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L’efficacia soggettiva del contratto collettivo.

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Capitolo 1

L’efficacia soggettiva del contratto collettivo.

1.1 Introduzione

Nella contrattazione di lavoro collettiva, il tema riguardante l’efficacia dei contratti ha da sempre coinvolto con posizioni divergenti il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza.

Per efficacia del contratto collettivo si intende la duplice accezione di efficacia soggettiva e oggettiva, che nel primo caso si riferisce all’individuazione dei soggetti che sono vincolati allo stesso contratto collettivo, mentre nel secondo si fa invece riferimento al processo con il quale un contratto collettivo può influire giuridicamente nei singoli rapporti di lavoro individuale.

Nel nostro ordinamento, la questione dell’efficacia del contratto collettivo è disciplinata già nella Costituzione dall’art. 39

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. Tale articolo è stato pensato e redatto dai Costituenti per consentire un passaggio, il più possibile indolore, da un sistema basato sul contratto collettivo corporativo, dotato di per sé di efficacia erga omnes, ad un

1 Articolo 39 Costituzione: “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

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contratto collettivo che avesse efficacia erga omnes perché stipulato secondo una determinata procedura da soggetti individuati per legge. Quanto meno l’ultimo comma di tale previsione, accoglieva esplicitamente la questione della

“efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Storicamente però, il nostro sistema di contrattazione sindacale ha seguito sentieri differenti rispetto alla soluzione tracciata dall’art. 39 della Costituzione

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. Innanzitutto la legittimazione dei sindacati, affinché potessero partecipare alla stipula dei contratti collettivi, non è avvenuta tramite “la loro registrazione presso uffici locali o centrali”, come esplicitamente previsto dal dettato costituzionale, ma si è realizzata attraverso il principio dell’interesse collettivo, inteso come potere di agire in nome e per conto degli lavoratori associati.

Questo modello alternativo alle previsioni del legislatore costituente si è negli anni istituzionalizzato grazie ad elaborazioni dottrinali che hanno via via modificato il concetto di interesse collettivo, inteso in senso generico e indeterminato, in un interesse determinato e identificabile nell’interesse sindacale.

Abbandonata la previsione del quarto comma dell’art. 39, per riuscire a trovare una soluzione stabile all’efficacia erga omnes del contratto collettivo, si sono

2 Cfr. M. D’Antona, “Il quarto comma dell’art.39 della costituzione, oggi”

In Giorn. Dir. Lav. rel. Ind. n. 80, 1998, pag. 665ss.

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avvicendate varie fasi legislative per poter risolvere tale questione.

Per rendere più semplice una ricognizione storica su questo argomento è possibile scindere i tentativi fatti dal legislatore in due macro aree, una che fa leva sulla volontà dei singoli soggetti come condizione minima di efficacia del contratto collettivo e l’altra che cerca di fare a meno dell’elemento volitivo, in modo da giungere a soluzioni che sappiano far fronte a situazioni di dissenso individuale o tra sindacati stessi.

1.2 La legge 14 luglio 1959, n. 741.

Il primo tentativo per eludere il sistema costituzionale, risale al 1959 con l’emanazione della legge n.741 meglio conosciuta come legge Vigorelli.

In forza di questa legge il Governo aveva la facoltà

di emanare decreti legislativi che fissassero dei limiti

minimi inderogabili, in materia di trattamento economico e

normativo dei contratti di lavoro, efficaci verso tutti gli

appartenenti ad una determinata categoria di lavoratori. Il

modus operandi pensato al riguardo, prevedeva che tutte le

clausole applicabili ai contratti collettivi già in essere

antecedentemente l’emanazione della legge Vigorelli

venissero emanati in forma di decreti legge, permettendo

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solo eventuali deroghe “in melius”

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da parte dei datori di lavoro. Un modus legiferandi già adoperato in passato, ma che per la prima volta veniva tipizzato in legge.

L’impianto su cui si basava la legge Vigorelli non era abbastanza solido da poter reggere nel tempo. Secondo l’art. 6 della legge “le norme di cui all’art.1 della presente legge saranno emanate con decreto legislativo (…) entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge o nel minor termine in caso di entrata in vigore della legge applicativa dell’art. 39 della Costituzione”. La previsione di un anno di tempo non fu sufficiente al legislatore per regolare tutti i contratti collettivi esistenti, pertanto si decise di prorogare la legge, estendendo anche il termine per stipulare nuovi contratti collettivi da recepire tramite decreti legislativi.

Per questo scopo fu emanata dunque la legge 1 ottobre 1960, n. 1027 che prevedeva sin dall’art.1 la possibilità per il Governo di “uniformarsi a tutte le clausole dei singoli accordi economici, e contratti collettivi anche intercategoriali stipulati entro i dieci mesi successivi dalla data di entrata in vigore della legge medesima” e in forza dell’art. 2 prorogava di ulteriori quindici mesi il termine disposto dall’articolo 6 della legge 14 luglio 1959, n.741.

In forza a tale previsione, i contratti collettivi venivano

3 Infatti secondo l’articolo 7 della Legge Vigorelli “I trattamenti economici e normativi minimi, contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori”.

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recepiti da fonti di carattere legislativo assumendo così efficacia erga omnes, ma si sarebbe dovuto ricorrere periodicamente all’emanazione di ulteriori atti legislativi come ad esempio la legge 1 ottobre 1960, n. 1027 per mantenere nel tempo questo risultato.

L’intervento della Corte Costituzionale nei confronti di quest’ultima norma fu immediato e con la sentenza n.106 del 19 dicembre 1962, si è dichiarata incostituzionale la legge di proroga del 1960 lasciando invece intatta la legge Vigorelli.

Per la Corte era da censurare il tentativo di aggirare l’art. 39 della Costituzione, per cui “una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato (…) in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima

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”, altresì viene evidenziato come la previsione costituzionale non implica “una riserva, normativa o contrattuale, in favore dei sindacati, per il regolamento dei rapporti di lavoro”.

Anche la legge “Vigorelli” presentava le stesse caratteristiche ammonite dalla Corte, ma non venne considerata illegittima per via del suo carattere di eccezionalità e transitorietà.

4 Cfr. Corte Cost. 19 dicembre 1962, n. 106, con nota di M. Mazziotti, osservazioni alla sentenza della Corte costituzionale 19 dicembre1962, n. 106, in Giur. Cost, 1962, I, 1423. Nella sentenza qui citata la Corte fa valere il contrasto tra lo schema della legge Vigorelli con i commi 2,3, e 4 dell’art. 39 della Costituzione.

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1.3 Lo statuto dei lavoratori.

Fallito l’impianto logico previsto dalla legge Vigorelli, il legislatore ha negli anni cercato di risolvere il quesito della validità erga omnes dei contratti collettivi tramite una legislazione incentivante

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, ribattezzata come

“promozionale”, sviluppatasi anche attraverso lo Statuto dei Lavoratori entrato in vigore il 20 maggio del 1970, undici anni dopo la sopramenzionata legge Vigorelli.

Innanzitutto, tramite l’art. 36 Stat. Lav. si dispone che “Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona”. In questo modo si è previsto che tutte le attività private aventi rapporti di natura economica con operatori pubblici, erano obbligatoriamente sottoposte ex art. 36 all’estensione erga omnes degli

5 Una rassegna esaustiva sulla legislazione di carattere “promozionale” v.

Ferraro G., Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, CEDAM, 1981, pag. 269 ss.

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standard contrattuali stipulati dai contratti collettivi nazionale di lavoro per la categoria di interesse.

Inoltre questa disciplina trova estensione nella sua applicazione anche nel tempo, nel senso che anche nel periodo successivo al rapporto con la pubblica amministrazione, l’imprenditore beneficiario di vantaggi e agevolazioni fiscali concessi dal”.le legge è tenuto a mantenere il tenore contrattuale derivante dai contratti collettivi nazionali. In caso di mancata ottemperanza a tale onere, la pena prevista dal terzo comma dell’art. 36 Stat.

Lav. dispone infatti che:

“Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall'Ispettorato del lavoro viene comunicata immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto.

Questi adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto”.

L’escamotage dello Statuto dei Lavoratori è stato poi interpretato dalla giurisprudenza prevalente

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non come un mero vincolo normativo, ma come un contratto a favore di terzi, come disciplinato dall’art. 1411 del codice civile,

6 Cfr. Cass. 5 giugno 1981, n. 3640, In Mass. Giur. Lav. 1982, p. 335;

Cass. 21 dicembre 1991, n. 13834, in Giur. It., 1993, p. 640.

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che fa così nascere un vero e proprio diritto soggettivo in capo ai lavoratori. Tant’è che nei contratti di concessione stipulati tra imprenditore e pubblica amministrazione, l’eventuale assenza di tale previsione normativa faceva sorgere una pretesa risarcitoria da parte dei dipendenti dell’imprenditore stipulante anche nei confronti della pubblica amministrazione. Per ciò che riguarda i trattamenti economici e normativi da applicare in comparazione con il contratto collettivo nazionale, il d.lgs.

12 aprile 2006, n. 163, ha stabilito che l’impegno preso dall’imprenditore in seguito alla stipula di un contratto di fornitura di servizi, lavori o prodotti ed opere è tenuto a

“osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”. Secondo questa impostazione dunque, l’inserimento della clausola ex art. 36 Stat. Lav.

diventa una vero e proprio vincolo giuridico pendente in capo all’imprenditore, di uniformarsi integralmente ai parametri economici e normativi stabiliti dalla contrattazione collettiva.

Un altro metodo utilizzato dal legislatore per estendere l’efficacia dei contratti collettivi nazionali, è stato l’utilizzo di una produzione normativa sempre di tipo

“promozionale” facente leva su sgravi fiscali in cambio di

determinati oneri sociali. Tra questi interventi possiamo

menzionare la legge 8 agosto 1977, n. 573 art. 2 comma 2,

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che disponeva una diminuzione quantitativa sui contributi da versare a condizione che fossero applicati i parametri economici e normativi disposti dai contratti nazionali per la categoria di riferimento.

Successivamente questa disposizione è stata novellata dalla legge n. 502 del 5 agosto del 1978 che ha sostanzialmente ridimensionato la portata della norma precedente prevedendo agevolazioni fiscali per tutti i datori di lavoro che garantivano “trattamenti non inferiori a quelli minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative

7

”.

1.4 Gli interventi giurisprudenziali.

Mentre si susseguivano i tentativi da parte del legislatore di risolvere il problema dell’estensione dei contratti collettivi erga omnes, la giurisprudenza ha dovuto sopperire alla mancanza di una normativa di riferimento specifica cercando soluzioni che fossero coerenti con il restante sistema legislativo.

La giurisprudenza ha cercato inizialmente di basarsi sul principio contenuto nell’art. 36 della Costituzione, che attribuisce al lavoratore il “diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in

7 Cit. G. Ferraro, Fiscalizzazione degli oneri sociali e sgravi contributivi, in Riv. It. Dir. Lav., 1989, p. 66 ss.

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ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Tale previsione costituzionale permetteva al giudice di dichiarare nulla la clausola non conforme ad un livello minimo di retribuzione. Come metodo di paragone per rilevare tale parametro si faceva quindi riferimento al contratto collettivo, unico strumento per determinare un livello retributivo proporzionato e sufficiente.

L’utilizzazione di tale metodo per poter applicare i parametri dei contratti collettivi ha però il difetto di avere una impostazione prettamente individuale e non collettiva

8

.

Spetta infatti al singolo lavoratore adire il giudice per ottenere a titolo risarcitorio un equo trattamento retributivo. Perciò da un punto di vista sull’efficacia erga omnes questo procedimento di estensione del contratto collettivo è valido solo per il lavoratore che ha preso parte al processo per l’ottenimento di un’equa retribuzione, e coinvolge solo l’aspetto relativo all’adeguamento economico e non a quello normativo.

Un altro aspetto fallace di tale soluzione, è che gran parte delle sentenze emesse in base alla previsione dell’ art.

36 della Costituzione si discostavano in negativo rispetto a valori fissati dai contratti collettivi nazionali per determinate categorie.

8 Cfr. T. Treu, Commento all’art. 36 Cost., in Commentario della Costituzione, Bologna, 1979, p. 86 ss.

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Un ulteriore sforzo per ampliare l’efficacia del contratto collettivo è stato fatto utilizzando la disposizione prevista dall’art. 2070 c.c., previsione legislativa appartenente al passato sistema corporativo secondo la quale “l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività”.

La forza di questo modello si basa sul concetto di categoria, che fa in modo di ricondurre alla categoria professionale del datore di lavoro, il relativo contratto collettivo.

Proprio per il carattere prettamente corporativo e poco in linea con l’evoluzione sociale e giuridica del sistema, l’uso di tale schema per l’estensione dell’efficacia soggettiva, ha avuto successo solo fino agli anni ’80, trovando poi forti ostacoli applicativi, sia in sede dottrinale e in particolar modo in sede giurisprudenziale, l’orientamento è variato dichiarando incompatibile la coesistenza dell’art.2070 c.c. con il principio di libertà sindacale.

Il ricorso all’art.2070 c.c. per estendere l’efficacia

soggettiva del contratto collettivo di diritto comune è

durato in ogni caso per più di venti anni, grazie alla

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sentenza 26 giugno 1969, n. 105 della Corte Costituzionale che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità di tale articolo, preferendo questa impostazione a quella messa in atto con legge Vigorelli. Solo successivamente la Corte di Cassazione, intervenuta sull’argomento tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, ha dichiarato che il sistema basato sull’applicazione dell’art. 2070 del codice civile sia “una frattura sistematica nell’ordinamento lavoristico, quale si è formato proprio attraverso la giurisprudenza di legittimità”

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, discostandosi oltretutto dall’impostazione moderna del concetto di categoria contrattuale.

Altra argomentazione a sfavore dell’applicazione dell’art. 2070 c.c. fatta rilevare dalla Corte di Cassazione, fa leva sull’ipotesi in cui il datore di lavoro non è iscritto ad alcuna associazione sindacale, o in ogni caso non sia iscritto ad un sindacato che abbia stipulato contratti collettivi. In questo caso l’imprenditore non è obbligato ad applicare il contratto collettivo secondo la disposizione dell’art. 2070 c.c.

1.5 La clausola di rinvio

9 Cass. SS.UU. 26 febbraio 1997, n. 2665, in NGL, 1997, p. 163; Cass. 30 gennaio 1992, n. 976, in RIDL, 1992, II, p. 531.

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Per estendere l’efficacia soggettiva dei contratti collettivi è stato utilizzato anche il metodo di introdurre delle clausole di rinvio all’interno dei contratti individuali di lavoro.

Le clausole di rinvio ai contratti collettivi nazionali possono essere distinte in formali e materiali. Per rinvio formale si intende il richiamo al contratto collettivo come fonte di produzione e quindi estende l’applicazione anche alle future modifiche che subisce quest’ultimo in sede di contrattazione collettiva sindacale.

Il rinvio materiale invece, si riferisce solo ad un determinato contratto collettivo tenendo fuori le possibili future modifiche che possono interessarlo.

L’apposizione di una clausola di rinvio in un contratto individuale pone quindi la necessità di stabilire se questa sia di tipo formale o materiale. In secondo luogo bisogna stabilire se nella clausola siano rispettati i requisiti di determinatezza e determinabilità dell’oggetto, come richiesto dalle norme civilistiche ex art. 1346 c.c.

A seconda della tipologia di rinvio, formale o materiale, bisogna verificare se il contratto collettivo da recepire rispetta determinate caratteristiche.

Nel caso infatti di un rinvio materiale, è necessario

che il contratto collettivo da recepire sia già individuato o

sia in qualche modo individuabile. Mentre nel caso di un

rinvio formale, per rispettare quanto disposto dall’art. 1346

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c.c. vanno determinati nello specifico gli agenti coinvolti nella contrattazione collettiva.

La differenza tra i due tipi di rinvio al contratto collettivo, non riguarda solo l’oggetto ma coinvolge anche i differenti interessi in gioco che si voglio perseguire. La Corte di Cassazione ha infatti specificato che tramite il rinvio materiale o formale, le parte perseguono interessi qualitativamente e quantitativamente distinti.

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Il rinvio materiale, secondo i giudici della Suprema Corte, manifesta la volontà di “inglobare come regola dei singoli rapporti soltanto le clausole collettive, sia nazionali che integrative, vigenti nel dato momento storico in conclusione del contratto individuale”. Per ciò che riguarda il rinvio formale, si nota “la volontà dei contraenti individuali di assoggettarsi preventivamente ad una normativa collettiva e come tale avente carattere di generalità ed astrattezza, oltre che di dinamicità, nel senso di adeguamento , anche nel tempo futuro, al mutevole equilibrio che gli organi di categoria avrebbero raggiunto in sede di contrattazione sindacale”.

Da ciò si ricava che con il rinvio materiale, si conferisce natura individuale alle singole clausole del contratto collettivo , mentre nel caso di un rinvio formale rimane immutato il carattere collettivo delle clausole apposte. Ciò può comportare che in un contratto

10 cfr. Cass.,Sez. Lav., 1 dicembre 1989, n. 5285, in Rep. Foro it, voce Lavoro (contratto), n. 23.

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individuale che faccia un riferimento materiale al contratto collettivo nazionale, possano essere specificati ulteriori fini di carattere negoziale, autonomi e indipendenti dal sistema sindacale, che accettano determinate dinamiche, ma vogliono preservarsi da possibili futuri cambiamenti di disciplina. Invece per ciò che riguarda il rinvio formale, vi sono contrapposte teorie al riguardo. Per alcuni autori “in tutti i casi in cui il datore esprima, per espresso o per fatti concludenti, la volontà di applicare il contratto collettivo ed il lavoratore accetti, non è più consentito uno svincolo unilaterale né dall’una né dall’altra parte, sicché questo tipo di legame è più resistente di quello derivante dall’iscrizione che, come si è visto può cessare con il recesso dall’associazione”.

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Un’ulteriore visione sull’argomento, invece, pone la clausola di rinvio formale sullo stesso piano dell’adesione ad un sindacato stipulante visto che l’interesse perseguito, sia con una clausola di rinvio formale, sia con l’iscrizione al sindacato, è il medesimo.

Secondo Emiliani

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infatti nel caso in cui un datore di lavoro, iscritto al sindacato, apponga anche una clausola di rinvio tale previsione sarebbe priva di causa in quanto andrebbe a realizzare qualcosa che di per sé è già previsto e

11 Cit. A. Vallebona: Autonomia collettiva e occupazione: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1997, p. 381 ss.

12 Cfr. S. Emiliani, in L’efficacia del contratto collettivo tra iscrizione al sindacato e adesione individuale, in ADL, 2000, p. 725 ss.

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soddisfatto tramite l’iscrizione al sindacato stesso. Questa seconda tesi dottrinale è stata accolta dalla Corte di Giustizia Europea che in ambito di trasferimento d’azienda ha disposto che “qualora il contratto di lavoro dei lavoratori ceduti, rinvii ad un contratto collettivo che vincola il cedente, il cessionario che non è parte del contratto collettivo non sia vincolato da contratti collettivi successivi a quello in vigore al momento del trasferimento d’azienda”

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.

A questa sentenza si è arrivati dopo che la Corte di Giustizia era stata invocata dal Tribunale del lavoro di Dusseldorf per esprimersi su una questione interpretativa riguardante l’art. 3, comma 1 della direttiva 2001/23/CE, sul “fatto che, in caso di trasferimento d’azienda, il cessionario non vincolato a contratti collettivi sia tenuto a rispettare un accordo concluso tra il cedente – vincolato invece alla contrattazione collettiva – ed il lavoratore, in base al quale sia stata convenuta l’applicabilità degli accordi salariali collettivi di volta in volta vincolanti per il detto cedente, qualora il menzionato obbligo di rispetto dell’accordo pregresso comporti l’applicabilità dell’accordo salariale collettivo in vigore al momento del trasferimento dell’azienda, ma non quella di analoghi accordi salariali entrati in vigore in un momento successivo”.

13 Cfr. Corte giust., 9 marzo 2006, Werlhof, in www.europa.eu.int

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Affermando il diritto del lavoratore a mantenere il posto di lavoro, riservandogli le medesime condizioni contrattuali che aveva con il precedente datore, la Corte specifica che è comunque meritevole di tutela, l’interesse del nuovo datore cessionario che ha bisogno di “procedere ad adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività”

14

. In particolare, la Corte ha affermato che “la libertà di associazione, che comprende altresì il diritto di non far parte di un sindacato

15

, è sancita dall’art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4novembre 1950, e fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, sono oggetto di tutela nell’ordinamento giuridico comunitario

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, come ricorda l’art. 6, n. 2, UE”.

Conseguentemente, la Corte, sulla base di una

“interpretazione «statica» della detta clausola”, ha affermato “che il cessionario dell’azienda, che non è parte del contratto collettivo” non può ritenersi “vincolato alle future evoluzioni di quest’ultimo. Il suo diritto di non associarsi è così pienamente garantito”.

14 Cfr., ancora Corte giust., 9 marzo 2006, Werlhof, in www.europa.eu.int

15 v. in tal senso, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze Sigurjónsson c. Islanda del 30 giugno 1993, serie A, n. 264, § 35, e Gustafsson c. Sveziadel 25 aprile 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-II, p. 637.

16 V. Corte giust. sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, in Racc. pag. I 4921, punto 79.

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La giurisprudenza comunitaria dunque abbraccia totalmente la seconda tesi in tema di rinvio formale, espressa da Emiliani, avallando il concetto che sia la clausola di rinvio, sia l’iscrizione al sindacato perseguono lo stesso interesse.

1.6 L’iscrizione al sindacato

In ambito di iscrizione al sindacato, la teoria privatistica che ha riscontrato maggior successo tra dottrina e giurisprudenza è stata quella del mandato con rappresentanza che obbliga a rispettare il contratto collettivo, laddove lavoratore e datore di lavoro siano iscritti alle rispettive organizzazione sindacali. Attraverso l’atto di iscrizione al sindacato le parti conferiscono la rappresentanza dei propri interessi individuali subordinandoli a quelli della collettività professionale

17

.

Soprattutto per ciò che riguarda il datore di lavoro, la sua iscrizione al sindacato è condizione sufficiente e necessaria per far sorgere l’obbligo di applicare il contratto collettivo senza fare alcuna differenziazione all’interno dell’azienda, ottenendo così una efficacia soggettiva erga omnes. Tale obbligo nasce direttamente con l’adesione al sindacato, momento che stabilisce una limitazione della

17 Cass. SS.UU. 26 febbraio 1997, n. 2665, in Not. Giur. Lav., 1997, p.163.; Corte Cost., 26 giugno 1969, n. 105, in Mass. Giur. Lav., 1970, p. 172.

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volontà contrattuale del datore di lavoro a favore della organizzazione sindacale di appartenenza.

1.7 L’adesione al contratto

L’efficacia del contratto collettivo nazionale può essere estesa anche nei confronti di soggetti che pur non essendo iscritti ad organizzazioni sindacali, ma che spontaneamente decidono di aderire al contratto seguendo la previsione dell’ art. 1332 del codice civile

18

. In questo modo il contratto collettivo rappresenta una fonte eteronoma, a cui il datore di lavoro non aderisce espressamente e su cui le organizzazioni sindacali stipulanti non hanno nessun controllo nell’accettare l’ingresso di soggetti terzi. Rimane però come effetto che determinate clausole scelte dalle parti, entrino a far parte dei contratti individuali come se le avessero stipulate loro in prima persona. La recezione del contratto collettivo può avvenire attraverso una espressa dichiarazione oppure per fatti concludenti, come espresso dalla corte di cassazione, mediante una “prolungata, costante ed uniforme osservanza delle sue clausole, o quantomeno di quelle più rilevanti e significative”

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. È stato però specificato dalla

18 Art. 1332 C.C.: Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell'adesione, questa deve essere diretta all'organo che sia stato costituito per l'attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari.

19 Cfr. Cass. 9 giugno 1993, n. 6412, in Riv. It. Dir. Lav, 1994, II, p. 291, con nota di Pinto; cfr. inoltre Cass. 28 giugno 1978, n. 3229, in Mass.Giur.Lav.,

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corte stessa che “ il lavoratore che abbia beneficiato della parte di un contratto collettivo in virtù di adesione alla relativa disciplina, non può contestare l’applicabilità, nei suoi confronti, della rimanente parte dello stesso contratto, assumendone il carattere meno favorevole rispetto a quello di un precedente, atteso che l’ adesione comporta necessariamente l’accettazione del nuovo regolamento contrattuale nella sua interezza”

20

.

2. L’inderogabilità del contratto collettivo.

2.1 L’inderogabilità nel diritto del lavoro

Il concetto di inderogabilità nel diritto del lavoro è parte integrante del suo fondamento storico. Ciò perché, un ordinamento giuridico che vuole garantire la tutela delle parti deboli nella contrattazione lavorativa, non può fare a meno di assicurarla imperativamente tramite la disposizione di legge. Sotto questo punto di vista, si può allora delineare una certa continuità tra il concetto di inderogabilità della norma giuridica e l’indisponibilità da parte dei privati dei diritti. In base ai principi sui quali si

1978, p. 630 in cui è stabilito che “l’applicazione spontanea, costante ed uniforme di molteplici clausole di un contratto collettivo, da parte dell’imprenditore non iscritto alle associazioni stipulanti, significa implicita adesione al contratto stesso, onde ogni clausola di esso deve applicarsi ai rapporti di lavoro cui l’imprenditore è titolare”.

20 Cit. Cass. 29 marzo 1982, n. 1965 , in Gius. Civ., 1982, I, p. 1482.

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basa il nostro ordinamento potremmo in effetti non trovare alcun ostacolo teorico nella proporzione che lega l’inderogabilità come attributo delle norme e l’indisponibilità come caratteristica dei diritti che derivano dalle norme

21

.

Parlando però di inderogabilità e diritto del lavoro, dobbiamo tenere presente che quest’ultimo rappresenta un c.d. “diritto di frontiera” che subisce molto l’influenza civilistica, ove regna l’autonomia e la libertà contrattuale.

Per questo motivo dobbiamo inserire la norma lavoristica all’interno di un contesto di inderogabilità che abbia determinati caratteri e finalità.

All’interno del nostro sistema giuridico non troviamo una definizione esatta del concetto di inderogabilità, questo va infatti ricondotto ad un'altra nozione, cioè quella della norma imperativa, che è capace di rendere nullo il contratto o illecita la causa, secondo gli artt. 1418

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e 1343

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del codice civile.

21 Cfr. C. Cester , La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro. in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind. 2008, pp. 341-422.

22 Art. 1418 c.c. cause di nullità del contratto: Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative [artt. 1352, 1422, 1462, 2331, 2332 c.c.], salvo che la legge disponga diversamente [art. 1876 c.c.].

Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [artt. 1343, 1344 c.c.], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346.

(22)

22

Nonostante ciò, bisogna però precisare che inderogabilità e norma imperativa non hanno un medesimo significato teorico, in quanto la norma imperativa ha una mera efficacia invalidante nei confronti di un atto di autonomia privata posto in essere in contrapposizione alla stessa, mentre la norma inderogabile ha la capacità di sostituirsi alla volontà dei privati, nelle parti in cui questi hanno stabilito patti che violano il disposto normativo.

Fatta questa precisazione, il dato comune ai due concetti giuridici è in ogni caso il rapporto di sovra ordinazione della norma inderogabile e imperativa rispetto ad altre fonti, alle quali è dunque precluso il poter regolare una materia in maniera difforme. Per quanto riguarda invece il fondamento della norma inderogabile, buona parte della giurisprudenza e dottrina convengono che questo vada ricercato nel suo scopo e nella sua funzione. Da questo punto di vista potremmo rintracciare la necessità della norma inderogabile all’interno di un bisogno di tutela nei confronti di interessi di carattere generale, i soli che possano giustificare la compressione di della autonomia privata.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [artt. 162, 458, 771, 778-781, 785, 786, 788, 794, 1338, 1341, 1349, 1350 c.c.] [artt. 1354, 1355, 1471, n. 2, 1472, 1894, 1895, 1904, 1963, 1972 c.c.].

23 Art. 1343 c.c. Causa illecita: la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

(23)

23

Quali siano però nello specifico gli interessi generali meritevoli di tutela inderogabile non è semplicemente delineabile. Questo perché per alcuni autori, solo gli interessi pubblici facenti capo alla collettività generale sono meritevoli di tale tutela, per altri invece sono da ritenersi validi tutti gli interessi superiori a quelli individuali contenuti nell’autonomia privata. In ambito lavoristico però, la rilevazione di tale interesse potrebbe dipendere dal legislatore stesso, che cerca di tutelare espressamente il titolare di taluni interessi particolari. Ed è proprio su questa categoria di interessi che si fonda la norma inderogabile nel diritto del lavoro: la cosiddetta inderogabilità di protezione. Si sminuisce così il carattere neutrale della norma inderogabile per proteggere un interesse particolare e si sceglie di stare dalla parte di qualcuno, piuttosto che mantenere un ruolo super partes.

Ciò è giustificato dalla risaputa debolezza di una

delle parti del rapporto contrattuale lavoristico o più in

generale privatistico, e così tutelando il contraente debole

si arriva a tutelare quelli che sono i diritti e gli interessi di

rilevanza costituzionale, quali ad esempio la tutela della

vita, della salute, o su un piano prettamente lavorativo, la

salvaguardia della sicurezza nei luoghi di lavoro, il diritto

ad una giusta retribuzione, il rispetto della libertà personale

e della professionalità.

(24)

24

2.2 Cenni storici dell’inderogabilità all’interno del diritto del lavoro.

La nascita stessa del diritto del lavoro è accompagnata dall’introduzione nel sistema di norme inderogabili o imperative, volte ad incidere in qualche maniera sul contenuto del rapporto contrattuale. Le prime indagini sul tema risalgono infatti alla fine dell’800 e ai primi anni del ‘900 nelle nazioni che si affacciavano gradualmente alla rivoluzione industriale. La prima espressa affermazione sulla inderogabilità della legge è rinvenibile nell’art. 17, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825 la c.d. legge sull’impiego privato del 1924, ai sensi del quale le disposizioni ivi contenute dovevano essere

“osservate malgrado ogni patto contrario”. Alla base di tale disposizione normativa vi era il tentativo di tutelare la parte debole della contrattazione privata in ambito lavorativo.

Tale profilo ideologico mal si sposava con la dottrina fascista imperante in quegli anni, in quanto ritenuto estremamente classista e individualista, in aperta opposizione con il principio della solidarietà corporativa.

Con il “nuovo” contratto collettivo di impostazione

corporativa, la nozione di inderogabilità viene ancorata al

concetto di contratto con anima di legge, che per questo

motivo non poteva essere modificato nei contenuti da parte

(25)

25

della autonomia privata. L’art. 2077

24

del Codice Civile dispone appunto l’ obbligo di uniformarsi ai contratti collettivi, pena la sostituzione di diritto di tutte le clausole contrattuali che derogano in pejus. Il senso di questa normativa era più da ricercare nella necessità di trovare standard e regole omogenee da applicare su tutto il territorio nazionale e non tanto a finalizzare la disciplina del rapporto di lavoro a tutela della parte debole.

Con la fine del periodo corporativo, la mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione Italiana ha creato non pochi problemi dal punto di vista dell’efficacia oggettiva dei contratti collettivi. La dottrina ha così cercato due diverse soluzioni al problema, cercando da una parte, un qualcosa già esistente all’interno del sistema giuridico e dall’altra, introducendo norme eteronome al sistema stesso per trovare una via estranea ai principi civilistici classici.

Per ciò che riguarda la ricerca di una soluzione interna al sistema, va innanzitutto citato il lavoro teorico di Santoro Passarelli secondo cui “il contratto collettivo è espressione di un fenomeno di autoregolamentazione di

24 Art. 2077 c.c.: Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo.

Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

(26)

26

privati interessi fra gruppi contrapposti che può essere sintetizzato nella formula di autonomia collettiva”

25

.

Secondo questa teoria, la prevalenza dell’interesse collettivo su quello individuale fa in modo che anche il contratto collettivo abbia prevalenza su quello individuale e sul piano del diritto esistente nell’ambito civile, ciò trova espressione negli artt. 1723, co. 2 e 1726 c.c. che dispongono l’irrevocabilità del mandato conferito da più persone per un interesse comune. Inoltre si è cercato di individuare un equilibrio tra principi costituzionali riguardanti il ruolo affidato ai sindacati in qualità di

“formazioni sociali“ come espresso dall’art. 2 della Costituzione e dalla libertà sindacale citata nell’art. 39 Cost. e dunque in questa ottica la teoria del mandato irrevocabile non è altro che la risposta alla concezione pubblicistica e autoritativa che il contratto collettivo assumeva sotto il periodo fascista.

Più pragmatici sull’argomento, sono stati autori come Cessari e Cautadella che hanno ricollegato il meccanismo di inderogabilità del contratto collettivo, all’adesione della parte contrattuale al sindacato di appartenenza che implicitamente assoggetta la regolamentazione del contratto individuale a quello collettivo. In ogni caso, al di là delle speculazioni teoriche sull’argomento, per anni la giurisprudenza ha comunque

25 Cit. G. Giungi in Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2004, p. 135.

(27)

27

applicato l’art. 2077 c.c. per mantenere l’inderogabilità del contratto collettivo stipulato dai sindacati. Ovviamente, l’incoerenza di tale impostazione giurisprudenziale con il sistema post-corporativo ha subito non poche critiche, ma è rimasta una costante interpretativa in mancanza di una espressa disposizione di legge. Disposizione che si è concretizzata nel 1973 con la riformulazione dell’art. 2113 c.c. secondo il quale: “le rinunzie alle transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’ art. 409 c.p.c. non sono valide”. In questo modo si è giunti a sancire che le clausole del contratto collettivo non espressamente derogabili, sono valide a disciplinare i rapporti individuali con efficacia inderogabile. Perciò il vuoto legislativo relativo alla inderogabilità del contratto collettivo si è protratto almeno fino al 1973, anno in cui possiamo stabilire una soluzione giuridica sull’argomento.

2.3 L’inderogabilità del contratto collettivo.

Nonostante il quadro legislativo fin qui descritto,

possiamo notare nella prassi contrattuale, la presenza di

alcune condizioni presenti nei C.C.N.L. volte a rafforzare il

concetto di inderogabilità degli accordi sindacali. Alcuni

esempi possono essere rappresentati dall’apposizione di

clausole con le quali si stabilisce che “le parti, col presente

(28)

28

Contratto, non hanno inteso sostituire le condizioni, anche di fatto, più favorevoli al lavoratore attualmente in servizio non derivanti da accordi nazionali, le quali continueranno ad essere mantenute ad personam”

26

, oppure come nel contratto nazionale delle aziende chimiche farmaceutiche dove si specifica che “le parti si danno reciprocamente atto che stipulando il presente contratto non hanno inteso modificare le condizioni più favorevoli acquisite dal lavoratore”

27

. Da questa osservazione possiamo notare come le stesse parti sociali conferiscono al contratto collettivo un ruolo cardine che acquisisce una efficacia inderogabile nei confronti dei contratti individuali, e agisce come fonte “normativa” eteronoma senza che vi sia alcuna incorporazione del suo contenuto in quello individuale

28

.

In effetti sulla necessità che il contratto collettivo nazionale debba avere carattere di inderogabilità non vi dovrebbero essere molti dubbi, in quanto altrimenti la stessa esistenza di un contratto collettivo apparirebbe priva di significato se si lasciasse comunque la libertà di modificare le condizioni contrattuali ai singoli anche in via peggiorativa. La funzione storica di un contratto collettivo è infatti quella di riequilibrare i rapporti di forza tra prestatore di lavoro e imprenditore, soprattutto in un

26 Art.1 C.C.N.L. 20/01/2008 per la categoria dei metalmeccanici.

27 Art.67 C.C.N.L. 10/05/2006 per il settore chimico farmaceutico.

28 Cfr. V. Speziale , “Il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro” in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, pag. 190.

(29)

29

ordinamento in cui la carta fondamentale garantisce l’emancipazione dei lavoratori

29

. Affermare però che il carattere di inderogabilità del contratto collettivo sia tutelato anche a livello costituzionale appare eccessivo, in quanto l’art. 39 Cost. garantisce sicuramente la libertà ed attività sindacale, menzionando nella libertà di contrattazione il carattere della sua efficacia soggettiva, ma non anche di quella oggettiva relativa alla inderogabilità dello stesso. In ogni caso è proprio per armonizzare il sistema secondo i principi che scaturiscono dall’art. 39 Cost. che è stato negli anni costruito un sistema normativo volto a qualificare espressamente il contratto collettivo come inderogabile, offrendo la soluzione ai possibili contrasti tra contratto individuale e collettivo tramite la disciplina della nullità parziale.

Nel caso in cui il contratto individuale violi quello collettivo, gli strumenti giuridici contemplati dall'ordinamento per sanzionare tale inosservanza sono quelli relativi ai principi generali sulla nullità, previsti dagli articoli 1418

30

e 1419

31

del Codice Civile e l’articolo

29 Art.35 Cost. “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero”.

30 Art.1418 c.c.: “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative [artt. 1352, 1422, 1462, 2331, 2332 c.c.], salvo che la legge disponga diversamente [art. 1876 c.c.]. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [artt. 1343, 1344

(30)

30

1339

32

riguardante la sostituzione del contenuto contrattuale.

L’eventuale deroga al contratto collettivo risulta quindi essere vera e propria violazione di legge e in tale maniera viene dunque sanzionata. È bene però precisare che la disciplina sanzionatoria non è uniforme a tutti i casi di violazione, in quanto vanno prese in considerazione le disposizioni e i contenuti dei singoli contratti collettivi per capire in quali casi e in che limiti si possa parlare di deroga da parte del contratto individuale. In alcuni casi il contratto collettivo è sempre necessariamente rispettabile senza possibilità di deroghe, come ad esempio quando la legge stessa impone dei limiti quantitativi per alcune tipologie contrattuali

33

o come per i casi in cui il contratto collettivo determina standard collegati a diritti riconosciuti a livello legislativo di fonte nazionale o comunitaria. Dunque, la normativa riguardante la nullità può essere utilizzata quando tramite contratto collettivo si salvaguardano i diritti

c.c.], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346”.

31 Art. 1419 c.c.: “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative”.

32 Art. 1339 c.c.: “ Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge o da norme corporative sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.

33 Come ad esempio i contratti a termine

(31)

31

minimi di carattere normativo ed economico o si impongono limiti massimi da non superare, sempre nell’interesse del lavoratore. Queste situazioni ricadono nell’ambito di applicazione degli articoli 1418 e 1419 del codice civile, principio avallato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 210, 11 maggio 1992

34

, e realizzano i loro effetti qualora la deroga in questione pone condizioni peggiorative rispetto alle previsioni del contratto collettivo

35

. Con la sentenza appena citata la Corte Costituzionale ha voluto dare un ruolo centrale determinante al secondo comma dell’art. 1419 c.c. nelle controversie relative alla nullità del contratto di lavoro, in quanto con la semplice sostituzione delle clausole colpite da nullità si garantisce in ogni caso il mantenimento del rapporto di lavoro, senza creare svantaggi al lavoratore il tutto sempre nella ricerca della tutela del contraente debole, principio che trova le sue radici all’interno della Costituzione stessa.

34 In tale occasione la Corte Costituzionale ha avuto modo di fare una panoramica sui principi generali in tema di nullità parziale nel rapporto di lavoro, elencando anche alcuni casi in cui opera la sostituzione automatica prevista dal secondo comma dell’art. 1419 c.c.

35 Ovviamente per poter accertare che il carattere della deroga sia peggiorativo rispetto agli standard normativi di riferimento, occorre indagare

“sullo scopo della legge ed in particolare sulla natura della tutela apprestata”, così come definito dalla sentenza della Cassazione del 18 luglio 2003, n 11256.

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