LA RINUNCIA AI CREDITI DEI SOCI VERSO LA
SOCIETÀ E SUA
RILEVANZA TRIBUTARIA ALLA LUCE DEL “DECRETO INTERNAZIONALIZZAZIONE”
Documento del 15 febbraio 2016
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ABSTRACT
L’articolo 13, comma 1, lettere a), b) ed e) del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. “Decreto internazionalizzazione”) ha riformulato, con effetto dal 1° gennaio 2016, l’articolo 88, comma 4 e norme correlate (i.e. articoli 94, comma 6 e 101, comma 7) del D.P.R.22 dicembre 1986, n. 917 (c.d.“T.U.I.R.”) al fine di modificare significativamente il regime fiscale IRES applicabile alla rinuncia ai crediti dei soci verso la società; in particolare è stata prevista la rilevanza fiscale a titolo di sopravvenienza attiva di quella parte della rinuncia che eccede il valore fiscalmente riconosciuto del credito. La scelta del legislatore tributario è stata, quindi, quella di abbandonare un regime fiscale improntato alla totale e incondizionata irrilevanza fiscale per approdare ad uno caratterizzato da una rilevanza fiscale “variabile” della predetta rinuncia a seconda che il valore fiscalmente riconosciuto del credito sia o meno coincidente con il relativo valore nominale.
Orbene, scopo del presente lavoro è quello di ripercorrere le vicende legislative in materia di rinuncia ai crediti dei soci, con uno sguardo prodromico ai profili societari e contabili della stessa, al fine di comprendere la portata e le finalità della novella normativa nonché individuarne i profili di criticità e le questioni che permangono irrisolte.
S
HAREHOLDER’
S DEBT WAIVER–
IMPLICATIONS FOR INCOME TAX ARISING FROM THE“
INTERNATIONALIZATION DECREE”*
ABSTRACT
The recent Internationalization Decree has modified the Consolidated Act on Taxation with regard to the treatment of shareholders’ debt waivers. This amendment was introduced through Article 13, par.1, lett. a), b) and e) of legislative decree D.Lgs. 14 September 2015, n. 147 (“Decreto internazionalizzazione”), that has modified - as of 1° January 2016 - art.88, par.4 and the related provisions (i.e. art. 94, paragraph 6, and art. 101, paragraph 7) of Presidential Decree D.P.R. of 22 December 1986, n. 917 (“T.U.I.R.”).
The reform introduced a significant change in the income tax (“IRES”) system applicable to shareholders’ debt waivers. As a result, the amount of the waived debt exceeding the amount relevant for tax purposes is taxed as an extraordinary income. The tax legislature has decided to abandon a full and unconditioned exemption regime, and choose for a tax system based on a
“variable” chargeability, depending on whether the value of the debt for tax purposes corresponds to its nominal value.
The aim of this work is to describe the legislative modifications that have affected chargeability of shareholders’ debt waivers over time, with an overview on relevant legal and accounting issues, in order to highlight the scope and the purpose of the new provisions, as well as to explore its criticalities and unsettled issues.
* Traduzione a cura dell’Ufficio traduzioni CNDCEC
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L
A RINUNCIA AI CREDITI DEI SOCI VERSO LA SOCIETÀ E SUA RILEVANZA TRIBUTARIA ALLA LUCE DEL“
DECRETO INTERNAZIONALIZZAZIONE”
di Irene Giusti
Sommario: 1. Premessa. – 2. Inquadramento giuridico. Cenni. – 3. Profili contabili. – 4. Rilevanza tributaria della rinuncia ai crediti da parte dei soci: dall’art. 55 del D.P.R. n. 597/1973 al vigente art. 88 del T.U.I.R. – 5.
La rinuncia ai crediti nel “Decreto internazionalizzazione”: ratio e ambito di applicazione della novella normativa– 6. Considerazioni conclusive. Profili di criticità e questioni aperte.
1. Premessa
L’articolo 13, comma 1 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, “disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese” (c.d. “Decreto internazionalizzazione”)1, ha apportato rilevanti modificazioni a talune disposizioni normative del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (c.d. “Testo Unico delle Imposte sui Redditi”, di seguito
“T.U.I.R.”), tra le quali figurano quelle ex articoli 88, comma 4 – bis (il quale sostituisce insieme ai nuovi commi 4 e 4- ter il previgente comma 4), 94, comma 6 e 101, comma 7, relative al regime fiscale riservato alla rinuncia ai crediti da parte dei soci (titolari di reddito d’impresa).
La novella normativa de qua stabilisce la rilevanza fiscale della rinuncia ai crediti da parte dei soci a titolo di sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata per la parte che eccede il relativo valore fiscale e reciprocamente l’incremento del costo della partecipazione nei limiti del valore fiscale in capo al socio; ebbene tale modificazione risulta di rilevante portata in quanto il previgente regime fiscale era rimasto sostanzialmente invariato dal 1993, quando a seguito di una progressiva estensione dell’ambito di applicazione della non imponibilità della rinuncia ai crediti da parte dei soci, il legislatore tributario era giunto a sancire la non imponibilità stessa in modo incondizionato2.
Orbene, il revirement, seppur parziale, del legislatore tributario del 2015 offre l’occasione per ripercorrere le vicende normative che a partire dalla riforma tributaria del 1973 hanno interessato la fattispecie della rinuncia ai crediti da parte dei soci, in modo tale da
1Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2015, Serie Generale.
2Per un completo excursus storico-normativo riguardante il regime fiscale della rinuncia ai crediti da parte dei soci vedi infra, par. 4.
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comprendere la ratio sottesa alla novella normativa de qua, le sue ripercussioni sui contribuenti ed eventuali dubbi circa la sua adeguatezza rispetto ai fini (dichiaratamente) perseguiti.
È di tutta evidenza, poi, come un’analisi di tal fatta non possa prescindere da un prodromico inquadramento giuridico della fattispecie e dall’illustrazione dei profili contabili che vengono in rilievo in modo tale da ottenere una panoramica, il più possibile esaustiva e dotata di coerenza logica interna, della problematica che ci si accinge ad affrontare.
2. Inquadramento giuridico. Cenni
La rinuncia al credito del socio verso la società è prima facie sussumibile all’interno dell’istituto della remissione del debito ex articolo 1236 c.c.3, il quale, come noto, rientra nel genus dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’ adempimento non satisfattori.
La remissione è descritta come il negozio unilaterale recettizio, efficace e irrevocabile quando la dichiarazione perviene al debitore, il quale può rifiutare ma deve renderne edotto il creditore entro un termine congruo4; in particolare la struttura unilaterale discenderebbe dal fatto che il negozio si perfeziona con la sola volontà del creditore, laddove la volontà del debitore, rilevante solo se contraria, ha un’incidenza meramente secondaria, integra un momento separato ed eventuale rispetto alla dichiarazione di remissione ed è priva di un valore costitutivo5.
Orbene, pur non potendo in questa sede analizzare precipuamente l’istituto della remissione del debito, ai fini della nostra indagine si ritiene necessario porre l’attenzione sulla dibattuta questione relativa all’individuazione della causa dell’istituto, questione affatto oziosa sol che si pensi alla rilevanza che assume nella ricostruzione della fattispecie della rinuncia al credito dei soci verso la società.
La tesi tradizionale6, infatti, individua nella rimessione un atto di rinuncia e, quindi, un atto di natura essenzialmente abdicativa, il quale provoca il distacco del diritto di credito dal
3L’articolo 1236 c.c. recita: “la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l'obbligazione quando è comunicata al debitore, salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne profittare.”
4Per un’analisi istituzionale della dichiarazione di remissione si rinvia, ex plurimis, a E. Tilocca, Remissione del debito, in Noviss. Dig. It., XV, Torino, 1968, 389 ss.; C. M. Bianca, Diritto civile, IV, l’obbligazione, Milano, 1999, 461 ss.; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 585 ss.; M. Paladini, L’estinzione dell’obbligazione senza adempimento, Torino, 2010, 77 ss.
5Cfr. C. M. Bianca, cit., 464 e F. Gazzoni, cit., 586: entrambi gli Autori non condividono la tesi c.d.
contrattualistica, minoritaria in dottrina, secondo la quale la remissione costituirebbe una figura contrattuale, in quanto il mancato rifiuto non può costituire una forma di consenso, bensì’ può atteggiarsi alla stregua di una condizione risolutiva che ha la funzione di salvaguardare l’interesse del debitore all’adempimento; inoltre secondo il C.M. Bianca non può non tenersi conto del “principio del nostro diritto privato che legittima in generale i negozi unilaterali aventi effetto sulla sfera giuridica altrui quando l’effetto è insuscettibile di pregiudizio patrimoniale”.
6Cfr. E. Tilocca, cit., 389 e La remissione del debito, Padova, 1955, 13; C.M. Bianca, cit. 466 ss.
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patrimonio del creditore e che, come conseguenza ex lege, determina la liberazione del debitore.
Secondo tale orientamento esegetico, pertanto, “la remissione non può non essere un atto di rinunzia” e la rinuncia al credito implica necessariamente l’estinzione del debito7.
Una diversa tesi8, invece, sostiene che la remissione operi direttamente sul rapporto giuridico inteso unitariamente, attraverso un unico effetto costituito dall’estinzione contestuale di entrambe le posizioni giuridiche soggettive attiva e passiva, laddove la sola rinuncia al credito ha una portata più ristretta rispetto alla remissione9.
Sia che si individui la causa della remissione nella mera abdicazione al diritto di credito o meno non può negarsi che molteplici possono essere le cause concrete dell’istituto in esame e quindi gli interessi perseguiti dal creditore, interessi che possono concretarsi anche in vantaggi patrimoniali, nonostante l’essenziale gratuità della remissione; la gratuità, infatti, non implica necessariamente la sussistenza dello spirito liberale da parte del remittente10. Tale affermazione trova riscontro nella rinuncia ai crediti dei soci verso la società, laddove l’interesse del socio-creditore è correlato a quello della società-debitrice stante la particolarità del rapporto giuridico intercorrente tra le parti (c.d. rapporto sociale): il socio, infatti, ha interesse al buon andamento della società partecipata e, qualora questa sia in una situazione di sofferenza finanziaria, potrebbe optare per la rinuncia ad un credito vantato nei suoi confronti al fine di patrimonializzarla.
Invero, il socio ben può essere titolare di un diritto di credito uti singulus nei confronti della società, diritto di credito avente differenti fonti generatrici e quindi differente natura, quali un finanziamento in senso proprio11 ossia a titolo di mutuo (c.d. credito da finanziamento), una cessione di beni o prestazione di servizi (c.d. credito commerciale).
7Così C. M. Bianca, cit., 467.
8 Cfr. P. Perlingieri, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, in Comm. Scialoja- Branca (artt. 1230-1259), Bologna-Roma, 1975, 183; F. Gazzoni, cit., 586.
9Così R. Cicala, l’adempimento indiretto del debito altrui, Napoli, 1968, 186.
10Sul punto vedi Matteucci, La remissione del debito, in Riv. Dir. Civ., 1957, I, 477 e C. M. Bianca, cit., 468; in argomento, tuttavia, occorre rilevare che la tesi della gratuità dell’atto di remissione non è pacifica in dottrina: un primo orientamento (vedi E. Tilocca, Remissione del debito, in Noviss. Dig. It., XV, Torino, 1968, 398) afferma che la remissione sia un negozio a causa neutra o variabile, a titolo gratuito ovvero oneroso a seconda del caso concreto, un secondo orientamento (G. Giacobbe e M.L. Giuda, Remissione del debito, in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 771), invece, ravvisa in tale istituto un negozio a causa astratta o privo di rilevanza causale.
11Ci si riferisce alla nozione giuridica e non generale ed atecnica di finanziamento: con il termine
“finanziamento” si indica propriamente la prestazione di capitale di credito e non anche di capitale di rischio e quindi non ogni apporto di risorse finanziarie (in argomento vedi G. Ferri jr., Investimento e conferimento, Milano, 2001, 39; G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle Società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, 746 ss.; M. Maugeri, Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti soci, in, Riv. Dir. Comm., 2008, I, 133 ss. il quale ha evidenziato il rischio di uno svuotamento di significato del termine in questione dovuto alla sua potenziale idoneità ad indicare indifferentemente sia operazioni di prestito che investimenti in capitale di rischio).
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È di tutta evidenza, poi, che oltre ai diritti di credito che possono sorgere in capo al socio uti singulus vi sono i diritti di credito che sorgono in capo a questi uti socius, quali i crediti da utili non distribuiti ovvero di cui è stata deliberata la distribuzione.
Il generarsi di crediti da finanziamento ovvero commerciali de quibus discende dal dato incontrovertibile che tra socio e società possano instaurarsi rapporti giuridici diversi da quello sociale, in particolare, rapporti contrattuali in cui il socio assume la titolarità di posizioni giuridiche attive (ovvero passive) come fosse un soggetto terzo12.
Il socio, tuttavia, pur atteggiandosi come soggetto terzo nella fase genetica e nello svolgimento dei rapporti contrattuali con la società non può assimilarsi perfettamente ad un qualsiasi terzo, stante la sua qualità di soggetto avente un interesse omogeneo alla stessa, talmente omogeneo da portare a configurare un’identità soggettiva tra le parti.
Ed è proprio un tale peculiare interesse ad essere sotteso alla scelta da parte del socio di rinunciare ad un proprio diritto di credito pregresso vantato nei confronti della società.
La rinuncia al credito rappresenta, infatti, una modalità tecnico-giuridica con la quale il socio effettua un apporto al fine di incrementare il patrimonio sociale della società senza, tuttavia, incidere sul capitale nominale (salvo, ovviamente, un successivo aumento di capitale);
attraverso un tale atto dispositivo di un proprio diritto, pertanto, il socio esce dal rapporto di finanziamento per tornare nel rapporto partecipativo e ciò come se ab origine avesse effettuato un versamento fuori capitale, rectius un versamento in conto capitale.
Per esemplificare, avuto riguardo ai crediti da finanziamento, i quali sono i più rilevanti, ciò che avviene è una conversione del prestito in apporto, con precisi riflessi contabili e fiscali che saranno oggetto di diffuso esame nel prosieguo.
Orbene, al fine di comprendere la portata dell’accennata assimilazione della rinuncia ai crediti ai versamenti in conto capitale e le relative ripercussioni in ambito contabile e fiscale, si ritiene opportuno delineare brevemente le caratteristiche fondamentali di tali apporti.
In primo luogo preme rilevare che i versamenti in conto capitale non trovano un espresso riconoscimento nell’ordinamento societario, tuttavia, sono particolarmente diffusi nella prassi e la loro liceità è pacificamente ammessa13.
Attraverso i predetti apporti i soci sopperiscono (spontaneamente) alle esigenze finanziarie
12In ordine alla pacifica configurabilità di rapporti di natura contrattuale tra socio e società si vedano C. Angelici, Note in tema di rapporti contrattuali tra soci e società, in Studi sull’autonomia dei privati, Torino, 1997, 358 e M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2005, 1 ss.
13Cfr., G. Tantini, cit.,745 ss.; G. Festa Ferrante, Natura giuridica e vicende dei versamenti in conto capitale e a fondo perduto (o a copertura di perdite), in Riv. Notariato, IV, 2010, 995 ss.; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Milano, 2012, 518 ss.; M. Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti, Milano, 2015, 6 ss.
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della società senza ricorrere ad un formale aumento del capitale sociale e, per tale motivo, non sono equiparabili ai conferimenti di capitale.
Pur contribuendo, infatti, ad un rafforzamento della base patrimoniale della società, che ne garantisce il buon andamento dell’attività e il merito creditizio, i versamenti in argomento sono caratterizzati da una minore “stabilità” rispetto ai conferimenti non essendo assoggettati alla relativa disciplina restrittiva, né in fase di apporto né in fase di rimborso.
I soci non possono tuttavia pretendere il rimborso perfetto di tali versamenti, stante la loro irriducibilità a meri finanziamenti a titolo di mutuo e, di conseguenza, gli stessi devono risultare da apposite riserve iscritte in bilancio14.
Rispetto al finanziamento a titolo di mutuo o prestito, all’atto dell’esecuzione del versamento si produce l’elisione del legame tra socio versante e la somma versata, assurgendo il predetto versamento a mezzo proprio della società, di talché non può costituirsi in capo al socio un diritto perfetto al rimborso.
Questi potrà ottenerne la restituzione solo in via meramente residuale nell’ipotesi in cui il valore dell’apporto medesimo non si stato eroso dalle perdite15 e, in sede di liquidazione, solo successivamente all’integrale soddisfazione dei creditori sociali.
Invero, sovente nella prassi non è operazione agevole la qualificazione di un versamento in termini di apporto fuori capitale ovvero di finanziamento a titolo di mutuo soprattutto qualora non sia chiara la volontà delle parti di attribuire al socio un diritto perfetto al rimborso o meno.
Ebbene, nelle suddette ipotesi, si ritiene sia necessario ricostruire l’effettiva volontà delle parti in conformità agli ordinari criteri ermeneutici ex articoli 1362 e ss. c.c., volontà di cui possono essere indici, tra gli altri, la pattuizione di un termine per la restituzione delle somme
14Sul punto il Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie, orientamento H.L.1. (versamenti soci senza diritto di rimborso – c.d. in conto capitale) – 1° pubbl. 9/07 afferma che “i versamenti effettuati dai soci a favore delle società senza alcun diritto di rimborso, denominati nella prassi “versamenti in conto capitale”, sono definitivamente acquisiti a patrimonio sociale fin dal momento della loro esecuzione ed integrano una riserva disponibile.” Inoltre, per l’individuazione precipua delle riserve nelle quali iscrivere gli apporti dei soci si rinvia a quanto illustrato nel par. 3.
15È questione controversa la disciplina applicabile alla restituzione dei versamenti in conto capitale ai soci, in quanto, a sua volta controversa è l’individuazione del tipo di riserva cui assegnarli: la tesi maggioritaria ritiene sia applicabile la disciplina del sovrapprezzo in quanto fattispecie legale di conferimento non imputato a capitale (vedi, ex plurimis, L. Parrella, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, Milano, 2000, 151 ss.; M. Rubino De Ritis, Gli apporti spontanei in società di capitali, Torino, 2001, 152 ss.; G.F.
Campobasso, cit., 520, sub nota 43 e, in giurisprudenza, Cass. 24 luglio 2007, n. 16393 nella quale si sostiene che “l’analogia tra apporti di patrimonio e soprapprezzo è evidente. Il socio, infatti, sia che versi un soprapprezzo al momento della sottoscrizione delle azioni, sia che apporti entità patrimoniali indipendenti dall’emissione di azioni, mette durevolmente a disposizione della società mezzi economici per lo svolgimento dell’attività di impresa in vista dei risultati cui è chiamato a partecipare. Il che spiega perché l’apporto aggiuntivo del socio possa essere non proporzionale al capitale”); altra tesi ritiene sia da applicare la disciplina della riserva legale considerata l’identità funzionale e strutturale tra conferimenti in senso proprio e conferimenti fuori capitale (vedi F. Chiomenti, I versamenti a fondo perduto, in Riv. Dir. Comm., 1974, II, 118).
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versate, il carattere definitivo dell’attribuzione all’impresa ovvero la rappresentazione contabile dell’operazione16.
3. Profili contabili
Secondo quanto specificato nel Principio contabile OIC 2817, la rinuncia dei soci ai crediti vantati nei confronti della società dà origine ad un apporto di patrimonio, indipendentemente dalla natura dei crediti e dunque sia che si tratti di crediti da finanziamento (intendendosi i finanziamenti, fruttiferi o infruttiferi, effettuati dai soci e relativamente ai quali la società ha l’obbligo di restituzione) che di natura commerciale18.
Nel suddetto Principio19, è stato infatti precisato che «la rinuncia del credito da parte del socio - che si concretizza in un atto formale effettuato esplicitamente nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale della società - è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio. Pertanto, in tal caso la rinuncia dei soci al diritto alla restituzione trasforma il debito della società in una posta di patrimonio netto avente natura di riserva di capitale».
Nella precedente versione del Principio OIC 2820 era, invece, espressamente previsto che il passaggio a capitale, generato dalla rinuncia al credito verso la società da parte del soci, riguardasse solo i “Versamenti a titolo di finanziamento” ovverosia quelli per i quali la società ha l’obbligo di restituzione; con riguardo a questi ultimi era specificato che si trattava «di importi che devono trovare collocazione in bilancio tra le passività, alla lettera D), punto 3)
“debiti verso soci per finanziamenti”. Al riguardo, non è rilevante la natura fruttifera o meno di tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione: l’elemento discriminante va individuato esclusivamente nel diritto dei soci alla restituzione delle somme versate. Ne consegue che per questa tipologia di versamenti il loro eventuale passaggio a capitale necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione, trasformando così il finanziamento in apporto. Ha così natura di riserva di capitale quella che viene ad essere costituita con la
16Cfr. M. Costanza, Versamenti operati dai soci: conferimenti in conto capitale o mutui?, in, GT, VI, 1996 553 ss.; Prestipino, cit., 16, ss.; in giurisprudenza Cass., 31 marzo 2006, n. 7692 nella quale si afferma che “deve ammettersi la legittimità logica dell’argomento che il Giudice di merito trae dall’appostazione di bilancio quando, come nella specie, esso si accompagni anche a considerazioni ulteriori – desunte dal tenore di clausole statutarie o dalle finalità pratiche al cui perseguimento il finanziamento appare essere stato preordinato – con riferimento alle quali nessuna critica precisa e decisiva risulta essere stata formulata da parte ricorrente”.
17 Cfr. OIC – Organismo Italiano di Contabilità, Principio contabile nazionale Oic 28, Patrimonio netto, agosto 2014, par. 49. Nell’agosto del 2014 è stata pubblicata la nuova versione del Principio contabile Oic 28, Patrimonio Netto, in cui, tra i principali interventi, viene chiarito il trattamento contabile nel caso di rinuncia del credito da parte del socio.
18 Per la distinzione tra apporto di patrimonio e finanziamento, v. supra par. 2.
19 Cfr. OIC 28, op.cit., agosto 2014, par. 49.
20 Cfr. OIC – Organismo Italiano di Contabilità, Principio contabile nazionale Oic 28, Il patrimonio netto, 30 maggio 2005.
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rinuncia al credito vantato dai soci, sia per partecipare alla copertura della perdita, sia per futuri aumenti di capitale»21.
La precedente formulazione del suddetto Principio prevedeva espressamente che i debiti iscritti nella voce D) 3) del passivo dello Stato Patrimoniale (“debiti verso soci per finanziamenti”) potessero trasformarsi in apporti (in seguito ad una preventiva rinuncia da parte dei soci al diritto alla restituzione) non specificando alcunché in merito alla rinuncia ai crediti di natura commerciale.
Il principio contabile revisionato specifica che tale previsione si applica a qualsiasi credito, anche commerciale, purché la rinuncia del socio sia motivata da ragioni di carattere finanziario, non rilevando dunque, la natura del credito, ma la motivazione della rinuncia al credito da parte del socio. Motivazione quest’ultima che deve concretizzarsi in una formale manifestazione di volontà da parte del soggetto legittimato a esprimerla per conto del socio
«effettuata esplicitamente nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale della società»;
finalità quest’ultima che risponde per lo più alle difficoltà finanziarie della società data la congiuntura economica. Ciò costituisce una spinta verso i soci a rinunciare a crediti per finanziamenti effettuati nei confronti della società debitrice o derivanti da un’operazione commerciale alla stregua di qualunque altro fornitore di beni o servizi, convertendo così tali debiti in apporti patrimoniali destinati ad incrementare le Riserve di Patrimonio Netto (voce A VII “Altre Riserve”) per ricapitalizzare la società, per copertura perdite o per eventuali operazioni di aumento di capitale sociale.
Nell’ipotesi in cui la motivazione sottostante la rinuncia sia invece di carattere commerciale, relativa ad esempio, a controversie inerenti la fornitura di beni (ad esempio in caso di contestazione di una fornitura per difetto della merce) la rinuncia al credito da parte del fornitore transita a Conto economico, in quanto dà luogo, per la società debitrice, ad una riduzione dei costi di acquisto o, qualora si verifichi in esercizi successivi, ad una sopravvenienza attiva.
La rinuncia deve quindi avere sempre finalità di rafforzamento patrimoniale della società debitrice. In tal caso, la rinuncia dei soci al diritto alla restituzione «trasforma il debito della società in una posta di patrimonio netto avente natura di riserva di capitale».
Come specificato nel Principio OIC 28, le riserve di capitale rappresentano le quote di patrimonio netto che derivano, per esempio, dalla rinuncia di crediti da parte dei soci (oltre che da ulteriori apporti dei soci, dalla conversione di obbligazioni in azioni, dalle rivalutazioni monetarie) 22. Tali riserve rientrano nella voce AVII “Altre riserve”; come previsto dal
21 Cfr. OIC 28, op.cit., maggio 2005, pag.8.
22 OIC 28, op.cit., agosto 2014, par. 8.
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Principio contabile 28, nella voce AVII “Altre riserve” si classificano tutte le riserve che non sono già state iscritte nelle precedenti voci del patrimonio netto. Rientrano, ad esempio, in questa voce le seguenti riserve 23:
«“Riserva per versamenti effettuati dai soci” che sorge in occasione di apporti dei soci effettuati con una destinazione specifica, quali:
I “Versamenti in conto aumento di capitale” che rappresentano una riserva di capitale, con un preciso vincolo di destinazione, la quale accoglie gli importi di capitale sottoscritti dai soci, in ipotesi di aumento di capitale scindibile, quando la procedura di aumento del capitale sia ancora in corso alla data di chiusura del bilancio (cfr. paragrafi 24-25);
i “Versamenti in conto futuro aumento” di capitale che rappresentano una riserva di capitale avente uno specifico vincolo di destinazione, nella quale sono iscritti i versamenti non restituibili effettuati dai soci in via anticipata, in vista di un futuro aumento di capitale;
i “Versamenti in conto capitale” che rappresentano una riserva di capitale che accoglie il valore di nuovi apporti operati dai soci, pur in assenza dell’intendimento di procedere a futuri aumenti di capitale;
i “Versamenti a copertura perdite” effettuati dopo che si sia manifestata una perdita;
in tal caso, la riserva che viene a costituirsi presenta una specifica destinazione».
Pertanto, in caso di rinuncia di crediti da parte dei soci, secondo quanto specificato, se trattasi di debiti verso soci per finanziamenti iscritti nella voce D) 3) del passivo dello Stato Patrimoniale la scrittura sarà “Debiti verso soci per finanziamenti a Altre riserve”. Se trattasi di debiti verso fornitori (soci imprenditori) iscritti nella voce D) 7) la scrittura sarà “Debiti verso fornitori (soci imprenditori) a Altre riserve”. Se trattasi di debiti verso fornitori nei confronti di imprese controllate, collegate o controllanti, come specificato nel Principio contabile OIC 1924, questi sono iscritti rispettivamente nelle voci D9, D10 e D11, e pertanto, qualora si tratti di Debiti verso controllanti la scrittura sarà “Debiti verso controllanti a Altre riserve”.
23 OIC 28, op.cit., agosto 2014, par. 16.
24 Cfr. OIC – Organismo Italiano di Contabilità, Principio contabile nazionale OIC 19, Debiti, Agosto 2014, par.
17.
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Il finanziamento dei soci, in seguito alla rinuncia può inoltre essere convertito in capitale sociale, mediante un’operazione di aumento di capitale sociale, mediante compensazione, da parte dei soci finanziatori (futuri sottoscrittori) del credito vantato verso la società25.
Nel caso in cui si tratti di una rinuncia del socio ai crediti nei confronti di una società partecipata, il principio contabile OIC 21, in tema di partecipazioni dispone che: «un metodo con il quale si può realizzare un aumento di capitale in una partecipata è costituito dalla rinuncia ad un credito vantato dal socio nei confronti della partecipata. In questo caso la contropartita dell’annullamento, totale o parziale, del credito in capo al socio va ad aumentare il valore della partecipazione. Se la rinuncia al credito costituisce versamento a fondo perduto, anziché aumento di capitale, non muta la contabilizzazione, e si producono, quindi, un incremento della partecipazione in capo al socio ed un accrescimento del patrimonio per la partecipata»26.
In entrambi i casi sopra illustrati la scrittura contabile che dovrà fare la società rinunciante sarà “Partecipazione in società X a Crediti verso società X”.
4. Rilevanza tributaria della rinuncia ai crediti da parte dei soci: dall’art. 55 del D.P.R. n. 597/1973 al vigente art. 88 del T.U.I.R.
La prassi dei versamenti fuori capitale e della rinuncia ai crediti da parte dei soci a favore della società (assimilabile, sotto il profilo economico-sostanziale, ai versamenti fuori capitale) non è stata oggetto, come si è accennato in precedenza27, di un riconoscimento espresso e di carattere sistematico-generale nell’ordinamento societario; è stato l’ordinamento tributario ad introdurre una prima disciplina normativa, ovviamente di tipo speciale, riguardante la prassi de qua, conferendole riconoscimento giuridico e agevolandone la diffusione28.
Il D.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (“istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”, c.d. “Decreto IRPEF”)29 aveva introdotto, infatti, alcune disposizioni normative di natura agevolativa riservate ai versamenti dei soci; si tratta, in particolare, dell’articolo 43, comma 2, il quale escludeva l’operare della presunzione di onerosità a titolo
25 Cfr. Massima del Notariato Milano, n. 125, 5 marzo 2013.
26 Cfr. OIC – Organismo Italiano di Contabilità, Principio contabile nazionale OIC 21, Partecipazioni e Azioni proprie, Giugno 2015, par. 22.
27Vedi supra, par. 2.
28Cfr. G. Tantini, cit., 751 ss., il quale afferma che “è ad un'agevolazione fiscale che va ricollegata la nascita e lo sviluppo del fenomeno, anche se va ricordato che la possibilità di effettuare apporti nella società da parte dei soci, sottratti alla disciplina del capitale, era già affermata dalla dottrina” e G. Festa Ferrante, cit., 995, sub nota 2.
29Sebbene il D.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 riguardasse l'IRPEF, nell'articolo 5, comma 2, del D.P.R.29 settembre 1973, n. 598 venivano previste ipotesi in cui si estendeva l'applicazione di talune disposizioni normative del primo decreto a soggetti IRPEG; tra queste figura l'articolo 55 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.
597; in argomento vedi F. Marini, Le sopravvenienze nel reddito d'impresa, Padova, 1984, 87.
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di interessi delle somme versate dai soci alla società in conto capitale proporzionalmente alle quote di partecipazione e in base a formale deliberazione; dell’articolo 55, comma 3, il quale statuiva che non si considerassero sopravvenienze attive i versamenti fatti dai soci in proporzione alle quote di partecipazione e la rinuncia da parte dei soci, nella stessa proporzione, ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti; dell’articolo 64, ultimo comma, che stabiliva che le somme versate a copertura di perdite proporzione alle quote di partecipazione e in base a formale deliberazione, si aggiungessero al costo della partecipazione.
Il legislatore tributario del 1973, pertanto, sancì per la prima volta l’irrilevanza fiscale della rinuncia ai crediti dei soci verso la società a condizione che avvenisse in proporzione alle quote di partecipazione e la fonte generatrice dei crediti fosse un finanziamento a titolo di mutuo.
Orbene, la norma che prevedeva il predetto regime fiscale della rinuncia ai crediti da parte dei soci era contenuta nell’articolo 55 del Decreto IRPEF, rubricato “sopravvenienze attive”, ed era suscettibile di apparire come un’eccezione in senso proprio alla regola della rilevanza fiscale a titolo, appunto, di sopravvenienze di quegli eventi che modificano gli effetti reddituali di operazioni contabilizzate in precedenti periodi di imposta (cc.dd. sopravvenienze attive in senso proprio) ovvero che determinano incrementi di ricchezza a carattere straordinario e non connessi a componenti già contabilizzati in precedenti periodo di imposta (cc.dd. sopravvenienze attive per assimilazione).
Ebbene, si ritiene che la norma relativa alla rinuncia ai crediti da parte dei soci non possa considerarsi un’eccezione in senso tecnico ad una regola che altrimenti avrebbe trovato comunque applicazione e, quindi, una disposizione a carattere agevolativo, in quanto le somme versate dal socio in quanto tale (sia ab origine, sia a seguito di abdicazione ad un diritto di credito) manifestano la medesima natura dei conferimenti, ovverosia di capitale da apporto, il quale trova la propria ragione nel rapporto associativo intercorrente tra il socio e la società.
In altre parole, l’irrilevanza tributaria della rinuncia ai crediti dei soci era da considerarsi in re ipsa e, conseguentemente, alla norma che l’ha espressamente statuita doveva e deve attribuirsi carattere ricognitivo30; tuttavia, come si vedrà nel prosieguo, tale conclusione non è
30In questo senso vedi R. Lupi, Versamenti a fondo perduto e rinunce ai crediti dei soci nell'imposizione sui redditi, in Boll. trib. II, 1992, 1062; M. Miccinesi, I componenti positivi del reddito d'impresa. Ricavi, plusvalenze, sopravvenienze, dividendi ed interessi, Torino, 1994, 669; E. Nuzzo, P. Russo, Profili civili e fiscali della ricapitalizzazione di partecipata totalitaria mediante copertura delle perdite, in, Banca borsa tit. cred., V, 1997, 623 ss.; G. Zizzo, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2014, 427.
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unanimemente condivisa, soprattutto in giurisprudenza31.
Come si è anticipato in premessa al presente lavoro, l’ambito di applicazione della norma disponente l’irrilevanza fiscale della rinuncia ai crediti si è progressivamente esteso e ciò a conferma del citato carattere ricognitivo della stessa, costituendo le condizioni della proporzionalità alle quote di partecipazione e del credito derivante da precedenti finanziamenti, delle restrizioni ingiustificate alla sua piena operatività.
La condizione della proporzionalità è stata elisa con l’introduzione del T.U.I.R., laddove il testo normativo dell’articolo 55 del Decreto IRPEF è stato trasposto nell’articolo 55 del predetto Testo unico (ovviamente numerazione ante riforma del 2003); una tale limitazione, infatti, non trovava alcuna idonea ragione giustificativa stante il fatto che il requisito della proporzionalità tra conferimento/ versamento fuori capitale e partecipazione ben può essere derogato in tutti i tipi di società (e.g. con riferimento alle S.p.A., l’articolo 2348 c.c. prevede, com’è noto, la possibilità di creare categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto riguarda l’incidenza delle perdite) e che nella prassi, non tutti i soci effettuano versamenti ovvero rinunce ai crediti in proporzione alle rispettive quote.
Ciò di cui si disquisisce, infatti, sono i versamenti spontanei ovvero rinunce ai crediti spontanee, i quali possono essere effettuati dai soci anche in modo sproporzionato rispetto alle relative partecipazioni per molteplici motivi inerenti il rapporto sociale (sovente per il preminente interesse al salvataggio dell’impresa o, comunque, al suo buon andamento) con la consapevolezza che il maggior apporto effettuato non comporterà ovviamente nessuno specifico vantaggio amministrativo ovvero patrimoniale rispetto agli altri soci32.
Sul punto giova rilevare, inoltre, che nella vigenza del Decreto IRPEF l’Amministrazione finanziaria aveva precisato che ove non si fosse rispettato il suddetto requisito della proporzionalità solo l’ammontare dei versamenti (o dei crediti rinunciati) eccedente la quota proporzionale avrebbe dovuto considerarsi sopravvenienza attiva33.
La condizione della necessaria derivazione da un finanziamento del credito rinunciato è stata, invece, soppressa nel 1993, ad opera dell’articolo 1, comma 1, lettera g), D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133 in quanto il legislatore aveva ritenuto ingiustificato il fatto che solo nel caso in cui il credito, al quale il socio rinuncia, derivi da un precedente finanziamento lo stesso possa essere patrimonializzato34.
Nel 1993, quindi, l’ambito oggettivo di applicazione dell’articolo 55 (attuale articolo 88), comma 4 del T.U.I.R. è stato esteso alla rinuncia ai crediti di qualsiasi natura, compresi i
31Vedi infra, par. 6.
32In argomento vedi R. Lupi, cit., 1062; G. Tantini, cit., 755 ss.
33Note n. 9/2277 del 19 giugno 1981 e n. 9/2477 del 5 aprile 1982.
34 Così la relazione illustrativa al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557.
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crediti commerciali, i crediti da dividendi (diritto alla distribuzione degli utili deliberata dall’assemblea) e, più in generale, crediti derivanti anche da costi fiscalmente dedotti in precedenti esercizi dalla società partecipata35.
A tale conclusione si giunge sulla base della littera legis la quale, nonostante alcune perplessità emerse in dottrina36 e ad un discutibile approdo interpretativo dell’Amministrazione finanziaria avallato da recenti pronunce dei giudici di legittimità di cui si darà conto nel prosieguo37, data la sua chiarezza non lascia spazio ad un’esegesi che conduca a restringere il perimetro di applicazione della norma de qua.
In argomento è stato sostenuto come la norma ex articolo 55, comma 4 nella versione previgente al 1993 fosse contrastante con la sostanza economica dell’operazione di rinuncia al credito dei soci laddove ne limitava l’applicazione ai crediti derivanti da finanziamento: in primo luogo, non poteva non riconoscersi la natura di versamento fuori capitale e quindi di apporto della rinuncia a qualsiasi credito del socio38, in secondo luogo, tale limitazione era agevolmente aggirabile attraverso il pagamento del debito da parte della società mediante somme ricevute in prestito e successiva attribuzione della medesima somma da parte del socio in favore della società a titolo di versamento in conto capitale o a fondo perduto; dalla facilità con cui la norma poteva essere aggirata se ne ricavava la dubbia efficacia della limitazione in questione39.
È di tutta evidenza, quindi, che la ratio sottesa alla sancita irrilevanza fiscale della rinuncia ai crediti di qualsiasi natura da parte dei soci sia da ravvisare in quella che l’Amministrazione finanziaria ha efficacemente definito la “cointeressenza del socio-creditore alle vicende della società partecipata”40: l’atto di rinuncia non viene effettuato, come precisato in sede di illustrazione dei profili giuridico-societari dell’operazione in argomento41, con spirito di liberalità ma al fine di patrimonializzare la società in una prospettiva di rafforzamento della
35Cfr. Assonime, circolare 10 marzo 1994, n. 42, 44.
36Cfr. L. Del Federico, Profili fiscali della rinuncia dei crediti da parte dei soci, in, Il fisco, 1994, 9017, al quale l’estensione dell’ambito di applicazione della norma disponente l’irrilevanza fiscale della rinuncia ai crediti da parte dei soci ai crediti di qualsivoglia natura è sembrata “alquanto strana, in quanto lascerebbe sussistere una deduzione fiscale già operata dalla società, senza controbilanciarla con una sopravvenienza attiva per la stessa o con un’imposizione in capo al socio”
37Vedi infra par. 6.
38Sul punto vedi R. Lupi, cit., 1063 e Assonime, circolare 10 marzo 1994, n. 42, 44 nella quale si afferma che
“non è difficile dimostrare che l’eventuale rinuncia del socio a un credito derivante, ad esempio, da una cessione di merci alla società, produce risultati perfettamente equivalenti, sia in capo al socio che in capo alla società, a quelli che si determinerebbero nell’ipotesi in cui le merci formassero sin dall’origine oggetto di apporto e non di cessione: in tal caso, infatti, nessuno dubiterebbe della rilevanza fiscale per la società del costo delle merci riconosciuto in sede di apporto, ancorché la società non abbia in concreto sostenuto alcun esborso per il loro acquisto”.
39Così R. Lupi, cit., 1063
40Risoluzioni n. 41/E del 5 aprile 2001 e n. 152/E del 22 maggio 2002.
41Vedi supra par. 2.
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stessa.
Ebbene, il sopradescritto assetto normativo è rimasto invariato sino al corrente anno, a seguito dell’entrata in vigore a decorrere dal periodo d’imposta successivo al 7 ottobre 2015 (e quindi a decorrere dal 1° gennaio 2016 per i contribuenti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare), delle norme ex articolo 13, comma 1, lettere a), b) ed e) del Decreto internazionalizzazione, il quale ha riformato il regime fiscale della rinuncia ai crediti da parte dei soci nel senso che verrà illustrato nel paragrafo seguente.
5. La rinuncia ai crediti nel “Decreto internazionalizzazione”: ratio e ambito di applicazione della novella normativa
L’articolo 13, comma 1, lettera a) del Decreto internazionalizzazione, ha riformulato l’articolo 88, comma 4 T.U.I.R. enucleando da questo il nuovo comma 4 relativo ai versamenti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti ex articolo 73, comma 1, lettere a) e b) effettuati dai propri soci, il comma 4-bis relativo alla rinuncia ai crediti dei soci verso la società e il comma 4-ter relativo alle riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio, di accordi di ristrutturazione del debito e di piani di risanamento attestati.
Ebbene, rispetto all’assetto normativo previgente, nulla cambia per i versamenti a fondo perduto o in conto capitale effettuati dai soci verso la società, la cui irrilevanza fiscale resta assoluta; una modifica di portata significativa ha interessato, come anticipato più volte in precedenza, la rinuncia ai crediti dei soci, la cui irrilevanza fiscale non è più assoluta bensì limitata alla parte di rinuncia corrispondente al valore fiscalmente riconosciuto del credito con conseguente imponibilità della parte eccedente il detto valore a titolo di sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.
Specularmente alla riformulazione dell’articolo 88, comma 4 T.U.I.R., sono state apportate modifiche anche all’articolo 94, comma 6 T.U.I.R., laddove è stato stabilito che l’ammontare della rinuncia ai crediti effettuata dai soci nei confronti della società si aggiunge al costo della partecipazione ma nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito e all’articolo 101, comma 7 T.U.I.R. ove è stato stabilito che la rinuncia de qua non è ammessa in deduzione e il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito.
Orbene, è di tutta evidenza come con la novella normativa in esame il legislatore abbia inteso creare una simmetria, o meglio, evitare che si produca un’asimmetria, tra i valori fiscali delle poste coinvolte nell’operazione di rinuncia al credito da parte del socio: a fronte della non
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imponibilità in capo alla società partecipata a titolo di sopravvenienza attiva della parte di rinuncia corrispondente al valore fiscale del credito, il socio deve aumentare il costo della partecipazione nei limiti del medesimo valore.
Sebbene, infatti, la previgente norma ex articolo 88, comma 4 T.U.I.R. ( unitamente con le previgenti norme ex articoli 94, comma 6 e 101, comma 7) fosse, come si è affermato42, espressione di un principio già ricavabile dall’ordinamento tributario, ovverosia l’irrilevanza fiscale delle operazioni aventi carattere patrimoniale, come la rinuncia ai crediti dei soci e i versamenti a fondo perduto e in conto capitale e, quindi, non costituisse in sé per sé una
“stortura” normativa, era emersa comunque la necessità di impedire quella divergenza che poteva manifestarsi tra valore del credito iscritto in bilancio dal socio (si ricordi che si tratta sempre di soci titolari di reddito d’impresa) e valore del debito iscritto (rectius della riserva costituitasi a seguito della remissione del debito) nel bilancio della società partecipata, nell’ipotesi in cui il credito fosse stato interessato da vicende che ne avevano intaccato il valore originario (in capo al socio creditore).
Le vicende in questione consistono nella cessione del credito di un terzo creditore della società al socio, acquistato da quest’ultimo verso un corrispettivo inferiore al suo valore nominale, nella svalutazione fiscalmente deducibile del credito operata medio tempore dal socio creditore ai sensi degli articoli 106 e 101 T.U.I.R. e nella cessione del credito unitamente alla cessione della partecipazione sociale: con la normativa previgente in tali fattispecie si sarebbe raggiunta la non imponibilità della rinuncia al credito in capo alla società partecipata a fronte di una deducibilità fiscale in capo al socio - creditore ovvero, in caso di cessione, al terzo-creditore.
In forza, invece, del neo-introdotto comma 4-bis dell’articolo 88 del T.U.I.R. quanto è stato dedotto fiscalmente dal socio creditore ovvero terzo-creditore a titolo di svalutazione ovvero a titolo di minusvalenza (nel caso di cessione del credito unitamente alla cessione della partecipazione non avente i requisiti per l’ applicabilità del regime della participation exemption) oppure ancora la differenza tra quanto è stato versato a titolo di corrispettivo per l’acquisizione del credito dal soggetto terzo e il suo valore nominale, corrisponde all’ammontare imponibile in capo alla società partecipata a titolo di sopravvenienza attiva.
Appare evidente, pertanto, come la novella normativa avrà ripercussione solo nei casi suddetti, i quali costituiscono l’effettivo ambito di applicazione della stessa.
La rinuncia al credito permane irrilevante fiscalmente nelle ipotesi in cui il valore fiscale del credito coincida con il suo valore nominale.
A conferma di quanto asserito, nella Relazione illustrativa allo schema di Decreto Legislativo
42Vedi supra par. 4.
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recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (Atto del Governo n.
161-bis) si legge che attraverso le modifiche normative in argomento “viene equiparata l’operazione di apporto da parte del socio e successivo saldo e stralcio del debitore partecipato con il creditore con l’operazione di previa acquisizione del credito (a “sconto”) da parte del socio e successiva rinuncia”.
La novella prevede, inoltre, che al fine di permettere la non imponibilità della parte della rinuncia corrispondente al valore fiscale del credito il socio è tenuto a fornire la comunicazione, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio del valore fiscale del credito;
comunicazione in assenza della quale tale valore è assunto pari a zero.
Si ritiene che tale comunicazione sia necessaria sia nel caso in cui il valore fiscale del credito non diverga dal suo valore nominale sia qualora la società possa reperire aliunde tale informazione; quest’ultima conclusione, in assenza di chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria, appare la più prudenziale considerata la gravità delle conseguenze che discenderebbero dall’omessa presentazione della comunicazione, sebbene in un’ottica sostanziale e sulla base del principio di ragionevolezza non vi siano motivi per negare il riconoscimento del valore fiscale del credito nell’ipotesi in cui la società partecipata sia con ragionevole certezza in grado di individuarlo autonomamente.
Da ultimo, occorre evidenziare che l’illustrato regime fiscale trova applicazione anche nelle operazioni di conversione del credito in partecipazioni; in questo caso il valore fiscale delle dette partecipazioni viene assunto in un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa.
In argomento, la sopracitata Relazione illustrativa ha precisato che l’applicazione del detto regime fiscale prescinde dalla modalità seguita per effettuare la conversione del credito in partecipazioni e dai regimi contabili adottati dai soggetti coinvolti e, inoltre, che le perdite eventualmente dedotte dal creditore al momento della conversione comportano in capo alla società partecipata-debitrice una sopravvenienza imponibile.
Si noti che, ai sensi del comma 4-ter dell’articolo 88 T.U.I.R., alla rinuncia ai crediti dei soci verso la società non si applica il regime fiscale sino ad ora descritto bensì quello previsto dal citato comma qualora l’operazione sia effettuata in sede di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio (ossia la non imponibilità assoluta della rinuncia ovvero di risanamento) ovvero di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o di un piano attestato (ossia l’imponibilità a titolo di sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati non dedotti ex articolo 96, comma 4 T.U.I.R.).
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6. Considerazioni conclusive. Profili di criticità e questioni aperte
Il regime fiscale della rinuncia ai crediti dei soci vero la società presenta taluni profili di incertezza, sia per come è stato riformato da parte del Decreto internazionalizzazione sia per ragioni risalenti e che ineriscono all’interpretazione conferita alla norma ex articolo 88 comma 4 T.U.I.R dall’Amministrazione finanziaria prima e dalla giurisprudenza di legittimità dopo.
Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della norma de qua si è affermato in precedenza43 che questa riguarda tutti i crediti di qualsiasi natura e fonte, sia essa finanziaria che commerciale e, più in generale, anche derivanti da costi fiscalmente dedotti in precedenti esercizi. L’Amministrazione finanziaria con una circolare del 1994 affermò in maniera apodittica che dal detto ambito di applicazione della norma, e quindi dall’area di non imponibilità della rinuncia ai crediti, andassero escluse le rinunce i crediti correlati a redditi che subiscono la tassazione per cassa “inventandosi” l’istituto dell’“incasso giuridico” del credito con relativo obbligo di ritenuta d’acconto.
La questione ebbe fortunatamente vita breve e fu accantonata. Oggi, dopo più di 20 anni e dopo una prassi assolutamente consolidata, riemerge con due isolate pronunce della Cassazione44 nelle quali si ripropone la questione di questo fantomatico “incasso giuridico”.
L’iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte appare forzare il dettato normativo fino a stravolgerlo. La volontà del legislatore di rendere irrilevanti fiscalmente tutte le rinunce ai crediti sia in capo alla società che in capo al socio è pacifica, derivando dalla natura economico-sostanziale di apporto di capitale delle stesse (sebbene ora, a seguito delle modifiche apportate dal Decreto internazionalizzazione, tale irrilevanza fiscale sia variabile) e incontrovertibile, anche in virtù dei termini utilizzati nella legge che non possono dare spazio ad equivoci: si, pensi, ad esempio, all’articolo 54, comma 1 del T.U.I.R. laddove si fa riferimento ai compensi “percepiti” e all’articolo 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 il quale prevede che la ritenuta deve essere effettuata “all’atto del pagamento” dei compensi per lavoro autonomo45. Sull’argomento la FNC tornerà con un documento specifico.
Un revirement giurisprudenziale, comunque, è più che auspicabile, considerata anche la nuova disciplina fiscale della rinuncia ai crediti dei soci la quale è improntata all’evitare che si producano asimmetrie fiscali tra le poste coinvolte nell’operazione.
43Vedi supra parr. 4. e 5.
44Cass. 18 dicembre 2014, n. 26842, riguardante la rinuncia ad un credito derivante da compensi per royalties spettanti al socio di maggioranza, e Cass. 26 gennaio 2016 n. 13 riguardante le rinunce a crediti derivanti dalle indennità di fine mandato spettanti a due soci-amministratori.
45In argomento si veda L. Del Federico, cit., 9018 il quale considera la creazione dell'incasso giuridico
“inequivocabilmente contra legem”.
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Venendo ora all’analisi di un profilo di incertezza precipuamente relativo alla novella normativa, si ritiene opportuno rilevare che non è chiaro, nella prospettiva del socio-creditore ovviamente, il coordinamento tra la disciplina de qua e il regime delle perdite su crediti derivanti da atti abdicativi, quali, appunto la rinuncia.
L’articolo 101, comma 5, infatti, prevede che le perdite su crediti sono deducibili qualora risultino da elementi certi e precisi come la cancellazione del credito dal bilancio operata in ossequio ai principi contabili, ciò che avviene, ad esempio, a seguito di rinuncia.
L’articolo 94, comma 6, invece prevede che la rinuncia al credito sia indeducibile, in quanto essendo effettuata al fine di patrimonializzare la società partecipata non è rilevante fiscalmente ma va ad incrementare il costo della partecipazione.
Ebbene, quest’ultima disposizione normativa, riferendosi ad una rinuncia assimilabile ad un versamento a fondo perduto o in conto capitale anche se riguardante un credito commerciale, ha natura speciale rispetto a quella ex articolo 101, comma 5 T.U.I.R. e quindi dovrebbe trovare applicazione a discapito di quest’ultima46.
Nell’ipotesi in cui, invece, la rinuncia sia stata effettuata per motivi diversi da quelli della patrimonializzazione della società partecipata (ad esempio, perché la partecipazione detenuta non è significativa e non si tratti di società a ristretta base azionaria) potrebbe anche optarsi per una deducibilità della stessa, con speculare imponibilità in capo alla società partecipata a titolo di sopravvenienza attiva.
Tuttavia sul punto si ritiene necessario un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria, stante la delicatezza dell’argomento e la possibilità che possano emergere arbitraggi fiscali nelle operazioni infragruppo.
Da ultimo, preme rilevare che la novella normativa, prevedendo la rilevanza reddituale della rinuncia ai crediti dei soci, e conseguente imponibilità in capo alla società partecipata e non in capo al socio nel caso di disallineamento tra valore fiscale e nominale del credito, va sì ad evitare il configurarsi di salti d’imposta ma d’altra parte, introducendo un regime differenziato rispetto ai versamenti a fondo perduto o in conto capitale, pone i presupposti per facili aggiramenti della norma stessa.
Infatti, nell’ipotesi in cui un socio rinunci ad un credito svalutato medio tempore ovvero acquisito ad un costo inferiore al suo valore nominale, la differenza verrà tassata in capo alla società partecipata; invece nel caso, equivalente sotto il profilo economico-sostanziale, di pagamento del debito da parte della società e successivo apporto di quanto incassato da parte del socio, l’operazione non avrebbe rilievo fiscale in capo alla prima.
46In questo senso L. Gaiani, La nuova tassazione delle sopravvenienze attive derivanti dalla rinuncia ai crediti dei soci, in, il fisco, 3619.
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Orbene, tali aggiramenti potrebbero configurarsi per gli stessi motivi in base al quale si configuravano con la disciplina previgente il 1993, ovverosia l’aver scelto di ancorare l’imponibilità dell’operazione facendo riferimento alla posizione della società partecipata e non del socio.
È in capo a quest’ultimo, infatti, che le vicende che originano le asimmetrie fiscali che la novella normativa ha lo scopo di evitare, si producono e non in capo alla società partecipata la quale rimane estranea a queste47.
In conclusione l’intervento del legislatore del 2015 è stato necessario e rispondente ad una obiettiva necessità di simmetria fiscale complessiva tra le poste coinvolte nell’operazione di rinuncia ai crediti dei soci, tuttavia, si sarebbe potuta cogliere l’occasione per riformare in modo più sistematico e corretto la normativa di riferimento in modo tale da evitare l’emersione di arbitraggi fiscali simili a quelli che si riscontravano in epoca antecedente al 1993, quando il suo ambito oggettivo di applicazione era limitato ai crediti da finanziamento.
47Cfr. R. Lupi, cit. 1063.