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Sulla mitologia del partito.

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Academic year: 2022

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Sulla mitologia del partito.

Nel discorso che andiamo ad iniziare non vogliamo affatto sostenere che il soggetto partito sia una entità mitologica di per sé, ossia che faccia parte della sua origine, né che il partito sia in ogni caso un organismo invaso da elementi mitologici, vogliamo solamente indurre a ragionare sulle varie definizioni e sulle varie funzioni e fondazioni di partiti sui quali si è, a seguito delle disavventure imposte dalla storia, costruito un castello fatto anche di miti. Parliamo comunque della mitologia nel suo significato estensivo, generico, di quell'insieme di idee e di convinzioni sorte lungo la storia della lotta tra le classi e che ha portato alla formazione di quell'aggregato d'individui definito come partito;

cioè facente parte della classe operaia, secondo alcuni, come frazione e come organo della classe secondo altri. Organo e frazione facente parte di quell'organismo sociale e politico che parteggia per la classe rivoluzionaria e si muove all'unisono verso determinati obiettivi, ed infine, secondo Lenin, esso è ( o dovrebbe essere) l'avanguardia della classe rivoluzionaria. Ebbene in quel complesso di idee relative al partito si sono inseriti delle specie di miti con valore simbolico i quali hanno sia una portata positiva, in quanto contribuiscono alla formazione di quell'ottimismo rivoluzionario del tutto necessario alla conduzione delle lotte sociali, ma che possono debordare verso una vera e propria mitologia, raccontata da una adeguata retorica, guidando così il partito su di un percorso che potrebbe essere irrealistico e perfino dannoso. E' necessario liberare l'organismo partito da questa specie di scorie, dove fossero presenti, per poter ottenere, in un probabile e possibile futuro, che esso riacquisti i fasti che nel passato lo avevano posto sul piedistallo della storia in quanto entità della quale, a seguito delle esperienze vissute, si è giunti alla conclusione che, di quella entità, non è possibile fare a meno. Che

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nel discorso che proponiamo si faccia riferimento ad una data corrente politica non è perché quest'ultima sia colpevole di soggettivismo più di altre correnti che popolano quell'area definitasi del comunismo internazionalista o della sinistra comunista italiana, ma perché in essa abbiamo trovato lo spunto ottimale per muovere le considerazioni che seguono.

Nella pagina di una vecchia testata dal titolo Battaglia comunista, che si richiama, per l'appunto, al comunismo internazionalista, la cui origine si può far risalire agli ultimi anni della seconda guerra mondiale, è inserito un passo breve ma altamente significativo della particolare corrente politica alla quale fa riferimento la testata in oggetto. La pagina, leggibile on-line, è datata 10 ottobre 2019 ma si riferisce <<ad un numero del giornale stampato in data 1966. Molto tempo è trascorso da allora ma quel passo caratterizza e distingue l'ideologia propria di quel gruppo politico fin dalle sue origini e sino ad oggi. Fu proprio quel distintivo carattere ideologico che portò negli anni cinquanta del Novecento ad una scissione interna la quale divise quella corrente politica in due tronconi i quali pur esistendo tutt'oggi sono ridotti ad uno stato di estremo minoritarismo. Una, ma non la sola, delle cause che portarono a quella scissione emerge in quel passo al quale ci siamo riferiti all'inizio del nostro discorso. In esso si dice che: <<

Non è vero, non è mai stato vero che il partito sorge nella fase storica dell'assalto rivoluzionario ma al contrario esso ha bisogno di militare per tutta una fase storica prima di raggiungere la sua pienezza di organo abilitato alla guida e all'azione rivoluzionaria.>> Una lettura frettolosa e superficiale ci porterebbe a condividere pienamente il contenuto di quel passo.

Ma in esso si nascondono una serie di problematiche che ci costringono ad allargare il discorso ben al di là di ciò che apparentemente sembra essere una conclusione del tutto ovvia.

Così non è. Tanto è vero che la scissione interna si fondò, tra le varie motivazioni, sulla base di una discordanza a proposito delle

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modalità e dei tempi entro i quali il partito, non un qualunque partito ma quel certo partito con la P maiuscola, avrebbe potuto nascere e sopravvivere. Per quelli di Battaglia, per dirla in termini concisi, esso avrebbe potuto nascere e svilupparsi in qualunque momento ─ fatta salva ovviamente la condizione dell'esistenza della società borghese pienamente sviluppata ─, mentre quelli di Programma, che era il titolo, con l'aggiunta di Comunista, del giornale della frazione che si staccò dall'originario Partito comunista internazionalista per fondare il Partito comunista internazionale, ritenevano che il partito potesse esistere, nella pienezza delle sue funzioni, solo in date condizioni storiche, in particolare non avrebbe potuto ( da non confondere con dovuto) materializzarsi se non entro quell'arco storico segnato da una evoluzione critica della struttura economica e sociale borghese.

Con il senno di oggi, secondo decennio del XXI secolo e volendo applicare i concetti in discussione a quel tempo, potremmo ammettere la possibile esistenza del partito, nella sua pienezza, nella situazione attuale ( e nell'area geo-politica nella quale viviamo)? Oppure dovremmo negarla? Anche a questo proposito le risposte sarebbero state, e sono, discordanti, ma una cosa li unisce, la considerazione che il partito con la P maiuscola già esiste ed è quello al quale fanno riferimento i seguaci di ognuno dei due partiti, giungendo così al paradosso dell'esistenza di almeno due partiti ( salvo ulteriori suddivisioni). Considerando che tali domande non sono da porsi in modo così perentorio è utile ampliare il discorso.

Tornando al passo riportato all'inizio, l'affermazione che “non è vero” ha un sapore simile ad una imposizione apodittica, più opportuno ( nel senso di più confacente ai fatti e non come orientamento opportunistico) sarebbe stato dare indicazioni a proposito del processo storico il quale, secondo tale affermazione, non avrebbe mai visto la nascita del partito in corrispondenza di una condizione apertamente rivoluzionaria o addirittura durante la

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fase di aperta ostilità, la fase di esplicita guerra sociale. Forse non è mai accaduto un simile fenomeno, almeno riguardante la lotta di classe tra proletariato e borghesia, ma altro è negarne la fattualità.

Se ci si vuole riferire alla storia trascorsa, o addirittura al quadro teorico della dottrina marxista, il problema che sorge è dato dal fatto che il partito, quel certo partito e non altri, spesso, troppo spesso non è nato nemmeno in anticipo dell'assalto rivoluzionario, non è proprio nato oppure è stata una presenza spuria o peggio quasi inutilizzabile in senso rivoluzionario. Tutto sta, però, nell'intendersi su cosa sia quel certo partito, e qui la cosa si fa più complicata.

Che il partito con la P maiuscola possa esistere solamente in occasione dell'assalto al potere statale borghese non lo ha mai sostenuto nessuno in questi termini, nemmeno tra coloro che militano in quell'area politica che viene definita come programmista; costoro hanno piuttosto sostenuto che quel certo partito potrebbe esistere nella sua pienezza di funzioni solo in presenza di una condizione di criticità della struttura produttiva capitalistica protrattasi per un dato arco temporale. Eppure quel richiamo alla possibile esistenza, o addirittura della nascita, del partito rivoluzionario nel pieno della lotta per il potere non si può escludere a priori, potrebbe anche accadere; si tratta però di comprendere cosa sia quel certo partito. In verità la cosa è molto più complessa di una semplice affermazione propagandistica in quanto le esperienze storiche sino ad ora passibili di una acquisizione ben definita a proposito della nascita e del successivo destino di quel certo partito sono state molto poche. Credere che la storia trascorsa abbia dato tutte le risposte e le conferme al complesso della dottrina politica comunista (il marxismo), e più precisamente a riguardo della nascita e dell'insieme della vita del partito con la P maiuscola è una credenza del tutto inappropriata, che può portare a tragiche smentite.

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L'organismo partito non è di facile argomentazione benché di questa entità si parli ─ nell'area politica alla quale faremo riferimento lungo il nostro discorso ovvero quella del comunismo internazionalista ─ con continuità e perseveranza di modo che, quel termine, inserito in ogni dove corre il rischio di perdere il suo reale, materiale e storico significato. Chi ne parla in modo così debordante parte dal presupposto che basti richiamare quel termine per far capire al lettore quale sia il contenuto teorico e storico, pratico e organizzativo, che si vuole trasmettere; si da cioè per scontato che l'uso stesso del termine sia sufficiente a definire la complessità del contenuto di quel concetto che si vuole esprimere col termine di partito. A questo punto, prima di immergersi nel pieno del discorso che andiamo a trattare, non sarà inopportuno ricordare un elemento che potrebbe, anche in questo caso, inficiare il cuore del discorso. Ci riferiamo a quel tal “mal vezzo”, come lo definiva Antonio Labriola, e cioè a: << quel vizio delle menti addottrinate coi soli mezzi della coltura, che di solito dicesi verbalismo [ove] accade assai di sovente che il culto e l'impero delle parole riescano a corrodervi e a spegnervi il senso vivo e reale delle cose.>> 1 Ebbene quel mal vezzo si manifesta anche oggi ed anche all'interno dell'area politica alla quale ci richiamiamo in queste pagine. L'uso continuativo e ripetitivo di alcuni termini quali partito (così come dialettica, presente in ogni dove nella letteratura definitasi marxista, o meglio autodefinitasi come tale), sempre presente nel dibattito politico proposto in tale area, fa correre il rischio di “spegnervi il senso vivo e reale delle cose”. E' un elemento da tenere presente anche in questa occasione, benché i soggetti che scrivono non siano

“addottrinati”, e nemmeno intellettuali, e cerchino di evitare ogni manifestazione che possa essere interpretata come volontariamente intellettualistica.

1 Antonio Labriola: La concezione materialistica della storia, Laterza 1965, pag. 61.

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Non è questo il luogo né l'occasione per poter discorrere dell'evoluzione che l'organismo partito ha effettuato nell'arco storico dal quale si è iniziato ad usare tale termine, né del significato particolare che si è attribuito nei diversi ambiti politici.

Vogliamo solamente discorrere su quel che si può definire come partito nell'ambito del comune sentire. Ma di quel comune sentire che trova rifugio all'interno di quel ceto sociale che fin dal Manifesto (in quanto riferimento storico condiviso da quell'orientamento politico del quale stiamo parlando e al quale siamo ideologicamente anche se genericamente legati) è stato specificamente definito come proletariato. Per il proletariato il partito, quel certo partito e non altri ─ almeno da quando la dottrina comunista è entrata ufficialmente nella storia, ossia, ripetiamolo, dal momento della pubblicazione del Manifesto ─ ha voluto significare in via prioritaria due cose: le formazione di una coscienza politica specifica e l'organizzazione formale ad essa rapportata. Ma in questo caso quando parliamo di proletariato intendiamo quella classe operaia che agisce per sé, in caso contrario essa si muove su di un piano che Lenin avrebbe definito come "tradunionistico" il ché non ci aiuta nel collocare l'attività del partito se prima, durante o addirittura dopo l'assalto rivoluzionario.

Al momento della pubblicazione del Manifesto, come è consuetudine, si ritiene si possa decretare la nascita del partito, ma di quale partito? Della sua espressione teorica, dottrinale, che poggia sulla formulazione di una serie di assiomi ( per coloro che guardano alla dottrina in senso meccanicistico), teoremi, principi e orientamenti generali di carattere tattico e strategico derivati e connessi ai primi. Da questo punto di vista è da quella pubblicazione che, secondo gli stessi promotori della dottrina comunista, nasce il partito in senso storico, ovvero il partito storico del proletariato, la cui vita non è direttamente legata né dipende strettamente dalle diverse vicissitudini che attraversa la

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concreta lotta di classe ma dipende, questa sì direttamente, dall'esistenza stessa della società divisa in classi. In esso, partito, è contenuto quell'insieme di formulazioni e di tesi le quali, insieme a tutto ciò che le contorna, costituisce la dottrina la quale è il vero costrutto del partito storico. In relazione a tale constatazione che senso ha sostenere che il partito non nasce al momento dell'assalto al potere ma, di contro, può, anzi deve, nascere prima di modo che possa avere tutto il tempo per maturare l'abilità di guidare la rivoluzione e gestire il successivo potere ( nel caso della risoluzione positiva della rivoluzione stessa)? Non ha molto senso in quanto quel certo partito storico contenente il cuore della dottrina è nato fin dalla metà del XIX secolo. Ma i compagni di Battaglia comunista, nel passo che abbiamo riportato all'inizio del nostro discorso, nell'usare il termine partito non facevano affatto riferimento alla sua veste storica ma a quella, diciamo così, prettamente fisica, di contenitore non solamente del dato dottrinale ma pure di quello organico, d'insieme d'individui che nel caso particolare condividono quella tal dottrina e ne seguono i dettami pratici, ossia si attivano materialmente nello scontro sociale verso una finalità definita. Ovvero mettono in pratica una serie di indirizzi tattici e strategici ─ il termine strategia non è stato usato abitualmente dai maestri della dottrina in quanto al suo posto ponevano il programma dal quale ne conseguivano gli indirizzi tattici ─ attorno ai quali si va a formare quella certa disciplina verso la quale i militanti di quel certo partito dovevano attenere la loro attività politica pratica. E' a questo partito formale che quei compagni facevano riferimento. Ebbene tale partito formale ─ e formale in questo caso sta a significare organizzazione di militanti che si uniscono attorno a quella dottrina e a quel programma al fine di guidare politicamente e concretamente il proletariato nella sua lotta ─, secondo quel passo riportato all'inizio, non può nascere (o si vuole dire che sarebbe opportuno che non nascesse?) nel mezzo dell'assalto al potere bensì in tempi

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precedenti. Sarebbe necessaria una preventiva analisi dei fatti inerenti all'evoluzione, a volte rivoluzionaria, della lotta tra le classi per sostenere una simile affermazione in modo così apodittico. Non è possibile negare in modo assoluto che una organizzazione di militanti possa formarsi durante l'apice dello scontro tra le classi una volta che sia preesistente, come lo è da tempo, una dottrina politica alla quale fare riferimento. Anche perché l'assalto rivoluzionario, come lo definisce Battaglia Comunista, non è un fenomeno ristretto nel tempo ma si protrae in un arco di tempo non prevedibile a priori, così come quello che precede l'assalto. Ben diverso quel discorso che non tanto prevede quanto asserisce, e si augura, che il partito nasca in tempi che precedono lo scontro frontale e decisivo, di modo che esso da un lato abbia il tempo di maturare il quadro tattico col quale intervenire all'interno della società civile, dall'altro lato abbia rafforzato le fondamenta organizzative sulle quali poggiare l'intera attività politica di propaganda e agitazione.

E' un quadro, quest'ultimo, sostenuto da un certo ottimismo, perché nella realtà del processo storico non si è mai realizzato pienamente un tale progetto. In verità vi sono stati tentativi di assalto rivoluzionario e pure di costituzione di un partito nel senso marxista del termine ( ossia di un partito che rappresentasse la costituzione del proletariato in classe per sé) ma il tutto limitato quantitativamente, una limitazione della quale ancora oggi paghiamo le tragiche conseguenze. E' di prammatica nel rievocare le esperienze della storia trascorsa iniziare dalla Comune di Parigi sorvolando, si fa per dire, sulle lotte del 1848, in quanto quella esperienza è stata la prima occasione storica nella quale gli operai parigini, affiancati da strati semi-proletari, si sono temporaneamente, e brevemente, impossessati del potere impostando una serie di misure sociali ed economiche orientate genericamente ( in quanto mancava un progetto ben definito) verso la costituzione di una società comunistica al suo primo

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sorgere. Su quella tragica esperienza e sugli insegnamenti che da essa è doveroso trarre è di grande rilievo riportare il parere che Trotzky espresse nel febbraio del 1921 in uno scritto dal titolo evocativo di: “Gli insegnamenti della Comune di Parigi”; in esso si legge che: << La Comune venne troppo tardi. Essa aveva tutte le possibilità di prendere il potere il 4 settembre 1870 e questo avrebbe permesso al proletariato parigino di mettersi all'istante alla testa dei lavoratori del paese nella loro lotta contro tutte le forze del passato, […] Il proletariato parigino non aveva né un partito né dei capi ai quali sarebbe stato strettamente legato alle lotte precedenti. […] Il vero partito dei lavoratori non è una macchina per manovre parlamentari, ma è l'esperienza accumulata e organizzata del proletariato. […] Il proletariato di Parigi non aveva un simile partito.>>2 Quindi dagli ultimi mesi del 1870 alla primavera del 1871 scoppia la ribellione, non solamente a Parigi ma anche a Lione, Marsiglia, Tolosa ed oltre ( ma il cuore pulsante di ogni moto rivoluzionario in Francia è sempre Parigi, lì nascono e muoiono tutti i tentativi rivoluzionari), come reazione all'occupazione del territorio da parte delle truppe prussiane. Ciò potrebbe apparire come una semplice rivolta in difesa del territorio nazionale ma quel fenomeno sociale, pur scatenato da una insurrezione contro una invasione esterna, prese all'immediato una piega particolare. A causare tale svolta fu da un lato quello che accadde nel periodo precedente mentre dall'altro lato, e fu il dato determinante, il fenomeno sociale che determinò il carattere rivoluzionario si manifestò nella composizione della popolazione che insorse contro le truppe prussiane, ovvero i lavoratori salariati affiancati da piccoli produttori di vario genere. Da qui il richiamo all'insurrezione proletaria contro lo stato di cose presenti. Vi era indubbiamente una situazione rivoluzionaria maturata in tempi precedenti e da questa si giunse all'assalto rivoluzionario al potere. Eppure il partito non era presente, non vi era l'esperienza

2 Karl Marx: !871, La Comune di Parigi, La guerra civile in Francia; Ed. La vecchia talpa 1971, p. 466/467.

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accumulata e organizzata del proletariato, come la definì Trotzy, benché non si possa negare che una primitiva manifestazione di organizzazione si fosse realizzata sotto l'impulso delle necessità militari, e di gestione del potere, mirate ad una finalità politica tendenzialmente antiborghese. Il tutto fu comunque segnato negativamente dalla mancanza di un progetto generale ben definito, la quale mancanza era imposta da una insufficiente condizione storica tale da non permettere il superamento di quella fase dell'evoluzione generale della società borghese. In definitiva vi fu un assalto rivoluzionario senza la presenza del partito, inteso in senso formale perché quello storico era esistente da tempo, il quale non vide la luce né prima, né durante ( se non nelle sue prime avvisaglie), né dopo.

In realtà le esperienze storiche sull'evoluzione dell'organismo partito sono scarse così come lo sono quelle relative ai tentativi rivoluzionari effettuati dal proletariato dal momento della formazione di una sua, seppure superficiale, autocoscienza.

Quindi nel formulare previsioni e progetti è necessario sia rifarsi all'esposizione teorica del marxismo sia integrare a questa le esperienze storiche realmente vissute. Le due cose combinate potrebbero dare una idea sufficientemente delineata di ciò che potrebbe accadere, o addirittura dovrebbe accadere, nel futuro della storia. E' doveroso guardare al passato esaminando i fatti e traendone lezioni positive là dove questo è possibile. Abbiamo già accennato all'esperienza della Comune e dei suoi limiti obbiettivi riguardanti la formazione del partito, in concreto della sua mancanza. Nella seconda metà dello stesso secolo nasce il partito operaio in Germania ( o meglio in quell'area geopolitica che oggi possiamo definire Germania). In un primo momento vi sono addirittura due partiti che si richiamano direttamente al proletariato e che nel 1875 si riuniscono nel congresso di Gotha.

Da quel momento storico nasce il partito, quel certo partito, nel cui programma sono inseriti concetti e obiettivi che parzialmente

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derivavano dalla teorizzazione marxista ( da qui nasce la marxiana Critica al programma di Gotha). Ma per chi oggi milita in quell'area politica che si autodefinisce come comunista internazionalista, erede della sinistra comunista italiana, quel partito non aveva ( lo stesso Marx ne fece una critica istruttiva) e non avrebbe oggi i caratteri del partito con la P maiuscola. Esso non nacque nell'approssimarsi dell'assalto rivoluzionario ma più semplicemente nel momento nel quale la lotta tra le classi era manifesta, esplicita, dichiarata ( al contrario di quello che avviene attualmente dove essa è in potenza). Si potrebbe ritenere che la lunga fase storica che esso ha attraversato nel XIX e nel XX secolo, lo avrebbe maturato a tal punto da divenire quel “organo abilitato alla guida e all'azione rivoluzionaria” che necessita al fine di raggiungere l'obiettivo di dirigere ed amministrare il potere politico. E' un concetto, quest'ultimo, che era stato espresso persino dallo stesso Marx quando, criticando certe posizioni di alcuni militanti della Lega dei comunisti che vedevano la rivoluzione scaturire ad ogni momento, sentenziò che: << Dovete affrontare quindici, venti, cinquanta anni di guerra civile e lotta di popolo, non solo per cambiare la situazione reale, ma anche per cambiare voi stessi, e acquistare la capacità di esercitare il potere politico.>>3 Per quel partito sorto in Germania così non è stato.

Già all'inizio del XX secolo al suo interno si manifestarono orientamenti per nulla rivoluzionari o falsamente rivoluzionari che lo portarono a sgretolarsi, nel primo dopoguerra, ed alla formazione di due partiti. Uno dei quali era dichiaratamente controrivoluzionario, la socialdemocrazia classica, mentre l'altro, definitesi indipendente, era falsamente rivoluzionario. Giunti al potere per vie che andavano dalla guerra civile al compromesso con partiti espressione dei cosiddetti ceti medi, quei partiti ─ questa stessa pluralità di organizzazioni che si richiamavano al socialismo era segno di una situazione politica, alla testa della

3 Citato da Oscar Negt in L'ultimo Engels; Storia del marxismo, volume 2, Einaudi 1979, p. 118.

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classe operaia, per nulla favorevole ─ impostarono il governo della prima repubblica di Germania sul piano della democrazia borghese. Erano forse questi, oppure uno di questi, a potersi fregiare del titolo di partito rivoluzionario del proletariato? Niente affatto. Lo dimostrarono quando le condizioni sociali divennero talmente critiche, a seguito della sconfitta patita nella prima guerra mondiale, da provocare una guerra civile strisciante, e a volte apertamente combattuta in armi, che durò per alcuni anni. A quel tempo sorse anche un partito che si definì comunista, poi ancora un altro, all'interno di una confusione politica, oltre che a quella sociale a seguito di drammatiche crisi finanziarie, che impedì la chiara espressione di un progetto politico rivoluzionario ben delineato. Vi era sì una situazione favorevole all'esplosione di una radicale lotta di classe ma mancava quel certo partito ─ continuiamo ad usare tale termine volutamente non ben definito per poter fare riferimento a quel comune sentire che presumiamo sia quello che potrebbe, e dovrebbe, essere l'espressione di una classe operaia permeata da una ideologia rivoluzionaria ─ che avrebbe dovuto guidare l'assalto rivoluzionario. Una mancanza decisiva, tragica, se si pensa che era al cuore dell'Europa, in quella Germania capitalisticamente sviluppata, sulla quale la Russia rivoluzionaria puntava per la vittoria definitiva del socialismo in Europa. Andò tutto in malora, per dirla alla plebea.

Il fatto è che nemmeno nelle condizioni economicamente e quindi socialmente favorevoli, l'organismo partito, che in Germania era sorto qualche decennio prima che quelle condizioni si manifestassero, non ha seguito quello sviluppo che si presume sia non solo augurabile ma del tutto necessario alla riuscita del movimento rivoluzionario. Quella previsione ottimale, riguardante lo sviluppo del partito con la P maiuscola, espressa dai compagni di Battaglia comunista si realizzò in Russia, e dobbiamo amaramente dire che purtroppo si realizzò in Russia invece che in aree economicamente più predisposte ad una trasformazione

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socialista della struttura produttiva, ma così è andata la storia. In Russia, e non in Germania, si realizzò quella previsione ottimale nella quale il partito ( in quel caso un partito con la P maiuscola) sviluppò la propria maturazione lungo un periodo pluridecennale, alla fine del quale esso si dimostrò abilitato alla gestione del potere. A tale conclusione contribuirono ovviamente tutta una serie di elementi tra i quali è bene ricordare l'ambiente sociale in cui nacque ed operò sin da periodi precedenti e sino alla conquista del potere. Ambiente sociale caratterizzato da una sistematica repressione di ogni movimento sociale e politico che intendesse ribellarsi al potere statale. E' in quell'ambiente, altamente selettivo, che si formarono quei militanti bolscevichi che furono in grado di svolgere azioni di propaganda e di agitazione necessarie all'organizzazione ed alla guida dell'assalto rivoluzionario. La

"miseria economica e culturale", come ebbe a dire lo stesso Lenin, insieme all'isolamento di quella rivoluzione nei confronti di quelle previste in Europa e mai accadute, o addirittura sconfitte, furono le cause prime del fallimento di quell'eroico tentativo.

Quel passo che abbiamo riportato all'inizio del nostro discorso non era altro che il riconoscimento di ciò che la storia trascorsa ha posto come lezione da trarre, ed anche una specie di augurio per ciò che potrebbe, e dovrebbe, accadere in futuro. Sino ad oggi, cioè in riferimento alla storia più recente, quel certo partito ( e parliamo dell'Europa ) non ha visto la luce da molto tempo né si intravvede la sua possibile nascita, o rinascita se così si vuole, a meno ché non si voglia concedere ai vari gruppi che si richiamano alla dottrina comunista la capacità di diventare quel partito con la P maiuscola. Sarebbe una concessione del tutto ottimistica e per ora irrealistica. Ma il partito storico è ancora esistente, e lo sarà sino a che esisterà quell'insieme di teoremi e principi che definiamo col termine di marxismo e che continua ad esistere sia nelle menti, anche prese singolarmente, sia nei testi scritti ─ che poi vi sia in gioco pure la questione di una ben delineata

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definizione della dottrina stessa è una problematica che esula dal particolare discorso che stiamo affrontando, ma non esula dalla questione più generale della formazione del partito formale ─.

Solo che ad esso, partito storico, manca la struttura portante, fatta della carne e del sangue dei militanti e della organizzazione operante nella società, e fatta anche, anzi soprattutto, della carne e del sangue del proletariato, o almeno della sua parte più cosciente.

Ma se, e quando, nel futuro che speriamo prossimo, sorgerà nuovamente il partito formale in quanto proletariato organizzato in classe, si porrà di fronte ad esso, come si pone oggi difronte al suo progetto, tutta una serie di problemi che sono sorti come conseguenza della disfatta della rivoluzione in Russia. Problemi che non esistevano sino ai primi decenni del XX secolo e che si sono formati proprio a seguito di quella disfatta. E' vero che vi è stato il revisionismo ottocentesco, di Bernstein e compagni, ma è quello sorto a seguito della sconfitta della rivoluzione in Russia che pesa come un macigno sulle teste della classe operaia contemporanea. Quel tal partito, se e quando rinascerà, dovrà fare i conti con un problema enorme, gigantesco, quello della mistificazione e della falsificazione della dottrina marxista ( considerandola in questo caso come un elemento dato in modo definito), mistificazione che è sì nata sin dalle origini della dottrina stessa ma che dopo il fallimento della rivoluzione in Russia ha centuplicato la sua forza disgregatrice. Lo stesso aggettivo di comunista e di comunismo, che ha affiancato il sostantivo partito nel passato e forse lo sarà anche in futuro, se da un lato provoca ancora oggi un brivido di paura tra i borghesi dall'altro lato provoca repulsione in tanti strati sociali che possiamo definire come meno abbienti, tra i quali una parte consistente della stessa classe operaia. E' il risultato delle attività svolte dal tanto decantato, e vituperato, socialismo reale il quale, secondo la tradizione posta dai comunisti internazionalisti, ha visto la luce dal momento dell'andata al potere di Stalin. E' bene

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ricordare come tale riferimento vuole essere, e non può che essere, solamente un dato in gran parte simbolico ( o meglio è diventato un elemento simbolico) in quanto le cause che contribuirono a quella svolta storica sono numerose e non possono essere totalmente messe a carico di quel certo individuo, perché esso stesso fu un prodotto dell'insieme delle forze che operavano in quell'area. Quel certo socialismo reale ha infestato varie zone del mondo fino al fatidico 1989 quando è stata decretata ufficialmente la morte di quel presunto regime comunista formatosi in varie parti del mondo. A parte quella estrema minoranza di coloro che si definiscono seguaci del marxismo e si affidano alla teoria politica del comunismo, tutti i restanti, e non facciamo riferimento solamente alla generica popolazione ma in particolare alla classe operaia, hanno acquisito la convinzione che il comunismo non solo ha fallito ma avrebbe inoltre dimostrato sia la sua inferiorità a riguardo della capacità di produrre ricchezza ( in senso borghese ovviamente) sia la sua insostenibilità in relazione alle cosiddette libertà individuali (dell'individuo borghese). E' una convinzione questa alla quale è bene ( o meglio: sarebbe opportuno) dare delle risposte che la contraddicono. Ma la cosa non è così ovvia, anzi, chi milita in quell'area che genericamente fa riferimento al comunismo sa, o dovrebbe sapere, che i fallimenti che la storia ha imposto alla prospettiva del socialismo offrono ampio spazio alla mistificazione di tale prospettiva. Contro la quale possiamo opporre da un lato il complesso della dottrina politica comunista mentre dall'altro abbiamo ben pochi esempi concreti che documentino la spinta sociale verso quell'obiettivo. E per spinta sociale si vuole intendere quei pochi veri e propri tentativi di impiantare nel cosiddetto tessuto sociale una economia comunistica al suo primo livello; una cosa diversa è la considerazione dell'esistenza di un antagonismo tra le classi il quale è sempre presente ed è pure una delle condizioni, che potremmo definire genetiche, che contraddistinguono la società

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borghese. Uno dei tentativi più significativi, anzi il più significativo tra i pochi accaduti riguardanti la fondazione di una struttura economica e di conseguenza sociale di carattere socialista, è quello avvenuto nella Russia dei primi decenni del XX secolo. In particolare l'esempio classico a tale proposito è quello che fa riferimento alla dinamica riguardante il primo periodo, quello leninista, accaduto in Russia, esempio che, stando alla prospettiva proposta dai bolscevichi avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso quel futuro comunismo nel quale si sarebbe realizzata la estinzione dello stato. Ovviamente la cosa si sarebbe attuata attraverso un processo storico più o meno lungo a secondo della estensione delle aree geografiche che sarebbero state investite da quella rivoluzione tendente al socialismo ( o comunismo inferiore). Ebbene, nella realtà, non si fecero significativi passi in avanti in quella direzione e la mitica, sino ad ora, prospettiva leninista della formazione di una macchina dello stato ( in attesa del suo funerale) talmente semplice da essere gestita da una massaia fu negata sia dalla guerra civile, sia dalla reazione stalinista ed infine dal fallimento della rivoluzione in Europa. Ma si deve ammettere che già al tempo di Lenin quella prospettiva, di uno stato in via di liquidazione, non ebbe la possibilità di concretizzarsi. Di contro accadde il rafforzarsi della struttura tipicamente statale. In concreto si formarono ceti che professionalmente gestivano il potere centrale ( che il potere debba essere centrale è un requisito che ogni moderno comunista non può che sostenere, tutto sta nella sua manifestazione classista, nella Russia bolscevica essa fu tendenzialmente proletaria solo per pochi anni per poi spostarsi verso obiettivi sostanzialmente borghesi) e che si separarono dalla restante massa del popolo, quel popolo al quale si riferiva Lenin, formato dai proletari e dai contadini poveri. Non dobbiamo solamente battere costantemente il chiodo della sconfitta della rivoluzione per mano di Stalin e compagni, dobbiamo anche sostenere che quel comunismo al

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quale miravano i bolscevichi nel periodo precedente e immediatamente successivo alla vera e propria presa del potere, si sarebbe dovuto distinguere per la diretta partecipazione al potere della parte più cosciente dei salariati dell'industria e dell'agricoltura. La guerra civile imposta dai controrivoluzionari insieme alla miseria sociale e culturale delle masse operaie e contadine impedì l'avverarsi di quell'obbiettivo. I professionisti dello stato e dell'apparato militare ( la tanto decantata burocrazia che rimase ben presente anche nel periodo leninista) si posero come un ulteriore ostacolo alla realizzazione di un potere che fosse dittatoriale verso la borghesia e gli altri ceti aristocratici ma al tempo stesso espressione delle capacità dirigenziali ed organizzative dei ceti rivoluzionari, in primo luogo della classe operaia.

Tutto questo accadde in presenza di un partito che seguì le direttive, se così si può dire, dettate dal quel passo al quale ci siamo richiamati all'inizio del nostro discorso. Benché quel partito avesse avuto il tempo necessario per preparare i militanti e non solo, anche una parte preponderante delle masse ( nel significato che a quel tempo si dava a tale termine), alla lotta politica e militare, e pure ad educarle alla gestione del potere, le cose non andarono come progettato. Quindi anche la presenza di quel partito che si presume sia quell'organo indispensabile al passaggio al socialismo, e nella Russia di quel tempo quel partito era presente secondo i militanti di allora ed anche per quelli successivi, non è stata sufficiente in quanto surclassata da una serie di elementi oggettivi, economici, sociali, militari e politici, che hanno fatto deviare la storia verso il fallimento di quel tentativo. Molto probabilmente, ogni certezza a questo proposito è improponibile, quella soluzione era già predeterminata dalle varie forze storiche attive a quel tempo e in quella area, e non solo in quella. Forse le forze che tendevano al superamento dell'ordinamento borghese, compreso quel certo partito con la P

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maiuscola, hanno fatto tutto quello che era loro possibile; non è stato sufficiente in quanto le forze deterministiche (facenti parte non del semplice determinismo meccanicistico ma di quello ben più complesso definito determinismo statistico-probabilistico ) hanno prevalso anche su quelle forze soggettive che avrebbero potuto apparire, a quel tempo, come sufficientemente potenti.

Ma l'intera questione relativa alla dinamica storica del futuro partito, se e quando nascerà, non potrà avere una base realistica se non poggerà su di una analisi oggettiva della situazione nella quale si troverà a quel punto il processo di sviluppo, o di crisi, della struttura capitalistica. In altri termini se non sarà sufficientemente acuta la condizione di contrapposizione in cui si troveranno le due classi fondamentali della società borghese, quella borghese e quella proletaria. Il grado di sviluppo di tale antagonismo determinerà a sua volta il grado di sviluppo del partito di classe e la sua evoluzione. Determinerà persino, ovviamente in modo approssimativo, la possibilità o meno della stessa nascita del partito formale, quello fatto della carne e del sangue della classe operaia. Con ciò si vuol forse dire che quel certo partito non può esistere in una condizione nella quale la lotta tra le classi è nascosta tra le fitte nebbie della democrazia e di un frenetico consumismo? Qualcosa del genere si può affermare, ed è una situazione già in atto e corrispondente alla realtà di una società borghese erede di un lungo cammino caratterizzato da una relativa pace sociale e comunque di una mancanza di assalti rivoluzionari.

E il tempo non è passato invano, esso ha inevitabilmente lasciato delle profonde cicatrici nel movimento sociale e politico della classe operaia; lo stesso sviluppo del capitalismo ha lasciato il segno; e per sviluppo vogliamo intendere quella successione di fasi che comprendono grandi balzi in avanti e drammatici (ma non definitivi) crolli. Nella storia trascorsa qualunque sia stata la condizione entro la quale è sorto il partito esso non è stato in grado di svolgere la sua funzione storica. Perché il partito, anche

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nel caso fosse quel determinato partito del quale i militanti, di ieri e di oggi, sostengono l'assoluta necessità, non vive ( salvo che in quel senso astratto che è il partito storico) se non poggiando il suo corpo sulle fondamenta create dalla società, che è una società borghese. Ma non solo, poggia le sue membra sulla società borghese la quale, a sua volta, si fonda sul modo di produzione capitalistico e il partito, qualunque siano i suoi caratteri particolari (fatta salva la sua caratterizzazione di classe), subirà inevitabilmente le variazioni proprie della struttura produttiva. La stretta aderenza alla dottrina politica di riferimento, che nel nostro caso è il marxismo, non è sufficiente a determinare non solo la sopravvivenza del partito in quanto espressione ideologica e organizzativa del proletariato rivoluzionario, ma pure la stessa sopravvivenza del partito in quanto organizzazione politica genericamente referente della classe operaia. La storia trascorsa ci ha presentato un conto, se così si può dire, con diverse voci tra le quali si deve sottolineare quella che descrive quel destino negativo entro il quale è crollato, ed è l'esempio più tragico e per ciò stesso altamente significativo, il partito bolscevico non molti anni dopo essere giunto allo scopo che si era prefissato, il potere politico.

Esso si è disgregato a seguito delle estreme difficoltà che aveva incontrato nella gestione dello stato rivoluzionario in relazione non solamente alle condizioni interne ma pure a quelle continentali, e la stessa disgregazione del partito ne è stata una conseguenza ma al tempo stesso una ulteriore causa della disgregazione della società russa nel suo complesso. Da qui il fallimento del tentativo di impostare una struttura economica e sociale alternativa a quella capitalistica.

Il partito formale, cioè reale, non vive in una società campata in aria, ma vive e si sviluppa, nel caso più favorevole, entro la società borghese subendone le alterne vicende. La sua nascita, il suo sviluppo politico ed organizzativo, la sua deviazione da una presunta linea strategica e tattica ritenuta ottimale ─ a tale

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proposito è bene ricordare come il quadro dottrinale, insieme alle sue derivazioni strategiche e tattiche, se da lato lo si può definire come dato valido una volta per sempre, dall'altro lato è opportuno non dimenticare come esso sia stato sottoposto a più ondate revisioniste, per cui la sua struttura portante e quelle da essa derivate necessità di una costante riaffermazione ─, il suo disfacimento dottrinale e perfino la sua morte, sono strettamente legate all'evoluzione della società borghese nel suo insieme, e nella sua dimensione internazionale, o globale che dir si voglia. Si possono decretare come ottimali, o comunque favorevoli, certe situazioni sociali piuttosto che altre, e descrivere il percorso che il partito è bene percorra, ma il tutto è stato in passato e lo sarà anche in futuro, condizionato in modo determinante da quello che è e sarà l'evoluzione generale della società borghese. E' una indicazione del tutto generica ma non è possibile attualmente definire in modo più particolareggiato quel fenomeno, pur se rimane assolutamente necessario riferirsi, e di più, costruire l'attività politica contemporanea facendo tesoro delle esperienze della storia passata. Al di là e oltre le più negative considerazione sugli errori e sui tradimenti di questo o quel militante o di un intero partito, non va affatto sottovalutato, anzi va ridestato, l'interesse sulle condizioni materiali nelle quali vive e lavora la classe operaia nel suo complesso e nella sua evoluzione. E' questo il cuore di quel materialismo storico che deve considerarsi come uno dei pilastri sui quali poggia la dottrina marxista. Tornando ai passi iniziali del nostro discorso il concetto che il partito ─ ma a questo punto sarebbe opportuno precisare se ci si riferisce al partito nel senso storico, ovvero nel complesso della dottrina la quale esiste da oltre un secolo, oppure all'organizzazione formale, ossia alla sua esistenza fisica composta dai proletari e da coloro ne vogliono seguire le orme ─ possa, o debba, nascere in tempi precedenti la crisi rivoluzionaria e non durante o addirittura dopo, deve inserirsi in una visuale materialistica. A tale proposito è

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opportuno ricordare come la guida di quel partito internazionalista, del quale Battaglia comunista ne era, e ne è, la testata, nato negli anni quaranta del novecento, affermava in uno dei suoi scritti che:<< ma chi pensa e crede ad una specie di sincronicità non soltanto temporale tra il moto delle cose del sottosuolo e il moto delle forze sociali e politiche della sovrastruttura, pensa e crede secondo i precetti d'un determinismo meccanicista che ripugna al materialismo storico inteso come lo intendeva Marx, più ''storico'' che '' materialismo'' >>. 4 Qualunque cosa volesse dire quella frase essa testimonia, così come il passo che riportiamo all'inizio, come la concezione materialistica sia posta, da quel dato gruppo politico di ispirazione internazionalistica, in secondo piano in favore di una interpretazione più soggettivistica della storia. Ciò non è del tutto aderente al materialismo marxista il quale sempre ci deve ricordare che i comunisti non cercano di scendere dal cielo delle idee alle miserie terrene ma, di contro, salire dai rapporti materiali entro i quali vivono gli uomini alle alte sfere della coscienza.

4 Onorato Damen: Amadeo Bodiga, validità e limiti d'una esperienza, EPI 1971, p. 68.

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