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Nel presente lavoro di tesi ho trattato le politiche di semplificazione soffermandomi in modo particolare su un istituto tipico della stessa, ovvero la S.C.I.A., acronimo di Segnalazione Certificata di inizio attività.

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INTRODUZIONE

Nel presente lavoro di tesi ho trattato le politiche di semplificazione soffermandomi in modo particolare su un istituto tipico della stessa, ovvero la S.C.I.A., acronimo di Segnalazione Certificata di inizio attività.

Per analizzare correttamente la semplificazione amministrativa è stato necessario partire dallo studio della semplificazione normativa.

Difatti, nel primo capitolo sono stati trattati i rapporti che intercorrono tra le due tipologie di semplificazione e ci si è chiesti se le stesse si trovano su un piano paritario o, al contrario, una rappresenta la conseguenza dell’altra. E’ stata analizzata l’inflazione legislativa e come questa si ripercuote sul diritto amministrativo accennando una possibilità di “riordino” mediante lo strumento c.d. Taglia-leggi.

Alla base del processo semplificativo esiste un procedimento che ha

fatto il suo ingresso nello scenario amministrativo italiano soltanto

con la legge n. 241/90 poiché, fino ad allora, non esisteva una

disciplina generale sul procedimento amministrativo e questo si

traduceva nella presenza di norme di settore che disciplinavano alcuni

procedimenti, in un’ampia discrezionalità in capo

all’Amministrazione e nella mancata possibilità per il cittadino di

partecipare al processo amministrativo. Nell’elaborazione del secondo

capitolo sono stati fatti dei cenni sui principi del procedimento

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2

amministrativo; su come si è evoluta la legge n. 241/90 partendo dalle due leggi Bassanini (la n. 59/1997 e la n.127/1997), passando per la legge n. 15/2005 e concludendo con l’innovazione introdotta dalla legge n. 69/2009 relativa alla valorizzazione del fattore “tempo” nei rapporti che intercorrono tra le PP.AA. e i soggetti privati.

Il terzo capitolo è stato interamente dedicato agli istituti attuativi della semplificazione amministrativa e, più precisamente, la Conferenza dei servizi e il Silenzio dell’amministrazione. Sono state individuate le caratteristiche tipiche nonché quelle comuni dei due istituti; i modi con cui essi sono approdati all’interno della legge n. 241/90 e come la loro disciplina è mutata attraverso l’approvazione della legge Madia n.

124/2015.

Il quarto capitolo tratta della Segnalazione Certificata di Inizio Attività. Sono stati considerati i passaggi che hanno accompagnato la Dia verso la nuova Scia e in che modo le attività si intendono

“liberalizzate” anche attraverso l’individuazione delle differenze

sostanziali che caratterizzano l’uno e l’altro istituto. La Scia rappresenta il frutto dell’approvazione di un maxiemendamento di marca squisitamente comunitaria, che modifica radicalmente il regime delle attività economiche improntando la sua portata sulla semplificazione e sull’accelerazione delle medesime attività.

Sono state approfondite le varie diatribe che hanno acceso gli animi

della dottrina e della giurisprudenza circa la natura giuridica della Scia

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3

e la tutela nei confronti del terzo. L’analisi è partita dalla valutazione

delle “ragioni” tra chi sosteneva che la Dia/Scia fosse un atto

oggettivamente e soggettivamente privato consono all’esigenza di

liberalizzare certe attività economiche e edilizie e chi, a contrario,

riteneva che fosse un provvedimento amministrativo tacito,

perfettamente calzante con l’intento semplificatorio del legislatore. In

merito sono state analizzate le decisioni dell’Adunanza Plenaria del

Consiglio di Stato, la n. 14/2011 e la n. 15/2011, nonché come

quest’ultima è stata cambiata con il decreto legge n. 138/2011. Infine

è stata approfondita la Riforma Madia con il relativo Decreto Scia.

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CAPITOLO 1

COMPLESSITA’ NORMATIVA E AMMINISTRATIVA. LA SEMPLIFICAZIONE.

1.1 ESUBERO DELLE LEGGI.

Una singola legge può essere buona o cattiva. Il complesso delle leggi che ci governano può essere un ambiente confortevole e rassicurante o una gabbia stretta e scomoda, una trappola nella quale ci si può cacciare

1

.

Il sistema normativo italiano può essere considerato come una gabbia asfissiante anziché come un ambiente rassicurante, specie per i privati e per le imprese, dove un groviglio di leggi può generare soltanto ostacoli e incertezze.

In Italia il problema dell’inflazione legislativa è dovuta sostanzialmente a due fattori:

1) la convinzione del nostro legislatore di dover introdurre una regola per ogni caso della vita;

2) la propensione a concepire la legge come unica soluzione possibile per qualsiasi problema.

Questa constatazione induce ad affermare che il nostro ordinamento si trova in una situazione anomala e, se vogliamo, anche molto più

1 Mattarella B.G, La Trappola delle Leggi, 2011, cit., Pag.7.

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5

spinosa rispetto agli altri stati europei dove, secondo un calcolo fatto successivamente all’approvazione del decreto “Taglia-leggi”, si contano 21.691 leggi statali a cui si devono aggiungere le 25.000 leggi regionali oltre agli atti normativi di livello inferiore

2

. Questi numeri sono il frutto di un sistema assai complesso basato sull’ingenuità propria dei politici, sull’ignoranza del funzionamento della Pubblica Amministrazione e sul candore dei cittadini in quanto l’approvazione di una legge produce un risultato, talvolta interessante, ai fini elettorali; come se l’approvazione di quella legge specifica corrisponda necessariamente alla risoluzione di quel dato problema e delle leggi già esistenti poco importi. La realtà non è proprio questa.

Difatti, se proviamo a spostare l’attenzione su un altro fattore, ovvero il modo di legiferare, ci rendiamo conto che questo è inadeguato:

perché? Perché spesso le leggi intervengono su materie già regolate, quindi queste vanno sempre ad aggiungersi ma mai a sostituirsi, con la conseguenza che sono più le leggi che nascono che quelle che muoiono.

La cultura giuridica italiana viene spesso criticata poiché vengono sottovalutati i costi di produzione e viene a mancare la consapevolezza di utilizzare la “legge” con parsimonia; o meglio, tale strumento dovrebbe semplicemente essere fornito ai cittadini per migliorare le

2 IBIDEM, Pag. 16

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6

loro condizione del vivere civile, ma in realtà ne usufruisce lo Stato per affermare il proprio potere supremo.

È vero che nella nostra struttura sociale è impensabile essere governati soltanto da codici, ma l’abuso fa male. Il legislatore sembra non percepire tale stravaganza, continuando a sentirsi onnipotente

3

.

1.2 NECESSITA’ DI CAMBIARE PROSPETTIVA: LO STRUMENTO “TAGLIA-LEGGI”.

L’inflazione legislativa colpisce quasi tutti gli ordinamenti. La continua produzione rappresenta un fattore fisiologico che genera delle conseguenze riguardanti non solo l’eccesso dello stock normativo ma anche la cattiva qualità e l0a scarsa chiarezza delle regole medesime. La riduzione delle norme diventa, quindi, un’operazione importante che viene confermata anche dall’Unione Europea a prescindere dall’ordinamento preso in considerazione.

Se le leggi non muoiono mai queste tendono ad accumularsi, dunque è necessaria una revisione sistematica e generalizzata. Gli strumenti, di solito, sono di codificazione o di consolidamento che però risultano essere non proficui per un sistema così vasto come quello nostro. A tal proposito vediamo che la soluzione è quella di “invertire l’onere della prova” per mantenere in vigore le leggi, di creare meccanismi che abroghino tutta la normativa vigente facendo salva solo quella

3 IBIDEM, Pag. 19-20.

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7

ritenuta attuale e utile dal nostro legislatore

4

. Ciò consente di porre nella giusta direzione la L. 246/2005 che prevede un modello di riordino, per taluni ambizioso, il c.d. “Taglia-leggi”.

La legge di semplificazione del 2005 ha previsto un’attività di Governo identificabile in tre momenti:

1) che il Governo effettuasse un censimento sulle leggi vigenti;

2) che il Governo adottasse decreti legislativi e che gli stessi indicassero le disposizioni “vecchie” (la cui produzione fosse anteriore al 1970) ma ritenute ancora valide; dopodiché scattava il c.d. “effetto ghigliottina” ossia abrogazione di tutte le disposizioni legislative statali pubblicate prima di tale periodo ma con qualche eccezione;

3) che il Governo potesse adottare decreti correttivi e integrativi

5

.

Per realizzare questo obiettivo il legislatore ha anche effettuato una ricognizione delle leggi esistenti attraverso la creazione di una banca dati informatica ( Taglia-leggi web) che ha coinvolto i Ministri e ha visto la collaborazione della Cnipa, dove tutte le Amministrazioni hanno inserito le disposizioni legislative di propria competenza mai espressamente abrogate ma che si rilevano ormai desuete

6

.

4 Carbone, L., “L’esperienza taglia-leggi a metà del suo cammino”, In Giornale Dir.

Amministrativo, 2008, 5, 573

5 Mattarella B.G, La Trappola delle Leggi, 2011, cit., Pag. 92.

6 Carbone, L., “L’Esperienza Taglia-leggi a Metà del suo Cammino”, In Giornale Dir. Amministrativo, 2008, 5, 573

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I rischi che derivano dall’attuazione di questo meccanismo sono contrapposti perché da un lato abbiamo quello di eliminare leggi ancora utili e dall’altro di non eliminare abbastanza.

Sia per la mera conservazione che per il riordino è interessante vedere come questo può essere realizzato anche attraverso sistemi non necessariamente giuridici, primo fra tutti l’AIR (Analisi di Impatto della Regolazione) diffusa negli anni ’70 nel mondo anglosassone e prevista nel nostro ordinamento solo nel 1999 con la prima legge di semplificazione. All’interno del Taglia-leggi l’AIR costituisce uno strumento indispensabile che fornisce indicazioni utili alla decisione del legislatore circa l’indispensabilità delle normative esaminate analizzandone i pro e i contro.

Tuttavia le procedure sono due:

1) l’AIR che rappresenta, appunto, un metodo utilizzato per valutare preventivamente i possibili effetti delle norme proposte, quindi non è altro che lo specchio del principio di precauzione;

2) il VIR (Valutazione dell’impatto della regolamentazione) che compie un controllo ex post sugli effetti prodotti.

L’attuazione di questo sistema ha generato dei risultati di indubbia

utilità, ma ancora non è possibile affermare che questo abbia

migliorato la vita dei cittadini e delle imprese in quanto il riordino

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normativo è un percorso lungo e faticoso che non ammette scorciatoie;

pensare di poter risolvere l’inflazione legislativa a colpi di penna, talvolta sporadici, rappresenta uno stratagemma, un po’ come il Taglia-leggi

7

.

1.3 SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA VS SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA.

Negli ultimi anni il tema della semplificazione sembra essere all’ordine del giorno nel dibattito politico e dottrinale. La semplificazione rappresenta un insieme di eventi volti a migliorare il funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni e a rendere maggiormente efficiente l’attività svolta. Con questo processo, se da un lato si è aumentato il numero di servizi offerti al cittadino, dall’altro si è favorita la proliferazione delle norme la cui complessità non è altro che il riflesso della nostra società poliedrica che richiede delle regole giuridiche sempre più minuziose e dettagliate, proprio per questo esiste un tasso minimo di laboriosità al di sotto del quale non si può scendere, pena la disapplicazione di norme importanti per il vivere civile. La Pubblica Amministrazione opera in base al principio di funzionalità quindi ha come obiettivo quello di raggiungere i risultati previsti dalla legge entro un termine perentorio e nel modo più naturale ed economico possibile

8

. Il fenomeno della semplificazione assume un significato diverso a seconda dell’attività

7 Mattarella, B.G,La Trappola delle Leggi,2011,cit.,pag.93.

8 www.dirittoamministrativo.it

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cui si riferisce. La tendenza è quella di cernere la semplificazione amministrativa e quella normativa. La prima afferisce allo snellimento del procedimento e alla relativa attività e si scompone in semplificazione amministrativa procedimentale e organizzativa. La seconda si riferisce alla riduzione delle disposizioni legislative e si avvale:

- della deregolamentazione per la quale si intende il ritiro dei pubblici poteri (Stato e Amministrazioni pubbliche) dai settori nei quali la regolazione pubblica non è necessaria o comunque può essere rimessa alla volontà degli interessati

9

;

- della delegificazione che si verifica quando il legislatore affida alle fonti di rango secondario (regolamenti governativi) la possibilità di disciplinare quelle materie che non sono coperte da una riserva di legge assoluta;

- della legge annuale sulla semplificazione;

- dei codici di settore che sono dei fattori di semplificazione che riguardano anche l’amministrazione perché la complessità dell’agire amministrativo dipende dalla complessità delle norme che le amministrazioni sono tenute ad interpretare ed applicare.

La politica di semplificazione amministrativa italiana può essere valutata alla luce degli standars europei, contenuti nel c.d. Mandelkern

9 Mattarella B.G, La Trappola delle Leggi, 2011, cit., Pag. 94-96

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Report

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, dove si afferma che un giusto programma di semplificazione si può realizzare soltanto in presenza di un prolungato sostegno politico. Nonostante la temporanea durata dei Governi che si sono succeduti dagli anni Novanta in poi, possiamo assentire che la semplificazione ha rappresentato il baricentro dell’azione politica del nostro Stato.

Tuttavia l’Italia rispetto alla media europea porta a casa una pagella insufficiente su molte materie poiché la politica da seguire è quella di semplificazione e non di complicazione: semplificare sì ma è

opportuno proteggere i risultati ottenuti. Sulla semplificazione si sono spese molte più parole rispetto ai fatti che andavano concretamente realizzati. La verità è che abbiamo troppa poca semplificazione sulle norme ma molte norme sulla semplificazione.

10 Battini, S.,“Le Politiche di Semplificazione nell’Esperienza Italiana”, In Giornale Dir. Amm.,2004,4,450.

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CAPITOLO 2

I VARI PASSAGGI CHE SI SONO SUSSEGUITI NEL TEMPO:

DALLA L. 241/90 ALLA LEGGE 69/2009.

2.1 SITUAZIONE ITALIANA ANTECEDENTE L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

.

In Italia, prima dell’approvazione della L. 241/1990, mancava una disciplina generale sul procedimento amministrativo. L’assenza di una regolamentazione faceva sì che si riconoscesse alle Pubbliche Amministrazioni un ampio potere discrezionale che generava incertezze nei rapporti con i cittadini e si traduceva nella possibilità di adottare gli atti senza che l’interessato potesse intervenire nel procedimento. Si parlava, difatti, di autoritarietà della decisione amministrativa.

La Pubblica Amministrazione ha sempre assunto un ruolo dominante nei confronti dell’amministrato tanto che questi poteva essere definito come un semplice uditore, privo di qualsiasi tutela giurisdizionale per quegli interessi non assoggettabili alla categoria dei diritti soggettivi.

Rammentiamo che l’interesse legittimo è sorto solo successivamente

alla legge del 31 marzo del 1889 n. 5992 a seguito dell’istituzione

della Quarta Sezione del Consiglio di Stato.

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Prima degli anni Novanta, quindi, vi erano semplicemente delle leggi di settore che regolamentavano specifici procedimenti tra cui ricordiamo nelle materie edilizia - urbanistica:

- L. 2359/1865: “espropriazione per pubblica utilità”. Questa legge aveva ad oggetto l’espropriazione di qualsiasi bene materiale o immateriale, mobile o immobile al fine di risanare le città date le transitorie condizioni sanitarie di molti centri urbani. Le Amministrazioni acquistavano dai privati per dare un nuovo assetto e l’emanazione della legge era indispensabile per rivedere il valore dell’indennizzo. Questa legge stabilisce dei criteri di esproprio di maggior favore per l’Amministrazione andando così incontro anche ai privati. Non era possibile procedere secondo i prezzi di mercato perché considerati troppo alti, quindi veniva fatta una media tra il valore venale del bene e un valore dominicale. Il valore venale del bene era lo stesso, sia in caso di esproprio che in caso di compravendita ad opera dei privati.

- L. 1150/1942: “legge urbanistica generale”. Questa legge

ancora in vigore, anche se profondamente emendata, ha ad

oggetto la pianificazione del territorio comunale. La novità più

eclatante risiede nella disciplina del rilascio delle concessioni

edilizie.

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La disciplina sul procedimento amministrativo nasce per garantire una maggiore trasparenza della Pubblica Amministrazione. La sussistenza dei vuoti di tutela ha indotto ad elaborare dei criteri al fine di individuare gli obiettivi della L. 241/90, sintetizzabili in due:

- limitare il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione in tema di procedimento;

- tutelare l’amministrato, ovvero il cittadino, attraverso la partecipazione al procedimento che lo vede coinvolto.

Questi obiettivi vengono affiancati da finalità di snellimento, semplificazione e accelerazione che suppongono un ripensamento dei modi in cui la partecipazione era stata intesa e sviluppata – dalla legislazione statale e, soprattutto, da quella regionale – negli anni ’70 e ’80: una partecipazione che – in assenza di ogni determinazione di tempi – si era tradotta in una moltiplicazione di passaggi e di interventi, con percorsi intricati e pensati, finendo con il provocare più fastidi e insofferenze che non utilità

11

.

11 Vandelli,L.,Atti e Procedimenti Amministrativi,Maggioli Editore,1997,cit.,pag.

11.

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2.2 LEGGE 241/90: LA SVOLTA IN TEMA DI PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E ATTIVITA’

AMMINISTRATIVA.

La L. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento

amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”

rappresenta il risultato di una lunga diatriba tra giurisprudenza e dottrina. I primi passi verso questa nuova prospettiva risalgono alla fine degli anni Ottanta tenendo in considerazione la mossa operata da alcuni stati europei tra cui la Germania che nel 1976 varò un’importante legge di riforma sul procedimento amministrativo prevedendo che il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione si ponesse su uno stesso livello.

Le movenze della legge presero spunto dai principi del giusto procedimento, di trasparenza e semplificazione del procedimento amministrativo.

Con la costituzione della c.d. Commissione Nigro si elaborò uno

schema generale sul procedimento amministrativo e prese vita l’idea

di dotare l’ordinamento di una legge che regolasse l’attività

dell’amministrazione.

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L’obiettivo della legge n. 241/1990, così come osservato dall’Adunanza Plenaria

12

, non era quello di codificare minuziosamente il procedimento, bensì adottare una legge breve che fosse in grado di fissare una disciplina minima comune a tutti i procedimenti.

2.2.1 I PRINCIPI CARDINI DELLA LEGGE N. 241/90. LA DISCREZIONALITA’ DELLA P.A.

L’emanazione della legge n. 241/1990 in tema di procedimento amministrativo rappresenta un baleno fondamentale nel processo di trasformazione della Pubblica Amministrazione. I principi cardini di quest’ultima sono:

1) Principio di legalità è il principio più importante secondo cui l’organizzazione degli uffici è disciplinata dalla legge e il suo ambito di applicazione è, appunto, quello dell’organizzazione e non anche delle funzioni della pubblica amministrazione. Mediante tale principio, strettamente connesso a quello democratico, riusciamo a capire che l’azione della P.A. deve trovare il suo fondamento all’interno di una legge che deve fissare il fine, la competenza e gli strumenti necessari per la realizzazione dell’interesse.

12 Sent. n. 14/1999.

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Quello che rimane togliendo il principio di legalità è la discrezionalità amministrativa cioè l’ambito di scelta lasciato alla P.A. all’interno dei paletti imposti dalla legge.

È lo spazio di scelta che l’amministrazione ha finalizzato

alla valutazione dell’interesse pubblico. Quando parliamo

di discrezionalità vediamo che la denominazione non trova

fondamenta in testi normativi ma rappresenta una realtà

che qualifica l’azione amministrativa; istituto che può

essere ricollegato all’interesse legittimo. L’attività

amministrativa è libera ma vincolata nel fine ma tale

libertà, però, non si traduce in arbitrio. La discrezionalità si

coglie quando le norme giuridiche assegnano

all’amministrazione un certo potere e questo comporta

delle scelte in capo all’amministrazione stessa. Sulla base

di ragionamenti giuridici la dottrina della discrezionalità ha

il compito di evitare che lo spazio di scelte si trasformi in

libertà svincolata che potrebbe sfociare, a sua volta, in

arbitrio. Questa dottrina è stata elaborata quando il giudice

amministrativo ha dovuto dare contenuto a uno dei vizi del

procedimento amministrativo, mentre il Consiglio di Stato

lo ha elaborato quando ha definito l’eccesso di potere come

cattivo uso della discrezionalità.

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L’art 1 della l. 241/90 prevede che l’attività amministrativa persegue fini determinati dalla legge, come già stabilito dall’art. 97 Cost. . Se il vincolo è nel fine, tutto quello che viene prima non è vincolato, quindi questo è il riconoscimento che ci sono delle scelte discrezionali. Sono le stesse norme che conferiscono il potere che lasciano poi all’amministrazione la possibilità di scegliere; scelte che possono essere soggettive ed opinabili.

Quello che occorre fare è individuare, nel modo più preciso

possibile, qual è l’interesse pubblico che deve essere

realizzato. Nel fare questo, sia la dottrina che un autore

esponenziale Giannini, sostengono che bisogna individuare

l’interesse pubblico primario, perché noi sappiamo che con

l’azione amministrativa vengono coinvolti una serie di

interessi e che questi non possono essere tutelati nello

stesso modo. Tra gli interessi presi in considerazione

vediamo che uno è primario ma l’amministrazione, per

esercitare la sua discrezionalità, deve effettuare un esame

scrupoloso anche degli interessi secondari che non sono

considerati irrilevanti; difatti, se il giudice si accorge che

gli interessi non sono stati contemperati può disporre un

cattivo uso della discrezionalità. Accanto agli interessi

primari e secondari devono essere soddisfatti anche quelli

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pubblici e privati. Da questo ricaviamo due principi dell’azione amministrativa inquadrati sotto la discrezionalità che rappresentano i corollari del principio di ragionevolezza: la necessaria acquisizione degli interessi e che gli interessi devono essere valutati in maniera comparativa.

La discrezionalità può essere variabile tanto che accanto alla discrezionalità amministrativa troviamo la discrezionalità tecnica che ha per oggetto la conoscenza della realtà. Si usa il termine discrezionalità in quanto ci si è posti un problema che è ancora aperto: se ci sono delle scelte su basi tecniche, il giudice le può sindacare? Quando l’amministrazione fa delle scelte opinabili ci troviamo dinanzi ad una valutazione tecnica che sfocia nella discrezionalità tecnica, mentre quando le scelte non sono opinabili parliamo di accertamento. Fino al 1999 il giudice non aveva la possibilità di compiere valutazioni che in realtà erano rimesse all’amministrazione ma si riteneva che il giudice potesse effettuare un controllo esterno. Nel 1999, invece, si stabilì che il giudice potesse effettuare una valutazione di legittimità dove la scelta del provvedimento doveva poggiare su fatti accertati. Chi è che dice questo?

La legge, con l’accertamento rigoroso dei fatti.

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La legge n. 205/2000 introdusse una novità, ovvero la possibilità riconosciuta al giudice di disporre di una consulenza tecnica. In questo modo il giudice amministrativo aveva la possibilità di conoscere lui stesso la realtà dei fatti circondandosi di tecnici che fossero in grado di fornirgli una giusta soluzione. Questo, però, nella pratica non è stato ancora attuato.

2) Principio di imparzialità è un principio che in qualche modo può essere ricollegato all’art 3 della nostra Costituzione, il c.d. principio di uguaglianza.

L’imparzialità ha delle peculiarità rispetto all’amministrazione tanto che, in merito, si è soliti scindere due aspetti relativi:

- all’organizzazione amministrativa dove imparzialità equivale ad uguaglianza. Alla P.A. si accede mediante un concorso pubblico;

- all’azione amministrativa dove, però, la connessione non è così

evidente proprio perché abbiamo la prevalenza dell’interesse

pubblico rispetto agli altri non è possibile trattare tutti gli

interessi allo stesso modo.

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21

3) Principio di buon andamento  per molti anni è stato considerato un mero auspicio e non una regola giuridica. È diventato un principio vincolante, come evidenzia la legge n. 241/90, secondo cui si prevede che l’attività dell’amministrazione destinata alla realizzazione di un interesse pubblico si conformi a due sottoprincipi appartenenti perlopiù alla sfera privatistica di:

- economicità che si verifica quando l’amministrazione ottiene il miglior risultato impiegando meno risorse. A questo principio se ne affianca un altro contemplato dalla legge n. 241/90 al 2 comma dell’art 1: non aggravamento del procedimento. Alla dimensione di economicità si collega il principio per cui l’amministrazione non può rendere la sua attività più gravosa se non è stabilito dalla legge, a meno che non sia necessario;

- efficacia, cioè si valuta la capacità di una singola amministrazione rispetto ai piani prefissati. Oggi, ogni amministrazione programma, tendendo in considerazione il riferimento temporale, la propria azione amministrativa.

Il buon andamento impone alla P.A. di effettuare un’attività di controllo originariamente riferibile ai singoli atti, modalità che dopo l’approvazione della legge n.

241/90 non andava più bene in quanto si riteneva fosse una

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prassi consona al rallentamento e, di conseguenza, alla sospensione di una serie di attività.

La legge n. 142/1990 (legge di modifica degli Enti locali) inizia a limitare il novero degli atti soggetti a tale controllo che vennero ulteriormente ridotti con l’approvazione della legge Bassanini e che furono completamente smantellati con la riforma del titolo V.

L’azione amministrativa si adatta ad altri principi che sono

enunciati nella legge: efficienza, trasparenza, accesso ai

documenti amministrativi e semplificazione a cui si

affiancano degli istituiti innovativi come la conferenza dei

servizi e gli accordi. Questo processo è il frutto di un lungo

lavoro ad opera della giurisprudenza che ha cercato di

contemperare i problemi nascenti tra le disposizioni di

leggi e il sistema normativo previgente, colmando le

eventuali lacune.

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23

2.2.2 ASPETTI DETERMINANTI L’AZIONE AMMINISTRATIVA: RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO, PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO E OBBLIGO DI MOTIVAZIONE.

La legge n. 241/90 persegue finalità di garanzia e snellimento e, a riguardo, sono stati disciplinati alcuni aspetti caratterizzanti l’azione amministrativa.

Il potere amministrativo si esercita mediante il procedimento che può essere inteso come l’insieme di una serie di atti, attività e operazioni compiute nell’esercizio del potere conferito dalla legge. L’esito del procedimento è dato dal provvedimento.

La formalizzazione dell’inizio del procedimento fa sì che dal momento in cui esso inizia si instaura un rapporto tra amministrazione e amministrato. All’interno del procedimento troviamo una figura disciplinata dal Capo II della legge n. 241/90: il responsabile del procedimento, che rappresenta sia una novità evidente ma anche una frattura con il sistema anteriore alla legge del ’90, che si caratterizzava per una frammentazione dei compiti assegnati ai funzionari pubblici e l’assenza di una guida della sequenza procedimentale

13

.

13Scarciglia,R.,Responsabile del Procedimento in Vandelli.L,(coord)Atti e Procedimenti Amministrativi,Maggioli Editore,1997,cit.,pag.41.

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24

Il responsabile del procedimento rappresenta un referente unico, un interlocutore per il cittadino, un soggetto che deve assicurare la connessione tra le vari fasi del procedimento amministrativo in concerto con i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza.

Il responsabile del procedimento deve essere individuato per tutti i procedimenti amministrativi e a questa conclusione si è arrivati per porre fine ad una situazione misteriosa. Innanzitutto la mancanza di un responsabile faceva sì che si rallentasse sempre più l’azione amministrativa; a questo seguiva l’irresponsabilità di coloro che gestivano il procedimento in quanto era previsto l’anonimato; e il tutto si concludeva con la violazione del principio di trasparenza non conoscendo l’identità del soggetto incaricato.

Al responsabile del procedimento sono dedicate diverse norme della legge n. 241/90. Gli art. 4 – 5 disciplinano la sua individuazione. Si prevede che la P.A. deve preventivamente individuare l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria dopodiché il dirigente assegna la responsabilità ad un dipendente. Se l’indicazione dovesse mancare allora è la norma stessa a stabilire, di diritto, che debba considerarsi responsabile del procedimento lo stesso dirigente. Ne deriva che la mancata indicazione non comporta l’illegittimità del provvedimento finale bensì una mera irregolarità.

Della sua nomina e di quella dell’unità organizzativa ne viene dato

avviso attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento al

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soggetto interessato, a coloro che devono intervenire e ai soggetti facilmente individuabili ossia coloro che dal provvedimento potrebbero subire un pregiudizio.

L’art. 6 della suddetta legge elenca i compiti che spettano al responsabile del procedimento che consistono, nella sostanza, nel porre in essere tutta una serie di attività necessarie per la conclusione del procedimento amministrativo. Gli sono riconosciute funzione di notificazione, pubblicizzazione, di istruttoria, di decisione. In questa figura si individua il dominus dell’istruttoria.

La legge n. 15/2005 ha stabilito che può anche darsi che il responsabile del procedimento non sia anche colui che poi adotterà il provvedimento finale. Se chi adotta il provvedimento finale è diverso dal responsabile del procedimento è necessario che quest’ultimo, al termine dell’istruttoria, rediga una relazione che sarà inviata all’organo del provvedimento finale. Se quest’ultimo si vorrà discostare dalla relazione lo potrà fare, ma sarà necessaria la motivazione evidenziando tutti i dati in fatto e in diritto che hanno portato alla nuova valutazione. In questa prospettiva anche la responsabilità sarà traslata dal responsabile del procedimento al soggetto che adotta l’atto finale.

Il capo III della legge n. 241 (art. 7 e ss.) ha codificato il principio del

giusto procedimento, inteso come il punto di incontro dei due profili,

strutturale e funzionale, propri della procedimentalizzazione, ossia

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26

dello schema di disciplina finalizzata, in uno Stato di diritto, a contenere le manifestazioni di potere della pubblica utilità

14

.

La partecipazione al procedimento amministrativo è considerata una delle basi fondanti l’attuale sistema amministrativo. Prima dell’entrata in vigore della legge n. 241/90 il procedimento veniva portato a compimento dall’Amministrazione senza che fosse possibile, se non in ipotesi tassative, la partecipazione dei soggetti coinvolti. Con questa legge si è introdotta per la prima volta la possibilità di partecipare al procedimento, andando così a rimarcare il principio di democraticità della P.A. e ponendo fine al tradizionale modello di azione pubblica.

La finalità della partecipazione consiste nell’opportunità di includere i soggetti interessati al procedimento nel meccanismo decisionale.

In questo nuovo quadro la partecipazione diventa il fulcro dell’agire amministrativo: intorno ad essa si concentra gran parte dello sforzo svolto, da un lato, a garantire agli interessati la possibilità di una tutela preventiva delle proprie ragioni, dall’altro a migliorare la qualità dell’azione pubblica attraverso la collaborazione dei cittadini, nonché a favorire il prodursi di un consenso generalizzato rispetto alle scelte compiute dall’amministrazione nell’esercizio della funzione

14 Nicosia,F.,il Procedimento Amministrativo,Jovane Editore,1992,cit.,pag.105.

(27)

27

pubblica

15

. Questi due poli, di difesa per la tutela dell’interesse privato e di collaborazione per l’interesse pubblico, rappresentano i pilastri dell’impianto partecipativo procedimentale.

La legge del 1990 ha colto l’input da altri ordinamenti che avevano già adottato una legge sul procedimento amministrativo. Se noi provassimo a fare una comparazione vedremmo come gli ordinamenti di derivazione anglo-americana hanno seguito una giurisdizionalizzazione del processo amministrativo; mentre nel nostro ordinamento, così come in tanti altri sottostanti al modello francese, le regole dettate per disciplinare lo svolgimento dell’azione pubblica non si ispirano ad una tipologia quasi – giurisdizionale. Ne discende il modello c.d. “amministrativo” di regolamentazione del procedimento, in cui l’autorità pubblica mantiene la guida principale delle scelte e delle valutazioni compiute nell’interesse della collettività, affidando al privato un ruolo secondario nello svolgimento dell’attività

16

.

Da questo scaturisce che il contraddittorio tra P.A. e cittadino è di tipo documentale: si riconosce all’interessato la possibilità di fare osservazioni, di inviare memorie all’amministrazione procedente ma si esclude la discussione orale e la presenza dell’interessato durante la partecipazione. Si evince come si tratti solo di un’applicazione parziale, talvolta imperfetta, del principio di buon andamento.

15 Gardini,G.,Partecipazione al Procedimento in Vandelli.,L.(coord)Atti e Procedimenti Amministrativi,Maggioli Editore,1997,cit., pag. 71.

16 IBIDEM, pag. 73.

(28)

28

L’art. 9 della legge n. 241/90 prevede che possono partecipare al procedimento:

1) coloro che sono stati destinatari della comunicazione dell’avvio del procedimento;

2) coloro che potrebbero subire un pregiudizio dal provvedimento finale;

3) coloro che, invece, sono portatori di interessi (categoria difficile da individuare).

Le parti necessarie del procedimento sono i titolari di interessi pubblici: tutte le Amministrazioni sono parti necessarie del procedimento.

La potestà di intervenire è richiamata anche dall’art. 10 dove, alla lettera A permette di prendere visione degli atti, ovvero del fascicolo disponibile all’Amministrazione nel momento in cui si partecipa garantendo così il diritto di accesso procedimentale (contrapposto all’accesso documentale disciplinato dall’art. 22); mentre alla lettera B si riconosce il diritto di presentare delle memorie scritte che l’Amministrazione deve valutarle come materiale istruttorio soltanto se pertinenti con l’oggetto del procedimento.

Esiste un nuovo istituto che valorizza la partecipazione, quello degli

accordi, che rappresenta una deroga al modello tradizionale secondo

cui il provvedimento finale è deciso dall’amministrazione. Oggi, con

(29)

29

l’art. 11 della legge n. 241/90 si prevede che la decisione finale possa risultare da un accordo tra Amministrazione e i privati interessati. Il contenuto dell’accordo si definisce proprio in virtù della partecipazione in quanto si confrontano gli atteggiamenti della P.A. e dei privati.

La partecipazione si applica a tutti i procedimenti amministrativi? La risposta è negativa. Vi sono dei procedimenti per i quali la partecipazione non è contemplata (art. 13). Si pensi all’emanazione di atti amministrativi generali che non hanno dei destinatari definiti, agli atti normativi, ai procedimenti di pianificazione e controllo.

Una fondamentale novità dalla legge n. 241/90 è l’obbligo di

motivazione. L’art.3 si occupa di tale obbligo, ormai elevato a regola

generale, fissandone i limiti e stabilendo una motivazione “per

relationem”, ovvero possibilità di riferirsi ad un atto del procedimento

amministrativo, valutazioni tecniche e pareri, che però deve essere

citato nella decisione e reso disponibile. Questa esigenza, in realtà, era

avvertita già dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche prima

dell’entrata in vigore di siffatta legge, difatti si prevedeva la

motivazione o nei casi previsti dalla legge (nonostante fossero pochi)

o per la natura dell’atto. La motivazione era sì sancita nell’art 111

Cost. in relazione ai procedimenti giurisdizionali, ma nessun altra

disposizione prima del 1990 prevedeva un obbligo per

l’Amministrazione di dichiarare le ragioni delle proprie deliberazioni.

(30)

30

Il legislatore ha perciò avvertito la necessità di disciplinare questo aspetto, prevedendo un obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, sia perché così si assicurava la trasparenza dell’esercizio del pubblico potere ma anche perché l’obbligo di motivazione rappresenta una delle più alte forme di garanzia riconosciute dall’ordinamento nei confronti del soggetto inciso da un provvedimento amministrativo sfavorevole

17

.

La motivazione rappresenta il punto di raccordo tra procedimento e decisione la cui funzione si esplica nel far conoscere il modus operandi della P.A all’amministrato, solitamente titolare di un interesse pretensivo (produzione di un effetto favorevole per l’amministrato) o oppositivo (produzione di un effetto che incide in modo negativo nella sfera giuridica dell’amministrato). Mediante la motivazione la P.A. si palesa rendendo il suo operato ancora più imparziale e trasparente, e si consente al privato di impugnare il provvedimento amministrativo in modo cosciente e non più “al buio”

come accadeva prima, quando si impugnava il provvedimento senza conoscerne i vizi.

Prima della legge n. 241/90 la motivazione si riteneva che valesse solo per i provvedimenti discrezionali, i provvedimenti negativi (quelli che non accoglievano l’istanza del privato) e quelli adottati a seguito dei ricorsi amministrativi.

17 Scarciglia,R.,Motivazione in Vandelli,L.(coord),Atti e procedimenti,Maggioli Editore,1997,cit.,pag. 20.

(31)

31

Con il 2 comma dell’art 3 della medesima legge il rilievo della motivazione si è esteso a tutti i provvedimenti tranne quelli a carattere normativi e generale. Questa propensione risiede nella consapevolezza che gli atti normativi, data la loro generalità e astrattezza, non sono in grado di ledere situazioni giuridiche soggettive.

2.3 LEGGE BASSANINI N. 59/1997. TRASFERIMENTO DELLE FUNZIONI DAL CENTRO ALLA PERIFERIA OVVERO IL FEDERALISMO “A COSTITUZIONE INVARIATA”.

Esiste un modello ideale di organizzazione pubblica basata sull’essenzialità delle funzioni, degli organi burocratici e la loro modernità. Il paradigma ideale si scontra con una realtà che vede gli Stati contemporanei in affanno: da un lato, costantemente pressati dalle continue richieste di intervento da parte della comunità e, dall’altro, costretti a fare i conti con la tendenza progressiva a limitare le gestioni pubbliche dirette

18

. È da qui che bisogna partire per captare i tentativi di modernizzazione del sistema pubblico a partire dagli anni

‘90.

Gli anni Novanta rappresentano, per il nostro ordinamento, un periodo storico caratterizzato da cospicue modifiche sul versante amministrativo. Innanzitutto vennero alla luce le Regioni a cui furono

18 AA.VV.,”Studi sulla legge 59 del 1997” in I quaderni della scuola a cura di S.

Sepe, SSAI, Roma,1997,cit.,pag 7.

(32)

32

affidate importanti funzioni amministrative e questo segnò la rottura con la precedente struttura; fu approvata la legge n. 241/90 e il Governo Amato scelse la delega 421/1992 per attuare una riforma del sistema amministrativo.

In questo contesto modificativo vediamo come il disegno di legge presentato al Parlamento dal Ministro Bassanini, convertito in legge del 18 marzo del 1997 n. 59, rappresenta un episodio di grande importanza teso a rimarcare l’inefficacia del sistema pubblico. L’uso – nella legge del 59 – del termine “conferimento”, di per sé, implica uno spostamento di visuale rispetto alla logica con la quale fu pensato (e poi effettuato) il trasferimento nel 1997 che prevedeva un riparto delle competenze fra Stato e Regioni. Nel modello Bassanini, invece, vi è un salto ancor più radicale che viene riassunto nel principio di sussidiarietà: le funzioni amministrative spettano, di regola, all’ente pubblico più vicino alla collettività. Regioni ed enti locali sono titolari di tutte le funzioni amministrative ad eccezione di quelle tassativamente indicate dal terzo comma dell’art.1 della legge n.59

19

; in questo modo si ha il trasferimento delle competenze dal centro alla periferia. Il modello della suddetta legge cambia le carte in gioco: si passa da un sistema amministrativo statale ad un sistema amministrativo regionale e degli enti locali.

19 IBIDEM,cit.,pag.9.

(33)

33

Prima della modifica della potestà legislativa venivano scritte le materie in cui le Regioni potevano legiferare seguendo i principi dello Stato. Dopo la riforma del 2001 l’art. 117 Cost. assume una nuova struttura e, ad esempio, le competenze legislative sono tripartite:

1) competenza esclusiva dello Stato dove solo quest’ultimo può legiferare;

2) competenza concorrente che si verifica quando lo Stato detta i principi generali e le Regioni possono legiferare attraverso norme di dettaglio;

3) competenza residuale secondo cui le materie che non rientrano né nel primo né nel secondo caso spettano alle Regioni.

L’art. 118 Cost. disciplina la funzione amministrativa. Prima della riforma tale funzioni spettavano a Stato o Regione in parallelo con le funzioni legislative: vigeva il principio del parallelismo. In questo modo i soggetti competenti erano solo Stato e Regione, mentre nessuna competenza era riconosciuta agli enti locali se non per delega.

Poi, si cambia, e si prevede che spettano alle Regioni le materie che

sono indicate nell’art. 117 Cost. salvo quelle di interesse

esclusivamente locale (Comuni e Province). Queste ultime possono

essere attribuite dalla legge della Repubblica agli enti locali. È un

disposto di notevole importanza poiché, prima della riforma, agli enti

locali non era riconosciuta alcuna funzione.

(34)

34

La nuova formulazione dell’art. 118 Cost. prevede che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni (il principio si è ribaltato), salvo che per assicurare l’esercizio unitario siano affidate a Province, Regioni o allo Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Il principio di sussidiarietà può avere diverse accezioni:

- sussidiarietà verticale che guarda alla distribuzione delle funzioni amministrative tra i vari enti territoriali le cui competenze sono elencate nella legge delega;

- sussidiarietà orizzontale quando si dice che alcune funzioni amministrative possono essere svolte non necessariamente da soggetti pubblici ma anche da privati. Si parla di possibilità e non di distribuzione.

Questo principio prevede l’attribuzione delle funzioni all’ente più vicino al cittadino e, cioè, al Comune. Le funzioni verranno trasmesse ai livelli superiori soltanto quando il livello inferiore non è in grado di adempiere alle proprie funzioni.

In Italia il primo riferimento a tale principio si ha con la c.d. legge

Bassanini. Vi erano dei problemi tra quanto disposto dalla

Costituzione e quanto dalla legislazione ordinaria, tanto che la dottrina

parlò di federalismo a Costituzione invariata. Per federalismo

(35)

35

amministrativo si intende il massimo decentramento realizzabile con legge ordinaria senza modifiche costituzionali.

Il principio di sussidiarietà è temperato da altri principi:

- di adeguatezza ovvero che l’Amministrazione a cui spetta la funzione amministrativa deve possedere una struttura adeguata, organizzata che sia in grado di garantire la riuscita dei compiti affidati;

- di differenziazione, secondo cui l’attribuzione delle funzioni deve essere effettuata tenendo conto delle differenti caratteristiche intrinseche degli enti territoriali.

Nel XX secolo la Pubblica Amministrazione ha subito un processo di riforma di ampia portata che ha investito tutto gli apparati amministrativi (Stato, Regione, enti locali) e non solo con un testo di riforma bensì attraverso numerosi interventi legislativi adottati da diverse maggioranze politiche che hanno rinnovato e trasformato istituti giuridici e apparati amministrativi.

A due mesi dalla prima legge Bassanini è entrata in vigore una legge

legata al nome del Ministro, la legge Bassanini bis del 15 maggio

1997 n. 127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività

amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo” che

accompagna alla riforma del decentramento quella della

semplificazione avendo l’obiettivo di ridisegnare l’organizzazione e il

(36)

36

funzionamento dell’Amministrazione con riferimento a quella locale.

La nuova legge presenta delle fratture non felici che riflette la stratificazione dei vari progetti di riforma che si sono susseguiti a partire dalla legge finanziaria 1993 n. 537 e solo in parte confluita nella prima legge Bassanini. Nonostante ciò tale legge è stata accolta con grande favore ed entusiasmo individuando in essa un nuovo cammino inerente ai rapporti fra Amministrazione e cittadino

20

.

La legge contiene numerose novità attinenti le amministrazione e enti locali, andando ad intaccare anche le Regioni e l’Amministrazione pubblica in generale. Gli oggetti della legge n. 127 sono sostanzialmente due: la riforma dei procedimenti (snellimento) e la riforma degli uffici (riorganizzazione).

Entrambe le leggi, la n. 59/1997 e la n. 127/1997 sono state integrate dalle leggi Bassanini ter e quater, e più precisamente: dalla legge del 16 giugno del 1998 n. 191 e la legge dell’8 marzo del 1999 n. 50.

Questi ritocchi derivano dalla consapevolezza di una riorganizzazione e dal mutamento della società al quale si risponde con l’elasticità degli apparati amministrativi.

L’ultima legge Bassanini ha completato il progetto di riforma prefissato dal Parlamento, rilanciando il processo di semplificazione

20 Travi, A.,La Legge n. 127/1997 sulla Semplificazione Amministrativa, in Corriere Giur.,1197,7,741.

(37)

37

mediante una legge a formazione vincolata attinente allo snellimento e alla soppressione dei procedimenti amministrativi.

Il legislatore ha iniziato ad operare una riforma sostanziale della P.A.

negli anni ’90, avendo come obiettivo quello di riformare il procedimento amministrativo fino ad allora sorretto da un principio di autoritarietà dell’azione amministrativa, facendo in modo che il referente principale diventasse il cittadino e non più la pubblica amministrazione.

Nell’arco di questo decennio vediamo come l’obiettivo della semplificazione amministrativa si è sempre più consolidato diventando un principio fondante l’ordinamento giuridico attuale e che ha portato con sé, con la legge n. 50/1999, le istanze riformatrici della semplificazione normativa, incidendo sulle procedure e sulle modalità di svolgimento dell’istruttoria legislativa

21

.

Mediante questa legge si tracciano i compiti affidati a Governo e Parlamento affinché si possa parlare di un riassetto dell’ordinamento normativo relativo sia alla quantità che alla qualità delle norme.

Questo adeguamento ci viene imposto anche dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, così come deriva dallo stesso motivo l’esigenza di una semplificazione normativa all’interno di una riforma amministrativa.

21 Petricone,F.,Le Leggi di Semplificazione della Riforma Amministrativa, in Giur.It.,2003,3.

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38

Il problema della semplificazione legislativa e amministrativa è di interesse globale. L’inflazione normativa derivante soprattutto da una ipertrofia legislativa coinvolge i legislatori di quasi tutti i paesi europei. Immaginare un percorso semplificato si collega ad un mutamento di mentalità, tanto che legiferare sempre e comunque non sembra più essere l’obiettivo del nostro legislatore che si è convertito a guardare l’essenzialità della norma primaria. Nonostante ciò è estroso vedere come anche per la semplificazione dei procedimenti amministrativi ci si è affidati ad una legge: la legge di semplificazione.

2.4 LA LEGGE N. 15/2005 E L’ESORDIO DI UN NUOVO PRINCIPIO BASE DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA.

Le modifiche enunciate dalla legge n. 15/2005 sono di un certo spessore in quanto consentono di apportare alla prima legge sul procedimento amministrativo tutte quelle correzioni e integrazioni necessarie per adeguarla all’innovazione del sistema costituzionale e normativo derivante dall’esito giurisprudenziale degli ultimi anni.

Le novità introdotte dal legislatore toccano diversi fronti: i principi generali dell’azione amministrativa e i rapporti tra diritto pubblico e privato; i rapporti tra azione amministrativa e principi comunitari;

efficacia e invalidità del provvedimento amministrativo che fino a

quel momento non era stato oggetto di una definizione normativa ma

(39)

39

frutto di una elaborazione giurisprudenziale; il diritto di accesso ai documenti amministrativi

22

.

L’art.1, comma 1 bis, della legge n. 241/90 introdotto dalla legge n.

15/2005 dispone che la P.A. “nell’attuazione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le regole di diritto privato, salvo che la legge non disponga diversamente”. Per molti questa è stata considerata una svolta epocale che segna una inversione di tendenza rispetto al passato quando la P.A. agiva mediante poteri di imperio. In questo scenario, quindi, il diritto privato diventa la regola mentre il diritto amministrativo l’eccezione?

L’affermazione di tale principio induce a fare i conti con due limitazioni: la prima riguarda l’ambito di applicazione circoscritta agli atti di natura non autoritativa; la seconda concerne la salvaguardia di disposizioni diverse che possono introdurre previsioni derogatorie

23

.

A tal proposito si può constatare come tale disposizione pare abbia avere più una portata enfatica che reale, sia perché posta in essere da una legge ordinaria pertanto derogabile da una fonte di pari grado, sia perché ha un carattere residuale indi per cui viene attuata solo quando l’amministrazione pone in essere dei rapporti con i terzi che non sono disciplinati dal diritto pubblico.

22AA.VV.,“la Riforma della legge n. 241/90 sul Procedimento Amm.” in I quaderni della scuola a cura di C.,Meoli,SSAI,2005,cit.,pag.36.

23 Napolitano,G.,“l’Attività Amministrativa e il Diritto Privato”,in Giornale di Dir.

Amm. n.5/2005, pag.482.

(40)

40

Nel corso della quattordicesima legislatura la legge n. 241/90, pur mantenendo il suo impianto originario, è stata largamente modificata ed integrata dalla legge n. 15/2005 il cui obiettivo era quello di integrare e correggere la legge già esistente al fine di attuare una maggiore efficienza dell’azione pubblica.

La riforma della legge 241/90 ha introdotto expressis verbis i due nuovi principi, di trasparenza e di rispetto dell’ordinamento comunitario, con ciò elevando al rango di disposizione legislativa una regola ormai pacifica e condivisa

24

.

Con questa legge di riforma si affianca ai principi già insiti nella legge precedente il principio di trasparenza, inteso come la possibilità per il cittadino di prendere visione degli atti del procedimento. La trasparenza è uno strumento giuridico idoneo a rendere sia i cittadini che le imprese sempre più consapevoli dei meccanismi di funzionamento della macchina pubblica

25

, con la conseguenza che i soggetti privati, titolari di un interesse attuale e concreto, possano interloquire con la pubblica amministrazione prima della decisione. In merito si ritiene che la P.A. debba cooperare con i privati affinché questi ultimi possano individuare, tra i vari strumenti messi a disposizione dall’ordinamento giuridico, quello più consono per soddisfare le proprie situazioni giuridiche soggettive considerate lese.

24 http://www.diritto.it/archivio/1/20275.pdf

25 http://www.altalex.com/documents/news/2015/02/19/il-principio-di-trasparenza- dell-azione-amministrativa

(41)

41

2.4.1 UN DIRITTO CONNESSO AL PRINCIPIO DI TRASPARENZA: IL C.D. DIRITTO DI ACCESSO.

Fortemente connesso al principio di trasparenza è il diritto di accesso che va a modificare la disciplina prima vigente: c.d. segreto d’ufficio.

L’accesso è considerato un principio generale dell’attività amministrativa che ha finalità di interesse generale, deducibile dall’art.22 l. n. 241/90, ed è traduzione del principio di pubblicità e trasparenza dell’azione pubblica. Si desumono, così, due facce di una stessa medaglia: il diritto di accesso inteso come tutela di una situazione individuale ma collegato alla cura di interessi pubblici.

Secondo l’art. 22 L. proc. amm., il diritto di accesso è il diritto degli

interessati a prendere visione o estrarre copia di documenti

amministrativi. L’identificazione del soggetto del diritto è più

complessa: l’articolo in questione individua come interessati <<tutti i

soggetti privati, compresi quelli di interessi pubblici o diffusi, che

abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una

situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è

richiesto l’accesso>>. Rispetto al testo originario, il nuovo art.22

modificato con la l. 15/2005 appare un po’ più restrittiva; difatti, si

ritiene che l’interesse giuridicamente rilevante tale da legittimare la

richiesta di accesso debba essere concreto e personale, cioè riferibile

(42)

42

al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificatamente inerente alla situazione da tutelare

26

.

Secondo la giurisprudenza l’interesse che legittima il diritto di accesso deve essere letta attraverso maniche più larghe, specie quando si tratta di tutelare interessi diffusi.

Nel 2012 il Consiglio di Stato ha affermato che la legittimazione al diritto di accesso deve essere riconosciuta a chiunque possa dimostrare di subire degli effetti, diretti o indiretti, dagli atti del procedimento, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica in virtù dell’autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita.

Sempre nell’art. 22 si individua la categoria dei controinteressati, non presente nel testo originario. Il controinteressato è il soggetto in capo al quale esigenze di riservatezza sarebbero compromesse dall’accesso ai documenti richiesti. In sede di ricorso il controinteressato in questo senso è parte necessaria del giudizio amministrativo, tanto che si prevede per l’Amministrazione destinataria della richiesta di accesso, l’obbligo di comunicare tale richiesta anche ad eventuali controinteressati i quali, entro un breve periodo di tempo, possono opporsi motivatamente

27

.

Il diritto di accesso si può esercitare secondo due modalità:

26 Cerulli Irelli,V.,Lineamenti del diritto Amministrativo,Giappichelli Editore,2012,cit.,pag.357.

27 IBIDEM,cit.,pag.358.

(43)

43

1) informale quando l’interessato fa richiesta, anche verbale, all’ufficio indicando gli estremi del documento oggetto della richiesta, mettendo in rilievo il suo interesse. La richiesta viene esaminata senza particolari formalità ed è accolta mediante l’esibizione del documento;

2) formale quando si avvia un vero e proprio procedimento amministrativo in cui l’ accoglimento della richiesta avviene con un atto dell’Amministrazione competente.

Quando l’accesso non può essere consentito, l’Amministrazione risponde con rifiuto ovvero differimento dell’accesso richiesto.

I provvedimenti negativi, anche parziali, in ordine alla richiesta di accesso, devono essere comunicati per iscritto agli interessati e devono essere motivati, in relazione ad esigenze di riservatezza – sia per gli interessi generali che particolari – alla base del provvedimento, secondo i parametri dell’art.24. Questo articolo contiene delle limitazioni al diritto di accesso ai documenti amministrativi per motivi di riservatezza per particolari materie o esigenze attinenti allo svolgimento di pubblici poteri: atti coperti da segreto di Stato, segreto commerciale; limitazioni in relazione a specifiche esigenze di sicurezza, difesa nazionale, ordine pubblico etc

28

.

28 Scarciglia,R.,Accesso agli Atti e ai Documenti in Vandelli,L.(coord),Atti e Procedimenti Amministrativi,Maggioli Editore,1997,cit.,pag 225-226.

(44)

44

La legge del Duemila ha comportato diverse modifiche andando ad intaccare anche la conclusione del procedimento amministrativo.

L’art. 2 della legge n. 241/90 stabiliva che ogni Amministrazione aveva il dovere di concludere il procedimento amministrativo, con l’emanazione del relativo provvedimento, entro un termine stabilito e reso pubblico dall’Amministrazione stessa (a seconda del tipo di procedimento) e, nel caso in cui questa non avesse provveduto ad indicare un termine si intendeva fissato a trenta giorni.

Il nuovo testo, considerata la modifica del 2005, stabilisce che i termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi statali vengano previsti dalla legge o, in mancanza, da regolamenti governativi entro 180 giorni. Gli enti pubblici, sempre entro 180 giorni, possono fissare il termine di conclusione dei procedimenti di propria competenza. Nel caso in cui la fissazione del termine dovesse mancare, allora questo risulta essere di 90 giorni.

L’art.3 bis della legge n. 15/2005 introduce il C.A.D. ossia il codice

dell’Amministrazione digitale. Il processo di informatizzazione fa si

che il cittadino divenga un cittadino digitale per cui

l’Amministrazione si avvale dell’uso della telematica nei rapporti tra

P.A. e tra P.A. e privato.

(45)

45

2.4.2 EFFICACIA E INVALDIITA’ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO.

L’entrata in vigore della legge del 7 febbraio n. 15 del 2005 recante

“Modifiche ed integrazioni alla legge del 7 agosto n. 241 del 1990,

concernenti norme generali sull’azione amministrativa” segna un

passo considerevole nel tentativo di costruire un organo complesso di norme sull’azione amministrativa. Il legislatore del 2005 ha recepito massicci istituti di derivazione dottrinale e giurisprudenziale e li ha integrati nel testo originario della legge sul procedimento che oggi prevede un intero capo IV bis disciplinante l’efficacia e l’invalidità del provvedimento amministrativo

29

.

Con “efficacia del provvedimento” si allude ad una doppia accezione:

la prima è relativa all’attitudine dell’atto a produrre determinati effetti giuridici mentre, nella seconda accezione, per efficacia si intende l’insieme delle conseguenze giuridiche previste dalla legge. Si parla di efficacia nel momento in cui l’atto può dirsi avere le caratteristiche minime del provvedimento medesimo; difatti, nel caso in cui un procedimento non si svolgesse correttamente questo non andrebbe ad incidere sull’efficacia poiché la validità fa riferimento alla correttezza del procedimento mentre l’efficacia si produce solo se il

29 Farina,G.,”L’art. 21 Octies della nuova L.241/90: la codificazione della mera irregolarità del provvedimento amministrativo”,in

http://www.lexitalia.it/articoli/farina_art21.htm,n.9,2005.

(46)

46

provvedimento ha i suoi elementi essenziali. Normalmente l’efficacia si distingue in tre tipologie:

1) costitutiva che opera delle trasformazioni giuridiche in senso tecnico relative alla costituzione, modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche;

2) dichiarativa che a differenza di quella costitutiva non è idonea né a creare né a estinguere situazioni giuridiche. È un tipo di efficacia in cui la struttura originaria della situazione giuridica rimane identica ma ci sono degli svolgimenti interni che fanno cambiare qualcosa e questi si esplicano in rafforzamento, specificazione, affievolimento;

3) preclusiva, dove non c’è, ex novo, nessun effetto particolare.

Si allude al fatto che una certa situazione diventa incontestabile per l’ordinamento ed è una efficacia tipica degli atti giurisdizionali ma anche di alcuni provvedimenti amministrativi come quelli a contenuto certificativo.

L’efficacia si produce con il venir in essere dell’atto o del provvedimento; l’effetto è quasi sempre un programma che deve essere realizzato. Il valore non è un fatto pertanto, per poter passare dai valori ai fatti è necessaria quell’attività chiamata esecuzione.

I provvedimenti amministrativi, da un punto di vista di efficacia

temporale, sono soliti distinguersi in: quelli ad efficacia istantanea che

sono quelli che compiono la trasformazione in un solo momento e

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