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All ovest come all est

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Academic year: 2022

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All’ovest come all’est

cenni sul rapporto tra meditazione e psicologia

di Vincenzo De Giovanni psicologo, formatore e meditatore

La ricerca di Siddhatta Gotama - Un metodo concreto La peculiarità della scoperta del Buddha - Automatismo e autonomia - La zanzara punge - Com’è, in pratica, la meditazione Vipassana - Vipassana e la psiche Dalla superficie del corpo all’interno del corpo A proposito del dolore

Nella Grecia del VI secolo a.C., a Delfi nel tempio del dio della luce Apollo, campeggiava la scritta:

“Conosci te stesso”. Per gli antichi greci conoscere se stessi era l’obiettivo più importante nel campo del sapere, e Socrate, ci dice Platone, era stato definito dallo stesso oracolo di Delfi il più sapiente, proprio perché di sé sapeva di non sapere.

Dai suoi albori, nella cultura occidentale è presente la convinzione che la radice del sapere sta dentro di noi. Nel Vangelo secondo Luca si legge: “il regno di Dio è dentro di voi”. Il regno di Dio, cioè il regno della beatitudine, e il regno della verità.

Sant’Agostino, nel IV secolo d.C., fa sua la tradizione, e sostiene che la verità è dentro noi stessi, e che occorre andare quindi dentro di sé per conoscerla. Questo orientamento è presente nella storia del pensiero occidentale fino al XX secolo, e

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cito Husserl che nella sua fenomenologia si rifà al motto agostiniano: “Ritorna in te stesso. La verità è dentro l’uomo”.

2500 anni fa in India, nel VI secolo a. C, il giovane Gotama, futuro Buddha, cerca la via per eliminare il dolore, e anch’egli comprende che essa è dentro se stesso.

La ricerca di Siddhatta Gotama

All’inizio segue le più severe discipline ascetiche per conquistare il dominio del corpo e della mente. Si riduce ad uno scheletro, fino alla soglia della morte.

Ma anche questo non bastava, per raggiungere il suo obiettivo. La strada della repressione non si era rivelata adatta allo scopo: più reprimeva le proprie energie, più questo sforzo gli si ritorceva contro, bloccando ogni progresso, portando sia la mente che il corpo ad un punto di non ritorno; e senza alcun vantaggio. La mente rimaneva bloccata dalla sua stessa ostinazione, e il corpo si ritrovava semplicemente esausto.

La mortificazione del corpo non era dunque una strada produttiva. Per superare il dolore occorreva scoprirne le leggi, indagando dentro di sé, seguendo una via di mezzo tra repressione e lassismo.

La tecnica di meditazione Vipassana è la scoperta scaturita dall’esperienza. Vipassana significa “chiara visione” (dal pali vipassati, vedere chiaramente): per estinguere il dolore occorre “vederlo chiaramente”

cioè conoscerlo per esperienza, e per conoscerlo occorre indagare dentro di sé seguendo una disciplina rigorosa, ma rispettosa del corpo. Una disciplina

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che valorizzi tutte le risorse del corpo orientandole efficacemente verso lo scopo (del conoscere attraverso l’esperienza).

Anche per il Buddha conoscere se stessi diventa il mezzo per superare il dolore. Un superamento che non significa eliminazione del dolore, ma la sua serena accettazione, con la comprensione delle leggi naturali che lo regolano.

Un metodo concreto

Questo processo si differenzia dal metodo filosofico della riflessione occidentale, che è intellettuale e segue rigorosi percorsi logici senza coinvolgere direttamente il corpo. Il Buddha adotta un metodo basato sull’esame scrupoloso dei meccanismi interni della mente e del corpo: gli esercizi meditativi di scandaglio dentro di noi, conoscendo il nostro mondo interno. Non siamo tuttavia nel mondo della psicoanalisi, siamo oltre.

Perché oltre?

Perché la psicoanalisi opera sul piano della dinamica dei processi psichici che prescinde da ciò che sta alla loro base.

Con “oltre” non si vuole intendere “più in alto”, o “meglio”. La meditazione non esclude la validità di quanto va scoprendo la psicologia dinamica, ma indaga a un livello diverso, al livello delle sensazioni.

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La peculiarità della scoperta del Buddha

Indagando dentro di sé, il Buddha si accorse che alla radice di tutti i comportamenti ci sono dei meccanismi automatici.

L’incapacità di sopportazione del dolore è una spia dell’inadeguatezza della nostra mente. Anche in occidente, alcuni filosofi avevano rilevato, pur seguendo strade diverse, che l’origine della sofferenza è nell’ignoranza.

Un esempio è Epicuro che illustra saggi principi per dirigere la mente e orientarla opportunamente in modo da consentirci di sopportare il dolore, eliminare il terrore della morte e la paura dei malvagi. Ma si tratta di un approccio intellettuale, che coinvolge cioè solo la parte razionale.

Il Buddha, secondo le tradizioni diffuse nella sua epoca, era partito dal corpo e lo aveva sottoposto alle discipline più austere, per poi rendersi conto che, se non si coinvolge l’uomo nella sua totalità, non si può raggiungere il traguardo della comprensione completa (basata sull’esperienza di mente e corpo, n.d.r.)

Automatismo e autonomia

Dunque la scoperta consiste nell’accorgersi che il nostro organismo non reagisce alle percezioni, immagini, suoni ecc. Questo è solo ciò che ci sembra, ma cosa c’è dietro l’apparenza? Ci sono le sensazioni che proviamo (per un’immagine, un

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suono, un odore, un sapore, un pensiero). È alle sensazioni che reagiamo, non alle percezioni (visive, uditive ecc...). Se una percezione è accompagnata da una sensazione spiacevole metteremo in atto comportamenti atti a difenderci o a fuggire. Se una percezione è accompagnata da una sensazione piacevole, i comportamenti saranno caratterizzati dal desiderio di far durare il più a lungo possibile la sensazione.

Scoprire il meccanismo dei nostri comportamenti automatici ci permette di orientare la nostra attenzione dall’oggetto della percezione, che provoca la sensazione, alla sensazione stessa.

Lo spostamento dell’attenzione significa che le aree corticali specificamente attivate non sono più, o non solo, quelle automatiche dell’ipotalamo, ma quelle della corteccia, quelle che ospitano l’attività cosciente, auto-regolata, non automatica.

Passiamo così dal mondo dell’eteronomia a quello dell’autonomia. Che era ed è l’obiettivo dei saggi:

affrancarsi dal mondo delle emozioni e dei sensi per giungere al mondo della libertà in cui i sensi e le emozioni, come focosi destrieri, sono moderati dall’auriga sereno, consapevole e razionale, secondo la plastica immagine di Platone.

L’attivazione dei centri dell’attenzione e dell’azione volontaria che hanno sede nella corteccia provoca uno sviluppo di queste strutture, potenziandone l’efficacia e l’efficienza.

L’osservazione, con consapevolezza ed equanimi- tà, di quanto accade nel corpo, non permette alle reazioni automatiche di trasformarsi in azioni. In- fatti l’osservazione pura e semplice non implica il

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passaggio all’azione fisica.

La reazione, senza il rinforzo di un’azione fisica, rimane circoscritta nel corpo e tende a ridursi col tempo fino a estinguersi, come i fisiologi hanno constatato.

Questo significa riduzione del dolore, perché gradatamente se ne estingue la componente mentale, che lo rende assai più rilevante di quanto non sia. Poi, andando oltre, se ne riducono gli effetti nel corpo, riducendo l’intensità delle reazioni biochimiche concomitanti che lo pervadono, sollecitandolo e predisponendolo all’azione fisica.

La zanzara punge

Un esempio. Se siamo punti da una zanzara abbiamo una percezione tattile e, in successione, una sensazione sgradevole. La reazione automatica è un movimento della mano per allontanare l’insetto. Se non ci muoviamo e osserviamo quanto accade nel corpo, ci potremo rendere conto che la sensazione cambia di momento in momento, si allarga sulla superficie della pelle diminuendo di intensità, si cambia in prurito ecc. finché gradatamente si estingue. L’allenamento all’osservazione non ci rende insensibili alle punture di zanzara, ma ci permette di convivere con le zanzare senza bisogno di reagire, grattando come forsennati o dando schiaffoni per ammazzarle, e nemmeno intossicandoci con pesticidi.

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Come è, in pratica, la meditazione Vipassana

Prima di iniziare a meditare con Vipassana, il meditatore si allena fino a sviluppare la concentrazione mentale, esercitandosi con la meditazione sul respiro (in pali ánápána). Questa tecnica porta alla capacità di sentire le sensazioni fisiche, esercitandosi a osservare un’area delimitata: quella sotto le narici e sopra il labbro superiore, sfiorata dall’aria che inspiriamo e espiriamo.

Per iniziare con Vipassana, il meditatore si pone nelle migliori condizioni per essere sereno e rilassato, chiude gli occhi e concentra l’attenzione sulle sensazioni che sorgono su un’altra piccola area:

la parte superiore della testa. Non si aspetta nulla di particolare e si limita a rilevare con diligenza ciò che sente. Possono essere sensazioni di ogni tipo:

calore, prurito, tremore, vibrazioni, tensioni, battiti, pizzicori, punture e altro.

Il meditatore percorre tutta la superficie del corpo, scendendo fino alla punta dei piedi per risalire infine alla cima della testa.

Questo primo percorso permette di accorgersi delle aree in cui vi sono sensazioni deboli, quasi impercettibili, e delle aree in cui le sensazioni sono accentuate, anche dolorose, delle aree in cui le sensazioni sono gradevoli, anche molto gradevoli, e infine delle aree in cui non si riesce a percepire nessuna sensazione.

Questa esplorazione va compiuta coltivando un’attitudine consapevole ed equanime. Consapevo-

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le di ciò che accade al livello delle sensazioni fisiche ed equanime (o col giusto distacco): non è irritato se sono spiacevoli o entusiasta se piacevoli, non è deluso se non emerge nulla.

Vipassana e la psiche

Percorrendo sistematicamente tutta la superficie del corpo, dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, vengono presumibilmente sollecitate le aree corticali corrispondenti. Questa sollecitazione evoca sensazioni tattili di ogni tipo e possono emergere anche immagini ad esse collegate, scene di vita vissuta con i relativi contenuti emotivi, e sensazioni in tutto il resto del corpo. Esse vengono lasciate scorrere come su uno schermo posto sullo sfondo della coscienza, mentre il meditatore continua a sviluppare attenzione per le sensazioni.

La superficie del corpo può essere intesa come una mappa sulla quale sono registrate le innumerevoli esperienze della nostra vita, stratificate non in base al tempo ma alla pregnanza emotiva. Avviene così che le meno cariche di contenuti emotivi appaiono per prime, e le più cariche per ultime.

Le sensazioni emergono in virtù del livello di equanimità e di consapevolezza con cui si effettua l’esplorazione, non in base all’intensità dello sforzo.

Più ci si sforza e più si allontana il traguardo. Per questo si parla di “retto sforzo” per indicare l’impe- gno distaccato, cioè in equilibrio tra il desiderio e l’avversione.

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A mano a mano che l’organismo è in grado di affrontare il contenuto emotivo di una esperienza, questa compare nella sua pienezza, come accade con le associazioni verbali nel metodo psicoanalitico. Per questo il meditatore quando non percepisce alcuna sensazione è invitato ad aspettare pazientemente, rimanendo sempre attento all’area del corpo a cui è arrivato, distaccandosene solo quando è passato qualche minuto e ripassando al giro successivo. Si tratta presumibilmente di aree di inibizione, interdette alla coscienza per i loro contenuti associativi vissuti come pericolosi per la stabilità dell’organismo, o per altri motivi di cui non è necessario stabilire l’origine.

Può capitare che un’ area insensibile diventi sensibile improvvisamente. Quando la nuova sensibilità è accompagnata da immagini e ricordi emotivamente carichi, e l’evento è vissuto alla fine positivamente, di norma l’area rimane sensibile anche successivamente. In tal caso altre aree, probabilmente connesse per associazione, e quindi poco o per nulla sensibili, dimostrano una nuova più ricca sensibilità o diventano pure esse sensibili.

Dalla superficie del corpo all’interno del corpo

Il processo è del tutto analogo a quello precedente, anche se ora si penetra nel profondo delle membra e degli organi. Poiché la nostra vita è stata caratterizzata da sensazioni a tutti i livelli del corpo, troveremo, ancorate nelle profondità delle viscere, tracce di esperienze passate, con il loro

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bagaglio di contenuti emotivi e sensazioni.

Gli eventi traumatici anche in questo caso avranno più difficoltà ad emergere. Anche in questo caso il superamento delle barriere alla sensibilità implica una stabilizzazione e un arricchimento delle sensazioni, ed un’estensione della sensibilità ad altre zone precedentemente poco o per nulla sensibili.

Il processo di meditazione è un processo di conoscenza sempre più ricca e articolata dell’intera nostra vita e delle nostre modalità di comportamento.

Non riguarda la ricerca delle cause, anche se rende possibile la loro comprensione intuitiva: interi processi mentali si dispiegano naturalmente dinanzi alla coscienza vigile ed attenta. Non mancano momenti di emozione, di tensione, di stress. Tutti gli stati d’animo, dalla rabbia al dolore, alla gioia, alla paura, si presentano alla nostra esperienza, tuttavia l’atteggiamento consapevole ed equanime toglie le energie necessarie all’espressione dell’emozione nel mondo esterno. Di fatto, normalmente, non esteriorizziamo le nostre emozioni.

Non perché vengono represse, ma perché si trovano progressivamente senza le forze necessarie, così non rimane che una reazione a livello corporale, somatico, e pure questa di entità quasi onirica, non così intensa quindi come nella realtà.

Se capita tuttavia un’emozione intensa come nella realtà, allora possiamo esercitare un controllo della situazione concentrando l’attenzione sul respiro e facendo ricorso alla tecnica di meditazione ánápána, per garantirci il ritorno graduale all’equanimità.

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A proposito del dolore

Accorgersi che soffriamo è un fatto di grande importanza, anzi di decisiva importanza. Può sembrare impossibile che qualcuno non si accorga che il dolore è una realtà. Tuttavia che esistano povertà, malattia e morte è noto a tutti. Di fatto il dolore c’è e il nostro corpo reagisce ad esso automaticamente.

La consapevolezza del dolore è quindi una tappa indispensabile per scoprire gli automatismi del nostro organismo. Se accettiamo la realtà del dolore stiamo cominciando ad accettare il fatto che abbiamo dei limiti. Stiamo passando dall’onnipotenza infantile alla realtà della nostra natura.

Come reagisce il corpo di fronte al dolore?

Indagando nella nostra mente ci accorgiamo che la negazione è la modalità più diffusa.

Quando osserviamo le sensazioni fisiche, durante l’esercizio meditativo, incontriamo aree insensibili.

Continuando, prima o poi le aree silenti cominciano gradatamente oppure rapidamente a essere sensibili e ci accorgiamo che talvolta si tratta di sensazioni acute, grossolane, spiacevoli, altre volte sottili e piacevoli.

La negazione della sensibilità avviene dunque anche per aspetti piacevoli. Come può essere?

Se, col tempo, stiamo attenti alle sensazioni, ci capiterà di accorgerci che insieme alle sensazioni sottili sentiamo una stretta al petto, una costrizione alle coronarie, un blocco allo stomaco, una serie di sensazioni che si accompagnano all’apprensione, come se insieme alla piacevolezza ci fosse il desiderio

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di protrarla e la paura di perderla. Così penetriamo gradualmente nei meccanismi che, dal dolore, danno forma al nostro comportamento, alla nostra vita, caratterizzandola come una continua lotta per evitare il dolore negandolo, cercando e mantenendo le situazioni piacevoli, eludendo quelle spiacevoli.

Contributo del meditatore e psicologo del lavoro Dott. Vincenzo De Giovanni, Milano, 19 novembre 1998.

Titolo originale: Appunti per un’introduzione alla meditazione Vipassana

Rrevisione a cura della Biblioteca Vipassana, 2014

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