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Fonti letterarie e verità storica nell’Innominato manzoniano.

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Academic year: 2021

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APPENDICE.

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L’INNOMINATO, OVVERO BERNARDINO VISCONTI: DATI STORICI E FONTI LETTERARIE RIGUARDANTI LA FIGURA DI UN PERSONAGGIO TRA VERITA’ E LEGGENDA.

Fonti letterarie e verità storica nell’Innominato manzoniano.

Partendo ovviamente dai Promessi sposi, sappiamo che Manzoni aveva notizie abbastanza precise riguardo alla figura storica di Bernardino Visconti (ovvero l’Innominato): l’autore infatti (come sottolinea il parroco di Brignano don Cesare Donini in un suo studio sul personaggio) era un lontano parente dei visconti di Brignano (Ortensia Visconti di Brignano è la madre di Cesare Beccaria, nonno di Alessandro) la cui discendenza si estinse con Antonietta Visconti, morta nel 1892, e dalla quale appunto Manzoni avrebbe potuto avere informazioni più dettagliate.

Tuttavia nei Promessi sposi non vi è mai il tentativo di integrare le informazioni ricavate dal Rivola e soprattutto dal Ripamonti (le fonti da lui citate) con altri dati forse più attendibili, e l’autore preferisce invece mantenersi ad una certa distanza. Del personaggio infatti non viene detto né il nome, né altri dati identificativi, benché fossero ben noti al Manzoni (solo in una lettera a Cantù rivelerà le sue fonti e l’identificazione Innominato- Bernardino); perciò là dove, alla fine del XIX capitolo dei Promessi sposi, veniamo introdotti alla figura dell’Innominato, così ci viene presentato il

“terribile uomo”: “di costui non possiamo dare né il nome, né il cognome, né una congettura sopra tutto ciò….ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore”, che è comunque una strategia narrativa assai stimolante

1

.

Tuttavia anche motivazioni letterarie potrebbero aver determinato questa scelta: è probabile che il Manzoni, per fronteggiare ai difficili rapporti che intercorrono tra storia e invenzione, non tollerasse commistioni incoerenti tra i due ambiti; per cui una cosa sono i fatti, un’altra le invenzioni e quest’ultime possono fornire nuovi sensi di lettura ma non una radicale

1 Forse influisce anche il rispetto per gli ultimi discendenti dei Visconti, che era poi Antonietta Visconti; sappiamo infatti che scrisse al Manzoni risentita quando Cantù rese pubblica la lettera.

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riscrittura. Il personaggio dell’Innominato, e così la figura storica di Bernardino Visconti, poteva costituire un grosso problema proprio nel senso della coerenza storiografica, e Manzoni era cosciente di quanto fosse facile cadere nelle falsificazioni: l’Innominato infatti viene immaginato nel 1628 più che sessantenne quando in realtà aveva 49 anni (Donini), e anche la data di conversione (di cui parla il Ripamonti e che è storicamente documentata) viene posticipata di circa 13 anni rispetto ai risultati delle ricerche archivistiche del Donini, che la va invece a collocare nel 1615

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. Ed ecco perché dunque Manzoni preferisce rifarsi alla Storia patria del Ripamonti che, da una parte costituisce di per sé una affidabile fonte storiografica, ma dall’altra, nella sua vaga indeterminatezza, costituisce un riferimento non vincolante per gli sviluppi dell’intreccio.

Il Ripamonti non parla mai della vita e della attività criminosa condotta dall’Innominato in Milano ma accennando solo che questi era “non ultimo tra i magnati della città” prosegue dicendo che “preferì a questa la campagna” dove, “posta la sua dimora al lembo della provincia milanese, traeva una vita sciolta e indipendente”; poi accenna ad un suo non ben identificato allontanamento per motivi giudiziari, a seguito del quale, una volta tornato “avanzassi a tanto, che menandosi a marito la sposa di un principe straniero, la rapì, se la tenne e la fè sua con nozze illegali”. Non si allude in questo passo ad un eventuale cambio di dimora a seguito del rimpatrio: infatti quando, subito dopo, va a parlare della sua casa, “officina di crudeli mandati”, e spiega che, “poiché di là gli era facile il tragitto a’Bergamaschi e Bresciani, la costui famiglia era contumace contro gli editti e la maestà dell’impero”, sembra indicare lo stesso luogo al confine della provincia milanese indicato poco prima.

2 Nel maggio e giugno del 1615 ha luogo la visita pastorale di Federigo Borromeo nel lecchese: è forse questo il momento della nota conversione anche perché nei bandi successivi Bernardino non figura più come bandito. Cesare Donini ipotizza che l’incontro tra il Borromeo e il Visconti sia stato preparato dai parenti di quest’ultimo (dei quali molti erano ecclesiastici) e magari concordato con le autorità. Il Borromeo infatti aveva già aiutato un altro bandito pochi anni prima (anche la lettera dell’Osio al cardinale del 1608 potrebbe indicare un’analoga richiesta d’aiuto); inoltre l’arcivescovo conosceva bene i fratelli Visconti di Brignano e ce lo dimostra uno scambio di corrispondenza dell’anno prima tra questi e il prelato (Borromeo scrive infatti ai fratelli Visconti una lettera per informarli che il nipote Gilio Cesare sarebbe passato da Brignano diretto a Crema; a questa Bernardino risponde in data 22 settembre 1614 assicurando, unitamente al fratello, tutto il loro appoggio).

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Passa quindi a raccontare una sua seconda fuga dallo stato di Milano, accompagnata dall’aneddoto dei pittoreschi insulti al governatore, citata e tradotta con parole simili anche da Manzoni: “Avendo una volta quel signore a mutar di paese per certi perché, tanto modesto, occulto e pauroso lo fece, che fendè a diritto tutta la città con cani e cavalli a suon di trombette, passando proprio innanzi al palazzo reale, anzi alle porte lasciando un’imbasciata di villanie per il governatore”.

A seguito di questo episodio nuovamente non viene fatto accenno a nessun eventuale cambio di dimora, ma lo storico passa a raccontare dei suoi costumi in fatto di religione e della sua successiva conversione, cioè di come l’abboccamento avuto con il cardinale Federigo Borromeo abbia poi causato una completa mutazione nel suo animo e nel suo stile di vita:

“Correa fama che avesse rotto ogni freno anche della chiesa e de’ suoi misteri, e che non si fosse mai confessato. Ora costui volle presentarsi al cardinale Federigo, una volta che questi erasi nella visita fermato non guari lontano dal suo terribile covo. Viene cortesemente ammesso: due ore buone rimane a colloquio. Che siasi detto nol sapemmo giammai, perché né alcun di noi osò interrogare il cardinale, né colui ne disse verbo. Certo però successe tal mutazione d’animo, di vita, di costumi, che quella grande e portentosa novità si attribuì senza paura d’opporsi falso, alla efficacia dell’abboccamento; e tutta quella famiglia di scherani la riconosceva opera del cardinale, e gliene voleva maggior male, quasi le avesse tolto il pane di bocca …Assai anche fra i grandi cittadini, legati con lui in occulta società di atroci consigli e di funeste azioni, dopo che intesero come mutato del tutto da quel che soleva…pensate quali rimasero e quali alcuni esteri, che si erano giovati di lui per compiere qualche insigne uccisione, e che gli avevano più d’una volta mandato ed ajuti e sicari”.

Infine Ripamonti, dicendosi testimone oculare, ci dà una significativa immagine del personaggio ormai convertito ed in età avanzata:

“Alcun tempo dipoi io vidi colui in vecchiezza cruda e robusta ancora, non conservar della primitiva ferocia altro se non i marchii onde le abitudini improntano sul volto l’indole di ciascuno.

Ma questi stessi erano così corretti dalla mansuetudine pur ora vestita, che appariva la natura quasi vinta rintuzzata sotto la sferza”

.

Nei Promessi sposi tuttavia, benché Manzoni il non aggiunga niente di

nuovo alle informazioni della Storia patria, tuttavia queste vengono

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mescolate e combinate o in parte taciute di modo che la sintetica biografia di questo personaggio risulta alla fine essere sostanzialmente diversa da quella proposta dal Ripamonti, e, nel suo distanziarsi dalla fonte, sembra avvicinarsi a quella che è l’effettiva verità storica su Bernardino Visconti.

Manzoni infatti, anche se da principio traduce alla lettera la parte iniziale del passo del Ripamonti

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, tuttavia subito dopo, lasciando in sospeso il precedente discorso, cessa di tradurre e comincia a presentare direttamente il suo personaggio, appoggiandosi solo saltuariamente alle citazioni della fonte:

“Da questo scrittore prenderemo qualche altro passo, che ci venga in taglio per confermare e per dilucidare il racconto del nostro anonimo”

. Quindi, tacendo proprio l’episodio della prima fuga dallo stato di Milano e del rapimento e del matrimonio con una principessa straniera, che effettivamente, come sottolinea sempre Donini, potrebbe essere una deformazione fantastica dello storicamente documentato rapimento della madre

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, passa ora a tratteggiare la sua prima gioventù trascorsa in Milano tra i nobili suoi pari dove iniziò la sua fase criminale distinguendosi per le sue efferatezze.

Solo dopo aver parlato della sua vita in Milano, a questo punto viene nuovamente ripresa la fonte e collocato l’episodio di quella che per il Ripamonti sarebbe stata la sua seconda fuga: “…per conto suo, e per conto d’altri, tante ne fece che…dovette dar luogo, e uscir dallo stato. Credo che a questa circostanza si riferisca un tratto notabile raccontato dal Ripamonti.

<Una volta che costui ebbe a sgomberare il paese, la segretezza che usò, il rispetto, la timidezza, furon tali: attraversò la città a cavallo, con un seguito di cani, a suon di tromba; e passando davanti al palazzo di corte, lasciò alla guardia un’imbasciata d’impertinenze per il governatore>”.

Questo episodio, stando alle parole del Manzoni (e confortate da quanto emerge dagli studi del Donini), sembra assumere una posizione particolarmente rilevante nella biografia del personaggio. E’ infatti qui che

3 “Riferirò il caso d’un tale che, essendo de’primi tra i grandi della città, aveva stabilita la sua dimora in una campagna situata sul confine; e lì, assicurandosi a forza di delitti, teneva per niente i giudizi, i giudici, ogni magistratura, la sovranità; menava una vita affatto indipendente; ricettatore di fuorusciti, fuoruscito un tempo anche lui; poi tornato come se niente fosse…”.

4 Nel 1590 Bernardino, con l’aiuto di alcuni parenti, rapisce la madre Paola Benzoni per impedirle di sposare in seconde nozze Cottino Cotta di Valcuvia; a questo fatto segue un processo senza conseguenze perché il giudice ritenne che fossero affari di famiglia.

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si parla dei suoi legami con importanti personaggi anche stranieri, ai quali il Ripamonti accenna appena in tutt’altro contesto: “Nell’assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le corrispondenze con que’ suoi tali amici, i quali rimasero uniti con lui, per tradurre letteralmente dal Ripamonti, < in lega oculta d’atroci consigli e di cose funeste >. Pare anzi che allora contraesse con più alte persone, certe nuove terribili pratiche, delle quali lo storico summentovato parla con una brevità misteriosa. < Anche alcuni principi esteri > dice < si valsero più volte dell’opera sua>”. Inoltre, sempre a detta di Manzoni, è da connettersi a questo episodio, il ritiro dell’Innominato nel suo famoso castello: “finalmente (non si sa dopo quanto tempo), o fosse levato il bando, per qualche potente intercessione, o l’audacia di quell’uomo gli tenesse luogo d’immunità, si risolvette di ritornare a casa, e vi tornò difatti; non però in Milano, ma in un castello confinante con il territorio bergamasco, che allora era, come ognun sa, stato veneto”.

In sostanza quindi Manzoni riconosce solo il secondo dei due episodi di fuga riferiti dal Ripamonti, e attribuendo al fatto il giusto rilievo lo connette direttamente con il ritiro nel castello e l’inizio della fase più nota, che potremmo dire quasi leggendaria, dell’attività criminale dell’innominato. E’

a seguito di ciò infatti che “tutti i tiranni, per un bel tratto di paese all’intorno, avevano dovuto, chi in un’occasione e chi in un’altra, scegliere tra l’amicizia e l’inimicizia di quel tiranno straordinario”.

Siamo così giunti al punto in cui la breve biografia proposta dal Manzoni si va a congiungere con l’intreccio dei Promessi sposi, quando “la fama di questo nostro era già da tempo diffusa in ogni parte del milanese: per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa d’irresistibile, di strano, di favoloso”; per quanto riguarda invece l’incontro con Federigo Borromeo non c’è cenno nel XIX capitolo e sarà infatti messo in scena nei successivi.

Un taglio biografico di questo tipo, che in sostanza posticipa la fuga e il

ritiro nel castello di Brignano connettendola all’inizio della fase più nota

dell’attività criminale dell’Innominato, trova buona conferma anche nella

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ricerca archivistica del Donini, dalla quale tuttavia emergono dati decisamente più particolareggiati e comunque contraddittori rispetto alla semplicistica ricostruzione di Ripamonti.

Sembrerebbe infatti che Bernardino, prima di ritirarsi nel suo famoso castello (che possiamo collocare nel feudo di Brignano di Gera d’Adda), avesse già da tempo condotto una vita al limite dell’illegalità, risiedendo variamente tra Milano e le campagne circostanti. Sappiamo a tal proposito che, pur essendo nato (nel 1579) nel suddetto feudo di Brignano, passò poi la fanciullezza e la prima gioventù in Milano, prima presso il palazzo Visconti in S. Giovanni in Conca, poi, dopo la morte del padre (Giovanni Battista Visconti) nel 1584, non è ben chiaro se si sia trasferito con i fratelli nell’altro palazzo Visconti della città, quello di via Lanzone, o se sia invece stato mandato dai tutori nel Collegio dei nobili.

Al 1593 risale la prima notizia di un’azione violenta, una spedizione punitiva contro un fittavolo, a cui Bernardino a soli 14 anni sembra aver preso parte assieme ai fratelli; da quel momento in poi, per gli anni successivi, si moltiplicheranno gesta simili documentate dai vari bandi ed atti giudiziari del tempo.

Così nel 1596 i fratelli si dividono i beni e Bernardino si ritira in campagna dove costituisce una banda ed inizia la sua attività criminosa. E’ possibile che già da adesso la sua dimora fosse il feudo di Brignano, infatti di questo periodo sono i ripetuti scontri contro i Secco Suardi di Lurano che avevano le proprietà proprio oltre il fosso bergamasco, il quale appunto lambisce detto feudo.

La contesa con i Secco Suardi sembra assorbire tutti gli sforzi dei fratelli

Visconti e non solo di Bernardino, infatti continuò in vario modo anche in

anni successivi: così al 9 maggio 1598 risale l’ordine di cessazione delle

ostilità da parte delle autorità; dell’anno successivo è la reclusione dei

Visconti nel castello di Novara, determinata appunto dal non aver rispettato

detto ordine; e infine nel 1600 abbiamo notizia di un loro rientro in Milano

(dove alloggiarono nel loro palazzo di via Lanzone) al fine di siglare un

accordo presumibilmente ufficiale con la famiglia nemica. Dell’efficacia di

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tale accordo abbiamo conferma dal fatto che tale contesa familiare non sarà più menzionata in seguito.

Proprio da questo momento è probabile che Bernardino abbia avviato la sua attività delinquenziale in modo autonomo e indipendente dagli altri fratelli:

infatti sappiamo che nei due anni successivi, sempre vivendo in campagna (non sappiamo dove) commise una serie di delitti, che gli valsero appunto la confisca dei beni e l’avvio di una lunga vertenza legale con veri o falsi creditori. A prova di ciò c’è da dire che risalgono agli anni successivi i tre bandi

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, in cui troviamo l’Innominato ricercato e sottoposto a taglia assieme ad altri banditi, e grazie ai quali Cantù poté identificare proprio il personaggio manzoniano con la figura storica di Bernardino Visconti (confermato poi dalla lettera dello stesso Manzoni a Cantù, che tuttavia è introvabile e per alcuni un falso).

Anche se non sono citati delitti particolari, è possibile che, proprio a seguito di quest’ultime vicende, si sia andata delineando la figura leggendaria che di questo personaggio è stata tramandata; sappiamo infatti che in connessione a questo fatto Bernardino riparò nei Grigioni e proprio in quell’occasione passò davanti alla corte ducale di Milano mandando pittoreschi insulti al governatore; inoltre è probabilmente da attribuirsi a questa circostanza l’inizio della connivenza criminosa dell’Innominato con personaggi importanti della scena politica d’allora ed anche il suo conseguente ritiro nel celebre castello di cui tutte le fonti, pur non citandone direttamente il nome, sembrano dare indicazioni convergenti nel feudo Visconti di Brignano.

In conclusione possiamo dire che per la figura dell’Innominato il Manzoni si mantenga, come dire, a mezza strada tra l’invenzione e la storiografia, scegliendo appunto la direzione del mito, della leggenda, e in questo la mediazione del Ripamonti, come l’idea dell’anonimo, costituisce una sorta di garanzia d’autorevolezza e al tempo stesso una sorta d’alleggerimento da eventuali responsabilità. Inoltre vi sono alcuni cambiamenti, perlopiù espunzioni, nel passaggio dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi, che

5 Il primo bando risale al 10 marzo 1603, qui Bernardino è ricercato assieme ad altri sette suoi banditi e la sua taglia è di 200 scudi. Il secondo, di alcuni anni dopo, è datato invece 30 maggio 1609, e potrebbe essere connesso a fatti di importanza maggiore, infatti riguarda ben 800 banditi tra i quali compare anche la banda di Bernardino.

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mostrano ancora la preoccupazione di limitare il più possibile ogni falsificazione di dati storici, a fronte della quale il Manzoni sembra preferire una generica indeterminatezza. Infatti nel Fermo e Lucia troviamo narrato un incontro tra Federigo e l’Innominato, entrambi adolescenti, che venne poi soppresso, su consiglio di Ermete Visconti nella versione della ventisettana; e ancora, sempre nel “Fermo e Lucia”, ci viene narrata anche la morte del personaggio, una volta convertito, nell’ambito delle cure da lui prestate agli appestati, episodio poi completamente taciuto dopo la prima riscrittura

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.

L’Innominato secondo Gualtieri: tra riferimenti letterari e falsificazione storiografica.

Il Gualtieri invece, nonostante il rapporto di filiazione nei confronti del Manzoni (che viene definito padre ideale del libro) e del suo personaggio sia evidente e dichiarato, segue tuttavia un approccio diverso. Di questa figura storicamente documentata fa il protagonista della serie (o almeno della prima parte): “Vedemmo che difficilmente saremmo sfuggiti alla taccia di temerari…coll’aver fatto eroe della nostra storia un personaggio ivi stupendamente pennelleggiato in poche pagine…”.

Tuttavia inizialmente proprio per sfuggire a quella taccia di temerarietà inevitabile per chiunque voglia concorrere con un tale modello, l’opera viene presentata come nota o semplice chiosa storiografica dei Promessi sposi

: “Non gli spiacque la frase da noi messa avanti - per commento ai Promessi sposi - e consentì che ce ne giovassimo noi e anche meglio il nostro editore. Gli promettemmo che poi non avremmo per alcuna maniera tirate in scena le sue creazioni, i personaggi del suo romanzo, avendo noi scelto il solo Innominato, come quello che è personaggio storico, e del quale inoltre non avremmo narrato che i fatti precedenti, guardandoci diligentemente dal riprodurlo nell’epoca, ch’ei lo aveva tolto a descrivere. Allora ci rassicurammo, pensando che come nota o semplice chiosa ai Promessi sposi il nostro

6 L’incontro tra Bernardino e Federigo sarebbe avvenuto infatti nel 1580 il che è assolutamente impossibile visto che in quel tempo Bernardino avrebbe avuto un anno mentre Federigo già sedici. Per quanto riguarda invece la data della sua morte nei Promessi sposi non ci viene dato alcun indizio, tuttavia è del tutto improbabile che sia morto durante la peste: risale infatti al 1647 la registrazione di un lascito fatto da Bernardino all’oratorio di S. Maria delle Grazie (poi S. Anna) in frazione di Caetta (Bagnolo Cremasco), il che lascia supporre che per quella data fosse ancora vivo.

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libro potesse essere favorevolmente accolto, sfuggendo alla taccia di petulante presunzione”.

Al fine di ribadire il rigore storiografico del suo lavoro l’autore accenna poi all’intenzione di condurre alcune indagini archivistico-archeologiche presso il castello dell’Innominato (visita al ristrutturato castello di Brignano di cui ci parlerà più distesamente nell’introduzione a Dio e l’uomo): “…portammo con noi questo nostro racconto…sperando poi di condurlo a buon fine una volta che fossimo in sito dove poter consultare libri, documenti che ci parlassero del nostro protagonista, recarci al castello già da lui abitato…e trovar così di che riempire le lacune, onde era dovunque sparsa la nostra storia…”.

Subito dopo tuttavia viene indicata come principale fonte documentaria Le cronache del Ripamonti tradotte da Cantù, di cui viene trascritto per intero quel passo da cui anche Manzoni aveva preso le sue saltuarie citazioni, che in effetti sappiamo essere, non solo generico, aneddotico e poco rigoroso, ma a tutti gli effetti fuorviante

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: “…lasciate che vi dica su quali documenti si basi la nostr’opera. E prima vi ritroverete il brano delle cronache del Ripamonti che qui vi trascrivo, come egregiamente tradotto da Cesare Cantù”. A questo punto, di fronte al silenzio dello storico sul nome e la dimora del personaggio, Gualtieri dichiara nuovamente di aver personalmente portato avanti indagini storiografiche delle quali il presente libro e addirittura tutta la serie sarebbe il risultato, e nel far questo prende espressamente le distanze in senso teorico dal precedente manzoniano

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: “Ma chi era cotesto gran bravo? Dove abitava? Perché il Manzoni non accennò il sito appunto del suo castello? …Ecco a qual punto si eran portate fin qui le indagini sulla vita di questo temuto personaggio. Se abbiamo fatto progredire questo processo di storia, in parte deve attribuirsi alla nostra

7 Cosa che, come abbiamo visto, doveva essere ben chiara per il Manzoni che infatti si cura di reinterpretarne la dicitura; e sicuramente anche per il Gualtieri al quale la questione sarebbe infatti dovuta apparire evidente ad un primo ed elementare confronto tra la traduzione di Cantù e il testo dei Promessi sposi.

8 “E tanto oltre si spinsero le nostre ricerche, che ci trovammo avvolti in un labirinto, per districarci dal qual ci fu mestieri scrivere la bellezza di sette racconti storici…” (L’Innominato: nota 1 pag.

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pazienza, in parte alla generosità di un’illustre persona che ci aprì gli archivi venerati di famiglia

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…”.

Dunque fin qui l’autore sembra presentare il suo lavoro, anziché come un romanzo storico vero e proprio, piuttosto come uno di quei racconti inchiesta che, sulla scia della Storia della colonna infame si andavano moltiplicando nella fase finale della grande stagione di questo genere letterario.

Tuttavia alla fine dell’introduzione, in un ultima apostrofe al lettore, vengono drasticamente smentite tutte le precedenti pretese di rigorosa storicità, e l’autore c’informa, con un clamoroso voltafaccia di quanto la sua libera invenzione abbia influito nella struttura dell’opera: “Ed ora, che dite di questi epiteti indeterminati e vaghi che ancor rilasciano in dubbio, se questa opportuna provvidenza sia uomo o da una seconda ispiratrice? Basta che tu sappia, lettore, che nella formazione del nostro racconto v’entrarono que’preziosi elementi o divinità, di cui anticamente si formavano le muse”.

Questa dichiarazione chiarisce la direzione atipica in cui questi romanzi si muovono nel prendere sempre più distanza dalla prassi metodologica sottesa alla stesura dei Promessi sposi. Tale presa di distanza già era stata espressamente dichiarata senza mezzi termini dall’autore stesso due pagine addietro nella medesima introduzione, là dove finge di non avere ben chiaro il discorso manzoniano sul “difficile modo d’innestare il finto col vero, e sul determinare i confini dell’uno e dell’altro”; tuttavia solo quest’ultima affermazione chiarisce l’ambiguo significato di tali parole.

Gualtieri infatti, nella costruzione del suo personaggi non di indirizzerà né verso un massimo di precisione storiografica, e ancor meno verso un massimo di indeterminatezza e libera invenzione romanzesca: farà invece un po’ l’una e un po’ l’altra cosa, approdando così ad un ibrido difficilmente qualificabile, in cui una puntigliosa pignoleria documentaria

9 Forse si riferisce proprio ad Antonietta Visconti che sappiamo essersi adirata con Manzoni per aver reso di pubblico dominio (nella lettera a Cantù) il nome dell’Innominato. Infatti il discorso proseguendo sembra proprio alludere a questo specifico fatto: “Ma abbiamo già detto troppo, perché questa cominci a prendersela seco noi, e non vorremmo disgustare, chi tanto ne fu cortese ed amabile”.

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s’accompagna ad una fervida fantasia che stravolge precisi dati storici, prima accuratamente individuati.

Quanto detto a proposito della figura storica dell’Innominato, nelle pagine introduttive al primo libro, ha, per ora, ben poco di fondato: infatti qui non viene aggiunto nessun elemento identificativo di rilevanza storiografica a quanto già detto dal Ripamonti o dal Manzoni, e il discorso si mantiene ancora tra il vago e l’allusivo, secondo una collaudata tecnica di creazione della suspence. Solo nel corpo della narrazione si vedrà meglio qual è il metodo dell’autore: delle modalità di presentazione dell’Innominato quale elemento romanzesco mi occuperò in seguito nel capitolo specifico a lui dedicato, qui di seguito segnalo invece le più evidenti concordanze o falsificazioni storiografiche rinvenibili a proposito di questo personaggio.

Gualtieri, attorno alle notizie storiche (che potrebbe anche aver ricavato da autentiche ricerche) e leggendarie sulla figura dell’Innominato, costruisce il suo personaggio inventando liberamente e senza alcun riguardo né per la verità storiografica, né per l’illustre precedente manzoniano. L’Innominato quindi, a differenza di quanto avviene in Manzoni, prima viene giustamente identificato con il personaggio storico di Francesco Bernardino Visconti;

ma non viene poi rispettata la strada intrapresa, e la verità biografica di costui risulta fortemente manipolata, non solo con l’arricchire di fantasia un dato preesistente, ma addirittura falsificando dati e notizie presumibilmente note.

La prima e più evidente falsificazione riguarda proprio l’attribuzione della paternità di Bernardino (come nota anche Piancastelli) ad una figura storica molto nota, come il duca d’Alba, che, come vedremo, durante la sua carica di governatore di Milano nel 1555 (storicamente documentata), avrebbe violentato Valentina Visconti, madre appunto dell’Innominato.

Anche la sua data di nascita viene anticipata di 24 anni

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e questo risulta francamente una manipolazione fuori luogo poiché, anche se lo stesso Manzoni, lo immagina più vecchio (come abbiamo visto nel ’28 avrebbe avuto 49 anni, e non più di sessanta) e quasi coetaneo di Federigo

10 Cesare Donini ne ha scoperto l’atto di nascita datato e intestato: Brignano, 16 settembre, 1579.

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Borromeo, qui risulterebbe essere addirittura più anziano di lui di quasi dieci anni. Non è comunque raccontato alcun’incontro tra Federigo e Bernardino, infatti l’episodio della conversione, come promesso, è stato taciuto. Al suo posto troviamo una concomitante presenza nel 1576, di Carlo Borromeo e Bernardino (che è un giovane chierico al suo seguito), che in effetti non sarebbe stata altrimenti possibile se non anticipando di così tanto la sua nascita. Tale falsificazione del dato storico non contraddice solo con il precedente manzoniano, ma comporta anche altre contraddizioni interne all’opera stessa: infatti se Bernardino fosse nato nel 1555 come potrebbe nel 1576, data del suo ingresso nella scena del romanzo, avere solo 16 anni, come in effettici viene detto

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?

Anche Valentina di Vimercate, che qui risulta essere la madre di Bernardino, suo marito Eriberto, e anche la loro figlia Ida, molto probabilmente sono d’invenzione, o comunque non hanno attinenza con il personaggio perché esistono informazioni precise riguardo a genitori e familiari di Bernardino. Questi infatti, come sottolinea il Donini, è figlio naturale di Giovanni Battista Visconti (morto nel 1584) e Paola Benzoni, di un’importante famiglia di Crema, mentre i suoi fratelli sono: Maddalena, Giulia, Ercole, Galeazzo Maria (che muore giovanissimo), Caterina e un altro Galeazzo Maria (1575-1684) che avrà 11 figli. Per quanto riguarda invece la figura storicamente appurata di Gaspare Visconti, che qui risulta essere tutore e zio di Bernardino, non sappiamo di sue attinenze con questo personaggio. Della badessa Caritea, che qui risulta anch’essa parente dell’Innominato non ho rinvenuto invece alcuna notizia, tuttavia non è improbabile la sua esistenza dato che, come ricorda anche il Donnini, molti dei suoi parenti erano ecclesiastici di un certo livello.

Per quanto riguarda il nome e l’ubicazione del castello dell’Innominato sembra invece che l’autore si accosti al vero confermando peraltro anche le

11 Tuttavia di contraddizioni interne all’opera ve ne è veramente un’infinità e, una volta appurato il fatto in sé, è forse inutile starle a sottolineare tutte. Per dirne una per tutte possiamo ricordare che Malebranche dovrebbe aver avuto al momento della morte almeno 120 anni; molte altre riguardano i nomi dei personaggi che talvolta cambiano con una disinvoltura a dir poco spiazzante: Francesco- Vincenzo Caraffa, Valentina figlia di Margherita verrà poi chiamata anche lei Margherita, il fornaio cambia nome, Beatrice di Morivone per un tratto si chiamerà Guglielmina; inoltre alcuni personaggi morti vengono fatti improvvisamente resuscitare: Ermete, Ida, Duodo.

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indicazioni di altre fonti: e immagina infatti che il covo di Bernardino sia nel feudo di Brignano di Gera d’Adda nei pressi di Treviglio, proprio al confine con il bergamasco che gli sarebbe stato lasciato in eredità da Eriberto prima di recarsi nelle Fiandre. Questo luogo viene indicato in modo specifico non nell’introduzione, dove troviamo solo i vaghi riferimenti del Ripamonti e le congetture del Cantù evinte dal testo dei Promessi sposi, ma solo più avanti nelle pagine del primo libro e dei libri successivi: quando viene presentato Bernardino si parla per la prima volta anche di tale feudo, viene poi descritto in seguito quando vi si ritira, quindi viene nuovamente descritto com’era allo stato attuale nell’introduzione al secondo libro.

L’identificazione del castello di Bernardino con il feudo di Brignano trova riscontro anche nei dati che gli studi archivistici del Donini hanno portato alla luce. In effetti detto luogo, a quanto pare, sarebbe stato lasciato da Galeazzo Maria Sforza nel 1470 ai fratelli Sagramoro e Pier Francesco Visconti dai quali discendono rispettivamente Bernardino e Ortensia Visconti (trisavola del Manzoni). Qui, sempre secondo l’atto di battesimo scoperto dal Donini, sarebbe nato Bernardino, anche se Gualtieri invece lo fa nascere in un altro feudo Visconti, quello di Brivio; ed è qui, ancora secondo il Donini, che l’Innominato avrebbe trovato riparo dopo aver abbandonato Milano ed aver passato breve tratto presso i Grigioni.

Anche le indicazioni provenienti dalle altre fonti, benché generiche, coincidono uniformemente in questo senso e confermano la tesi di Gualtieri.

Manzoni ricorda, come abbiamo visto, che la dimora scelta dall’Innominato era un “castello confinato con il territorio del bergamasco” anche se poi, là dove passa a descriverlo, non aggiunge alcun dato identificativo. Il Rivola lo va a collocare “al confine col dominio di principe straniero”; tra Milano, Venezia e i Grigioni per il Guenzati; e “al lembo della provincia milanese”, da dove “gli era facile il tragitto a’ bergamaschi e bresciani”, secondo il Ripamonti.

Quello che risulta essere più controverso è il momento del suo ritiro nel

feudo di Brignano; in ciò il Gualtieri si mantiene a mezza strada tra la

versione del Ripamonti e quella del Manzoni (che abbiamo visto confermata

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in parte anche dagli studi del Donini). Al di là della data precisa di tale fatto, che qui viene immaginata attorno al 1576, ma che ovviamente non può avere altro riscontro (né in Manzoni che non ne fa menzione, né negli studi del Donini, che seguendo tutt’altra cronologia colloca il fatto subiti dopo il 1609), questo viene collocato, come in Manzoni, a seguito della pittoresca fuga dallo stato di Milano. Tuttavia qui troviamo narrato, come episodio centrale subito successivo, anche il rapimento della principessa straniera che è invece assente in Manzoni ma ricordato dal Ripamonti, il quale tuttavia lo colloca in un altro contesto a seguito di una precedente fuga.

In questa serie, solo dopo questi ultimi fatti (cioè alla fine del primo libro) si delinea la figura leggendaria dell’Innominato come “tiranno” locale dalle caratteristiche tutte particolari; infatti tutti gli avvenimenti precedenti (l’incendio all’abbazia di Castello e l’uccisione di Caritea, i fatti delle Fiandre, e l’uccisione di Errico), oltre ad essere di completa fantasia, costituiscono in sostanza una sorta di antefatto tutto connesso all’improbabile storia del duca d’Alba, e finalizzato a collocare sotto una luce nuova i fatti successivi che andranno a costituire la vera e propria attività criminosa che a sua volta sarà all’origine della fama di Bernardino.

In questo bisogna notare che Gualtieri si discosta decisamente da quanto il Manzoni dice in proposito; e dagli studi del Donini (come abbiamo visto), emergono dati che confermano la versione manzoniana piuttosto che quella di Gualtieri, dato che l’attività criminosa dell’Innominato sembra iniziare molto prima della sua “fuga” e del suo ritiro, ed anzi pochi anni trascorreranno da quel momento sino alla sua conversione. A differenza quindi da quanto avviene in Manzoni, che descrive il periodo successivo della sua vita in modo piuttosto vago

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, Gualtieri invece, collocandovi tute le varie avventure del personaggio (tutte di fantasia), gli attribuisce un ampia dimensione cronologica compresa appunto tra il 1576 (data del suo

12 Non sappiamo infatti quanto duri questo periodo che risulta compreso tra la non ben specificata data del suo trasferimento e il 1628, data della sua conversione.

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trasferimento) e la data della sua conversione che si deve cercare a sua volta tra il 1618 e il 1631

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.

Questo, al di là del suo valore cronologico assoluto che ovviamente non ha nessun riscontro con la realtà, anche nel senso di un riferimento cronologico relativo risulta profondamente discorde con quanto emerso dagli studi del Donini. Sembrerebbe infatti da questi libri che per più di quarant’anni l’Innominato avesse condotto la sua attività di bravo dal suo noto covo;

mentre invece sappiamo che ritiratosi a Brignano a seguito del bando del 1609, avrà poi compiuto negli anni successivi anche grandi misfatti (dato che l’ultimo bando in cui compare il 2 giugno del 1614 riguarda più di 1400 banditi), ma di sicuro non per un così lungo tempo, dato che dello stesso anno (settembre) è lo scambio epistolare con Borromeo e dell’anno successivo la probabile conversione, a seguito della quale infatti non comparirà più come ricercato.

Per il resto anche le varie avventure in cui viene coinvolto il personaggio sono generalmente di fantasia: inventate sono sicuramente le sue vicissitudini nelle Fiandre; così è probabilmente la storia di Margherita e del suo rapimento (questo segnalato anche dal Ripamonti è possibile che sia un falso, una leggenda connessa ad un altro rapimento: quello della madre per impedirle, a quanto pare, che si unisse in seconde nozze con un altro uomo); di fantasia è sicuramente la vicenda del secondo libro connessa a don Sebastiano (che sappiamo essere morto in Africa) e a sua figlia Margerita; è probabilmente una fantasia ogni suo possibile coinvolgimento con la congiura di Venezia (dove infatti si trova coinvolto a causa sempre della stessa Margherita); ed è infine improbabile la sua partecipazione al torneo nella città di Milano, che vediamo descritto nel IV libro (questa è l’ultima avventura che ci viene narrata di questo personaggio; alla fine del III libro viene accennata infatti la sua conversione, nel quarto è ormai sostituito da Malebranche, e alla fine dello stesso ci viene narrata la sua morte ed esce così di scena).

13 Alla fine del terzo libro, ambientato appunto nel 1618, siamo informati, in un appendice finale, dell’avvenuta conversione: questa avrà quindi avuto luogo in un momento successivo al ’18 e sicuramente precedente al 1631, data d’avvio, in cui Bernardino ci viene presentato come persona già convertita.

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Bisogna dunque notare che il Gualtieri oltre a non aver assolutamente

raccontato, come promesso, il personaggio per quello che è nella sua verità

storica, ha anche pesantemente falsificato dati storici d’importanza

maggiore e questa tendenza risulterà ancora più accentuata negli ultimi libri

e nella figura di Malebranche, che, oltre a diventare addirittura papa, avrà

sempre, come vedremo, continui rapporti con le più importanti figure

storiche di quel periodo.

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SOMMARIO RIEPILOGATIVO DELL’INTRECCIO (CON INDICAZIONI CRONOLOGICHE E DEI LUOGHI).

Libro primo. Milano, inverno del 1555: stupro del duca d’Alba ai danni di Valentina. Dopo nove mesi, castello di Brivio: morte di Valentina, nascita di Bernardino, partenza di Eriberto per le fiandre. Dopo vari anni, podere di Terrazzano: innamoramento tra Bianca e Andrea; Arrivo di Ramiro e Luigi e loro innamoramento rispettivamente per Bianca ed Ida; ferimento di Andrea in duello. Ida e Bianca recluse nell’abbazia di Castello; Ramiro prende i contatti con Bernardino e gli rivela la verità sulla sua nascita;

Ramiro, Luigi e Bernardino liberano Bianca ed Ida (fuoco al convento, uccisione di Caritea e fuga dei cinque personaggi). Ambrogio a Milano presso Andrea: visita a Bianca e Ramiro; peste del 1576: attività benefica di Andrea e Ida per conto di Carlo Borromeo; contagio di Bianca e intervento salvifico d’Andrea. Contemporaneamente: fuga di Bernardino e Luigi dal carcere, morte di Luigi tra le braccia di Ida, incontro tra Bernardino e Malebranche e loro attività paramedica. Fine della peste e missione nelle Fiandre (dialogo ambiguo tra Bernardino ed Eriberto, attentato e tortura, reintegrazione di Bernardino e innamoramento per Margherita). Milano, al ritorno dalle Fiandre: scoperta della relazione con Margherita e duello Bernardino-Enrico; fragoroso ritiro di Bernardino a Brignano; matrimonio e morte di Ramiro; rapimento di Margherita.

Libro secondo. Ad un anno di distanza dai fatti narrati: matrimonio di Bianca e Andrea; morte di Margherita e presenza del Sarpi. 1598 arrivo di don Sebastiano e della figlia Margherita; Bernardino si incarica della fanciulla e la consegna ad Ida; visita in quell’occasione Terrazzano da cui mancava da sette anni (Andrea è morto e Bianca vive con il figlio Ermete).

Dopo qualche tempo Ermete si fa paladino di Margherita: incontro di questa

con il padre; missione di Malebranche in Spagna, in cui Sebastiano perde la

vita; rapimento di Margherita da parte della santa inquisizione e sua

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liberazione grazie a Bernardino ed Ermete. Matrimonio tra Margherita ed Ermete e loro trasferimento a Venezia; Bernardino impegnato nelle guerre di religione assieme al De Salis su consiglio del Sarpi; prime minacce del Duodo e richiesta d’aiuto di Margherita a Bernardino.

Libro terzo. Venezia 1617-18: Bernardino e Malebranche giungono in soccorso di Margherita, insidiata dal Duodo dopo l’attentato al Sarpi e la carcerazione d’Ermete. Malebranche presso il monastero di S.Agnese con la carica di generale dei gesuiti (dopo aver usurpato il nome di padre Beccaro);

contemporaneamente: Bernardino incarcerato ai piombi incontra Ermete e organizza la fuga, stupro del Duodo ai danni di Margherita, Ines badessa di S.Agnese si innamora del pittore Fungoso, presentazione del Pierce, Arsilia e Juven. Dichiarazione di Arsilia; fuga di Bernardino ed Ermete e sua vendetta; 12 maggio 1618: inizio dei processi; vendetta di Arsilia; fuga di Malebranche assieme ad Ines, Fungoso e Rosinetta; contemporaneamente incontro di Bernardino, Ermete, Ambrogio e Margherita a Murano. Incontro di tutti i personaggi presso la locanda; fuga verso Brignano attraverso Fusina ed il castello del Fortiguerra; successivo arrivo, confessione e morte di Margherita. Dopo sei mesi: seconda vendetta di Ermete e morte del Duodo. Epilogo: conversione di Bernardino e morte d’Ermete.

Libro quarto. Dopo vari anni (1631), Brignano: arrivo del conte Fulberto d’Agliate in cerca d’aiuto per suo padre; arrivo di padre Domingo, sulle tracce di Fulberto. Milano, maggio 1631: ingresso di Ferdinando Infante di Spagna; Malebranche in missione a Milano: rapimento di Lolita, innamoramento tra Lolita e Fulberto, assalto al tribunale dell’inquisizione e liberazione del conte d’Agliate; l’Infante indice il giubileo ed il torneo.

Partecipazione al torneo delle varie rappresentanze lombarde capitanate da Bernardino: gesta del cavaliere nero e di Strummer. Malebranche governatore di Milano per un giorno; matrimonio a sorpresa tra Lolita e Fulberto d’Agliate; inizio schermaglie amorose tra Margherita e Alberto;

prime gesta di Malebranche e della sua lega lombarda: cacciata dei Gesuiti

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da Como e matrimonio tra Malebranche e Gilda. 1932: partecipazione della lega lombarda alla guerra di religione contro l’impero e la spagna; sconfitta di Frank San: morte di Lolita, e Fulberto d’Agliate. Epilogo (Brignano 17 febbraio 1632): morte di Bernardino.

Libro quinto. Austria, 1634 (lungo il fiume Drava) Malebranche e Aldovrandi prigionieri del Pamphili; presso il monastero di Toblach:

epidemia di vaiolo e cambio di persona (Malebranche usurpa il nome del Pamphili); tappa a Milano. Intanto a Roma: arrivo del pittore Salvator Rosa e suo incontro con la famiglia Allaria; successivo incontro con Olimpia Pamphili e suo ingresso nell’alta società. Vicenda del rapimento di Cecilia e Amalia da parte di Antonio Barberini e Gastone Pamphili; contemporaneo arrivo del Malebranche sotto falso nome; intervento del Carbonaro e di Salvator Rosa e liberazione delle due donne; incredibile ascesa di Cucubeo che da semplice parroco diviene segretario di Urbano VIII; Malebranche, nominato supremo inquisitore, fa giustiziare padre Domingo e libera Ermete Visconti e Tommaso Campanella dalle prigioni del Santo Uffizio;

Malebranche architetta uno stratagemma per far reinserire nella società il Carbonaro, quindi chiama a Roma Alberto e Margherita. Epilogo: morte improvvisa di Urbano VIII; Malebranche diviene papa Innocenzo X

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.

Libro sesto. 1642: Aldovrandi in missione diplomatica; arrivo a Roma del Guisa, Campanella e Strummer; Cecilia si rinchiude in convento nonostante l’acceso il sincero amore del Carbonaro (a 2 anni di distanza dalla morte del marito). Carnevale 1644: inizio della relazione tra Olimpia e Alberto.

3 maggio 1647: incidente diplomatico di Monticelli e avvio delle operazioni per la prevista rivolta di Napoli; il Carbonaro parte per primo alla volta di Napoli, sulle tracce di Henriquez e Cecilia; Alberto (che intanto proseguiva la relazione con Olimpia) parte anch’esso per Napoli in veste diplomatica. Il Carbonaro tiene in ostaggio Henriquez, prende contatti con Masaniello, e invia Morivone sotto falso nome presso il convento di Cecilia (indagini del

14 Qui l’elezione al soglio pontificio è immaginata anteriore al ’42: questo tuttavia è un falso storico perché Maffeo Barberini (Urbano VIII) morirà non prima del ’44.

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Morivone sulla questione di Vincenzo/Francesco Caraffa e suo innamoramento per la nipote di questo Beatrice/Guglielmina

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); intanto il 5 luglio 1647 arriva anche Alberto e subito si innamora di Ines, la figlia del viceré. Eruzione, tentativo di fuga di Henriquez, distruzione della nave ammiraglia spagnola. Il 7 luglio Masaniello apre le ostilità, assalto al palazzo reale, Alberto trae in salvo Ines, la folla guidata da Masaniello si sposta verso il comune, Morivone e il Carbonaro sono intanto penetrati entrambi all’interno del convento per condurre via le due donne.

Libro settimo. Intanto a Roma vanno avanti i contrasti tra Olimpia e Margherita: con il coinvolgimento del Guisa e di Camillo, Olimpia minore e Margherita vengono stuprate nel sonno a seguito di una caccia. Partenza di Cucubeo per Napoli; Masaniello indice una tregua: riconsegna di Ines, Carbonaro e Morivone portano via le Cecilia e Guglielmina dal convento, matrimonio Carbonaro-Cecilia. 11 luglio battaglia decisiva e vittoriosa contro gli spagnoli, contributo anche di Cucubeo e di tutti i principali protagonisti. Nei giorni successivi inizia la difficile riconciliazione tra la città e gli spagnoli, avvelenamento di Masaniello e sua progressiva perdita di senno. 16 luglio: uccisione del Masaniello al termine del suo momento di follia e fine dei fatti di Napoli. Confessione dello stupro da parte di Margherita, suo ritorno a Brignano e svelamento della gravidanza. Doppia vendetta di Alberto: evirazione di Camillo e del Guisa, sfiguramento del volto di Olimpia, quindi duello finale con il Guisa; nuovo incontro con Ines;

uccisione di Cucubeo e distruzione di Castro; matrimonio tra Ranuccino Farnese e Beatrice Caraffa. Morte di Malebranche durante la celebrazione della messa del primo gennaio 1654

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; fuga in Messico dei suoi più fidi amici.

15 Talvolta Gualtieri confonde i nomi dei suoi stessi personaggi e identifica in due modi diversi le stesse persone. Si veda anche Valentina/Margherita 3, oppure Ermes/Ermete…

16 Storicamente l’anno della morte di Innocenzo X non sarebbe il ’54, bensì quello successivo.

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BIBLIOGRAFIA GENERALE.

Archivio parrocchiale di S.Biagio, registro battesimi.

Archivio centrale dello stato.

Necrologi in: “La stampa”, 2 dicembre 1901; “Corriere della sera”, 2-3 dicembre 1901; “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.

G. COSTETTI: Il teatro italiano nel 1800, Rocca San Casciano, Licinio Cappelli editore, 1901.

G. COSETTI: Confessioni di un autore drammatico, Bologna, N.

Zanichelli, 1883.

C. PIANCASTELLIi: I promessi sposi nella Romagna e la Romagna nei promessi sposi, Bologna, (Stabilimenti poligrafici riuniti, 1924) Il mulino, 2004.

R. CRISTALDI: Presentazione a Luigi Gualtieri in L’Innominato, Milano, Bietti 1973.

L. MARIANI: Il tempo delle attrici. Emancipazionismo e teatro in Italia tra ottocento e novecento, Bologna, Mongolfiera, 1991.

Enciclopedia biografica e bibliografica italiana, N. LEONELI: Attori tragici, attori comici – Pezzana Gualtieri, Giacinta.

DE GUBERNATIS: Dizionario biografico degli scrittori contemporanei,

Firenze, 1979.

(24)

Dizionario biografico degli italiani*

GINO TELLINI: Il romanzo italiano dell’ottocento e novecento, Milano, Mondadori, 1998.

ASOR ROSA: Scrittori e popolo, Samonà e Savelli, Roma, 1966

Il romanzo d’appendice a cura di Giuseppe Zaccaria, Torino, Paravia, 1977.

Riferimenti

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