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MATERIALI e METODI

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Academic year: 2021

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MATERIALI e METODI

Plasmide pCS2+ e cloni utilizzati

Il plasmide pCS2+ è un vettore di espressione utilizzato per dirigere l'espressione di proteine in Xenopus a partire dalla microiniezione dell'mRNA o del DNA. Esso contiene un promotore forte proveniente da “simian citomegalo virus (CMV) IE94”, seguito da una regione “polylinker” e dal sito di poliadenilazione proveniente da SV40. Il plasmide pCS2+ dispone di due promotori differenti, i quali consentono di ottenere sonde RNA antisenso (da utilizzarsi in esperimenti di ibridazione in situ) oppure mRNA senso (utili per indurre una sovraespressione del gene clonato in seguito a microiniezione):

• È presente un promotore per la RNA polimerasi SP6 nella regione 5' non tradotta dell'mRNA proveniente dal promotore “sCMV”, che consente di trascrivere in vitro le sequenze clonate nella regione polylinker e ottenere mRNA.

• Il secondo promotore, per la RNA polimerasi T7, presenta un orientamento inverso rispetto a SP6 ed è situato tra il sito di poliadenilazione di SV40 e la regione polylinker; esso consente la trascrizione in vitro di RNA antisenso.

Inoltre è presente una seconda regione polylinker situata dopo il sito di poliadenilazione di SV40 che serve a linearizzare il plasmide, per consentire la trascrizione in vitro dei costrutti clonati. Il vettore deriva dal “pBluescript II KS+” e include un gene di resistenza all'ampicillina “ampr” e un origine “f1” per il DNA a singolo filamento.

Figura 1. Rappresentazione schematica del plasmide pCS2+. I siti di restrizione non sono mostrati.

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I “cap”-mRNA ottenuti per trascrizione in vitro da questo plasmide, a partire dal promotore SP6 del plasmide linearizzato (in genere con Asp718 o NotI), sono molto stabili e consentono un’efficienza di traduzione 10 volte maggiore rispetto agli altri mRNA a causa della forte efficienza del segnale di poliadenilazione proveniente da SV40.

pCS2+.Xnoggin

Questo plasmide è stato utilizzato per la trascrizione in vitro per saggi di sovraespressione. Contiene un inserto di circa 1 kb clonato EcoRIStuI. Per la trascrizione del filamento senso il plasmide è stato linearizzato con NotI e trascritto mediante il promotore di SP6 (Smith e Harland, 1992) .

pCS2+.GFP

Questo plasmide è stato utilizzato per la trascrizione di GFP mRNA in vitro da utilizzare come gene reporter in saggi di sovraespressione.

pCS2+.Xotx5b

Questo plasmide è stato utilizzato per la trascrizione di mRNA in vitro da utilizzare in saggi di sovraespressione. L'inserto è clonato EcoRI. Per la trascrizione del filamento senso il plasmide è stato linearizzato con NotI e trascritto mediante il promotore di SP6 (Viczian et al., 2003).

Trasformazione batterica per shock termico

La trasformazione è un processo che consiste nell’introduzione di DNA estraneo in una cellula capace di riceverlo al suo interno. Affinché le cellule assumano più facilmente il DNA plasmidico estraneo contenente l’inserto di nostro interesse, esse sono state rese competenti con vari processi, tra cui l’elettroporazione o il trattamento con cloruro di rubidio. Le cellule batteriche competenti sono mantenute in ghiaccio per 30 minuti, poi trasformate attraverso un aumento della temperatura da 0°C a 42°C in un bagnetto per 45 secondi. Dopodiché si aggiunge del terreno liquido alla provetta contenente i batteri trasformati, ed essi vengono mentenuti a 37°C per un’ora (fase di pre-crescita). Si centrifuga la provetta a 12000 rpm (rpm = revolution per minute) per 2 minuti, si elimina il sovranatante ad eccezione di una goccia, per poter risospendere il pellet ottenuto. Il pellet risospeso viene conservato in glicerolo a –20° C.

Trattamento dei batteri trasformati: piastratura, preinoculo e inoculo

Piastratura: i batteri trasformati devono essere piastrati su terreno solido selettivo, preriscaldato a 37°C. Si utilizzano anse monouso di plastica e si lavora in presenza della fiamma di un fornellino Bunsen. Si immerge la punta dell’ansa nel glicerolo; nel circoletto apicale

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rimarrà una gocciolina, che deve essere cosparsa sull’agar della piastra tracciando linee via via più rade. Le piastre vengono fatte incubare a 37°C per almeno una notte.

Preinoculo e inoculo: l’inoculo dei batteri serve ad ottenere un gran numero di cellule trasformate, in modo da amplificare enormemente la quantità di DNA plasmidico che in seguito potremo estrarre e utilizzare in altri protocolli; per far moltiplicare le cellule batteriche trasformate, esse vengono poste in un terreno liquido di L.B. e AMP (L.B. = Luria-Bertani; AMP = Ampicillina). La prima fase è quella del preinoculo, che serve ad avviare la crescita dei batteri. Si preleva dalle piastre una colonia singola, utilizzando un’ansa monouso di plastica. Le cellule che cresceranno nel terreno liquido saranno tutte identiche tra loro, in quanto cellule sorelle derivanti da una singola colonia. Dopo aver toccato la colonia, si immerge l’ansa di plastica in circa 3 ml di terreno liquido L.B. + AMP, contenuto in tubi da batterio da 10 ml. Si lavora presso la fiamma del Bunsen, flambando il tappo del tubo da batterio prima di richiuderlo. Si lascia crescere la semina per qualche ora oppure O/N a 37°C (O/N = Over-Night), in agitazione sulla ruota.

Segue l’inoculo vero e proprio. Il brodo contenuto nei tubetti dei preinoculi contiene cellule batteriche, già in fase stazionaria di massima crescita. Si preleva una quantità variabile da 0,5 a 2 ml e la si pone in beute da 70 ml di brodo (dove viene aggiunta anche ampicillina). L’inoculo deve essere accompagnato da un bianco di controllo: a questo scopo si preleva parte del brodo LB contenente ampicillina contenuto nella beuta, prima dell’aggiunta dell’inoculo, e lo si pone in un apposito contenitore. Dopo una crescita O/N su agitatore, il brodo di coltura delle beute viene centrifugato. Il pellet ottenuto viene conservato a –20°C e utilizzato per l’estrazione plasmidica.

Estrazione e purificazione di DNA plasmidico su media scala mediante colonne NUCLEOBOND (“Midi-prep”)

Il processo di estrazione del DNA plasmidico permette di recuperare i plasmidi che si sono moltiplicati all’interno di cellule batteriche, coltivate in volumi di brodo che vanno dai 70 ai 100 ml. La procedura di estrazione “NUCLEOBOND plasmid purification” utilizza a tale scopo colonnine cromatografiche a scambio anionico, e soluzioni di lavaggio / lisi / eluizione già pronte all’uso e disponibili in commercio. La resa dell’operazione di midi-prep si aggira intorno ai 100 µg di DNA plasmidico isolato.

Le cellule batteriche da cui siamo intenzionati ad estrarre il DNA plasmidico sono state fatte crescere O/N in brodo di coltura LB sterile e ampicillina (100 µg/ml), su agitatore orizzontale a 37°C. Il brodo contenente i batteri, biancastro e opaco all’aspetto, viene trasferito in appositi tubi da centrifuga. Dopo una centrifugazione a 20°C per 5 minuti a 12.000 rpm, si è in grado di scartare il sovranatante e risospendere il pellet in 8 ml di soluzione RES contenente RNAsi A. La risospensione può essere facilitata meccanicamente. In alternativa il pellet può essere conservato a –20°C e utilizzato in seguito.

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Al fine di provocare la lisi cellulare e dunque la fuoriuscita dei plasmidi in soluzione, si aggiungono 8 ml di buffer LYS alla sospensione. Si agita delicatamente e si lascia agire LYS 5 minuti a temperatura ambiente. Mentre il buffer di lisi agisce, si sistemano le colonne Midi-Prep su un apposito supporto, montato in modo che il liquido che attraversa la colonne sgoccioli in vaschette sottostanti. Le colonne vengono equilibrate versando 12 ml di Equilibration buffer (EQU) sui bordi del filtro e all’interno delle stesse: EQU passa per gravità attraverso la resina e la prepara alle fasi successive. Al tubo con il lisato si aggiungono 8 ml di Neutralization buffer, e si mescola immediatamente inclinando il contenitore 10-15 volte. Per effetto di quest’ultima soluzione, la reazione di lisi si blocca, e il lisato origina un flocculato bianco. Il contenuto dei tubi deve essere versato nelle colonne. Fatto ciò, è necessario attendere che per gravità queste si svuotino; durante il suo passaggio attraverso la resina, il DNA plasmidico viene trattenuto. Per aumentare la resa del processo si versano 5 ml di EQU nella colonna, applicandoli ai bordi come già fatto per l’Equilibration. In seguito si rimuove il filtro e si lava la colonna con 8 ml di Washing buffer; il lavaggio serve ad allontanare residui di sali e di RNA dalla resina. Poi si provvede a sostituire le vaschette di raccolta con un tubo poliallomero per ogni colonna, e si versano 5 ml di Elution buffer. Si aggiungono 3.5 ml di isopropanolo a RT all’eluato (RT = Room-Temperature), in modo da far precipitare i plasmidi, e si centrifuga a 15000 g per 30 minuti a 4°C. Il sovranatante è allontanato dal pellet di DNA plasmidico, che viene lavato con 2 ml di etanolo 70% a RT. Si centrifuga il tutto a 15000 g per 5 min, si rimuove l’etanolo e si lascia asciugare il pellet. Una volta asciugato all’aria il pellet viene risospeso in 50 µl di TE e trasferito in un tubo eppendorf.

La procedura di estrazione e purificazione del DNA plasmidico è seguita da una corsa elettroforetica su gel di agarosio all’1%, con lo scopo di verificare l’intergità dei plasmidi estratti ed evidenziare eventuali anomalie.

Soluzioni

Soluzione 1 (S1):

Glucosio 50 mM

TRIS-HCl (pH 8) 25 mM EDTA pH 8 10 mM

Soluzione di Lisi (LYS):

NaOH 0,2 M SDS 1% Soluzione 3 (S3): Potassio acetato (pH 5,3) 3M TE: TRIS-HCl pH 8 10 mM EDTA pH 8 1 mM

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Elettroforesi su gel di agarosio

La corsa elettroforetica su gel di agarosio permette di separare filamenti di DNA e RNA in base al loro peso molecolare. La separazione viene ottenuta caricando il materiale nei pozzetti del gel di agarosio all’1% peso/volume e poi applicando un campo elettrico costante per un determinato periodo di tempo; il campo elettrico provoca la migrazione del materiale nucleotidico (carico negativamente) verso il catodo (+).

Il gel di agarosio all’1% peso/volume si prepara sciogliendo il quantitativo richiesto di agarosio in TBE a pH 8 a temperatura di ebollizione. Una volta aggiunta una quantità di bromuro di etidio fino alla concentrazione finale di 10 µg/ml, il gel viene colato in un lettino da elettroforesi contenente un pettine per la formazione dei pozzetti e lasciato raffreddare sotto cappa chimica. Una volta avvenuta la polimerizzazione, il gel viene immerso in TBE a pH 8 all'interno di un apparato orizzontale per elettroforesi.

I frammenti di DNA in migrazione possono essere identificati al termine della corsa elettroforetica mediante l'uso di marcatori molecolari di peso molecolare noto (Invitrogen 1kb DNA ladder), caricati in pozzetti adiacenti. Il DNA viene visualizzato grazie all'incorporazione di un intercalante fluorescente presente all'interno del gel, (il bromuro di etidio aggiunto in fase di preparazione del gel), attraverso l'esposizione ad una fonte di luce UV.

L'operazione di caricamento dei campioni sul gel è consentita dall'uso di un “loading buffer”, contenente glicerolo (che appesantisce il campione ostacolandone la diffusione nel TBE) e un colorante che permette di controllare il fronte di migrazione durante la corsa elettroforetica. Si applica poi una differenza di potenziale di 80-130 V per un tempo variabile compreso tra i 5 minuti e le 2 ore.

L'elettroforesi su gel di agarosio può essere ad esempio utilizzata per:

 isolare e visualizzare le bande prodotte dalla digestione enzimatica dei plasmidi;  stimare la concentrazione o la bontà dei frammenti di DNA ottenuti nei vari protocolli.  stimare la qualità di RNA totale estratto da materiale biologico

Soluzioni

TBE pH 8,0:

Tris base 0,089 M Acido borico 0,089 M EDTA 0,002 M

“Loading buffer” 6x di tipo III (solo Xilene cianolo) per DNA:

Glicerolo 5%

Xilene cianolo 0,025%

“Gel Loading buffer II” (Ambion) 2x denaturante per RNA:

EDTA 18 mM Formammide 95 % SDS 0,025 %

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Blu di bromofenolo 0,025% Xilene cianolo 0,025% Gel di agarosio: Agarosio 1-1,5% (peso/vol) Et-Br 10 µg/ml TBE 1 “Marker” molecolare:

Invitrogen 1 kb DNA ladder

Determinazione della concentrazione e della qualità del materiale nucleotidico mediante lettura allo spettrofotometro

Lo spettrofotometro è uno strumento che misura l’assorbanza (ABS) di una soluzione a una certa lunghezza d’onda. Tale soluzione viene diluita e posta all’interno di particolari contenitori di plastica, vetro o quarzo. Attraverso la legge di Lambert-Beer, l’assorbanza permette di risalire alla concentrazione della sostanza contenuta nella cuvetta.

Lo spettrofotometro (Beckman DU-60) deve essere inizialmente tarato con la lettura del bianco, usando 100 µl di acqua Milli-Q (acqua demineralizzata). Successivamente, si preleva 1 µl di soluzione di ogni plasmide e si diluisce in 99 µl di acqua Milli-Q. Si introduce la soluzione diluita nello strumento e si misura l’assorbanza alla lunghezza d’onda a cui assorbono gli acidi nucleici, cioè 260 nm; ogni misurazione viene compiuta due volte, e al termine delle misurazioni si reinserisce il bianco per un ultimo controllo. Per misurare la concentrazione di campioni poco abbondanti, si ricorre ai capillari di vetro, nei quali vengono caricati solo 3 microlitri (1 µl di campione diluito con 2 µl di acqua). L’apparecchio rileva il rapporto ABS 260/280, ovvero l’assorbanza relativa degli acidi nucleici rispetto a quella delle proteine. Se tale valore è uguale o superiore a 1,8 allora il nostro campione può definirsi puro ed esente da contaminanti proteici. Il rapporto ABS 230/280 fornisce le stesse informazioni di purezza, però rispetto ai sali, e deve risultare uguale o superiore a 2,2. Se i due rapporti sono sufficientemente buoni, allora il valore della concentrazione calcolata dallo spettrofotometro può essere considerato corretto.

Linearizzazione di plasmidi per trascrizione di sonde antisenso o di mRNA senso

In questa procedura si utilizzano enzimi di restrizione, capaci di tagliare i plasmidi presso sequenze specifiche chiamate siti di restrizione, riunite nella regione del “polylinker”. Nella loro forma standard i plasmidi sono circolari e superavvolti. Il taglio del plasmide presso un singolo sito di restrizione origina un plasmide linearizzato; un taglio doppio, operato da due enzimi,

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origina due frammenti plasmidici (plasmide + inserto), e così isola l’inserto tagliandone le estremità delimitanti.

La linearizzazione dei plasmidi per trascrizione di sonde antisenso o di mRNA senso è sempre preceduta da un altro protocollo, quello della digestione diagnostica dei plasmidi. La digestione diagnostica consiste nel digerire 1 µg del DNA plasmidico estratto con midi-prep, al fine di raccogliere informazioni utili per stabilire se il plasmide è integro, se gli enzimi lavorano bene su di esso, se la sua struttura corrisponde a quella descritta dai dati presenti in letteratura. Si digerisce il plasmide con i due enzimi che tagliano ai lati dell’inserto, poi si verifica con una corsa su gel che il pattern di migrazione sia compatibile con le lunghezze in pb dei frammenti originatisi.

A questo controllo segue la vera linearizzazione. Per prima cosa si deve approntare una soluzione in cui siano presenti 15-20 γ del DNA plasmidico da linearizzare, l’enzima linearizzante (4 UE per ogni γ di DNA da linearizzare) e il corretto buffer (specifico per ogni enzima, cui fornisce il giusto ambiente per catalizzare la reazione). L’enzima linearizzante viene scelto in modo che operi un singolo taglio nella regione posta a monte o a valle dell’inserto. Al termine della procedura una piccola aliquota della digestione (ad esempio 0,25 γ) viene controllata per gel elettroforesi, accanto a un’analoga aliquota di plasmide non digerito. Quando tutto il plasmide è stato digerito, nel gel è visualizzabile un’unica banda, che migra più velocemente rispetto a quella circolare rilassata, più lenta.

Purificazione di acidi nucleici: estrazione fenolica e precipitazione alcolica

Gli acidi nucleici devono essere purificati ogni volta che si vuole allontanare dal DNA o da RNA componenti di una miscela di reazione che possono interferire con la resa di altri protocolli o che non costituiscono l’ambiente ideale nel quale conservare gli acidi nucleici stessi.

Questa tecnica sfrutta la capacità delle proteine denaturate di essere più solubili in fase organica. Il fenolo e il cloroformio denaturano le proteine, il cloroformio facilita la separazione delle fasi, mentre l’alcool isoamilico riduce la formazione di schiuma durante l’estrazione. Il protocollo si conclude con la normale precipitazione alcolica per gli acidi nucleici.

Inizialmente il campione viene portato ad un volume di 200 µl con H2O mQ; si aggiungono poi 200 µl di fenolo-cloroformio-isoamil alcool 25:24:1 pH 8. La miscela viene agitata per qualche secondo sul vortex, fino all'ottenimento di un'emulsione che viene centrifugata per 5 minuti a 12000 rpm a RT. Si recupera poi la fase acquosa del sovranatante, evitando di toccare l'interfaccia e misurando il volume di liquido prelevato. Vengono aggiunti 0,1 volumi di NaOAc pH 4,8 3 M e 2,5 volumi di etanolo assoluto. Si lascia precipitare per 2 ore a –20°C, o in alternativa per 30 minuti a -80 °C. Trascorso questo tempo si centrifuga il campione 15 min a 12000 rpm a RT e si scarta il sovranatante. Il “pellet” viene lavato con 100 µl di etanolo al 70%

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ghiacciato; si centrifuga a 12000 rpm per 5 minuti a RT. L'etanolo viene infine eliminato e il “pellet” viene fatto asciugare all’aria. Il DNA viene risospeso in 10 µl di H2O mQ o TE a pH 8,0. Per facilitare la risospensione si può ricorrere al bagnetto secco a 37°C (3 minuti) e al vortex continuo; prima di riporre le eppendorf a –20°C è bene fare un rapido spin per raccogliere le goccioline sollevate dal vortex.

Purificazione di acidi nucleici con kit SIGMA

Gli acidi nucleici possono essere efficacemente purificati anche con colonnine del kit GenElute PCR Clean-up SIGMA. Il kit è stato creato per pulire i prodotti di amplificazione di reazioni di PCR, ma può essere usato per pulire anche plasmidi linearizzati, fino a un massimo di 10 µg di materiale a colonnina.

Trascrizione di sonde RNA antisenso marcate con DIG-11-UTP

Questo protocollo è stato utilizzato nella trascrizione di RNA antisenso marcati con DIG-11-UTP (digossigenina-DIG-11-UTP), da usare come sonda negli esperimenti di ibridazione in situ. La digossigenina è un aptene steroideo che risulta legato ad alcune delle molecole di uracile presenti nel DIG-labeling mix; contro la digossigenina è stato sviluppato un anticorpo reperibile in commercio, coniugato con l’enzima fosfatasi alcalina per la rivelazione. La sintesi di mRNA viene effettuata mediante una RNA-polimerasi (di solito SP6, T3 o T7) scelta in base all’orientamento di clonaggio della sequenza di interesse all’interno del vettore che è stato opportunamente linearizzato; l’orientamento dell’inserto plasmidico è di fondamentale importanza al fine di produrre una sonda antisenso.

La reazione viene assemblata a RT, aggiungendo a 1,2 µg di DNA linearizzato, 2 µl DTT 100 mM, 4 µl di “Transcription buffer 5X” (Roche), 2 µl DIG-labeling mix (Roche), 1 µl “RNase OUT” (Invitrogen), 2 µl RNA polimerasi e H2O mQ fino ad un volume totale di 20 µl. La miscela viene incubata per 2 ore a 37°C. Trascorso questo tempo si preleva 1 µl del volume di reazione e si conserva in ghiaccio per la successiva corsa elettroforetica di controllo. Vengono aggiunti 2 µl di “DNase/RNase free” (Invitrogen) e la soluzione viene incubata per ulteriori 15 minuti a 37°C. Successivamente vengono aggiunti 1 µl di EDTA 0,5 M pH 8,0, 1/10 del volume di NH4Ac 5M e 1 volume di isopropanolo. (Un protocollo alternativo, altrettanto efficace, non utilizza l’EDTA e prevede l’aggiunta di etanolo assoluto al posto dell’isopropanolo). Il tutto viene mescolato delicatamente e posto a -20 °C per 1 ora. Trascorso questo tempo viene eseguita una centrifugazione a 4 °C per 15 minuti a 13000 rpm. Il sovranatante prodotto viene eliminato e il “pellet” viene lavato con 100-150 µl di EtOH 75% ghiacciato. Si esegue una ulteriore centrifugazione a 13000 rpm per 5’ a 4°C, si elimina il sovranatante e si lascia

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asciugare il “pellet” all'aria. Infine si risospende il precipitato in 22 µl H2O mQ; per sciogliere completamente il pellet si mettono le provette per 2 minuti nel bagnetto a 37°C, poi si agita con il vortex. Si mette in ghiaccio e si preleva 1 µl, che viene utilizzato per essere confrontato per corsa elettroforetica, in gel di agarosio all'1%, con il campione prelevato prima della precipitazione. Entrambi sono caricati su gel con “Loading buffer II” (Ambion) 2X per RNA e in parallelo a soluzioni di tRNA a concentrazione nota usate come marcatori di quantità. L’RNA da utilizzare come sonda negli esperimenti di ibridazione in situ deve essere diluito nel mix di ibridazione (“Hybridization mix”) alla concentrazione di 10 µg/ml e conservato a –20°C.

Soluzioni Hybridisation mix: Sali 1X Formammide 50% Destrano solfato 10% RNA di torula 1 mg/ml Denhardt’s 1X

Trascrizione in vitro dell’mRNA da microiniettare (mMESSAGE mMACHINE

Ambion) Gli mRNA da microiniettare devono contenere sequenze che ne aumentano la stabilità e l’efficienza di traduzione all’interno della cellula. Per questo si inserisce il cDNA dei geni di interesse all’interno di plasmidi che contengono elementi stabilizzanti l’RNA. Inoltre, per aumentare l’efficienza di traduzione, si aggiunge alla miscela di trascrizione una “terminal cap structure” (“cap”) all’estremità 5’. In questo modo si possono ottenere trascritti stabili, in grado di sopravvivere all’interno della cellula. Il “cap”, tipico di molti RNA cellulari, consiste di una [m7G(5')ppp(5')G] che rallenta la degradazione dell'mRNA in ambiente cellulare.

Il “kit mMessage mMachine® Ambion” consente di ottenere una elevata efficienza di “cap”-mRNA grazie alla presenza di un eccesso di un analogo del [m7G(5')ppp(5')G]. La miscela di reazione contiene un rapporto equilibrato di tutti i quattro ribonucleotidi necessasi per la sintesi dell'mRNA e un eccesso dell'analogo del [m7G(5')ppp(5')G] in un rapporto di 4:1 con il GTP. Per motivi sterici l'analogo del “cap” può essere incorporato solo al 5' dell'mRNA e non in altre posizioni. Inoltre la miscela di reazione contiene anche un ampio spettro di inibitori della Rnasi (Superase·In™).

I templati vengono di norma preparati digerendo 15 µg di DNA plasmidico, usando un sito di restrizione a valle del sito di poliadenilazione virale di SV40. La reazione di trascrizione viene generalmente condotta in 20 µl.

Tutti i reagenti necessari per la sintesi in vitro dell'mRNA sono conservati a -20°C, ma prima dell'inizio del protocollo è necessario portare a RT il “10X Reaction Buffer” perchè contiene spermidina, che co-precipita con il DNA se la reazione viene assemblata in ghiaccio. In una Eppendorf si pone una quantità d'acqua mQ necessaria per arrivare al volume finale di 20 µl,

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vengono poi aggiunti nel seguente ordine 10 µl di “2X NTP/CAP”, 2 µl di “10X Reaction Buffer”, 1-1,2 µg di DNA plasmidico linearizzato e 2 µl di SP6 “Enzime Mix”. La soluzione viene miscelata delicatamente, brevemente centrifugata per raccogliere tutto il liquido sul fondo e incubata a 37°C per 2 ore. Trascorso questo tempo 1 µl della soluzione viene raccolto e conservato a -20 °C. Dopo l'incubazione di 2 ore viene aggiunto 1 µl di “Dnase 1” e la soluzione viene nuovamente incubata per 15 minuti a 37 °C per degradare il DNA plasmidico. Viene quindi effettuata una corsa elettroforetica di controllo, caricando parallelamente su gel 1 µl della reazione prima e dopo il trattamento con DNasi. I due campioni vengono miscelati in acqua mQ e “Gel Loading buffer II” 2X denaturante e caricati in un gel di agarosio all'1%. La corsa elettroforetica viene effettuata con un'alta differenza di potenziale (130V) e per breve tempo (10-15 minuti) in un apparato precedentemente trattato con NAOH 0,1 M al fine di inattivare l'eventuale RNasi presente sulle sue superfici. In presenza di marcatori quantitativi (tRNA a concentrazione nota) è possibile dare una prima stima dell'efficienza della trascrizione e dell'azione della DNasi. Il campione non sottoposto a questo ultimo trattamento, infatti presenterà una banda molto alta proveniente dal DNA plasmidico che non deve essere presente all'interno del campione sottoposto a DNasi.

Una volta verificata l'avvenuta reazione di trascrizione viene eseguita una estrazione fenolica ed una precipitazione alcolica che servono per liberare l'mRNA dalla miscela contenente i componenti della reazione. Alla soluzione vengono aggiunti 115 µl di “Nuclease-free Water” e 15 µl di “Ammonium Acetate Stop Solution” e mescolata delicatamente. Si aggiungono 150 µl di fenolo/cloroformio a pH 7,5 e si miscela energicamente. Dopo una centrifugazione a 13000 rpm per 10 minuti si recupera la fase acquosa che viene misurata e trasferita in una nuova Eppendorf. Viene aggiunto uno stesso volume di isopropanolo e dopo una breve miscelazione si lascia la soluzione per 15 minuti a -20 °C. Trascorso questo tempo segue una centrifugazione a 4 °C per 15 minuti a 12000 rpm. Il “pellet” prodotto viene separato dal sovranatante che viene scartato e sostituito con 100 µl di etanolo al 75% ghiacciato. Infine l'mRNA viene asciugato all'aria e risospeso in 20 µl di “Nuclease-free Water”, quantificato per spettrofotometria UV, aliquotato e conservato a -80 °C.

Raccolta degli embrioni di Xenopus laevis

Gli embrioni di Xenopus laevis sono stati ottenuti mediante fecondazione in vitro. Prima di essere operato per la rimozione dei testicoli, il maschio viene anestetizzato immergendolo in una soluzione 0,1%-1% di MS (metansulfonato dell’acido 3-aminobenzoico-etil-estere), posta in ghiaccio per abbassare rapidamente il metabolismo dell’animale. I testicoli possono essere conservati per 3-5 giorni a 4°C immersi nell'apposita soluzione. Dopo l’operazione il maschio viene sacrificato; nel caso in cui venga asportato un solo testicolo, la ferita viene richiusa con punti di sutura e il maschio viene risparmiato fino alla seconda e ultima operazione. La conservazione ed eliminazione avvengono secondo la vigente normativa veterinaria.

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Le femmine di Xenopus laevis sono pre-stimolate con 100 UI di Folligon Intervet per uso veterinario da 4 a 11 giorni prima della deposizione e con 1000 UI di Profasi HP 5000 Serono (gonadotropina corionica) 10-12 ore prima della deposizione: entrambi gli ormoni sono somministrati mediante iniezione nel sacco perilinfatico.

Le uova da fecondare vengono ottenute esercitando una leggera pressione sull’addome degli animali e raccolte in piastre Petri: questa operazione può essere ripetuta a intervalli di 1-2 ore. La fecondazione viene effettuata bagnando le uova con una sospensione ottenuta sminuzzando un frammento di testicolo in MMR 1X, dopodiché le uova vengono lasciate in un piccolo volume di MMR 0,1X. Alla fecondazione segue la digestione delle proteine che legano l’uovo al gel di rivestimento; gli embrioni, liberi di ruotare, si dispongono con il polo vegetativo, più pesante perché ricco di vitello, verso il basso. Dopo almeno 30 minuti, quando è ben visibile questa rotazione, effetto dell’avvenuta fecondazione, gli embrioni vengono privati del loro rivestimento gelatinoso sostituendo l’MMR 0,1X con la soluzione degellificante e lasciandoveli per circa 5 minuti o comunque fino a che non sia evidente la perdita del suddetto rivestimento. La soluzione degellificante viene eliminata mediante 3-4 lavaggi con MMR 0,1X. Gli embrioni vengono fatti sviluppare in MMR 0,1X fino allo stadio desiderato, valutato secondo i criteri di Nieuwkoop e Faber [Nieuwkoop e Faber, 1967].

Soluzioni MMR 10X NaCl 0,1 M KCl 2 mM MgSO4 1 mM CaCl2 2 mM HEPES 5 mM pH 7,8 EDTA 0,1 M

Soluzione per il testicolo

MMR 1X Lamb Serum 10% Gentamicina 20 µg/µl Soluzione degellificante DTT 3,2 mM Tris-HCl 0,2 M pH 8,8

Allevamento e cura dei girini; riconoscimento degli stadi di sviluppo

I girini di Xenopus laevis vengono allevati in soluzione salina (MMR 0,1X) in piastre petri, dove crescono fino allo stadio 46-47 di sviluppo senza alcuna necessità di fornire nutrimento. Quotidianamente occorre controllare che non vi siano girini morti all’interno dei contenitori; se

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presenti, essi devono essere prontamente rimossi per evitare rischi di infezioni. La stanza che accoglie gli embrioni e i girini deve essere possibilmente climatizzata (con un climatizzatore che mantenga l’ambiente intorno ai 20°C), perché sbalzi eccessivi di temperatura possono essere fatali.

Gli stadi di sviluppo embrionale e larvale di Xenopus laevis vengono riconosciuti mediante comparazione con quanto illustrato nelle tavole di Nieuwkoop e Faber (Nieuwkoop e Faber, 1967).

Microiniezione di embrioni di Xenopus laevis

Per gli esperimenti di microiniezione sono stati utilizzati embrioni pigmentati, in cui è possibile distinguere, allo stadio di 2-4-8 cellule, il polo animale da quello vegetativo e i blastomeri dorsali da quelli ventrali. Al momento della microiniezione, gli embrioni degellificati vengono trasferiti in una piccola piastra Petri, sul fondo della quale è fissata una reticella di plastica, con maglie di circa 1mm, al fine di limitarne gli spostamenti durante la microiniezione.

Gli embrioni sono immersi in una soluzione di Ficoll al 4% (peso/volume) sciolto in 0.1X MMR. Il Ficoll è piuttosto viscoso e permette agli embrioni di mantenere la forma sferica durante la fase di iniezione, limitando inoltre la perdita di citoplasma dal sito dell’iniezione. Gli embrioni microiniettati sono lasciati sviluppare in 0.1X MMR-4% Ficoll nelle prime 12-16 ore dopo l’iniezione e poi trasferiti in 0.1X MMR.

Le microiniezioni sono state eseguite con un microiniettore “Drummond Nanoject”, che consente l’iniezione di volumi tra 4.6 nl e 73.6 nl ad incrementi discreti. L’iniettore è dotato di un micromanipolatore che ne permette lo spostamento macrometrico nelle tre dimensioni e di un movimento micrometrico controllato idraulicamente lungo una direzione predefinita. Gli aghi utilizzati per la microiniezione sono ottenuti da sottili capillari di vetro mediante tiratura a caldo e sono forniti dalla “Drummond”. Prima di essere montato sul microiniettore, l’ago deve essere riempito di olio minerale. Il caricamento dell’RNA da microiniettare è eseguito dal microiniettore stesso.

Raggiunto il corretto stadio di sviluppo gli embrioni iniettati e quelli di controllo vengono utilizzati per ulteriori metodiche oppure posti in “vial” e fissati in oscillazione orizzontale per 2 ore in MEMFA e conservati in etanolo o metanolo assoluto a -20 °C.

Soluzioni MEMFA MOPS 0.1 M pH 7.4 EGTA 2mM MgSO4 1mM Formaldeide 3.7%

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Espianti ectodermici (“animal cap”) ed esperimenti di trapianto

Gli esperimenti di microchirurgia possono essere eseguiti sia manualmente, utilizzando apposite pinzette (Dumont n°5), sia mediante l'utilizzo di un strumento denominato “Gastromaster”. Questo apparecchio è dotato di un bisturi di platino della larghezza di 0,4 mm che genera delle turbolenze micro-controllate all'interno del mezzo nel quale sono immersi gli embrioni. Mediante queste turbolenze è possibile tagliare con estrema precisione i tessuti poveri in collagene senza la necessità di rimuovere la membrana vitellina che avvolge l'embrione. Tale strumento consente di ottenere campioni biologici con un elevato grado di precisione in poco tempo. La pulizia del bisturi viene ottenuta mediante l'utilizzo di sapone concentrato e acqua deionizzata per allontanare eventuali tessuti che possono rimanere attaccati alla punta di platino.

Sia gli espianti ectodermici o “animal cap” che gli esperimenti di trapianto sono stati effettuati in piastre Petri ricoperte con gel di agarosio all'1%, contenenti MMR 0,7X-Gentamicina (50 µg/ml). Il gel di agarosio non permette ai tessuti embrionali, che risultano essere molto appiccicosi, di rimanere adesi al fondo della piastra.

Gli animal cap sono stati eseguiti a stadio di blastula tardiva (stadio 9) ) e coltivati fino allo stadio utile per il loro ulteriore utilizzo in MMR 0,7X-Gentamicina (50 µg/ml).

Per gli esperimenti di trapianto, gli embrioni a stadio 12 sono stati manualmente privati della membrana vitellina mediante l'uso delle pinzette Dumont n°5. A stadio 15 sono stati privati della metà sinistra del campo morfogenetico dell'occhio mediante l'utilizzo del Gastromaster e trapiantati con metà animal cap opportunamente trattati e selezionati. Gli embrioni sono stati lasciati sviluppare fino allo stadio voluto in MMR 0,7X-Gentamicina (50 µg/ml).

Istologia

Fissazione, disidratazione e inclusione di materiale biologico

Si tratta di processi che servono a preparare il materiale che in seguito dovrà essere sezionato al criostato o al microtomo. Ottenere sezioni di minimo spessore (nell’ordine dei micron) da un materiale morbido e deformabile come il tessuto di un girino è praticamente impossibile. L’inclusione in resina o in paraffina risolve il problema, rendendo il tessuto rigido al taglio. La fissazione e la disidratazione sono passaggi preliminari che hanno lo scopo di mantenere inalterata l’istologia dei tessuti e permetterne la conservazione.

Fissazione

La fissazione impedisce la degradazione dei tessuti da studiare e ne mantiene la conformazione strutturale. Embrioni o girini interi vengono fissati in una soluzione di paraformaldeide (PFA) al 4% in tampone PBS 1X, e mantenuti in infusione per 2 ore a

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temperatura ambiente su bascula oscillante. Nel caso in cui si proceda con la fissazione di animal caps, il tempo di trattamento con paraformaldeide al 4% si riduce a 15-20 minuti.

Un metodo alternativo di fissazione utilizza i sali di MENFA. Gli embrioni vengono posti in “vial” e fissati in oscillazione orizzontale per 2 ore in MEMFA, poi conservati in etanolo o metanolo assoluto a -20 °C. Soluzione PBS 1X (pH 7,3): NaCl 130 mM KCl 2,7 mM Na2HPO4 8 mM KH2PO4 1,4mM Paraformaldeide 20%

A 400 ml di H2O mQ alla temperatura di 50°C vengono aggiunti 100 µl di NaOH 10 N e lentamente 100 gr di paraformaldeide. La soluzione viene mescolata per 30-60 minuti, finché non si chiarifica. Essa viene poi filtrata con carta 3MM e portata al volume di 500 ml con H2O mQ. Viene infine conservata in aliquote da 50 ml a –20°C.

Soluzioni MEMFA MOPS 0.1 M pH 7.4 EGTA 2mM MgSO4 1mM Formaldeide 3.7% Disidratazione

Dopo la fissazione, la soluzione di paraformaldeide viene sostituita con una soluzione crioprotettiva di saccarosio al 20% in PBS 1X ; i girini sono mantenuti in saccarosio per un’intera notte, o per un tempo minimo di 2 ore, alla temperatura di 4 °C. Questo passaggio disidrata i tessuti evitando la formazione di microcristalli di ghiaccio nel passaggio successivo di congelamento, cristalli che potrebbero frammentare i tessuti del girino.

Inclusione

Il materiale biologico viene incluso per permetterne il taglio in sezioni; si utilizza una resina a base acquosa OCT, che è liquida a temperatura ambiente, mentre è solida a –20°C (temperatura per il taglio delle sezioni al criostato). Il materiale da includere viene posto sul fondo di apposite vaschette in plastica; un punto di riferimento disegnato sul bordo superiore della vaschetta aiuta a ricordare l’orientamento del contenuto. Il tutto viene ricoperto di OCT e lasciato per circa 15 minuti a –80°C, in un’apposita vaschetta che contiene un piccolo strato di alcool rosa, oppure su ghiaccio secco. I blocchetti vengono ripuliti dall’alcool e possono essere conservati a –80°C fino al momento del taglio.

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Taglio di sezioni al criostato

Il materiale biologico (girini, animal caps o embrioni) incluso nei blocchetti di resina è stato sezionato utilizzando un criostato Leica C1850, impostando lo spessore di taglio a 12 µm. Il blocchetto, del quale si conosce l’orientamento, viene montato su un apposito supporto, usando come collante la stessa resina OCT. Il blocchetto così preparato viene posizionato nel blocco di taglio, che consiste in un supporto per la lama, un vetrino stendi-fetta e il braccio mobile del microtomo. Le sezioni ottenute si raccolgono su vetrini SuperFrost, la cui superficie è attivata elettrostaticamente per permettere l’adesione immediata delle sezioni. I vetrini vengono lasciati per almeno mezz’ora a temperatura ambiente per permettere alle sezioni di asciugare e di aderire in modo ottimale alla superficie; dopodiché sono mantenuti a –80°C, fino al momento dell’uso.

Inclusione in paraffina e taglio di sezioni al microtomo

L’inclusione in paraffina e il taglio al microtomo consentono di ottenere sezioni sottili di tessuto dove l’istologia è notevolmente preservata, e dove i risultati di colorazioni istologiche quali la colorazione con ematossilina ed eosina saranno ottimali.

Il materiale biologico fissato con paraformaldeide 4% in PBS1X per almeno 1 ora a RT (oppure O/N a 4 °C) viene disidratato gradualmente con lavaggi di 10 minuti ciascuno:

• 1 lavaggio in EtOH 30% in PBS1X • 1 lavaggio in EtOH 50% in PBS1X • 1 lavaggio in EtOH 70% in PBS1X • 1 lavaggio in EtOH 90% in PBS1X • 2 lavaggi in EtOH 100% in PBS1X

Una volta disidratato, il materiale può essere conservato a –20 °C.

L’inclusione in paraffina viene eseguita secondo il seguente protocollo:

Il materiale biologico (ad esempio 4-5 embrioni) viene trasferito in vials grandi (da 8 ml) contenenti metanolo assoluto, poi viene aggiunto un ugual volume di xilolo 100%, in modo tale da ottenere una soluzione composta al 50% da metanolo e al 50% da xilolo. Si lascia tutto su bascula per 10 minuti a RT.

• La soluzione è poi sostituita con una nuova soluzione, contenente 25% metanolo e 75% xilolo; di nuovo 10 minuti su bascula a RT.

Gli embrioni vengono passati due volte in xilolo 100%; infine sono versati in un becker e messi a 60 °C per 20 minuti.

• Trascorso questo tempo viene aggiunto un ugual volume di paraffina liquida, filtrata con carta 3MM; il becker è posto a 60 °C per 45 minuti. In seguito si sostituisce la soluzione con 20 ml di altra paraffina pulita, in cui gli embrioni restano a 60 °C per 20 minuti.

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• Dopo un’altra sostituzione della paraffina liquida, gli embrioni vengono lasciati a 60 °C, O/N o per un tempo minimo di 4-5 ore.

• Con un movimento rapido gli embrioni vengono versati in una piastra petri preriscaldata a 60 °C, distanziandoli il più possibile e orientandoli nella paraffina con un ago passato sulla fiamma.

• La paraffina è lasciata raffreddare nella piastra a temperatura ambiente. La petri viene poi lasciata a 4 °C per almeno 4 ore.

Per ottenere sezioni dagli embrioni inclusi si taglia, con una lama passata alla fiamma, un blocchetto di paraffina contenente un singolo embrione. Il blocchetto di paraffina viene montato su un supporto di legno, che viene fissato al microtomo Reichert-Jung. Il microtomo consente di tagliare sezioni con spessore variabile tra 12 e 20 µm; le sezioni appena ottenute vengono trasferite e distese su un vetrino Superfrost o gelatinato, preriscaldato a 40 °C e ricoperto di EtOH al 10%. Dopo 15 minuti, il liquido in eccesso sul vetrino viene rimosso con carta assorbente; i vetrini che raccolgono le sezioni vengono lasciati in stufa a 37 °C o sulla piastra O/N.

Per rimuovere la paraffina dalle sezioni e montare i vetrini, si fanno 2 lavaggi da 5 minuti ciascuno in xilolo 100%, poi si incolla il copri-oggetto con l’Eukitt.

Per le colorazioni istologiche, come la colorazione con ematossilina ed eosina, si procede alla rimozione della paraffina con xilolo 100% e alla reidratazione graduale dei tessuti, mediante lavaggi di 5 minuti ciascuno secondo l’elenco che segue:

• 1 lavaggio in 50% Xilolo / 50% EtOH, su bascula • 1 lavaggio in 100% EtOH, su bascula

• 1 lavaggio in 70% EtOH / 30% H2O • 1 lavaggio in 50% EtOH / 50% PBS 1X • 1 lavaggio in 30% EtOH / 70% PBS 1X

• Si prosegue con il protocollo di colorazione con H&E.

Colorazione istologica con Ematossilina-Eosina

La colorazione con Ematossilina-Eosina (“H&E stain”) permette di osservare l'istologia dei preparati ottenuti al criostato. L'ematossilina è un colorante basico che viene trattenuto da molecole basofile come il DNA e l'RNA, per questo motivo conferisce una colorazione blu-porpora ai nuclei presenti nelle sezioni istologiche o alle regioni citoplasmatiche ricche di RNA. L'eosina, invece conferisce colorazioni comprese tra il rosso e il rosa a varie componenti proteiche citoplasmatiche ed extracellulari.

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Le sezioni istologiche vengono inizialmente re-idratate mediante lavaggio in PBS 1X per 5 minuti e in acqua distillata per pochi secondi. Successivamente si procede con la colorazione mediante Ematossilina (Sigma Accustain Harris Hematoxylin) per 5 minuti. Dopo la colorazione in ematossilina i vetrini vengono posti in un flusso d'acqua corrente per 5 minuti, poi tuffati per 30 secondi in alcol acido (0,5% HCl, EtOH 70%) e nuovamente immersi per 1 minuto in acqua corrente. Il passaggio subito successivo prevede 2 minuti in Blueing agent (Sodio bicarbonato, 1g/1L). Segue la colorazione mediante Eosina in soluzione acquosa al 5% per 15 minuti. Dopodiché si applica il procedimento di disidratazione. I vetrini vengono posti in bagno di etanolo al 70% e al 95% per pochi secondi, poi in etanolo al 100% per 30 secondi + 30 secondi (cioè due bagni successivi in etanolo assoluto). Seguono due lavaggi di 1 minuto ciascuno in Xilene.

Infine vengono montati i vetrini copri-oggetto mediante “Eukitt”. Ciascun vetrino viene lasciato sotto cappa chimica per almeno 30 minuti, poi viene mantenuto in posizione orizzontale per qualche giorno.

Ibridazione in situ su sezione

L’ibridazione in situ è una tecnica che sfrutta sonde antisenso marcate (radioattivamente, o sempre più spesso enzimaticamente) per detectare specifici RNA messaggeri all’interno di un tessuto. Il tessuto può essere rappresentato da una sezione su vetrino o da un organismo intero (“whole mount”); nel nostro caso è stata effettuata l’ibridazione in situ su sezione, con sonde antisenso a RNA e anticorpi marcati con fosfatasi alcalina (AP).

L’intera procedura di ibridazione in situ è suddivisa in 3-4 giorni di lavoro: nel primo giorno si effettua la vera e propria ibridazione, nel secondo si fanno i lavaggi post-ibridazione e si aggiungono gli anticorpi, e infine si dedica il terzo giorno ai lavaggi post-anticorpo e alla reazione di colorazione. I vetrini vengono montati solitamente al quarto giorno di lavoro.

Primo giorno: l’ibridazione consiste nel far appaiare le sonde antisenso (trascritte precedentemente, utilizzando Dig-11-UTP) a mRNA eventualmente presenti all’interno delle sezioni praticate al criostato. I vetrini da ibridare vengono scongelati a temperatura ambiente. Si preparano le sonde diluendole fino a una concentrazione di 0.1-1 µg/ml in soluzione di ibridazione scaldata a 65°C (Hybridization buffer). Prima di essere aggiunte su ogni vetrino in quantità di 120 µl, le sonde devono essere denaturate mettendole 5-10 min a 70°C. Il trattamento di denaturazione destabilizza strutture secondarie di RNA antisenso e dunque distende le sonde, che così potranno appaiarsi correttamente agli mRNA target dentro al tessuto. Si copre ogni vetrino con vetri coprioggetto puliti e si lascia ibridare O/N a 65°C in camera umida, con carta assorbente Whatmann disposta a strisce sul fondo e imbevuta di sali 1X/50% formammide. La prima fase di lavoro termina con la preparazione della Washing solution necessaria il giorno successivo.

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Secondo giorno: i lavaggi post-ibridazione rimuovono la sonda non ibridata in eccesso, consentendo in seguito l’uso di anticorpi marcati senza che si formi un background aspecifico. I lavaggi vengono compiuti disponendo i vetrini in un’apposita rastrelliera e riempiendo di volta in volta un contenitore di plastica con la soluzione di turno. Si eseguono i seguenti lavaggi: 1 lavaggio di 15 min in Washing solution, a 65°C (questo primo lavaggio serve a provocare la caduta dei vetrini coprioggetto); 3 lavaggi di 30 min ciascuno in Washing solution, a 65°C; infine 2 lavaggi di 30 min ciascuno in MABT 1X, a RT. In seguito ai lavaggi sopraelencati si compie la procedura di blocking, che consente di bloccare i siti aspecifici di legame degli anticorpi, per evitare di ottenere un segnale di fondo non rappresentativo della situazione reale. In questo modo gli anticorpi Anti-DIG legheranno in modo specifico la digossigenina presente nelle sonde antisenso ibridate all’interno dei tessuti, e non faranno confusione agganciandosi a siti di altro genere. Per bloccare i siti aspecifici si sparge sui vetrini la blocking solution (senza coprioggetti), e si lascia agire in camera umida (con PBS o H2O) a RT per 1 h o più. Poi si

procede con la colorazione con anticorpi Anti-DIG, diluiti 1/2500 in blocking solution; si preparano 150 µl per vetrino, si versano sulle sezioni e si mette tutto in camera umida (sempre con PBS o H2O) O/N a RT.

Terzo giorno: per prima cosa si effettuano lavaggi post-anticorpo, che servono a rimuovere gli anticorpi in eccesso che non si sono legati specificamente alle sonde; 5 lavaggi in MABT1X, 30 min ciascuno a RT, poi 2 lavaggi in staining buffer, 10 min ciascuno a RT su bascula. Si procede quindi con la reazione di colorazione. Gli enzimi Anti-DIG sono coniugati all’enzima fosfatasi alcalina (AP), che in presenza di un opportuno substrato (NBT-BCIP) catalizza per una reazione cromogenica. Laddove si legano gli anticorpi, quindi, si avrà un precipitato blu-viola. Si aggiungono 18 µl di substrato NBT-BCIP per ogni ml di staining buffer, e si ottiene in questo modo una staining solution che viene versata in quantità di 150 µl per ogni vetrino. Ciò fornisce alla fosfatasi alcalina il substrato da processare, così da sviluppare la colorazione blu-viola laddove si trova il complesso sonda-anticorpo-enzima (e di conseguenza laddove si trova uno specifico mRNA nella sezione di embrione).

Nei giorni seguenti, quando la visualizzazione al microscopio mostra che l’enzima ha originato una quantità sufficiente di segnale, si ferma la reazione montando i vetrini. Montare un vetrino significa incollarvi definitivamente il coprioggetto con una soluzione viscosa, la Poly-Mount. Questo consente di conservare a lungo le sezioni ibridate, e di osservarle al microscopio in condizioni ottimali. Ogni vetrino da montare viene lavato in PBS 1X; si versano 5 gocce di Poly-Mount sopra alle sezioni e si poggia delicatamente un vetrino coprioggetto. I vetrini sono conservati a 4° C.

Soluzioni

MAB:

Acido maleico 100 mM NaCl 150 mM pH 7,5

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Tampone di reazione della fosfatasi alcalina (“AP-Buffer”): Tris pH 9,5 100 mM MgCl 2 50 mM NaCl 100 mM Tween 20 5 mM Tetramisole 2 mM Rivelazione immunoistochimica

L’applicazione del seguente protocollo permette di individuare l’espressione di una determinata proteina, di cui è disponibile l’anticorpo, su sezioni di 10-12 µm ottenute mediante il taglio al criostato e raccolte su vetrino. Questa tecnica può essere utilizzata sia direttamente su sezioni appena tagliate che dopo un esperimento di ibridazione in situ; si procede come segue:

• Per prima cosa i vetrini devono essere scongelati, mantenendoli per 20 minuti a RT. • Lavaggio di 5-10 minuti in PBS 1X.

• Le sezioni vengono preparate al legame con l’anticorpo incubandole 1 ora a temperatura ambiente con la soluzione di bloccaggio (blocking solution) (600 µl per vetrino).

• Segue un’incubazione di 2 ore a temperatura ambiente con l’anticorpo primario, che è in grado di riconoscere l’epitopo della proteina, dove questa è espressa.

• Lavare l’anticorpo in eccesso con 3 lavaggi di 5’ ciascuno in PBSX 1X.

• Incubare 1 ora a temperatura ambiente con l’anticorpo secondario che reca un fluorocromo in grado di emettere fluorescenza sotto ai raggi UV. L’anticorpo viene diluito in blocking solution fino alla concentrazione desiderata.

• L’anticorpo in eccesso viene rimosso con 3 lavaggi di 5-10 minuti ciascuno in PBSX 1X, su bascula. Se si desidera colorare i nuclei delle cellule con Hoechst, il secondo lavaggio può essere sostituito con 5’ di Hoechst 1X (diluito 1:1000) in PBS 1X, in quantità di 500 µl per vetrino. Il terzo lavaggio può essere fatto con PBS 1X anziché con PBSX 1X. • I vetrini vengono montati con il montante acquoso “Aqua Poly-Mount” (5-6 gocce).

Vengono lasciati seccare 10 minuti a RT, poi conservati a 4 °C.

Nel caso dell’immunoistochimica Anti-Opsina effettuata in questo lavoro di tesi, gli anticorpi utilizzati sono stati i seguenti:

Anticorpo primario: Anti-Opsin Sigma diluito 1:500. Anticorpo secondario: GAM Rho diluito 1:500. Soluzioni

PBSX

PBS 1X

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Soluzione di “blocking”

Triton X-100 0,1% LS (Lamb serum) 5% PBS 1X, pH 7.3

Acquisizione di immagini al microscopio e successiva elaborazione

Le fotografie degli embrioni interi sono state realizzate mediante una fotocamera digitale Roper Coolsnap CF montata in asse focale ad uno stereoscopio Nikon SNZ 1500, con l’ausilio di una coppia di fibre ottiche Glli/136P.

Le sezioni su vetrino ottenute sono state analizzate con un microscopio Nikon Eclipse 600, dotato di obbiettivi 4X, 10X, 20X e 40X. Le osservazioni in luce bianca (es. ibridazioni in situ rivelate con substrato della fosfatasi alcalina NBT-BCIP) sono state effettuate contrastando i preparati con il dicroismo circolare (DIC). Le osservazioni in fluorescenza sono state effettuate utilizzando blocchi ottici con spettri di eccitazione-emissione standard per i tre tipi di fluorocromo usati: rodamina e Cy3 (luce in emissione rossa), fluoresceina e Oregon green (luce in emissione verde) e DAPI (luce in emissione blu; questo è stato utilizzato esclusivamente per la rivelazione dei nuclei cellulari con fluorocromo Hoechst).

Le immagini sono state acquisite con fotocamera digitale Photometrix, modello “Cool Snap” (dotata di sensore CCD a colori con dinamica di 12 bit per canale e risoluzione 1,3 Megapixel). I pannelli delle figure mostrate nella tesi sono stati costruiti utilizzando i programmi Adobe Photoshop e Microsoft PowerPoint.

Il trattamento delle immagini è stato realizzato con l’ausilio del software Adobe Photoshop, modificando principalmente i seguenti parametri: contrasto, luminosità, bilanciamento dei colori, rapporto luci/ombre, e operando quando necessario una sovrapposizione di foto differenti su vari livelli.

La conta del numero di cellule contenute negli animal cap è stata effettuata grazie al programma ImageJ, lavorando sulle immagini acquisite al microscopio ed elaborate con Photoshop.

Estrazione di RNA totale con “TRIzol

Reagent”

Il TRIzol® Reagent (Invitrogen, 15596-026) è stato utilizzato per estrarre l'RNA totale dagli espianti ectodermici (o calotte animali o “animal cap”) o da occhi WT interi. Questa metodologia permette di ottenere un’estrazione con minore contaminazione da DNA genomico e proteine rispetto a quanto accade con altri metodi.

Il TRIzol® Reagent, conservato a 4 °C, viene equilibrato a RT. Ai campioni ancora congelati, conservati a -80 °C, vengono aggiunti 100 µl di TRIzol e vengono omogeneizzati mediante

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l'ausilio di un pestello per tubi Eppendorf, precedentemente trattato con NaOH 0,1 M. Con ulteriori 900 µl di TRIzol si cerca di recuperare la maggior parte del materiale che potrebbe essere rimasto adeso al pestello. L'omogenato viene incubato per 5 minuti a RT per permettere la completa dissociazione dei complessi nucleoproteici. Si aggiungono 200 µl di cloroformio, si agita energicamente per 15 secondi e si incuba per 2-3 minuti a RT. La miscela viene poi centrifugata a 4 °C per 15 minuti a 12000 rcf. A questo punto si trasferisce la fase acquosa, contenente l'RNA, in un nuovo tubo Eppendorf e si aggiungono 0,5 ml di isopropanolo. La miscela viene incubata per 10 minuti a RT e centrifugata a 4 °C per 10 minuti a 12000 rcf. Al termine della centrifugazione l'RNA è visibile sul fondo del tubo Eppendorf sotto forma di un precipitato opalescente. Si scarta il sovranatante e si lava il “pellet” con 1 ml di etanolo al 75%. Dopo una centrifugazione a 4 °C per 5 minuti a 7500 rcf si scarta l'etanolo e l'RNA viene lasciato asciugare all'aria. A questo punto si risospende l'RNA aggiungendo 25 µl di acqua mQ e miscelando in modo accurato. Il campione viene quantificato per spettrofotometria UV e conservato a –80 °C. Viene effettuato anche un controllo sulla qualità dell'RNA estratto, mediante una corsa elettroforetica su gel di agarosio all'1%. Se l'estrazione è avvenuta correttamente saranno visibili due bande principali che si riferiscono all'RNA ribosomiale (rRNA) 28S di intensità doppia rispetto a quella dell'rRNA 18S che migra più velocemente.

Trattamento con DNasi sull'RNA estratto

Questa metodica permette di degradare il DNA genomico eventualmente presente negli RNA estratti con il TRIzol. All'RNA vengono aggiunti 10 µl di “Red Taq 10X Buffer” (Sigma), 2 µl di “Rnasi OUT” (Invitrogen), 4 µl di “Dnase-RNase free” (Invitrogen) e acqua mQ fino al raggiungimento del volume di 100 µl. La miscela di reazione viene incubata a 37 °C per 30 minuti.

Per la purificazione e la concentrazione dell’RNA totale dopo il trattamento con Dnasi, si utilizzano colonnine Nucleospin

RNA XS della Macherey-Nagel. Il campione viene poi risospeso in 12 µl di acqua mQ.

In alternativa la miscela di reazione può essere ripulita e purificata con un protocollo di estrazione fenolica e precipitazione alcolica.

Seguono i consueti controlli: una elettroforesi su gel di agarosio all'1% per controllare che l'RNA non si sia degradato durante il procedimento, e una misurazione allo spettrofotometro per quantificare il materiale e valutarne la purezza.

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Retrotrascrizione dell’RNA totale in cDNA

L’RNA totale estratto dal materiale biologico può essere retrotrascritto in cDNA, utilizzando il Reverse Transcriptase Core kit della Eurogentec. La reazione di retrotrascrizione è stata assemblata secondo le indicazioni del produttore, eccetto che per il volume finale della reazione (25 µl anziché 10) e per la quantità di RNA retrotrascritto ad ogni reazione (500 ng anziché 200, in proporzione con l’aumento del volume della reazione). Tra i reagenti del mix si trovano i nonameri random, utilizzati come primers dall’enzima EuroScript RT. Un campione di controllo in cui non si mettono enzima retrotrascrittasi e Rnasi OUT (sostituiti con H2O mQ) accompagna la reazione, e servirà in seguito (durante la Real time PCR) per controllare che i campioni non siano contaminati da DNA genomico.

La reazione necessita delle seguenti fasi, dove il passaggio da una temperatura all’altra è permesso dall’uso di un “cycler” termico Bio-Rad iCycler:

• Step iniziale: 10 minuti a 25 °C.

• Step per il funzionamento dell’enzima retrotrascrittasi: 30 minuti a 48 °C. • Step finale di inattivazione dell’enzima retrotrascrittasi: 5 minuti a 95 °C.

Dalla retrotrascrizione si ottiene una quantità di cDNA pari alla quantità di RNA inserita inizialmente, poiché la reazione procede in maniera lineare: nel caso specifico si ottengono 500 ng di cDNA. Il cDNA viene diluito fino alla concentrazione di 1 ng/µl e conservato a –20 °C.

Real Time q-PCR

La tecnica della reazione a catena della DNA polimerasi (o PCR) permette di amplificare un frammento di DNA utilizzando una coppia di “primer” specifici, grazie alla proprietà di sintesi dell’enzima DNA-polimerasi. I “primer” sono oligonucleotidi sintetici lunghi circa 20 nucleotidi (nt) e complementari, su eliche diverse, alle estremità del frammento di DNA da amplificare. In opportune condizioni, essi si appaiano alle sequenze complementari sul DNA e fungono da inneschi per la DNA-polimerasi. Questa tecnica prevede un numero variabile di cicli di amplificazione (25- 45), ciascuno dei quali composto da più fasi a temperature diverse. Il passaggio da una temperatura all’altra è permesso dall’uso di un apposito “cycler” termico. Durante ogni ciclo, i due filamenti di DNA vengono denaturati per permettere il successivo appaiamento dei “primer” (“annealing”), necessario per la fase di allungamento catalizzata dalla DNA-polimerasi (“elongation”).

Negli ultimi anni è stato elaborato un tipo di PCR quantitativa chiamato “Real Time”, dove l’incremento della quantità di DNA può essere misurato direttamente durante la reazione di amplificazione. L’incremento dell’amplificato viene misurato grazie a molecole fluorescenti, che emettono luce solo quando intercalate ai doppi filamenti nucleotidici derivanti dalla reazione di amplificazione: mano a mano che la reazione procede e che le copie di DNA

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aumentano in numero, allo stesso modo si verifica un aumento della fluorescenza. Lo strumento rileva tale fluorescenza e così quantifica il DNA, effettuando una nuova misura al termine di ogni singolo ciclo di amplificazione. Sullo schermo del computer collegato allo strumento viene visualizzato un grafico con l’aumento del segnale di ogni campione: si parla di “curve di amplificazione”.

La reazione di PCR viene effettuata su molecole di cDNA (a singolo filamento), ottenute precedentemente con la reazione di retrotrascrizione (RT) applicata all’RNA totale.

Nel caso specifico di questo lavoro di tesi, le reazioni di Real time PCR sono state eseguite con lo strumento Rotor-Gene 6000 della Corbett. Le reazioni di PCR sono state assemblate secondo le indicazioni seguenti, raggiungendo un volume totale di 20 µl:

Mesa green 2X: 10 µl

Primer forward (senso): 0,5 µl Primer reverse (antisenso): 0,5 µl • cDNA stampo: 8 µl

• H2O mQ: 1 µl

Il Mesa green è un mix pronto all’uso contenente al suo interno tutto ciò di cui la reazione di PCR Real time necessita (a eccezione, chiaramente, dei primer e del DNA stampo): buffer di reazione, dNTP, DNA-polimerasi MeteorTaq, MgCl2 4 mM.

Gli 8 µl di cDNA stampo inseriti nella reazione corrispondono a 8 ng di materiale nucleotidico, in quanto il cDNA viene diluito fino alla concentrazione di 1 ng/µl al termine della retrotrascrizione. La quantità di cDNA può essere modificata a piacimento, con l’effetto di anticipare o ritardare l’amplificazione della PCR, ma in genere si cerca di restare dentro ad un range di 1-16 ng di cDNA a reazione.

Nelle Real time PCR eseguite nel mio lavoro di tesi sono stati impostati i seguenti parametri dei cicli di amplificazione:

Hold iniziale: 5 minuti a 95 °C.

• Cicli di amplificazione in numero di 45, ciascuno composto da:  Denaturazione a 95 °C per 15 secondi.

 Annealing a 60 °C per 45 secondi.  Elongation a 72 °C per 40 secondi.

Fase finale di denaturazione completa (melt) dell’amplificato, con incremento graduale della temperatura da 50 °C a 99 °C; durata media di 10 minuti.

La temperatura di appaiamento (Annealing temp.) viene scelta come temperatura di 2-4 °C inferiore rispetto a quella di fusione (Melting temp.) dei primers, a sua volta dipendente dalle loro caratteristiche e dalla sequenza.

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Durante il melt finale, lo strumento misura la variazione di intensità della fluorescenza mentre la temperatura viene incrementata gradualmente. Le variazioni più considerevoli di fluorescenza saranno corrispondenti alla denaturazione di specifiche sequenze nucleotidiche all’interno dell’amplificato; se la reazione è stata specifica vedremo un unico picco nel grafico del melt, perché una sola sarà la specie amplificata dalla reazione. Talvolta i primers possono interagire tra loro e determinare l’amplificazione di una parte della loro sequenza, o di una sequenza estranea contaminante, la quale sarà denaturata a una diversa temperatura del melt finale e verrà rappresentata da un secondo picco nel grafico. Nel caso in cui la reazione non sia specifica, occorre variare alcuni parametri (primo fra tutti la temperatura di annealing) fino all’ottenimento di un risultato migliore, oppure ripetere la reazione sincerandosi della pulizia dei reagenti.

Per ogni amplificazione è stata allestita una serie di controlli negativi, di seguito elencati: • La reazione di Real time PCR viene assemblata senza l’aggiunta di cDNA stampo,

sostituito con H2O mQ. L’assenza di amplificazione permette di controllare la pulizia dei reagenti.

• I controlli –RT (dove la reazione di retrotrascrizione viene fatta avvenire senza l’aggiunta di enzima) servono invece per verificare l'assenza di DNA genomico contaminante nel campione. Devono essere previsti ed effettuati durante la fase precedente alla Real Time PCR, cioè durante la retrotrascrizione.

• E’ previsto anche un controllo di tipo tecnico della PCR, per verificare l’accuratezza manuale dell’operatore nell’assemblare la reazione. Ogni singolo campione viene riassemblato per tre volte: le curve di amplificazione dei triplicati tecnici devono essere quanto più possibile coincidenti tra loro.

Real Time q-PCR: analisi dei dati

Il risultato della reazione di amplificazione viene analizzato in maniera comparativa, operando un confronto tra i diversi campioni, tra i quali figureranno trattati e controlli. Lo strumento misura il take-off di ogni campione, cioè il ciclo della reazione al quale si è verificato un aumento esponenziale della fluorescenza. Ciò corrisponde visivamente al punto del grafico in cui la curva di amplificazione si “impenna” e inizia ad aumentare in maniera rapida, fino a raggiungere (alcuni cicli più tardi) un plateau.

I valori dei take-off dei triplicati tecnici vengono utilizzati per ottenere un valore medio che rappresenti il singolo campione.

Quindi si procede con la “normalizzazione” dei campioni: data l’impossibilità di caricare una identica quantità di cDNA nei tubini da reazione, si utilizza il livello di espressione di un gene costitutivamente espresso (cioè un gene housekeeping) come punto basale di riferimento sul

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quale uniformare, tramite una serie di sottrazioni, il livello di espressione dei geni oggetto di studio. I valori ottenuti, però cambiati di segno, sono usati come esponenti di 2 per ottenere il risultato finale. Quest’ultima operazione matematica viene effettuata perchè l’amplificazione restituisce teoricamente due molecole di DNA per molecola stampo a ogni ciclo di reazione, cioè procede secondo una esponenziale in base 2. Le operazioni matematiche vengono effettuate su foglio di lavoro Microsoft Excel, dove è anche possibile riportare il risultato in grafico, e così visualizzare in maniera diretta l’andamento dell’espressione genica nei campioni analizzati.

Grazie al procedimento di normalizzazione, le variazioni dovute a errori di diluizione o di “pipettamento” durante l’assemblaggio della reazione di PCR saranno annullate, e le differenze numeriche tra i campioni corrisponderanno a effettive variazioni dei livelli di espressione genica.

La tabella riassume le caratteristiche dei primers utilizzati per la Real Time PCR:

Gene Nome Primer Sequenza (5’3’)  Tm

(°C)

Opsina Xopsia2FOR gccaatcacttcatggtcct 63,9 Xopsia2REV agccatgatccatgtgaagg 64,9 Xotch XotchFOR atggcttcaccccacttatg 63,6 XotchREV atcagcacgtgcgtatcttg 63,8 Xotx2 Otx2FOR ttacatccgtcggtgggata 64,9 Otx2REV ttgttttggcctccattctg 64,8

NRL NrlFOR aaaccagaagactccacctca 62,6

NrlREV attaggggacagccctgag 63,0 18SRNA 18SRNAFOR atggccgttcttagttggtg 63,7 18SRNAREV tattgctcgatctcgtgtgg 63,8 EF1-alpha EF1alphaFOR accctcctcttggtcgtttt 63,7 EF1alphaREV agaccaatcctccaccactg 64,0 GADPH GadphFOR ctttgatgctgatgctggaa 64,1 GadphREV gaagaggggttgacaggtga 63,9

ODC ODCFOR gggctggatcgtatcgtaga 63,8

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Elettrofisiologia

Per ottenere le retine da analizzare con tecniche di elettrofisiologia, sono stati effettuati trapianti di animal cap in vivo, rimovendo metà del campo morfogenetico dell’occhio di embrioni di Xenopus a stadio di neurula (st. 15) e sostituendolo con animal cap iniettati con noggin mRNA. Gli animali, sia wild type (WT) di controllo che animali sottoposti a trapianto, sono stati allevati fino a stadi tardivi (st.46/47) e adattati al buio O/N.

Gli animali vengono manipolati su piastrine rivestite di agarosio, riempite con soluzione extracellulare di Ringer, e operati con pinzette da microchirurgia (Dumont n°5). Gli occhi sono dissezionati sotto luce rossa o infrarossa, utilizzando in questo caso un convertitore di luce infrarossa montato su un microscopio da dissezione come descritto in Demontis et al., 1995; epitelio e cristallino vengono rimossi con le pinzette. Il materiale biologico è stato ridotto in frammenti adatti all’applicazione di tecniche di elettrofisiologia, dissociando o meno le cellule con opportuni enzimi a seconda delle esigenze. Le metodologie meccaniche e/o enzimatiche utilizzate allo scopo saranno descritte ampiamente nella sezione “Risultati”; in maniera riassuntiva, sono di seguito elencati gli enzimi impiegati e le relative concentrazioni: DNAsi (Sigma, 10 U/ml), Ialuronidasi (Sigma, 0,3 mg/ml), Ovomucoide (10 mg/ml) e Papaina (1 mg/ml, 17 U/mg) attivata con 30 µl di L-Cisteina (10 mg/ml).

I fotorecettori dissociati vengono trasferiti in una cameretta di registrazione, dove (se necessario) viene precedentemente posizionato un vetrino tondo (13 mm di diametro) ricoperto di Concanavalina A. La preparazione del vetrino prevede l’utilizzo di 100 µl di Concanavalina A 0,1% (1 mg/ml) lasciata agire per circa 90’ sulla superficie del vetro, poi lavata via con acqua milli-Q. Una volta asciugato, il vetrino è pronto all’uso: può accogliere sulla sua superficie circa 200 µl di sospensione con le cellule dissociate.

Le registrazioni elettrofisiologiche sono state eseguite dal Prof. Gian Carlo Demontis sul materiale biologico da me ottenuto. La tecnica del patch-clamp può essere considerata una evoluzione del voltage-clamp ed è nata a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 grazie a Neher e Sakmann; nel nostro caso tale tecnica è servita a verificare la presenza di canali voltaggio-dipendenti caratterizzanti i fotorecettori e a misurare le caratteristiche biofisiche di base della membrana.

Le pipette di registrazione sono ottenute da capillari di vetro borosilicato utilizzando il two-stage air-cooled puller BB-CH Mecanex; variando alcuni parametri dello strumento è possibile modificare a piacimento il diametro dell’apertura apicale della pipetta da patch (di solito il diametro è di circa 1 µm e include un tassello di membrana che contiene uno o pochi canali ionici). Le pipette sono riempite con soluzione intracellulare di Ringer e connesse a un amplificatore LIST EPC-7 tramite un filo d’argento rivestito di AgCl.

Nell’esperimento di patch-clamp si possono ottenere alcune configurazioni di lavoro, rappresentate schematicamente in Figura 2. La prima fase dell’esperimento consiste nell’avvicinare quanto più possibile la pipetta da patch alla membrana della cellula, utilizzando un apposito micromanipolatore, per poi ottenere, tramite una leggera suzione, un sigillo di

Figura

Figura 1. Rappresentazione schematica del plasmide  pCS2+. I siti di restrizione non sono mostrati
Figura  2.  Rappresentazione  schematica  di  alcune  configurazioni  di  lavoro  nella  tecnica  del

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