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Misura ed effetti dell’esperienza del regret nella decisione

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Academic year: 2021

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FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

XXI CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PSICOLOGIA

Tesi di Dottorato

Settore scientifico-disciplinare M-PSI/01 Psicologia generale

Misura ed effetti dell’esperienza del regret nella decisione

Dottorando Coordinatore del Collegio dei Docenti

FRANCESCO MARCATTO Chiar.mo Prof. TIZIANO AGOSTINI

Università degli Studi di Trieste

Tutore e Relatore

Chiar.ma Prof.ssa DONATELLA FERRANTE

Università degli Studi di Trieste

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PREFAZIONE………... 1

1. IL REGRET NEI PROCESSI DECISIONALI……….. 4

2. LA SCALA DEL REGRET E DEL DISAPPOINTMENT, UNO STRUMENTO PER VALUTARE IL REGRET E IL DISAPPOINTMENT NELLA PRESA DI DECISIONI……….. 33

3. EFFETTI DELL’ESPERIENZA DEL REGRET SULLE SCELTE SUCCESIVE……… 58

4. DISCUSSIONE………... 85

BIBLIOGRAFIA……… 91

APPENDICE………. 101

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P REFAZIONE

Da quando gli studiosi dei processi decisionali hanno iniziato a studiare il comportamento reale dei decisori e non più solo i criteri che definiscono la scelta razionale, si è capito che non si può prescindere dallo studio delle componenti emotive delle decisioni. Per comprendere meglio la relazione tra emozioni e decisioni, proviamo a considerare il seguente esempio: immaginiamo di partecipare ad uno degli innumerevoli quiz che la televisione ci trasmette quotidianamente, in cui la possibilità di vincere un premio dipende da una nostra scelta, per esempio quale scatola decidiamo di aprire. Immaginiamo allora che il premio della nostra scatola sia un assegno da ben 5000€, e che nella scatola che abbiamo rifiutato ci sia un assegno da soli 10€, saremmo ben contenti della nostra scelta. Ben diversa sarebbe la situazione se nella scatola rifiutata ci fosse invece un assegno ancora più ricco, ad esempio da 20000€. In questo caso, i nostri 5000€

sarebbero molto meno attraenti, e probabilmente vorremmo “mangiarci le mani” e desidereremmo poter tornare indietro per fare una scelta diversa. Questa sensazione spiacevole, a volte anche molto dolorosa, nella letteratura internazionale prende il nome di regret. Lo studio del regret è diventato recentemente di straordinario interesse per la ricerca sui processi decisionali, a partire dagli anni ’90 il numero di pubblicazioni su riviste internazionali che avevano come argomento il regret è aumentato in modo esponenziale (Zeelenberg e Pieters, 2007). Come mai tanto interesse proprio per questa emozione? La risposta è data dalla peculiare natura del regret: è infatti una reazione emotiva che si basa in modo fondamentale sui processi cognitivi, in primis pensiero controfattuale e attribuzione di responsabilità. Riprendendo l’esempio del gioco a premi, in entrambe le formulazioni vi è il medesimo esito, una vincita di 5000€, stando alla teoria della scelta razionale in entrambi i casi dovremmo essere ugualmente felici per l’esito ottenuto, l’utilità assegnata all’esito deriva solo dal

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suo valore assoluto e non dal valore degli altri esiti potenziali. E’ evidente come in realtà le due situazioni producano reazioni emotive totalmente differenti sulla base del confronto con l’alternativa controfattuale, quella che si sarebbe verificata se avessimo scelto l’altra scatola.

La peculiarità del regret non è data solo dalla sua influenza sulla valutazione degli esiti, ma anche e soprattutto dalla nostra capacità di anticiparlo. Siamo infatti portati ad immaginare come ci sentiremmo se scoprissimo che avremmo fatto meglio a scegliere un’alternativa diversa, già nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione. Il regret, tramite la sua anticipazione, agisce quindi anche nella fase di valutazione delle alternative, diventando quindi una determinante della presa di decisioni.

Gran parte della letteratura sul regret si è concentrata sull’evidenziare gli effetti dovuti alla sua anticipazione. Non sempre però le scelte sono isolate, e non sappiamo se e in che modo l’esperienza del regret possa estendersi alle decisioni successive. Studi recenti hanno inoltre messo in discussione gli effetti delle emozioni esperite, sostenendo che agiscano prevalentemente tramite meccanismi di anticipazione (Gilbert, Morewedge, Risen e Wilson, 2004). Qual è dunque l’impatto del regret esperito? Cosa succede quando ci troviamo a dover fare una scelta dopo che abbiamo appena provato regret? Qual è il rapporto tra anticipazione ed esperienza del regret?

Oltre a cercare di dare una risposta a queste domande, la presente tesi si pone anche l’obiettivo di fornire un contributo metodologico allo studio del regret, sviluppando un nuovo strumento per la misura dell’emozione di regret e confrontandolo con la metodologia tradizionalmente usata in letteratura.

STRUTTURA DELLA TESI

La presente tesi è strutturata in quattro capitoli. Nel primo capitolo viene presentata una rassegna delle più importanti pubblicazioni sul regret nei processi decisionali dal punto di vista della ricerca in ambito psicologico. Nello specifico, viene trattata inizialmente la fenomenologia del regret, considerando la sua natura di emozione controfattuale e confrontando il regret con un’altra emozione studiata spesso nel decision-making, il disappointment. Successivamente vengono descritti

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gli effetti del regret nella presa di decisioni, distinguendo tra effetti dell’anticipazione del regret ed effetti della sua esperienza. Infine vengono illustrati i recenti progressi ottenuti tramite tecniche di brain imaging nel determinare e localizzare le basi neuronali sottostanti il regret.

Nel secondo capitolo viene trattato il tema della misurazione del regret. Dopo un’analisi critica della metodologia comunemente usata in letteratura, viene proposto un nuovo strumento, la Scala del Regret e del Disappointment. In una serie di quattro esperimenti viene mostrata la validazione di tale strumento e ne vengono illustrati i vantaggi rispetto al metodo tradizionale.

Nel terzo capitolo vengono analizzati gli effetti dell’esperienza del regret sulla presa di decisioni. In quattro esperimenti, usando anche la metodologia precedentemente sviluppata, viene mostrato come l’esperienza del regret influisca sulle decisioni successive. In particolare viene evidenziato un bias indotto dall’esperienza del regret, la preferenza per alternative sub-ottimali in conseguenza del fallimento di quella che era in realtà una buona scelta.

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C APITOLO 1

I L REGRET NEI PROCESSI DECISIONALI

Per un lungo tempo gli studiosi dei processi decisionali si sono interessati principalmente alla creazione di modelli normativi della scelta, ovvero allo sviluppo di principi che permettano di prendere decisioni in modo razionale, finalizzati alla massimizzazione dell’utilità attesa. In tempi più recenti, con l’affermarsi dei modelli descrittivi della scelta che si propongono di individuare i meccanismi psicologici responsabili dei processi decisionali, piuttosto che di fornire i principi per il comportamento di un decisore ideale, lo studio delle emozioni legate ai processi decisionali ha acquisito una maggiore importanza ed è stata riconosciuta la loro necessità per la creazione di modelli che siano in grado di predire con accuratezza le scelte compiute realmente dalle persone.

L’emozione di gran lunga più studiata dai ricercatori che si occupano di decision making è quella che nella letteratura internazionale viene chiamata regret1. Con questo termine si intende quello stato d’animo negativo che proviamo quando ci rendiamo conto che se avessimo fatto una scelta diversa avremmo ottenuto un risultato migliore. Dato che la letteratura sul regret è molto ampia e frammentaria, nel presente capitolo i poniamo lo scopo di passare in rassegna i principali studi nell’ambito decisionale che hanno indagato gli effetti del regret. Per prima cosa

1 Il termine “regret” viene solitamente tradotto nella letteratura italiana con il termine “rammarico”

(Mazzocco, 2008; Leder e Mannetti, 2007), talvolta anche con il termine “rimpianto” (Coricelli e Schwarzbach, 2008). Abbiamo però scelto di usare il termine inglese “regret”, vista la difficoltà a tradurlo in modo adeguato. Nel secondo capitolo tratteremo in modo più specifico il problema

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cercheremo di definire il regret e di analizzarne la complessa fenomenologia, considerando, tra l’altro, il suo rapporto con il pensiero controfattuale e la differenza con un’emozione apparentemente simile come il disappointment.

Successivamente tratteremo la relazione tra regret e processi decisionali, descrivendone le principali teorie e evidenziando gli effetti dovuti all’anticipazione e all’esperienza del regret. Infine illustreremo i recenti progressi ottenuti dalle neuroscienze nell’individuare e localizzare le basi neuronali del regret.

1.LA FENOMENOLOGIA DEL REGRET

1.1. Il regret: un’emozione controfattuale

Che cos’è esattamente il regret? Nonostante la ricerca si occupi di questo tema da più di vent’anni, non c’è ancora una definizione universalmente accettata di regret. Psicologi, economisti e filosofi hanno proposto diverse definizioni e talvolta non c’è accordo nemmeno all’interno delle singole discipline. Non è un problema da poco, la mancanza di una definizione formale condivisa porta, ad esempio, a difficoltà nell’interpretare e confrontare i risultati delle varie ricerche.

Per definire il regret si tende solitamente ad evidenziare le situazioni in cui possiamo provare questa emozione negativa. Come già accennato in precedenza, proviamo regret quando ci rendiamo conto che se avessimo fatto una scelta diversa, o se ci fossimo comportati diversamente, avremmo ottenuto un risultato migliore di quello realmente ottenuto. Per gli economisti la conoscenza reale degli esiti alternativi è un elemento critico per l’insorgenza del regret, che viene definito come la differenza in termini di valore tra l’esito ottenuto e il migliore degli esiti alternativi, maggiore è questa differenza, maggiore è anche il regret.

La ricerca in psicologia ha mostrato invece che la conoscenza di un esito migliore non è necessaria, e che è sufficiente immaginare che avremmo potuto ottenere un risultato migliore. Questo tipo di confronto tra il mondo reale e mondi alternativi che avrebbero potuto realizzarsi è subordinato all’azione di un processo cognitivo, il pensiero controfattuale. Nello specifico, il regret dipende dalla produzione di controfattuali di tipo upward, quelli cioè in cui si immaginano stati del mondo

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migliori di quelli effettivamente realizzati; più facile è immaginare che avremmo potuto ottenere un esito migliore, maggiore è il regret.

Per gli psicologi il regret è quindi un’emozione caratterizzata da una forte componente cognitiva, tanto da essere definito come un’emozione controfattuale (Kahneman e Miller, 1986).

Visto che non possiamo tornare indietro per cambiare il passato, perché allora proviamo questa dolorosa emozione? Per quanto non ci siano delle risposte certe a questa domanda, sia la letteratura sia sulle emozioni che quella sul pensiero controfattuale suggeriscono che il regret possa avere un ruolo funzionale. Le teorie delle emozioni, per quanto diverse, riconoscono un ruolo funzionale alle emozioni, ad esempio come segnale (Lazarus, 1991 Zajonc, 1980) o come guida per l’azione (Frijda, Kuipers e ter Schure, 1989). Le emozioni sono quindi importanti perché informative, valutano la situazione attuale e segnalano le azioni da mettere in atto per il raggiungimento degli obiettivi. Analogamente, la letteratura sul pensiero controfattuale mostra come i controfattuali upward abbiano una funzione preparatoria, portino cioè a produrre inferenze causali utili per informare la persona di come avrebbe dovuto comportarsi per ottenere un risultato migliore. Se si ripresenterà una situazione simile, la persona sarà pronta per affrontarla in un modo più adatto (Roese, 1997). Per esempio Roese (1994) ha mostrato che, in un compito di risoluzione di anagrammi, la produzione di controfattuali upward migliora la prestazione nella risoluzione degli anagrammi successivi.

Quindi l’esperienza di regret, per quanto dolorosa, sembra essere una capacità adattiva e funzionale (Lecci, Okun e Karoly, 1994), ci può aiutare a imparare dai nostri errori in modo da evitare di commetterli in futuro (Zeelenberg, 1999a).

Recenti evidenze sperimentali hanno inoltre mostrato che le persone sono capaci di riconoscere i benefici del regret e per questo viene valutato più favorevolmente rispetto ad altre emozioni negative (Saffrey, Summerville e Roese, 2008).

1.2. Regret e disappointment

Abbiamo visto come il regret derivi dai controfattuali upward, quelli in cui immaginiamo stati del mondo migliori di quelli reali. Non tutti i controfattuali

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upward portano necessariamente al regret, talvolta possiamo generare controfattuali in cui mutiamo, invece delle nostre azioni, gli eventi del mondo non dipendenti direttamente da noi. Questo tipo di pensiero controfattuale porta a quell’emozione che in letteratura viene chiamata disappointment, tradotta in italiano solitamente con il termine “disappunto” o talvolta come “delusione”.

Benché apparentemente simili, entrambe sono emozioni negative derivanti dal pensiero controfattuale, regret e disappointment differiscono per origine, fenomenologia e conseguenze.

Proviamo regret quando generiamo controfattuali in cui l’esito realmente ottenuto viene migliorato mutando qualcosa che era sotto il nostro controllo, solitamente il nostro comportamento o le nostre decisioni. Viceversa proviamo disappointment quando generiamo controfattuali in cui mutiamo eventi del mondo non dipendenti da noi. Il regret deriva quindi da controfattuali focalizzati sulle proprie azioni, mentre il disappointment deriva da controfattuali focalizzati sulle situazioni.

Un’evidenza sperimentale è stata fornita da Zeelenberg, van Dijk, van der Pligt, Manstead, van Empelen e Reinderman (1998), in cui proponevano ai loro partecipanti degli scenari in cui l’esito negativo era causato sia da comportamenti propri (ti sei dimenticato di mettere la sveglia, per strada ti fermi al bancomat, ecc.) sia da eventi esterni (fori una ruota della bicicletta, il tram viene fermato dai manifestanti, ecc.). Successivamente dovevano produrre dei controfattuali, a metà dei partecipanti veniva richiesto di produrre dei controfattuali focalizzati sul proprio comportamento, all’altra metà controfattuali focalizzati sugli eventi esterni, e poi riportare i livelli di regret e disappointment che proverebbero in questa situazione. I partecipanti che avevano prodotto controfattuali basati sul loro comportamento registrarono livelli maggiori di regret rispetto al disappunto, viceversa quelli che avevano generato controfattuali basati sugli eventi esterni riportarono livelli maggiori di disappointment rispetto al regret.

L’origine di regret e disappointment si differenzia anche per la diversa percezione di responsabilità e di agency. Diversi studi hanno evidenziato come la self- agency e la percezione della propria responsabilità siano strettamente legate al regret, mentre la other-agency e la percezione della responsabilità altrui siano legate al disappointment (van Dijk, van der Pligt e Zeelenberg, 1999; Frijda, Kuipers e ter

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Schure, 1989). La relazione tra responsabilità e regret verrà analizzata più dettagliatamente in un paragrafo successivo.

La differente fenomenologia di regret e disappointment è stata evidenziata da uno studio di Zeelenberg, van Dijk, Manstead e van der Pligt (1998), in cui le due emozioni sono state confrontate sulla base di cinque dimensioni: sensazioni, pensieri, tendenze all’azione, azioni e obiettivi emotivo-motivazionali (emotivational goals). Ai partecipanti veniva richiesto di pensare ad una situazione in cui avevano provato un intenso regret o disappointment e poi di valutare attraverso un set di item il ruolo delle cinque dimensioni. Dai risultati è emerso che l’esperienza di regret si differenzia da quella di disappointment per il fatto che implica la sensazione che avremmo dovuto sapere che stavamo sbagliando, il pensare che abbiamo commesso un errore, il voler prendersi a calci e correggere i propri errori, il desiderio di annullare quanto successo e avere una seconda possibilità. Le maggiori differenze tra le esperienze di regret e disappointment riguardavano la tendenza all’azione e gli obiettivi emotivo- emozionali, suggerendo che le due emozioni evochino anche differenti risposte comportamentali, maggiormente rivolte all’azione nel caso del regret, con l’intento di rimediare alla decisione che ha portato all’esito negativo.

Le conseguenze comportamentali di regret e disappointment sono state successivamente confrontate da uno studio di Zeelenberg e Pieters (1999) in cui venivano esaminate le risposte emotive e comportamentali dei consumatori in seguito a servizi insoddisfacenti. I risultati hanno mostrato che alle due emozioni erano associati comportamenti diversi: i consumatori che provavano regret tendevano a passare ad un nuovo fornitore di servizi, abbandonando il precedente, mentre il disappunto portava i consumatori a lamentarsi con il loro fornitore di servizi e a raccontare ad altre persone la loro esperienza spiacevole.

1.3. Fattori di insorgenza del regret

Abbiamo visto come la possibilità di provare regret dipenda dalla costruzione di pensieri controfattuali e l’intensità dell’esperienza di regret vari in relazione alla disponibilità delle alternative controfattuali (Seta, Seta, McElroy e Hatz, 2008).

La ricerca ha infatti dimostrato come ci sia la tendenza a provare reazioni emotive

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più forti per quegli eventi per cui è più facile immaginare un esito alternativo, un fenomeno noto come emotional amplification (Kahneman e Miller, 1986).

Per identificare i fattori di insorgenza del regret, diventa quindi rilevante capire quali siano le situazioni che favoriscono la generazione di pensieri controfattuali focalizzati sulle proprie azioni. Verranno presentati di seguito i fattori più importanti per l’insorgenza del regret: la vicinanza dell’esito alternativo, il fattore azione-non azione e la percezione di responsabilità (per una rassegna completa sulle circostanze di attivazione e sui fattori di mutabilità del pensiero controfattuale, si veda ad esempio Byrne, 2005).

1.3.1 La vicinanza dell’esito alternativo

“Mr. Crane e Mr. Tees dovevano lasciare l’aeroporto con voli diversi che partivano con il medesimo orario. Lasciarono la città con la stessa automobile, incapparono in un ingorgo e arrivarono con 30 minuti di ritardo rispetto all’orario di partenza del volo. Mr. Crane venne a sapere che il suo volo era partito puntuale, mentre Mr. Tees venne a spere che il suo aereo era decollato in ritardo, appena 5 minuti prima del suo arrivo. Chi dei due è più turbato?”

Quando Kahneman e Tversky (1982) presentarono questo scenario, i loro partecipanti non ebbero dubbi nell’individuare Mr. Tees come il maggiormente turbato. A parità di condizioni, è più facile immaginare che le cose sarebbero potute andare meglio per chi è arrivato più vicino al raggiungimento dell’obiettivo: la vicinanza temporale tra l’esito reale ed un esito alternativo maggiormente desiderabile facilita la produzione di pensieri controfattuali.

Similmente, Miller e Taylor (1995) hanno creato uno scenario in cui a due persone, Mr. K e Mr. T., viene proposto di vendere il loro biglietto della lotteria.

Mr. K riceve la proposta di vendere il proprio biglietto due settimane prima dell’estrazione, mentre Mr. T solo un’ora prima dell’estrazione. Secondo la grande maggioranza dei partecipanti, Mr. T è il più restio dei due a privarsi del biglietto e quello che proverebbe maggior regret se scoprisse che il proprio il biglietto avrebbe vinto. Come nello scenario di Kahneman e Tversky, anche in questo caso l’unica differenza è nella vicinanza temporale tra l’esito reale e quello controfattuale. Secondo Miller e Taylor, emozioni come il regret non insorgono

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solamente quando l’esito negativo è dovuto a decisioni o azioni inappropriate o irrazionali, ma ogniqualvolta esiste un’alternativa controfattuale alle proprie azioni altamente disponibile, come nelle situazioni in cui si è andati molto vicini ad ottenere un esito migliore.

1.3.2. Il fattore azione-non azione

“Mr. Paul possiede della azioni della società A. Durante l’anno passato ha preso in considerazione la possibilità di cambiare l’investimento nella società B, ma alla fine ha deciso di mantenere il pacchetto azionario della società A. Egli scopre ora che sarebbe diventato più ricco di 1.200$ se avesse trasferito il suo investimento sulle azioni della società B. Mr. George possedeva azioni della società B. Durante l’anno passato ha trasferito il suo investimento su azioni della società A. Egli ora scopre che sarebbe più ricco di 1.200$ se si fosse tenuto le azioni della società B.

Chi dei due prova maggior rammarico?”

Quando Kahneman e Tversky (1982) presentarono questo scenario, i loro partecipanti erano concordi nel ritenere che Mr. George fosse il più rammaricato dei due sfortunati investitori. Eppure entrambi ottengono lo stesso risultato, un mancato guadagno della medesima entità. La differente reazione emotiva, secondo Kahneman e Tversky, è imputabile alla diversa mutabilità del comportamento dei due signori: è più facile immaginare di non aver compiuto un’azione (in questo caso il cambio di investimento) rispetto ad immaginare di averla compiuta (come nel caso del signore che mantiene lo stesso investimento) e le maggiore disponibilità del dell’alternativa controfattuale produce emozioni più intense.

Secondo Kahneman e Miller (1986) il fattore azione-non azione andrebbe interpretato alla luce del più generale fattore normale-eccezionale, secondo cui gli eventi considerati come eccezionali vengono percepiti come maggiormente mutabili rispetto agli eventi normali. Solitamente, in assenza di altre informazioni, le azioni verrebbero percepite come fatti più eccezionali rispetto alle non-azioni, e quindi sono più facilmente

Benché l’effetto del fattore azione-non azione sia stato ritrovato in numerosi studi (ad esempio, Baron e Ritov, 1994; Gleicher, Kost, Baker, Strathman, Richman e Sherman, 1990; Landman, 1987), tanto da essere considerato uno degli effetti più

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chiari e robusti presenti nella letteratura sul pensiero controfattuale (Gilovich e Medvec, 1995), non bisogna fare l’errore di ritenere che le azioni siano sempre più mutabili delle non-azioni.

Alcuni studi hanno ottenuto risultati opposti, manipolando la distanza temporale tra esito ed eventi target (Davis, Lehman, Wortman, Silver e Thompson, 1995;

Gilovich e Medvec, 1994) e usando una diversa metodologia (N’gbala e Branscombe, 1997).

Secondo N’gbala e Branscombe (1997) l’effetto della maggiore mutabilità dell’azione emergerebbe soltanto quando viene richiesta in modo esplicito una valutazione comparativa tra chi ha agito e chi non ha agito, quando cioè vengono usati disegni sperimentali within-participants. Usando lo scenario dei due azionisti di Kahneman e Tversky (1982), N’gbala e Branscombe hanno replicato il classico effetto dell’azione usando un disegno sperimentale within-participants, mentre l’effetto è scomparso usando un disegno sperimentale between- participants, in cui cioè le storie dei due azionisti venivano presentate separatamente. In quest’ultimo caso prova regret sia chi agisce che chi non agisce (si veda invece Zhang, Walsh e Bonnefon, 2005, per una critica all’uso di disegni between-participants negli studi sul regret).

Gilovich e Medvec (1994) hanno osservato che le persone rievocano più frequentemente regret associati ad azioni nel breve termine (ad esempio, la scorsa settimana), ma nel lungo termine (ad esempio, l’ultimo anno) vengono citate più frequentemente situazioni di regret legate a non azioni. Gli stessi autori hanno replicato questo rovesciamento dell’effetto nel lungo termine usando uno scenario in cui viene descritta la storia di due studenti, Dave e Jim, che, non del tutto contenti dell’università a cui sono iscritti, pensano di trasferirsi. I due prendono decisioni diverse: Dave rimane mentre Jim si trasferisce in una nuova università, però alla fine entrambi non sono contenti della loro decisione, Dave pensa che avrebbe fatto meglio a trasferirsi e Jim vorrebbe non aver cambiato università. I partecipanti di Gilovich e Medvec hanno attribuito nel breve termine maggiore regret a Jim, lo studente che ha agito, ma ritenevano che, a lungo andare, avrebbe provato maggiore regret Dave, lo studente che non ha agito. Secondo Gilovich e Medvec questo rovesciamento temporale sarebbe dovuto all’intervento nel lungo

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termine di fattori emotivi, volti alla riduzione della dissonanza generata dalle azioni, e di fattori cognitivi, come il confronto con alternative controfattuali, che specialmente nel caso delle non azioni sono potenzialmente infinite.

Byrne e McEleney (2000) hanno proposto una spiegazione dell’effetto azione-non azione basata sui modelli mentali (si veda anche Feeney e Handley, 2006, per una revisione della spiegazione) che tiene in considerazione anche i risultati ottenuti da Gilovich e Medvec (1994). Byrne e McEleney sostengono che la maggiore mutabilità dell’azione derivi dal fatto che solitamente le persone hanno una rappresentazione maggiormente esplicita dell’azione rispetto alla non azione. Per esempio, nello scenario dei due studenti di Gilovich e Medvec (1994), per rappresentarsi la decisione presa da Jim le persone devono costruirsi due modelli, uno fattuale ed uno controfattuale:

Fattuale Università nuova Molto insoddisfatto

Controfattuale Università iniziale Moderatamente soddisfatto

Un unico modello è invece sufficiente per rappresentarsi inizialmente la decisione di Dave, visto che non è stata eseguita nessuna azione:

Fattuale Università iniziale Molto insoddisfatto

Solo il set di modelli di Jim contiene esplicitamente un modello controfattuale, quindi nel suo caso è più semplice confrontare quello che è realmente accaduto e quello che sarebbe potuto succedere e attribuirgli maggiore regret. Quando però devono giudicare chi si sentirà peggio da una prospettiva a lungo termine, secondo Byrne e McEleney le persone sarebbero maggiormente portate a prendere in considerazione le conseguenze reali e immaginate delle azioni e delle non azioni, accorgendosi quindi che l’informazione esplicitata nel modello di Dave non è sufficiente. Si possono quindi costruire una rappresentazione maggiormente completa della decisione di Dave, esplicitando i due modelli controfattuali in cui Dave cambia università ed è felice e in cui cambia università ed è molto

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insoddisfatto. La rappresentazione completa della decisione di Dave diventa quindi:

Fattuale Università iniziale Molto insoddisfatto Controfattuale Università nuova Molto insoddisfatto Controfattuale Università nuova Felice

L’esistenza di un modello controfattuale in cui Dave cambia università ed è felice spiega quindi il rovesciamento dell’effetto azione-non azione nel lungo termine.

Zeelenberg, van den Bos, van Dijk e Pieters (2002) hanno proposto un’altra spiegazione del fattore azione-non azione basata sulla motivazione all’azione:

quando non ci sono forti motivazioni per agire, l’azione viene ritenuta un comportamento anormale, come nel caso dei due investitori di Kahneman e Tversky (1982), se viceversa ci sono delle ragioni per agire, è la non azione ad essere ritenuta anormale. In una serie di 4 esperimenti, Zeelenberg et al. hanno presentato la storia di due allenatori di calcio, Mr. A e Mr. B, le cui squadre vengono entrambe sconfitte per 3 a 0. Mr. A aveva cambiato la formazione titolare rispetto alla partita precedente (azione), mentre Mr. B aveva lasciato la formazione titolare immutata (non-azione). Se non viene fornita nessuna informazione sul risultato della partita precedente a questa sconfitta, o se viene detto che nella partita precedente entrambe le squadre avevano vinto, si ritrova il classico effetto dell’azione e i partecipanti attribuiscono a Mr. A il regret maggiore. Se però viene detto che nella partita precedente entrambe le squadre avevano perso, si ottiene l’effetto contrario e viene percepito come maggiormente rammaricato l’allenatore che non ha fatto niente per evitare il ripetersi di un’ulteriore sconfitta, cioè Mr. B. Zeelenberg et al. spiegano questo risultato con le motivazioni all’azione: se ci sono dei validi motivi per agire, il classico fattore azione-non azione si rovescia e viene attribuito un maggiore regret a chi ha fallito di agire.

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1.3.3. La percezione di responsabilità

Abbiamo visto come il regret derivi da pensieri controfattuali in cui viene mutato il proprio comportamento. La percezione della propria responsabilità è quindi una determinante necessaria per l’insorgenza del regret o esistono situazioni in cui possiamo provare regret anche senza sentirci responsabili per quanto successo?

Sugden (1985) attribuisce alla responsabilità un ruolo fondamentale per il regret.

Secondo la sua definizione, il regret è formato da due componenti, la prima riguarda la valutazione della propria scelta sulla base del confronto tra l’esito reale e gli esiti controfattuali, la seconda è data da sentimenti di responsabilità e auto- biasimo e dalla valutazione soggettiva della qualità della propria scelta. Secondo Sugden, l’intensità del regret dipenderebbe proprio da quanto ci riteniamo responsabili della scelta effettuata.

Altri autori sostengono che la responsabilità possa essere separata dal più generico concetto di agency: essere agenti attivi dell’azione che porta all’esito negativo non implica necessariamente esserne la causa e sentirsi responsabili per esso (Landman, 1993; Simonson, 1992; Taylor, 1985). Secondo questo punto di vista, per l’insorgenza del regret sarebbe sufficiente la percezione che l’agente avrebbe potuto fare o non fare qualcosa per evitare l’esito indesiderato. La responsabilità, d’altro canto, verrebbe erroneamente considerata un antecedente del regret solo perché si tende solitamente ad attribuirla all’agente, ma non sarebbe necessaria per provare regret.

Verso la fine degli anni ’90 il ruolo della responsabilità nell’insorgenza del regret è stato argomento di un acceso dibattito. In una serie di cinque esperimenti, Connolly, Ordoñez e Coughlan (1997) trovarono un risultato incompatibile con le definizioni di regret, e cioè che il regret non sarebbe influenzato non solo dalla responsabilità, ma nemmeno dalla decision agency. Nello scenario tipo usato nei loro esperimenti, strutturalmente simile a quello degli investitori di Kahneman e Tversky (1982), veniva raccontata la storia di tre studenti che peggiorano, mantengono uguale o migliorano il loro status quo iniziale come conseguenza di una scelta fatta da loro (condizione self-agency) o dal computer della segreteria (condizione other-agency). Connolly et al. trovarono che agli studenti veniva attribuita maggiore responsabilità quando la scelta era stata fatta da loro rispetto a

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quando la scelta era stata fatta dal computer della segreteria, ma non trovarono nessun effetto della decision agency e della responsabilità sulla stima dello stato emotivo degli studenti. L’unico effetto trovato è stato quello, piuttosto ovvio, dello status quo: chi migliorava la propria situazione veniva visto come più felice di chi la manteneva inalterata, che a sua volta era più felice di chi aveva peggiorato la propria situazione iniziale, indipendentemente dal fatto che la scelta fosse stata fatta dallo studente o dal computer. Zeelenberg, van Dijk e Manstead (1998) criticarono la conclusione di Connolly et al. (1997) che la responsabilità e la decision agency non siano necessarie per l’esperienza di regret, sostenendo che nel loro studio non avevano misurato il regret ma solo la felicità, una reazione emotiva più generica del regret influenzata principalmente dalla valenza dell’esito e indipendente dalla responsabilità. Usando lo scenario di Connolly et al. (1997) con una misura di regret e una di disappointment in aggiunta a quelle di felicità e di responsabilità, Zeelenberg et al. replicarono il risultato che la felicità non è influenzata dalla decision agency, ma trovarono delle differenze nelle misure di regret e disappointment: maggiore regret viene attribuito allo studente che peggiora la condizione quando questo risultato è dovuto alla sua scelta rispetto a quando è dovuto al computer, viceversa maggiore disappointment viene attribuito allo studente quando il peggioramento è conseguenza della scelta fatta dal computer rispetto a quando è conseguenza della sua scelta.

Lo studio di Zeelenberg et al. (1998) è stato a sua volta replicato da Ordoñez e Connolly (2000) senza introdurre cambiamenti sostanziali alla procedura sperimentale. I risultati ottenuti in parte replicano quelli di Zeelenberg et al. per quel che riguarda l’influenza della responsabilità della decisione sul regret, ma differiscono in quanto mostrano che viene attribuito un elevato regret allo studente che peggiora la sua situazione anche quando la scelta è stata effettuata dal computer, in assenza di responsabilità e di decision agency, in quella che è una chiara situazione di disappointment, piuttosto che di regret. Ordoñez e Connolly conclusero quindi che, a differenza di quanto asserito precedentemente (Connolly, Ordoñez e Coughlan, 1997), la responsabilità influenza effettivamente il regret, ma non è necessaria per la sua insorgenza, possiamo provare regret anche in seguito ad un esito indesiderabile dovuto ad una scelta di cui noi non siamo stati

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responsabili. Una spiegazione alternativa trova concordi Ordoñez e Connolly (2000) e Zeelenberg, van Dijk e Manstead (2000) nel sostenere che questa incoerenza tra i dati rifletta invece un problema metodologico, ovvero la difficoltà a misurare le reazioni emotive a causa del diverso significato attribuito ai termini

“regret” e “disappointment” nella ricerca e nel linguaggio comune: se nella ricerca si riferiscono ad emozioni ben distinte, nell’uso comune la differenza tra i due termini è invece molto meno netta. Nel secondo capitolo della presente tesi tratteremo più dettagliatamente il problema dell’uso di termini potenzialmente ambigui come “regret” e “disappointment” nella misura del regret.

Il dibattito sulla responsabilità nel regret ha inoltre gettato le basi per la nascita della decision justification theory (Connolly e Zeelenberg, 2002), secondo cui il regret, similmente a quanto proposto in precedenza da Sugden (1985), sarebbe una combinazione di due componenti principali: una dovuta al confronto tra l’esito reale e altri esiti maggiormente desiderabili e l’altra derivante da sentimenti di auto-biasimo per aver fatto una scelta scadente. Secondo la decision justification theory, per l’insorgenza del regret basta che una delle due componenti principali sia presente: possiamo quindi provare regret in assenza di responsabilità percepita (outcome regret), quando ad esempio una vaccinazione necessaria provoca effetti collaterali inattesi o come nel caso precedente dello studente la cui situazione peggiora a causa di una scelta effettuata dal computer dalla segreteria (Ordoñez e Connolly, 2000), ma possiamo anche provare regret in assenza di un risultato negativo (self-blame regret), ad esempio quando ci pentiamo di aver commesso un’azione sconsiderata che fortunatamente però non ha avuto gravi conseguenze, come l’aver guidato in stato di ebbrezza. E’ doveroso notare come la decision justification theory ampli il costrutto di regret in modo da spiegare precedenti risultati incoerenti, ma lo renda al contempo talmente vasto da far ricadere sotto l’etichetta regret potenzialmente qualsiasi situazione in cui un esito non è soddisfacente, come per esempio le situazioni tradizionalmente considerate di disappointment.

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1.4. Il regret nella vita quotidiana

Non sempre tutte le nostre decisioni vanno a buon fine e il regret è purtroppo un’esperienza comune, tanto comune da essere una delle emozioni più frequentemente usate nel linguaggio quotidiano, seconda soltanto all’amore (Shimanoff, 1984). Humberstone (1980) sostiene che l’esperienza di regret sia inevitabile: immaginiamo ad esempio di puntare dei soldi sulla vittoria di un cavallo, non c’è esito che eviti il regret: se il nostro cavallo non vince proviamo regret per aver sprecato i nostri soldi, se vince potremmo pensare che avremmo dovuto puntare di più. Quali sono le situazioni che generano maggior regret nella vita delle persone? Qual è l’evoluzione temporale del regret? Nel presente paragrafo tratteremo gli studi che hanno cercato di rispondere a queste domande.

Roese e Summerville (2005) hanno condotto una meta-analisi su undici set di dati ricavati da nove articoli pubblicati tra il 1989 e il 2003 riguardanti i maggiori regret di vita delle persone. I regret di vita raccolti sono stati raggruppati in dodici categorie, ma la maggior parte dei regret (86,4%) prodotti dalle persone rientrava in sole sei categorie, riportate di seguito in ordine di frequenza: istruzione (32,2%), carriera (22,3%), storie d’amore (14,8%), educazione dei figli (10,2%), miglioramento di sé stessi (5,5%) e tempo libero (2,5%). Roese e Summerville sostengono che questo dato rifletta l’azione di quello che hanno chiamato principio di opportunità. Questo principio si basa sull’idea controintuitiva che il regret derivi dall’opportunità, o meglio, che il regret perduri nelle situazioni ancora aperte, in cui possiamo ancora rimediare o migliorare quanto fatto in passato. Viceversa, quando questa opportunità ci è preclusa, verrebbero messi in atto meccanismi di riduzione della dissonanza cognitiva e di razionalizzazione volti a mitigare l’esperienza di regret. Le sei categorie ricavate dalla meta-analisi rifletterebbero quindi gli ambiti di vita che presentano le maggiori opportunità per intervenire, migliorando e correggendo la situazione attuale. Roese e Summerville hanno controllato empiricamente questa affermazione, facendo valutare a dei gruppi di studenti il regret e le opportunità associati alle dodici categorie emerse dalla meta-analisi. Dai risultati è emerso come ci sia in generale una buona sovrapposizione tra le situazioni in cui le persone percepiscono le maggiori opportunità di miglioramento e quelle a cui viene associato il maggiore regret,

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questo non è però vero per alcune categorie, come istruzione e carriera, in cui ad un elevato regret non corrisponde una elevata percezione di opportunità.

Recentemente Beike, Markman e Saradogan (2009) hanno criticato l’ipotesi di Roese e Summerville, sostenendo che i loro risultati non sono sufficienti per stabilire un nesso causale tra opportunità ancora aperte e regret, e che anzi il regret sia più intenso in conseguenza di opportunità perse. In una serie di tre esperimenti, Beike et al. hanno mostrato che il regret è più frequente e più forte nelle situazioni in cui avremmo potuto fare qualcosa in passato per evitare l’esito realizzatosi, ma questa possibilità ci è ormai preclusa.

Come già accennato precedentemente riguardo al fattore azione-non azione, sembrerebbe esserci un pattern temporale nell’insorgenza del regret: il regret conseguente ad azioni insorge al momento del fallimento ma ha solitamente una breve durata, mentre il regret conseguente a non azioni o omissioni insorge di solito nel lungo termine, ad esempio possono essere necessari diversi anni affinché ci accorgiamo che avremmo fatto meglio a continuare gli studi, e ha anche una durata superiore al regret per le azioni (Gilovich e Medvec, 1994). I risultati di diversi studi sono concordi nel mostrare come le fonti di maggiore regret nella vita delle persone siano proprio le non azioni o omissioni (Hattiangadi, Medvec e Gilovich, 1995; Gilovich e Medvec, 1994; Kinnier e Metha, 1989). Gilovich e Medvec (1994), ad esempio, hanno chiesto ai loro partecipanti quali fossero i maggiori regret della loro vita, sia tramite delle domande chiuse sia per mezzo di domande aperte. In entrambi i casi è risultato che prevalgono i regret conseguenti alle non azioni: ripensando alla propria vita, per le persone sono maggiormente salienti le situazioni in cui avrebbero potuto fare qualcosa ma non hanno colto l’occasione.

Kahneman (1995) ritiene che il regret conseguente alle azioni e quello conseguente alle non azioni siano qualitativamente diversi e che quindi sarebbe più corretto parlare di due distinte esperienze di regret: hot regret e wistful regret.

L’hot regret è caratterizzato da un forte senso di auto-biasimo e dal desiderio di poter tornare indietro e cambiare le cose o al limite di sbattere la testa sul muro per quanto siamo stati stupidi, ed è la forma di regret tipicamente conseguente alle azioni. Il wistful regret è molto meno intenso, ha le caratteristiche nostalgiche e

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malinconiche tipiche di quando si pensa alle occasioni perdute ormai lontane, ed è la forma di regret tipicamente conseguente alle azioni mancate (tuttavia le non azioni possono generare anche hot regret, si veda Gilovich, Medvec e Kahneman, 1998).

2.REGRET E DECISIONI

Trovare la soluzione ideale per investire i propri risparmi, scegliere la casa in cui andare a vivere, far vaccinare o meno il proprio figlio contro qualche malattia rara, sono alcuni esempi di decisioni che possiamo dover prendere nella nostra vita. Quando le conseguenze sono importanti per noi o per i nostri cari, prendere una decisione non è affatto semplice. Decidere è infatti un’attività cognitiva complessa, in cui dobbiamo valutare delle alternative, prevedendone i possibili esiti e tenendo conto delle conseguenze a loro associate.

Per anni le scienze psicologiche ed economiche hanno fatto riferimento alla teoria classica della decisione o teoria della decisione razionale (von Neumann e Morgenstern, 1947) come modello dominante. La teoria classica della decisione è una teoria di tipo normativo, descrive quindi il comportamento di un decisore ideale, dotato di preferenze coerenti, stabili e autointeressate. Il decisore ideale è un agente totalmente razionale, prende decisioni con lo scopo di massimizzare l’utilità attesa e il suo comportamento si basa su una serie di assiomi fondamentali senza essere influenzato da alcun altro fattore; le emozioni, ad esempio, non vengono contemplate e non hanno alcun peso sulla decisione.

Recentemente diverse teorie hanno riconosciuto come invece le emozioni, ed in particolare il regret, abbiano un ruolo importante nei processi decisionali dei decisori reali. Di seguito descriveremo queste teorie e illustreremo gli effetti dovuti all’anticipazione e all’esperienza del regret nelle decisioni.

2.1. La minimax regret rule

Il costrutto di regret nelle teorie della decisione è stato introdotto per la prima volta da Savage (1954, 1951) con la minimax regret rule. Secondo la teoria della decisione classica, per poter calcolare l’utilità attesa è necessario conoscere la

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probabilità associata agli esiti delle alternative. Non sempre queste probabilità sono note, la minimax regret rule nasce quindi come una strategia per prendere decisioni in assenza di queste informazioni. La strategia si basa sull’idea di minimizzare il massimo regret possibile, dove per regret si intende la differenza di utilità tra l’esito realmente ottenuto e il miglior esito possibile. La strategia prevede di trasformare i valori di utilità di ogni esito possibile (solitamente espressi in termini monetari) in valori di regret, sottraendo il valore di ogni esito dal valore dell’esito più elevato che si potrebbe ottenere se se verificasse quello stato del mondo. Immaginiamo, ad esempio, di dover uscire quando il tempo è nuvoloso e dover decidere se prendere o meno l’ombrello. Ipotizzando due soli stati del mondo possibili, piove e non piove, Savage propone di trasformare vantaggi e fastidi di avere o meno l’ombrello in una matrice di utili monetari, come in tabella 1.1.

Stati del mondo

Scelta Piove Non piove

Prendo l’ombrello 4 (fastidio e piedi bagnati)

5 (fastidio e leggero imbarazzo)

Non prendo l’ombrello

-10 (bagnati fradici) 10 (fastidio evitato)

Tabella 1.1: Matrice degli utili monetari in base alle scelta e agli stati del mondo.

Sottraendo il valore di ogni cella dal valore massimo possibile ottenibile per quello stato del mondo, otteniamo la matrice del regret, come in tabella 1.2. La minimax regret rule prevede di scegliere l’alternativa che garantisce, nel caso peggiore, il minimo massimo regret possibile, quindi in questo caso ci consiglierebbe di portare con noi l’ombrello (il massimo regret possibile se decidiamo di prendere l’ombrello è 5, mentre il massimo regret possibile se non lo prendiamo è 14).

Stati del mondo

Scelta Piove Non piove

Prendo l’ombrello 0 (4-4) 5 (10-5) Non prendo l’ombrello 14 [4-(-10)] 0 (10-10)

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La minimax regret rule viene solitamente criticata in quanto inadeguata sia come modello normativo sia come modello descrittivo (Mellers, Schwartz e Ritov, 1999). Dal punto di vista normativo permetterebbe infatti la violazione dell’assioma dell’indipendenza delle alternative irrilevanti, ed è inoltre troppo distante dal reale comportamento dei decisori in quanto troppo pessimista, visto che tiene conto esclusivamente dei valori estremi che otterremmo se si verificassero i casi peggiori (Cohen e Jaffray, 1980). Va inoltre precisato come il costrutto di regret usato da Savage si riferisca alla perdita dell’opportunità di ottenere un utile migliore, risultando quindi piuttosto distante dal costrutto psicologico di regret inteso come stato emotivo. Ciononostante bisogna riconoscere a Savage il ruolo di fondamentale precursore delle teorie del regret, in quanto introduce l’idea che il comportamento decisionale delle persone sia guidato non solo dalla massimizzazione dell’utilità, ma anche dall’evitamento di conseguenze spiacevoli, e che l’utilità di un esito non dipenda esclusivamente dal suo valore assoluto ma anche dal confronto con gli altri esiti possibili.

2.2. La teoria del regret

In contemporanea alla pubblicazione dei fondamentali lavori di Kahneman e Tversky sul pensiero controfattuale, gli economisti Bell (1982) e indipendentemente Loomes e Sugden (1982) formularono la teoria del regret con lo scopo di ampliare la teoria classica dell’utilità attesa, la cui validità era messa in dubbio dalle numerose evidenze sperimentali che illustravano violazioni sistematiche ai suoi assiomi fondamentali (per esempio, Ellsberg, 1961; Allais, 1953). Nell’idea degli autori, la teoria del regret avrebbe dovuto essere una teoria alternativa alla teoria del prospetto di Kahneman e Tversky (1979), più semplice ed intuitiva (Loomes e Sugden, 1982). La teoria del regret propone di sostituire la tradizionale funzione di utilità con una funzione di utilità multiattributo che incorpora il regret, definito come la differenza di valore tra l’esito realmente ottenuto e il più alto valore ottenibile da altre alternative. Questa correzione della funzione di utilità rifletterebbe la variazione nell’esperienza psicologica di piacere associata ad un esito, dovuta al confronto tra l’esito attuale e gli esiti che

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avremmo ottenuto se avessimo scelto un’alternativa diversa. Specificatamente, la teoria del regret si basa sulle seguenti assunzioni:

- possiamo provare emozioni come conseguenza delle nostre decisioni;

- le emozioni influenzano la valutazione degli esiti delle nostre decisioni;

- proviamo regret quando il risultato di un’alternativa scartata sarebbe stato migliore di quello dell’alternativa che abbiamo scelto;

- siamo in grado di anticipare il regret e tenerne conto già al momento della decisione.

L’avversione per un’emozione negativa come il regret diventerebbe quindi un’importante determinante del comportamento decisionale.

Per quanto la teoria del regret sia supportata solo parzialmente da evidenze sperimentali (Loomes, Starmer e Sugden, 1991; Harless, 1992; Starmer e Sugden, 1993), le sue assunzioni sulla componente psicologica, in particolare la natura anticipatoria del regret e il fatto che sia una determinante della presa di decisioni, sono ormai condivise e alla base di tutta la ricerca sulla relazione tra regret e decision-making (Zeelenberg e Pieters, 2007).

2.3. Subjective expected pleasure theory e decision affect theory

Un’altra teoria della decisione che incorpora gli effetti delle emozioni anticipate è stata proposta da Mellers, Schwartz e Ritov (1999) con il nome di subjective expected pleasure theory. E’ una teoria descrittiva della decisione in condizione di rischio (ovvero quando le probabilità degli esiti sono note) che postula che le persone preferiscono le alternative che massimizzano la loro emozione attesa soggettiva, intesa come la reazione emotiva associata agli esiti delle alternative.

La subjective expected pleasure theory nasce come estensione della decision affect theory (Mellers, Schwartz, Ho e Ritov, 1997), secondo cui le reazioni emotive post-decisionali variano in funzione del confronto tra l’esito reale e gli esiti controfattuali e della probabilità dell’esito ottenuto. Mellers et al. (1997) hanno individuato tre fattori che influenzano l’emozione soggettiva: il valore dell’esito ottenuto, il confronto tra esiti e la sorpresa. A parità di altre condizioni, l’emozione varia in funzione del valore dell’esito ottenuto, cresce all’aumentare delle vincite e diminuisce all’aumentare delle perdite. Se sono disponibili esiti

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controfattuali, questi vengono usati come punto di riferimento per valutare l’esito ottenuto, ad esempio una vincita di 16€ viene vissuta molto positivamente se l’alternativa era vincere 8€, viceversa la stessa vincita produce un’emozione ben diversa se l’alternativa era vincere 32€. La probabilità di accadimento di un esito è il terzo fattore che influenza l’emozione soggettiva, esiti poco probabili generano reazioni emotive più forti rispetto ad esiti quasi certi, ad esempio vincere 32€

quando la probabilità è del 10% provoca una gioia maggiore rispetto alla stessa vincita quando la probabilità è del 90%.

Secondo Mellers et al. (1999) le persone sarebbero in grado di anticipare l’emozione attesa soggettiva al momento della decisione e sceglierebbero quindi l’alternativa capace di massimizzarla. Mellers et al. hanno testato la loro teoria tramite una serie di esperimenti basati su un classico paradigma di scelta tra coppie di scommesse. I risultati hanno evidenziato correlazioni estremamente elevate tra emozioni anticipate e realmente provate (.98 e .96), indice di come le persone siano effettivamente molto brave ad anticipare le emozioni post decisionali, e correlazioni molto elevate tra le scelte reali e le scelte predette dalla subjective expected pleasure theory, ovvero le scelte che massimizzano l’emozione attesa soggettiva (in cinque data set le correlazioni andavano da un minimo di .66 ad un massimo di .86). La subjective expected pleasure theory si è dimostrata inoltre essere un predittore della scelta reale migliore rispetto ad altre strategie o teorie della scelta concorrenti, nello specifico la massimizzazione dell’utilità attesa, la maximax strategy (scelta della scommessa con associata la massima emozione possibile), la minimax strategy (scelta della scommessa che minimizza il massimo possibile dispiacere) e la minimizzazione della probabilità di provare regret.

2.4 L’anticipazione del regret

Gli effetti del regret sulla presa di decisioni sono stati oggetto anche di una vasta attività di ricerca volta non alla creazione di nuove teorie o modelli della decisione, ma all’approfondimento delle assunzioni proposte originariamente dalla teoria del regret. Uno dei temi maggiormente studiati e consolidati è il ruolo dell’anticipazione del regret, l’assunto secondo cui le persone sono in grado di

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anticipare il regret che si aspettano di provare in conseguenza delle loro scelte e usano questa informazione come guida per la decisione è stato oggetto di numerose indagini sperimentali (per es., Wong e Kwong, 2007; Hoelzl e Loewenstein, 2005; Hetts, Boninger, Armor, Gleicher e Nathanson, 2000;

McConnell, Niedermeier, Leibold, El-Alayli, Chin e Kuiper, 2000; Zeelenberg, 1999b). Secondo Miller e Taylor (1995) il fatto che le persone siano più restie a cedere un biglietto della lotteria un’ora prima dell’estrazione rispetto a quanto lo siano due settimane prima, sarebbe un esempio dell’azione dell’anticipazione del regret: tanto più siamo vicini all’estrazione, tanto più diventa facile anticipare il regret di scoprire che avremmo potuto essere noi i vincitori.

Simonson (1992) ha mostrato come le scelte possano venire manipolate semplicemente rendendo maggiormente saliente la possibilità di provare regret post-decisionale. Prima di fare un acquisto, Simonson chiedeva a dei consumatori di pensare al regret che proverebbero se scoprissero di aver preso la decisione sbagliata, comprando un prodotto che poi si rivela malfunzionante. Questa domanda rendeva i consumatori maggiormente propensi a fare scelte che non li esponessero al regret, per esempio preferivano prodotti costosi di marche note rispetto a prodotti meno costosi di marche non note, più convenienti ma anche più rischiosi. Analogamente, rendere più saliente il regret anticipato è una strategia efficace per persuadere a sottoscrivere assicurazioni (Hetts, Boninger, Armor, Gleicher e Nathanson, 2000), mentre la sua riduzione, mediante promozioni come il “prezzo più basso garantito”, rende i consumatori più soddisfatti e propensi all’acquisto (McConnell, Niedermeier, Leibold, El-Alayli, Chin e Kuiper, 2000).

Richard, van der Pligt e de Vries (1996) hanno mostrato come l’anticipazione del regret possa essere sfruttata per promuovere comportamenti di prevenzione. Nel loro studio le persone che anticipavano il regret conseguente ad aver praticato sesso non protetto mettevano poi in atto nei mesi successivi maggiori misure di prevenzione rispetto ad un gruppo di controllo. Risultati simili sono stati trovati nel campo della prevenzione degli incidenti stradali (Parker, Strader e Manstead, 1996), della sicurezza informatica (Wright e Ayton, 2005) e nella promozione dell’attività fisica (Abraham e Sheeran, 2004), consolidando l’idea che

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l’avversione per il regret sia quindi un’importante determinante dell’attività decisionale.

L’avversione per il regret non va confusa con l’avversione per il rischio, anticipare il regret non porta necessariamente a preferire scelte che minimizzano il rischio. Per quanto alcuni studi abbiano mostrato che il regret anticipato riduce la tendenza a mettere in atto comportamenti rischiosi (Nordgren, van der Pligt e van Harreveld, 2007; Josephs, Larrick, Steele e Nisbett, 1992), altri studi hanno dimostrato che gli effetti di rischio e regret sono spesso difficilmente distinguibili e che il comportamento delle persone è solitamente atto all’evitamento del regret piuttosto che del rischio. Consideriamo la seguente scelta tra due alternative:

A. si lancia una moneta, se viene testa vinci 2000€

B. 1000€ sicuri

Se scegliamo l’alternativa B, la scelta sicura, non sappiamo che risultato avremmo ottenuto se avessimo scelto di lanciare la moneta. Tuttavia se scegliamo l’alternativa A, la scelta rischiosa, sappiamo per certo che risultato avremmo ottenuto facendo una scelta diversa. Scegliere l’alternativa B in questo caso ci protegge dal regret e dal rischio. Se però prima della scommessa ci venisse detto che, indipendentemente dalla nostra scelta, conosceremmo l’esito del lancio della moneta, l’alternativa B ci proteggerebbe ancora dal rischio ma non più dal regret.

L’aspettativa di un feedback sugli esiti diventa quindi un fattore cruciale per l’anticipazione del regret. Larrick e Boles (1995) hanno mostrato che l’anticipazione del regret dovuta alla manipolazione del feedback atteso può portare a comportamenti di ricerca del rischio. Ai loro partecipanti veniva proposto uno scenario di negoziazione, in cui dovevano trattare con la ditta ALPHA per ottenere un’offerta vantaggiosa, sapendo che, indipendentemente dall’esito della trattativa, avrebbero poi conosciuto o meno anche l’offerta della ditta concorrente BETA. I partecipanti che non si aspettavano un feedback sull’offerta della ditta concorrente si sono dimostrati meno propensi al rischio, chiedendo di meno e raggiungendo facilmente un accordo con la ditta ALPHA.

Viceversa, i partecipanti che sapevano di ricevere in ogni caso un feedback erano maggiormente esposti al regret di scoprire che avrebbero potuto ricevere un’offerta più conveniente e quindi erano più restii a trovare facilmente un

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accordo con la ditta ALPHA. Analogamente Ritov (1996) e Zeelenberg, Beattie, van der Pligt e de Vries (1996) hanno mostrato, usando il paradigma della scelta tra scommesse, che l’aspettativa di un feedback influisce sistematicamente sulla decisione. Nello studio di Zeelenberg et al., ad esempio, ai partecipanti venivano presentate coppie di scommesse composte da un’alternativa relativamente più rischiosa e una relativamente più sicura, e venivano forniti due tipi di feedback:

feedback sull’alternativa sicura (indipendentemente dalla scelta, avrebbero saputo anche l’esito dell’alternativa sicura) o feedback sull’alternativa rischiosa (indipendentemente dalla scelta, avrebbero saputo anche l’esito dell’alternativa rischiosa). I partecipanti hanno mostrato una marcata preferenza per le alternative su cui attendevano il feedback, e cioè le alternative sicure nella condizione con feedback sull’alternativa sicura e quelle rischiose nella condizione con feedback sull’alternativa rischiosa. Evitare di sapere come sarebbe andata se avessero scelto diversamente protegge dalla possibilità di provare regret, l’anticipazione del regret nel momento della presa di decisione porterebbe quindi a preferire le alternative che minimizzano la possibilità di provare questo sentimento doloroso, non necessariamente le alternative meno rischiose.

Recentemente Reb (2008) ha usato un simile paradigma sperimentale per indagare gli effetti dell’anticipazione del regret sulla qualità del processo decisionale. I risultati ottenuto hanno mostrato che le persone impiegano più tempo per prendere una decisione e raccolgono maggiori informazioni quando si aspettano un feedback anche sulle alternative controfattuali rispetto a quando sanno che verranno a conoscenza esclusivamente dell’esito della propria scelta. L’avversione per il regret, attraverso la sua anticipazione, avrebbe quindi anche l’effetto benefico di spingere le persone a cercare nuove informazioni e a mettere in atto processi di ragionamento analitico, con la conseguenza di migliorare la qualità del processo decisionale.

2.5. L’esperienza del regret

Quali sono le conseguenze dell’aver provato regret? Come si comportano le persone dopo che si sono rese conto che avrebbero fatto meglio a scegliere o a comportarsi diversamente? Rispetto all’anticipazione, che è stata oggetto di

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numerosi studi, l’esperienza del regret e i suoi effetti sulle decisioni hanno ricevuto minori attenzioni empiriche. L’assunto comune è che le persone mettano in atto comportamenti volti a minimizzare il regret provato e a evitare di provarlo nuovamente, ad esempio facendo scelte diverse da quelle che hanno portato in precedenza all’esito indesiderabile. Zeelenberg e Beattie (1997) hanno mostrato che il regret esperito può influenzare il comportamento successivo, nel loro caso le offerte in un gioco di negoziazione noto come Ultimatum Game. In questo gioco due persone, dette offerente e ricevente, devono spartirsi una somma di denaro, l’offerente fa una proposta su come dividere la somma e il ricevente deve scegliere se accettarla o rifiutarla, nel qual caso nessuno dei due giocatori riceve niente. Nell’esperimento di Zeelenberg e Beattie tutti partecipanti giocavano come offerenti e dovevano dividere la somma di 100 Fiorini assieme ad un ricevente scelto dal computer. Il gioco era manipolato in modo che tutte le offerte venivano accettate indipendentemente dalla loro entità, e ai giocatori veniva detto che la loro offerta sarebbe stata accettata anche se fosse stata più bassa di 2 Fiorini o di 10 Fiorini. Successivamente gli stessi partecipanti giocavano un secondo round sempre come offerenti assieme ad un diverso ricevente. I partecipanti che avevano scoperto di aver offerto 10 Fiorini di troppo provavano maggiore regret e facevano offerte più basse nel secondo round rispetto a quelli che avevano scoperto di aver offerto 2 Fiorini di troppo.

Altri studi sul comportamento dei consumatori (Tsiros e Mittal, 2000; Zeelenberg e Pieters, 1999) hanno mostrato che il regret dovuto a prodotti o servizi non soddisfacenti porta all’intenzione di non comprare più questi prodotti e di abbandonare l’attuale fornitore di servizi per affidarsi ad uno nuovo. Questi risultati sono in linea con l’idea che il regret sia un’emozione adattiva e abbia la funzione di segnalarci che abbiamo fatto un errore, ad esempio quando compriamo un prodotto che si è poi rivelato insoddisfacente, e di prepararci ad agire nel migliore dei modi quando si ripresenterà una simile occasione, ad esempio evitando il prodotto scadente e cercando informazioni per fare un acquisto più oculato e non sprecare i nostri soldi.

Non sempre però l’esperienza di regret è funzionale e aiuta a fare scelte migliori, in certi casi il voler evitare di provare nuovamente regret può portare ad

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abbandonare una buona alternativa per fare invece scelte sub-ottimali. Ratner e Herbst (2005) hanno mostrato che le persone possono provare regret anche se l’esito negativo è stato una conseguenza di una buona scelta, e che questo porta all’intenzione di non fare più questa scelta in futuro. Dovendo scegliere tra due broker quello a cui affidare i propri risparmi, i loro partecipanti preferivano ovviamente quello con il maggiore tasso di successo. Metà di loro veniva poi informata che il broker da loro scelto aveva avuto successo, incrementando il capitale del 15%, mentre all’altra metà veniva comunicato che il loro broker non aveva avuto successo, e che il loro capitale era diminuito del 15%. Quando veniva poi chiesto quale broker avrebbero scelto in un successivo investimento, i partecipanti che avevano avuto successo riconfermavano il broker scelto precedentemente, mentre solo il 77% dei partecipanti che avevano diminuito il capitale davano nuovamente fiducia allo stesso broker, nonostante riconoscessero che fosse quello con il maggior tasso di successo. Questo cambiamento nel comportamento è risultato essere mediato dal regret provato in precedenza, quando avevano saputo l’esito dell’investimento. L’urgenza di cambiamento dovuta ad un esito negativo può spingere ad abbandonare un’alternativa ottimale, che però per motivi anche casuali ha portato al fallimento, per preferire invece un’alternativa con minore probabilità di successo.

3.LE BASI NEURONALI DEL REGRET

Studi di neuroscienze hanno indagato quali siano le strutture cerebrali coinvolte nei processi di decision-making e nelle emozioni ad essi associate. Diverse evidenze sperimentali concordano nell’individuare nella corteccia orbitofrontale la struttura critica per i processi decisionali. La corteccia orbitofrontale si attiva infatti nella valutazione e nel confronto degli esiti (Elliott, Newman, Longe e Deakin, 2003; Breiter, Ahron, Kahneman, Dale e Shizgal, 2000) ed è connessa con le regioni prefrontali dorsolaterali attive nel ragionamento e nella pianificazione e con le aree limbiche fondamentali per le emozioni, come l’amigdala. Pazienti con lesioni focali nella corteccia prefrontale, pur mantenendo intatte le capacità di memoria e ragionamento, mostrano ridotte capacità di

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prendere decisioni in ambito individuale, per esempio perseverando in investimenti finanziari fallimentari, e in ambito sociale, dimostrandosi ad esempio incapaci di intrattenere relazioni sociali stabili (Bechara, Damasio e Damasio, 2000; Anderson, Bechara, Damasio, Tranel e Damasio, 1999). Damasio e colleghi attribuiscono questo deficit all’incapacità di generare marcatori somatici, ovvero sensazioni viscerali che “etichettano” positivamente o negativamente le alternative di una scelta, permettendo di anticiparne le conseguenze emotive (Bechara, Damasio, Tranel e Damasio, 1997). Questa controversa ipotesi prevede quindi un’azione bottom-up delle aree subcorticali sulle aree della corteccia cerebrale, ovvero l’influenza delle emozioni sui processi cognitivi implicati nella presa di decisione.

La corteccia orbitofrontale sembra avere un ruolo fondamentale anche per l’insorgenza del regret. Uno studio di Camille, Coricelli, Sallet, Pradat-Diehl, Duhamel e Sirigu (2004) ha confrontato le prestazioni di pazienti con lesioni selettive della corteccia orbitofrontale e di un gruppo di controllo composto da partecipanti privi di lesioni, in un compito di scelta tra scommesse simile a quello usato da Mellers, Schwartz e Ritov (1999) per testare la subjective expected pleasure theory. Ai loro partecipanti veniva richiesto di effettuare una serie di scelte tra coppie di scommesse monetarie, dopo ogni scelta ricevevano un feedback solo sull’esito della scommessa scelta (condizione feedback parziale) o anche sull’esito della scommessa non scelta (condizione feedback totale), in modo da indurre il regret, e dovevano riportare il loro stato emotivo su una scala. Le valutazioni riportate dal gruppo di controllo, coerentemente con i risultati di Mellers et al. (1999), non erano basate solo sul valore assoluto della vincita o della perdita, ma su un confronto tra il risultato ottenuto e quello che avrebbero potuto ottenere se avessero fatto una scelta diversa. Ad esempio, una vincita di 50€ veniva valutata più negativamente quando l’alternativa avrebbe fatto vincere 200€ rispetto a quando l’alternativa avrebbe portato ad una perdita di 200€.

Inoltre i partecipanti del gruppo di controllo anticipavano il regret facendo scelte che minimizzavano la possibilità di provare questa emozione negativa. I pazienti con lesioni alla corteccia orbitofrontale non hanno mostrato effetti legati al regret, né nella valutazione dei loro stati emotivi né nelle scelte. Riportavano di essere

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felici quando vincevano e di essere tristi quando perdevano, e le loro valutazioni dipendevano solo dal valore atteso dell’esito, erano indipendenti dal valore delle scelte alternative. Anche le loro scelte non erano guidate dall’avversione per il regret ma unicamente dalla massimizzazione dell’utilità attesa, dimostrando paradossalmente un comportamento maggiormente in accordo con la teoria della decisione razionale rispetto al gruppo di controllo. I pazienti con lesioni alla corteccia orbitofrontale si sono dimostrati quindi incapaci generare valutazioni e aspettative basate sul confronto tra esiti reali e controfattuali, non provano regret e di conseguenza non lo anticipano e non possono imparare da precedenti esperienze di regret.

L’implicazione della corteccia orbitofrontale nell’anticipazione e nell’esperienza del regret è stata confermata anche da uno studio di risonanza magnetica funzionale. Coricelli, Critchley, Joffily, O’Doherty, Sirigu e Dolan (2005) hanno usato lo stesso paradigma sperimentale descritto precedentemente con dei partecipanti privi di lesioni cerebrali, trovando un aumento dell’attività cerebrale nella corteccia orbitofrontale sia nell’anticipazione del regret, al momento della scelta, sia durante la sua esperienza, dopo il confronto con gli esiti controfattuali. I risultato hanno mostrato inoltre che, nelle scelte successive all’esperienza del regret, aumenta l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale destra, della corteccia orbitofrontale laterale destra e del lobulo parietale inferiore, aree associate al controllo cognitivo. L’esperienza del regret porta quindi ad attivare meccanismi di controllo cognitivo nelle scelte successive.

Alla luce di questi risultati Coricelli, Dolan e Sirigu (2007) hanno proposto una diversa interazione tra emozioni e decision-making rispetto a quanto ipotizzato da Damasio e colleghi. Secondo Coricelli et al. sarebbe più corretto parlare di un processo top-down dai processi cognitivi alle emozioni, in cui la corteccia orbitofrontale modula la produzione delle emozioni tramite il pensiero controfattuale. L’incapacità di mettere in atto meccanismi di confronto controfattuale, osservata nei pazienti con lesioni alla corteccia orbitofrontale, porta infatti a non poter generare le emozioni associate alla presa di decisioni, come il regret, e quindi a non poter mettere in atto meccanismi adattivi di regolazione e aggiustamento del proprio comportamento.

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4.CONCLUSIONE

Nessuna teoria della decisione può oggigiorno considerasi completa senza tenere in considerazione il ruolo delle emozioni nei processi decisionali. La ricerca sul pensiero controfattuale e sul regret mostra come gli esiti ottenuti vengano valutati anche in base al confronto con gli esiti delle alternative scartate, ad esempio non siamo poi così contenti di vincere 50€ quando avremmo potuto vincerne 200€, mentre perdere 50€ può essere un sollievo quando l’alternativa ci avrebbe fatto perdere 200€. L’importanza del regret deriva principalmente dalla possibilità di anticiparlo, le reazioni emotive post-decisionali possono infatti essere considerate già nel momento in cui prendiamo una decisione.

Vorremmo concludere questa rassegna con alcune considerazioni sui principali problemi che riscontra che si occupa di ricerca sul regret nei processi decisionali.

Innanzitutto bisogna riconoscere che il costrutto di regret non ha una definizione univoca. Da una parte abbiamo definizioni psicologiche, come quella di Landman (1993) secondo cui il regret è “a more or less painful cognitive and emotional state of feeling sorry for misfortunes, limitations, losses, transgressions, shortcomings or mistakes”, talmente ampie da risultare fin troppo vaghe e rendere difficile distinguere il regret da un più generico dispiacere. Similmente la decision justification theory (Connolly e Zeelenberg, 2002) ipotizza due componenti di regret, regret per il processo decisionale e regret per l’esito, estendendo però quest’ultimo anche a situazioni in cui la decisione non è stata presa da noi e non c’era la possibilità di cambiarne l’esito, rendendo virtualmente ogni situazione con esito negativo una situazione di regret. Viceversa le definizioni di regret proposte dalle teorie economiche sono fin troppo specifiche, restringendo il regret a situazioni in cui gli esiti delle alternative non scelte devono essere noti e non solo immaginati tramite operazioni di pensiero controfattuale, risultando difficili da applicare a situazioni di vita reale.

Un altro problema tipico della ricerca sul regret è quello della validità ecologica, dovuto alla difficoltà nel costruire situazioni che inducano effettivamente questa emozione e siano rappresentative di quanto accade nella vita reale. Per ovvi motivi non è possibile usare situazioni di scelte reali che prevedano gravi perdite,

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