendosi «da un punto di vista che si pretende al di là dell’opposizione comunismo-anticomunismo» Matthias mette «unilateralmente in rilievo gli aspetti nazionali della Rivoluzione cinese».16 La prospettiva nazionale e non ideologica di Matthias rappresenta dunque l’opposto dell’interpretazione «marxista» e «universale» che Solmi indicava come maggior pregio dell’analisi della Pischel. Due anni dopo la pubblicazione del libro della Pischel, Solmi riceve una nuova proposta di argomento cinese, il diario da Pechino di una giovane sinologa, di nome Edoarda Masi. La proposta è filtrata da due intermediari che, a titolo diverso, sono coinvolti nella vicenda: Franco Fortini e Raniero Panzieri. Prima di vedere da vicino questo caso di rifiuto dovremo ricostruire le vicende che riguardano Solmi e Panzieri tra la fine del ’57 e l’inizio del 1960.

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Il 17 febbraio ’58, ad esempio, Enrica Pischel proponeva a Ponchiroli per la serie bianca una raccolta di scritti di dirigenti indiani sulla pianificazione socialista in India. La proposta non viene realizzata: delle motivazioni per cui questa proposta non veniva considerata interessante non è rimasta traccia nei documenti. Eppure era una questione tanto attuale quanto innovativa per il panorama culturale italiano (AE, incart. Pischel).

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2.

Nel settembre del ’59 Solmi torna a Torino dopo un periodo di crisi personale e ricomincia a lavorare a tempo pieno per la casa editrice. Il percorso per arrivare alla scelta, necessaria quanto difficile, del settore di lavoro a cui dedicarsi è stato raccontato dallo stesso Solmi:

Il mio ritorno in casa editrice nel settembre del 1959 ebbe luogo all’insegna di questo stato di abbattimento e di relativa mortificazione, che mi indusse a orientare la mia attività verso settori di lavoro e campi di interesse (…) che avrebbero dovuto proteggermi e ripararmi dalle seduzioni dell’attualità o permettermi comunque di mantenere, nei suoi confronti, un atteggiamento relativamente distaccato e impassibile. Ma la successiva rinuncia alla realizzazione di quell’impresa [cioè il varo della collana “Nuova libreria” nella cui progettazione era stato coinvolto Solmi] (…) oltre a una serie di avvenimenti politici esterni (come l’avvio dell’esperienza di centro-sinistra nel quadro politico italiano e la gravità delle tensioni che scaturivano periodicamente dalla corsa agli armamenti missilistici e nucleari sul piano internazionale: basti pensare, a questo proposito alla crisi di Cuba del 1962) tornarono a spingermi, a poco a poco, verso un impegno più diretto e più intenso, e quindi anche di carattere più regolare e continuativo, sul terreno accidentato dei «Libri bianchi» e di altri testi di analisi o di attualità militare e politica.17

Solmi dunque si orienta verso il settore dell’editoria più strettamente connesso ai problemi dell’attualità: la sua è una scelta di impegno politico e morale. Al suo rientro in casa editrice Solmi trova un nuovo redattore, Raniero Panzieri, con il quale condividerà tre anni di lavoro per la collana dei Lb fino al licenziamento che entrambi subiranno nel ’63. Ricorda Solmi:

Incontrare Raniero, e stabilire un rapporto di amicizia con lui, è stato per me come entrare per la prima volta in contatto con la tradizione intellettuale e col patrimonio di lotte del movimento operaio, che egli incarnava e rappresentava, ai miei occhi, per l’intensità con cui aveva vissuto un quindicennio di militanza politica nel Partito socialista e per la sicurezza (insieme distaccata e appassionata) con cui egli si muoveva in quel mondo e sapeva farsi mediatore dei suoi valori e delle sue istanze anche con chi, come me, non aveva mai fatto esperienze di partito.18

17 Renato Solmi, Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007, pp. 763-764.

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Panzieri era diventato redattore nell’aprile del ’59, avendo già collaborato con la Casa editrice per alcune traduzioni e per la cura dei sei volumi delle Opere complete di Rodolfo Morandi.

Nel febbraio del ’58 Panzieri segnala a Calvino Pour prendre congé di Vercors, una testimonianza sul difficile rapporto tra il Pcf e gli intellettuali francesi dopo l’invasione dell’Ungheria del 1956: «mi pare – scrive Panzieri – che dovrebbe essere inserito nella vostra collana di attualità (quella di Fossati, Giolitti etc.). Dice con eccezionale equilibrio e chiarezza cose che da noi circolano ancora, in generale, velate e complicate in un linguaggio iniziatico. Farei molto volentieri la traduzione».19

Ma Panzieri ha progetti più ambiziosi e nel settembre del ’58 espone a Foà il progetto per una collana che «svincolata dai legami dottrinali di partito e ugualmente lontana dalle correnti varietà banali di revisionismo, ridia in una prospettiva veramente storico-critica momenti essenziali di sviluppo del marxismo fino ai giorni nostri».20 La proposta non viene accolta dalla casa editrice che però, l’anno successivo, assume Panzieri come redattore. Questo passaggio dalla consulenza esterna alla collaborazione fissa viene facilitata dalla mediazione di Giovanni Pirelli, amico e compagno di partito di Panzieri, da poco entrato a far parte del Consiglio di amministrazione della casa editrice.21

19 Lettera del 3 febbraio 1958 a Italo Calvino, in Raniero Panzieri, Lettere 1940-1964, a cura di Stefano Merli e Lucia Dotti, Marsilio, Venezia 1987, p. 126. Il libro non verrà mai pubblicato in Italia.

20 Lettera del 20 novembre 1958, in Panzieri, Lettere cit., p. 159. Panzieri metteva in guardia Foà sul ritardo dell’Einaudi rispetto a Feltrinelli che nel ’58 aveva inaugurato la collana “Il pensiero socialista”.

21

A Pirelli Panzieri aveva scritto nel febbraio del ’58: «la situazione della corrente e del partito mi sollecita a trovare una situazione di indipendenza economica personale. E direi anche, di attività esterna. Ma che, naturalmente, mi lasci del tutto libero politicamente. È quasi la quadratura del circolo. L’unica soluzione che riesco a vedere – con piena convinzione anche per ciò che riguarda il lavoro possibile e il contributo che potrei dare – è: Einaudi. D’altra parte, non voglio in nessun modo forzare la cosa, per ovvi motivi, che dipendono dai miei vecchi rapporti di amicizia verso la Casa editrice. Accetterei dunque con profonda soddisfazione una collaborazione fissa con Einaudi a condizione che l’attività si credesse oggettivamente utile e non si tenesse conto delle mie particolari necessità di oggi. Non so, ad esempio, se qualcuno si occupa in particolare della parte politico-sociologica e se vuole svilupparla. In questo campo si potrebbero fare cose nuove, serie ed utili» (Panzieri, Lettere cit., p. 188).

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Dopo un primo periodo dedicato a lavori di traduzione e revisione per la collana dei Saggi,22 Panzieri comincia a pensare ad una collana in grado di superare i limiti del lavoro di ricerca della Casa editrice, che Panzieri individua in particolare nell’assenza di trattazioni su alcuni settori «tra i più importanti della ricerca di oggi (…): economia, sociologia, sociologia della scienza».23 Sono queste le linee guida del progetto editoriale che si concretizzerà nella collana La nuova società in cui Panzieri coinvolgerà molte e diverse personalità, alcune già coinvolte nel lavoro per la casa editrice, come Norberto Bobbio e Antonio Giolitti, altre come consulenti esterni: Franco Momigliano, Alessandro Pizzorno, Pino Tagliazucchi e Paolo Sylos Labini.24 Tra le carte di Panzieri, è conservata una relazione non datata sulla riunione che Panzieri tenne, probabilmente in aprile, per impostare la nuova collana.25 Al terzo punto Panzieri riassume il piano editoriale della futura collana. Essa si concentrerà sui seguenti settori:

Analisi delle strutture nelle società industriali ad alto sviluppo (America, Inghilterra); problemi dello sviluppo nei paesi arretrati; forme dell’organizzazione di classe in rapporto alla dinamica economico-sociale e all’organizzazione politica (sindacato in Inghilterra, in America ecc.); problemi dell’azione di classe, rivendicativa ed economica in rapporto al capitalismo contemporaneo (problemi di controllo operaio); ideologie dello sviluppo capitalistico e cultura di massa; modelli dell’economia pianificata (URSS, Polonia, Cina, Jugoslavia); funzionamento e ideologia delle leggi economiche nelle economie pianificate; pianificazione e partecipazione operaia.

Questo lungo elenco si concludeva con l’impegno a promuovere anche «lavori di studiosi italiani, in particolare sugli aspetti e problemi delle strutture economico-sociali dell’Italia».26 Dal 1960 al 1962 La nuova società ospiterà 13 titoli intrecciandosi, come vedremo, alla serie dei Lb.

Quando Panzieri arriva a Torino per lavorare da Einaudi ha trentotto anni e un bagaglio di esperienze politiche e intellettuali che Cesare Pianciola ha così

22 Per un’attenta ricostruzione della prima fase di collaborazione tra Panzieri e la casa editrice vedi Luca Baranelli, Raniero Panzieri e la casa editrice Einaudi, Lettere e documenti 1959-1963 in «Linea d’ombra», 12, 1985.

23 Ibidem, p. 66.

24 Vedi lettera alla moglie del 15 maggio 1959 in Panzieri, Lettere cit., p. 199.

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ricordato: «era stato docente di filosofia del diritto a Messina con Galvano Della Volpe, militante e dirigente del Psi in Sicilia, traduttore del secondo libro del Capitale e di altri importanti scritti di Marx e di Engels. Condirettore di “Mondo operaio” a Roma nel 1957-58, promotore con Castagnoli e Muscetta anche di un vivace supplemento scientifico-letterario di quel mensile, cofondatore dell’Istituto Rodolfo Morandi, membro del Cc del Psi».27 Un percorso di vita intenso che definirà da subito Panzieri come consulente editoriale anomalo, «un consulente sui generis», ha ricordato Ponchiroli a Stefano Merli. «Il suo ufficio era quasi in permanenza occupato dai giovani che venivano a trovarlo e a chiacchierare (questo si diceva da chi era costretto a piegare la schiena sulle bozze) e Gerlin, il portiere, aveva il suo da fare a pilotare i visitatori o i convocati verso quello che ben presto fu denominato l’ufficio politico».28

3.

Nel 1961 sia Solmi che Panzieri si trovano coinvolti con diversi ruoli e responsabilità nella vicenda del libro non pubblicato di Edoarda Masi. Di questa mancata pubblicazione non sono rimaste tracce tra le carte dell’archivio Einaudi: è stato dunque necessario utilizzare altre fonti documentarie, incluse testimonianze rilasciate a chi scrive da alcuni dei protagonisti della vicenda. Tornata in Italia, dopo un soggiorno di studio all’università di Pechino, la Masi aveva scritto a Fortini: «sono un’amica di Maria Regis e Renata Pisu e con loro una dei pochissimi italiani che in questi ultimi anni hanno abitato in Cina per un periodo piuttosto lungo. E ho raccontato qualche cosa della nostra vita laggiù».29 Fortini legge il resoconto dei due anni in Cina e pensa alla possibilità di pubblicarlo: «lei ha scritto un bel libro, una cosa importante, e ha delle vere

27

Testimonianza di Cesare Pianciola in Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di Paolo Ferrero, edizioni Punto rosso/Carta, Milano 2006, pp. 215 e seguenti.

28 Stefano Merli Teoria e impegno nel modello Panzieri, prefazione a Panzieri, Lettere cit., p.

XXXV.

29 Archivio del Centro Studi Franco Fortini di Siena, lettera di Edoarda Masi a Franco Fortini del 28 novembre 1960

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qualità da scrittrice (...). Mi pare evidente che un libro come il suo avrebbe la forza di una bomba. Va dunque presentato con ogni cautela, perché esploda nel luogo e nel tempo giusto. (...). Ho bisogno di sapere, prima di tutto, se l’idea di una pubblicazione (Einaudi – nonostante prevedibile difficoltà – anzitutto; e solo subordinatamente, Feltrinelli, Lerici...) la interessa o no».30 La Masi si dice interessata a questa possibilità e allora Fortini si mette in azione tastando il terreno delle varie possibilità editoriali. L’8 gennaio 1961 le scrive alla ragazza:

ho parlato del libro con un influente personaggio einaudiano. Le obiezioni sono state quelle che prevedevo, cioè del tipo: “in Germania di questi libri ne esce uno al mese, non bisognerebbe fornire armi all’avversario ecc...” aggiunga che i suddetti personaggi, ad esempio, hanno bloccato tutte le testimonianze, e ve ne sono di serie, sui campi di concentramento sovietici dell’età staliniana, allegando l’opportunità di uno studio minuzioso di tutta la questione ad opera di uno specialista italiano che non c’è e non ci sarà. Questo tipo di discorsi mi mettono in uno stato di furore folle.31

Chi si nasconde dietro l’espressione «influente personaggio einaudiano»? Il nome di Solmi è solo una delle possibilità. Tuttavia Fortini, pur consigliando all’amica di passare il suo diario a Feltrinelli, non dispera di farlo pubblicare da Einaudi attraverso la mediaizone di Panzieri: «troverò la maniera di farlo leggere ad un amico (Panzieri) senza doverlo lasciare a Torino», le scrive Fortini.32 La Masi aveva conosciuto Panzieri nell’estate del 1957 prima di partire per la Cina:

Avevo conosciuto Raniero Panzieri, quando ero in partenza per un anno di studio all’Università di Pechino. […] La Cina in quegli anni era lontanissima dal nostro pubblico, e parevano esploratori tre studenti italiani all’Università di Pechino – i primi dall’Europa occidentale dopo il ’49. Panzieri si mostrò entusiasta, mi invito a mandargli delle corrispondenze. (Che non ci furono: la Cina reale era troppo diversa da quella dipinta dalla superficialità giornalistica, troppo ricca e complessa e contraddittoria per essere comunicata in brevi articoli a un pubblico troppo ignaro).33

30

Lettera di Masi a Fortini, 8 dicembre 1960 conservato presso l’Archivio del Centro Studi Franco Fortini di Siena (d’ora in avanti AFF)

31 Ibidem, 8 gennaio 1961.

32 Ibidem. Fortini fa capire alla Masi che da Feltrinelli si respira un’aria diversa che potrebbe favorire una pronta pubblicazione: «ho parlato oggi con un amico influente che lavora da Feltrinelli; costoro, cioè costui, non fa nessuna obiezione di principio, anche perché la pensa come noi. Anche in questo caso, però, non ha promesso nulla, nemmeno il manoscritto in lettura, per evidenti ragioni».

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Fiduciosa nella mediazione di Panzieri, la Masi comincia a preparare il testo per la pubblicazione34 incoraggiata da Fortini che in febbraio la informa sul giudizio di Panzieri:

P.(anzieri) è d’accordo con me nel valutare l’importanza del libro e nel giudicarlo positivamente. Ha grande stima di lei e vorrebbe parlarle. Concorda però con me su quella che è la debolezza anche politica: uno squilibrio fra le posizioni politiche generali (politiche e morali), con le quali P. è perfettamente d’accordo, e le applicazioni particolari, occasionali, sulla pagina che gli paiono relativamente arretrate rispetto alle prime. (...) P. [freccetta a lato del testo: «lei se ne può fidare. È davvero un compagno»] è dunque deciso a presentare positivamente il libro in casa editrice anche se non si nasconde che il libro dovrà essere difeso dalla casa editrice stessa dagli attacchi comunisti, e anche entro [sottolineato] la casa editrice.35

Il libro sarebbe stato pubblicato, secondo quanto mi ha confermato la stessa autrice, nella collana dei Lb.

La Masi continua il lavoro di revisione. Ma inutilmente perché, come apprendiamo da una lettera di aprile della Masi a Fortini, la pubblicazione viene bloccata da una o più personalità della casa editrice.36 Anni dopo la Masi ha ricordato l’episodio facendo chiari riferimenti alle motivazioni politiche che giocarono a suo svantaggio: «Panzieri non riuscì a pubblicare quel libro. (Urtò contro le resistenze di quanti, nella casa editrice, non sapevano ancora staccarsi dalle posizioni della sinistra istituzionale. O con noi o contro di noi; la critica pubblica fa il giuoco del nemico)».37

34 I

n una lettera a Fortini del 3 gennaio la Masi scrive: «con Panzieri questa lettera varrà se non altro a giustificarmi, assai in ritardo, per non avergli mandato dalla Cina la corrispondenza che gli avevo promesso” “quanto al titolo Studente a Pechino non mi piace (...). forse si potrebbe mettere

Peita 1958 ma temo che sia incomprensibile. (...) le spedisco anche due tentativi di premessa e

conclusione. Credo che siano un disastro, specialmente la premessa. Vorrei sapere comunque se intendete qualche cosa del genere, o di completamente differente. Ancora: non c’è bisogno che io le dica, se la cosa verrà pubblicata, quanto sarei felice di una sua presentazione» (Masi a Fortini, 3 gennaio 1961, in AFF).

35 Ibidem, 22 febbraio 1961.

36 «Il mio libro vada all’inferno – scrive la Masi a Fortini. – Ci sono cose tanto più importanti. Solo desidero che la cosa finisca presto e, giacché ha preso la piega storta, di riavere il testo perché, contrariamente a quanto quei signori hanno creduto, non provo nessun gusto a esibire i miei fatti personali, e non mi piace di sapere chi l’ha in mano» (Masi a Fortini, 23 aprile 1961). 37 Raniero Panzieri cit. p. 173.

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Sulla decisione di non pubblicare il libro la posizione dell’«influente personaggio einaudiano» che teme di «servire la causa del nemico», secondo le parole venate di accesa polemica di Fortini, ha prevalso sull’entusiasmo di questi e di Panzieri. Interrogato da me sull’argomento, Renato Solmi ha così commentato la sua scelta di allora:

Devo confessare che anch’io mi ero pronunciato per il no (a differenza di Raniero Panzieri e di Franco Fortini, che si erano dimostrati favorevoli, o quanto meno più incerti). Mi ricordo di avere preso questa posizione nell’interesse dell’autrice, per cui nutrivo la massima stima e con cui ero in rapporti molto amichevoli, ma anche per timore delle conseguenze che il libro avrebbe potuto avere in quegli anni, gettando una luce sfavorevole su ciò che stava avvenendo in Cina. Può darsi che avessi torto, ma, a distanza di quasi cinquant’anni, non posso più formulare un giudizio motivato e coerente.

A differenza di altri casi di censura o rifiuto di pubblicazioni editoriali, in questo caso abbiamo il privilegio di poter dar conto del contenuto del libro non pubblicato: esso è stato infatti uscito pubblicato da Feltrinelli nel 1993, a più di trent’anni dalla sua stesura.38 In questo ampio lasso di tempo lo scenario politico mondiale è radicalmente mutato: eppure, il timore di finire tra le schiere degli anticomunisti o dei comunisti pentiti solo perché si è mossa critica a un certo tipo di comunismo, a determinate sue distorsioni/aberrazioni, non è obsoleto tanto che la Masi, riproponendo il suo testo, ha premesso un’introduzione nella quale scrive: «nel contesto della storia cancellata – scrive la Masi – dei valori rovesciati e della comunicazione interrotta, riprendere queste vecchie pagine e darle in lettura al pubblico è forse privo di senso e implica il rischio, nuovamente, d’essere scambiata per una pentita del comunismo. […] Le presento come documento, senza correzioni – salvo tagli di parti pletoriche».39

Ritorno a Pechino è il diario in terza persona dell’autrice che racconta la sua vita e quella di altri giovani comunisti europei giunti all’Università di Pechino nel settembre del 1957. Il racconto procede attraverso descrizioni impressionistiche che oscillano tra la cronaca del il reportage e le tonalità poetiche del romanzesco: «Dmitrij li guardava con un sorriso russo dove la benevolenza non sa farsi ironia.

38 Paolo Di Stefano sulle pagine del «Corriere della Sera» ha recensito il libro della Masi definendone la vicenda editoriale «un caso insolito dell’editoria italiana» (Paolo Di Stefano,

Edoarda Masi: “la mia Cina rifiutata da Einaudi”, «Corriere della Sera», 29 aprile 1993). 39 Edoarda Masi, Ritorno a Pechino, Feltrinelli, Milano 1993, p. 14.

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L’aria calda, la grande stanza piena di fiori chiari. A quell’ora evidentemente non partivano aeroplani. Più che un aeroporto era la terra. Poi Dmitrij se n’era andato, e avevano continuato ad aspettare soli» – questo l’incipit del libro. Le parti più interessanti, quelle indubbiamente ritenute più scomode dal censore, sono gli incontri tra gli studenti europei e i cinesi, laddove traspare una realtà lontana dalla retorica ufficiale del regime e si intravede, anche solo per un attimo, la Cina vera. Il silenzio imposto alla popolazione si propaga anche agli stranieri che diventano inconsapevoli complici di quel regime di disinformazione e paura: così, domandando a un giovane cinese spiegazioni sui meccanismi dell’autocritica imposta ai sospettati di dissenso ideologico, le ragazze italiane protagoniste del racconto assistono agli sforzi del ragazzo per non dire, fingendo di non capire: «solo in seguito capirono il perché di un atteggiamento simile, che non era solo di Matteo. Non si accorsero neppure di aver già cominciato ad assumerlo loro stesse e, non molto diversamente dal loro interlocutore, di aver parlato di ciò che volevano ma senza chiamare esattamente le cose col loro nome».40 La vita degli studenti europei si immerge nel «penetrante silenzio» che avvolge la Cina, dove la popolazione è classificata in “buoni” e “non buoni”: «e c’era una gradazione di maggiore e minore bontà. Frequentare chi era meno buono era rischioso e dubbio per chi era a un grado più alto, ma per la stessa ragione era difficile riuscire a frequentare chi fosse migliore di te».41 La Masi fornisce una descrizione della Cina in cui fascino, mistero, e delusione si associano nelle impressioni degli europei comunisti che per primi ebbero la possibilità di soggiornare un lungo periodo nella Repubblica popolare. Un esperienza di conoscenza in cui «le lenti deformanti» dell’ideologia, che pur sono ammesse nella prefazione,42 non impediscono alla Masi di cogliere sfumature e contraddizioni di una realtà complessa e, da molti, mitizzata.

Nel contesto storico del 1960, dopo le coraggiose iniziative di autonomia rispetto al Pci che gli eventi del ’56 avevano ispirato, la casa editrice torna a dimostrare una certa sudditanza, non soltanto psicologica, a schemi interpretativi in cui il diritto alla critica è subordinato al dovere della fedeltà ideologica. In questo

40 Ibidem, p. 57.

41 Ibidem, p. 97.

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quadro Panzieri si definisce come la figura intellettualmente più libera, anche perché meno direttamente vincolato, rispetto ai collaboratori a tempo pieno come Solmi, dalle responsabilità del lavoro editoriale: il suo interesse per la Cina maoista, che nel contesto einaudiano si è scontrato con autocensure ideologiche, troverà ampio spazio nelle pagine di «Quaderni rossi», a cui collaborerà attivamente la stessa Edoarda Masi.

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