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Diritto delle Relazioni Industriali

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Academic year: 2021

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Diritto delle Relazioni Industriali

Rivista trimestrale già diretta da

MARCO BIAGI

Pubblicazione Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) articolo 1, comma 1, DCB (VARESE)

Jacques Rojot: un ricordo molto personale

R

iceRche

La digitalizzazione del lavoro tra legge e contrattazione collettiva

i

nteRventi Le collaborazioni eterorganizzate La specialità degli ammortizzatori sociali “emergenza Covid-19”

La tutela del lavoro nell’impresa sequestrata o confiscata Rendimento esigibile, performance e licenziamento nelle PA

G

iuRispRudenzaitaliana Accordi di riduzione della retribuzione Salute e sicurezza dei riders al tempo del Covid-19 Il dumping contrattuale nel settore della vigilanza privata Sulle conseguenze del licenziamento per giustificato motivo oggettivo Manifesta insussistenza del fatto e dubbi di costituzionalità dell’art. 18 Esposizione all’amianto e onere della prova

l

eGislazione

,

pRassiamministRativeecontRattazionecollettiva Rischio di contagio e rifiuto della prestazione:

l’autotutela in tempi di pandemia

G

iuRispRudenzaepolitichecomunitaRiedellavoRo La discriminazione collettiva basata sull’orientamento sessuale

N. 3/XXX - 2020

In questo numero

Diritto delle Relazioni Industriali

3

2020

Diritto delle Relazioni Industriali fa parte della

International Association of Labour Law Journals

21101281

(2)

Direzione

Tiziano Treu, Mariella Magnani, Michele Tiraboschi (direttore responsabile) Comitato scientifico

Gian Guido Balandi, Francesco Basenghi, Mario Biagioli, Andrea Bollani, Roberta Bortone, Alessandro Boscati, Umberto Carabelli, Bruno Caruso, Laura Castelvetri, Giuliano Cazzola, Gian Primo Cella, Maurizio Del Conte, Riccardo Del Punta, Raffaele De Luca Tamajo, Pietro Ichino, Vito Sandro Leccese, Fiorella Lunardon, Arturo Maresca, Luigi Mariucci, Oronzo Mazzotta, Luigi Montuschi, Gaetano Natullo, Luca Nogler, Angelo Pandolfo, Roberto Pedersini, Marcello Pedrazzoli, Giuseppe Pellacani, Adalberto Perulli, Giampiero Proia, Mario Ricciardi, Mario Rusciano, Giuseppe Santoro-Passarelli, Franco Scarpelli, Paolo Sestito, Luciano Spagnuolo Vigorita, Patrizia Tullini, Armando Tursi, Pier Antonio Varesi, Gaetano Zilio Grandi, Carlo Zoli, Lorenzo Zoppoli.

Comitato editoriale internazionale

Antonio Baylos Grau (Castilla la Mancha), Janice Bellace (Pennsylvania), Jesús Cruz Villalón (Siviglia), Simon Deakin (Cambridge), Anthony Forsyth (Melbourne), Julio Grisolia (Buenos Aires), Thomas Haipeter (Duisburg), Patrice Jalette (Montreal), José João Abrantes (Lisbona), Maarten Keune (Amsterdam), Csilla Kolonnay Lehoczky (Budapest), Lourdes Mella Méndez (Santiago de Compostela), Antonio Ojeda Avilés (Siviglia), Shinya Ouchi (Tokyo), Miguel Rodriguez-Pinêro y Bravo-Ferrer (Madrid), Juan Raso Delgue (Montevideo), Malcolm Sargeant (Londra), Manfred Weiss (Francoforte).

Redazione

Paolo Tomassetti (redattore capo), Luca Calcaterra, Guido Canavesi, Lilli Viviana Casano, Matteo Corti, Emanuele Dagnino, Francesca De Michiel, Maria Del Frate, Michele Faioli, Marco Ferraresi (coordinatore Osservatorio giurisprudenza italiana, coordinatore Pavia), Cristina Inversi, Giuseppe Ludovico, Laura Magni (coordinatore Modena), Pietro Manzella (revisore linguistico), Marco Marzani, Emmanuele Massagli, Giuseppe Mautone, Mariagrazia Militello, Michele Murgo, Giovanni Battista Panizza, Veronica Papa, Flavia Pasquini, Pierluigi Rausei, Raffaello Santagata, Silvia Spattini, Michele Squeglia.

Comitato dei revisori

Francesco Basenghi, Vincenzo Bavaro, Mario Biagioli, Marina Brollo, Bruno Caruso, Maurizio Del Conte, Riccardo Del Punta, Vincenzo Ferrante, Luigi Fiorillo, Donata Gottardi, Stefano Giubboni, Pietro Ichino, Vito Sandro Leccese, Fiorella Lunardon, Marco Marazza, Arturo Maresca, Oronzo Mazzotta, Luca Nogler, Marco Novella, Antonella Occhino, Pasquale Passalacqua, Marcello Pedrazzoli, Adalberto Perulli, Giampiero Proia, Roberto Romei, Giuseppe Santoro-Passarelli, Patrizia Tullini, Armando Tursi, Antonio Vallebona, Pier Antonio Varesi, Gaetano Zilio Grandi, Carlo Zoli, Antonello Zoppoli, Lorenzo Zoppoli.

ADAPT – Centro Studi Internazionali e Comparati del Dipartimento di Economia Marco Biagi Diritto Economia Ambiente Lavoro – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Viale Berengario, 51 – 41100 Modena (Italy) – Tel. +39 059 2056742; Fax +39 059 2056043. Indirizzo e-mail: dri@unimore.it

Dipartimento di Studi Giuridici – Università degli Studi di Pavia

Corso Strada Nuova, 65 – 27100 Pavia (Italy) – Tel. +39 0382 984013; Fax +39 0382 27202.

Indirizzo e-mail: dri@unipv.it

Diritto delle Relazioni Industriali si impegna a procedere alla selezione qualitativa dei materiali pubblicati sulla base di un metodo di valutazione formalizzata e anonima di cui è responsabile il Comitato dei revisori. Tale sistema di valutazione è coordinato dalla dire- zione che si avvale anche del Comitato scientifico e del Comitato editoriale internazionale.

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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 1 del 4 gennaio 1991 R.O.C. n. 6569 (già RNS n. 23 vol. 1 foglio 177 del 2/7/1982) Direttore responsabile: Michele Tiraboschi

Rivista associata all’Unione della Stampa Periodica Italiana Pubblicità inferiore al 45%

Stampato da Galli Edizioni S.r.l. - Varese

(3)

Diritto delle Relazioni Industriali Numero 3/XXX - 2020. Giuffrè Francis Lefebvre, Milano

M ANFRED W EISS Jacques Rojot: un ricordo molto personale ... 607

Ricerche: La digitalizzazione del lavoro tra legge e contrattazione collettiva I LARIA B RESCIANI Il lavoro al tempo di Uber tra interventi normativi e orientamenti giurisprudenziali ... 611 O RNELLA L A T EGOLA Il conflitto collettivo nell’era digitale ... 638 M ARCO L AI Innovazione tecnologica e riposo minimo giornaliero ... 662 M ARIANNA R USSO Esiste il diritto alla disconnessione? Qualche spun- to di riflessione alla ricerca di un equilibrio tra tecnologia, lavoro e vita privata ... 682

Interventi

A NTONELLO Z OPPOLI Le collaborazioni eterorganizzate tra antiche questioni, vincoli di sistema e potenzialità ... 703 G UIDO C ANAVESI La specialità degli ammortizzatori sociali “emer- genza Covid-19”: intervento emergenziale o nuovo modello di tutela? .. 749 L ORENZO M ARIA D ENTICI La tutela del lavoro nell’impresa seque- strata o confiscata tra contratto e mercato ... 773 P ASQUALE M ONDA Rendimento esigibile, performance e licenziamen- to individuale: le peculiarità del lavoro pubblico ... 799

Osservatorio di giurisprudenza italiana

I LARIO A LVINO Accordi di riduzione della retribuzione: natura giuri-

dica e limiti dell’autonomia individuale (nota a App. Milano 15 gen-

naio 2020, n. 1974) ... 827

(4)

M ARCO B IASI La salute e la sicurezza dei riders al tempo del Covid- 19 (nota a Trib. Bologna decreto 14 aprile 2020 e Trib. Firenze decreto 1° aprile 2020) ... 841 G IULIO C ENTAMORE I minimi retributivi del CCNL confederale Vigi- lanza privata, sezione Servizi fiduciari, violano l’art. 36 Cost.: un caso singolare di dumping contrattuale e una sentenza controversa del Tri- bunale di Torino (nota a Trib. Torino 9 agosto 2019, n. 1128) ... 848 V INCENZO F ERRANTE È costituzionalmente legittimo consentire al giudice di scegliere fra reintegra e indennizzo nel caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo? (nota a Trib. Ravenna ord. 7 febbraio 2020) ... 855 C ARLO P ISANI Dubbi (infondati) sulla costituzionalità del “può” rein- tegrare ex art. 18 Stat. lav. (nota a Trib. Ravenna ord. 7 febbraio 2020) ... 863 S ARA S ANSARO Esposizione all’amianto e onere della prova nell’ambito delle malattie professionali tabellate multifattoriali (nota a Cass. 4 febbraio 2020, n. 2523) ... 870

Osservatorio di legislazione, prassi amministrative e contrattazione U MBERTO G ARGIULO Rischio di contagio e rifiuto della prestazione:

l’autotutela in tempi di pandemia ... 877

Osservatorio di giurisprudenza e politiche comunitarie del lavoro

G IULIA C ASSANO La discriminazione collettiva basata sull’orienta-

mento sessuale: spunti per una riflessione sulla tutela in caso di vitti-

ma non identificabile (nota a C. giust. 23 aprile 2020, NH c. Associa-

zione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, causa C-

507/2018) ... 893

(5)

Diritto delle Relazioni Industriali Numero 3/XXX - 2020. Giuffrè Francis Lefebvre, Milano

Contrattazione collettiva

 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 aprile 2020 [877] (con nota di U. G

ARGIULO

).

 Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il conte- nimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro 14 marzo 2020 [877] (con nota di U. G

ARGIULO

).

 Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il conte- nimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro 24 aprile 2020 [877] (con nota di U. G

ARGIULO

).

 Retribuzione costituzionalmente adeguata - Contrattazione collettiva - Pluralità di CCNL con campo di applicazione sovrapposto - Dumping contrattuale - Con- trattazione c.d. pirata - Rappresentatività sindacale [848] (Trib. Torino 9 agosto 2019, n. 1128, con nota di G. C

ENTAMORE

).

Discriminazioni

 Discriminazione - Orientamento sessuale - Dichiarazioni omofobe sulla assun- zione di lavoratori - Violazione della direttiva 2000/78/CE circa le condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro sussiste - Libera manifestazione del pensiero non sussiste [893] (C. giust. 23 aprile 2020, NH c. Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, causa C-507/2018, con nota di G. C

ASSANO

).

 Discriminazione - Orientamento sessuale - Violazione della direttiva 2000/78/CE circa le condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro sussiste - Legittimazio- ne ad agire di associazioni sussiste - Risarcimento del danno [893] (C. giust. 23 aprile 2020, NH c. Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, causa C-507/2018, con nota di G. C

ASSANO

).

Infortuni e malattie professionali

 Amianto - Malattia professionale - Nesso causale - Onere probatorio [870] (Cass.

4 febbraio 2020, n. 2523 con nota di S. S

ANSARO

).

Licenziamento

 Art. 18 Stat. lav. (testo vigente) - Licenziamento individuale per giustificato mo-

tivo oggettivo - Regime sanzionatorio - Tutela indennitaria - Reintegra - Scelta

del giudice quanto alle conseguenze derivanti dall’accertamento della manifesta

insussistenza del giustificato motivo oggettivo - Questione di legittimità costitu-

zionale [855] (Trib. Ravenna ord. 7 febbraio 2020, con nota di V. F

ERRANTE

).

(6)

 Art. 18, settimo comma - Manifesta insussistenza del fatto posto a base del licen- ziamento per giustificato motivo oggettivo - Sanzione - Reintegra - Non obbliga- torietà - Dubbi di costituzionalità per contrasto artt. 3, 24 e 41 Cost. [863] (Trib.

Ravenna ord. 7 febbraio 2020, con nota di C. P

ISANI

).

Mansioni

 Retribuzione - Principio di irriducibilità - Art. 2103 c.c. - Art. 2113 c.c. - Man- sioni [827] (App. Milano 15 gennaio 2020, n. 1974, con nota di I. A

LVINO

).

Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

 Lavoro tramite piattaforma - Lavoro etero-organizzato - Salute e sicurezza - Di- spositivi di protezione individuale - Onere della fornitura in capo al committente - Sussiste [841] (Trib. Bologna decreto 14 aprile 2020, con nota di M. B

IASI

).

 Lavoro tramite piattaforma - Lavoro etero-organizzato - Salute e sicurezza - Di-

spositivi di protezione individuale - Onere della fornitura in capo al committente

- Sussiste [841] (Trib. Firenze decreto 1° aprile 2020, con nota di M. B

IASI

).

(7)

Diritto delle Relazioni Industriali Numero 3/XXX - 2020. Giuffrè Francis Lefebvre, Milano

Le collaborazioni eterorganizzate tra antiche questioni, vincoli di sistema e potenzialità

Antonello Zoppoli

Sommario: 1. Il dibattito, poi, si sviluppò. – 2. Limiti all’interpretazione e “realismo negativo”. – 3. Le tesi sull’eterorganizzazione oggi superate. – 4. Subordinazione ed eterodirezione. – 5. Eterodirezione e c.d. doppia alienità. – 6. Norma di fatti- specie e norma di disciplina. – 7. La tesi della differenza tra eterodirezione ed eterorganizzazione in ragione dell’attinenza del potere del creditore all’oggetto dell’obbligazione di lavoro. – 8. Potere unilaterale del creditore e contenuto della prestazione di lavoro, autonomo e subordinato. – 9. Potere unilaterale del com- mittente e collaborazione continuativa. – 10. Eterodirezione, eterorganizzazione, coordinamento: lo snodo del carattere unilaterale/consensuale del raccordo orga- nizzativo. – 11. Unilateralità/consensualità del raccordo organizzativo e centralità del consenso delle parti. – 12. L’applicazione selettiva della disciplina della su- bordinazione e il conseguente ruolo della giurisprudenza: le ragioni ostative. – 13. I problemi di legittimità costituzionale della integrale applicazione della di- sciplina della subordinazione. – 14. Le potenzialità della contrattazione collettiva ex articolo 2, comma 2.

1. Il dibattito, poi, si sviluppò

Un significativo contenzioso, di forte incidenza mediatica, e la conse- guente novella dell’articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n.

81 (

1

), hanno nuovamente attirato l’attenzione sulle c.d. “collaborazioni eterorganizzate”, rafforzando un già ricco dibattito in atto da qualche

* Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università Federico II di Napoli. Lo scritto è destinato agli Studi in onore di Alessandro Garilli.

(

1

) Da ora in poi art. 2. La novella si deve, come noto, all’art. 1 del d.l. 3 settembre

2019, n. 101, conv., con modifiche, dalla l. 2 novembre 2019, n. 128.

(8)

anno. Si è finanche detto un dibattito «senza precedenti» o tale da de- terminare «uno spaesamento» nella dottrina (

2

).

L’articolo 2 non è di sicuro una norma ben scritta: non lo era nella ver- sione originaria, non lo è nella nuova. Di questo, ça va sans dire, c’è poco da meravigliarsi. A parte quanto possa attribuirsi alla materiale sua stesura, il difetto riflette, almeno in buona misura, strutturali e note difficoltà dei processi di normazione, quindi già di concepimento e di elaborazione della regole, nelle società contemporanee. Nel caso di specie, le difficoltà possono tuttavia ricondursi probabilmente anche all’attinenza dell’articolo 2 alla “subordinazione”, crocevia delle tutele e dei relativi ambiti di applicazione, non da oggi denso di interessi e problematiche. Il che, certo, in altra ottica può considerarsi una aggra- vante: evidentemente neanche quell’attinenza è riuscita a incidere sulla qualità della norma. Con ogni probabilità, alla fine ha prevalso la con- sapevolezza della necessità, peraltro condivisibile, di un intervento le- gislativo su questo grande tema, negli anni oggetto di discussione più o meno frequente eppure non feconda.

Varie e di ampio raggio sono le implicazioni, che vanno, per intenderci, dal piano metodologico alla legittimità costituzionale del nuovo dato normativo. Anche del piano metodologico qui si dovrà tener conto, sia pure, giocoforza, ai fini di una premessa all’analisi.

L’attenzione della dottrina nei confronti dell’articolo 2, in verità, ini- zialmente è stata tiepida, accompagnata da un certo scetticismo sul si- gnificato e sulla valenza della norma. Francamente, il suo menzionato rilievo lasciava pensare che, prima o poi, le collaborazioni eterorganiz- zate avrebbero intercettato qualcuna delle nuove modalità di prestare lavoro. È avvenuto con i c.d. riders, assai eloquenti sotto il profilo delle

(

2

) Rispettivamente O. M

AZZOTTA

, L’inafferrabile etero-direzione: a proposito di ci-

clofattorini e modelli contrattuali, in LLD, 2020, p. 4, e M. M

AGNANI

, Subordinazio-

ne, eteroganizzazione e autonomia tra ambiguità normative e operazioni creative del-

la dottrina, in q. Rivista, 2020, p. 105. Da ultimo, oltre a numerose riflessioni pubbli-

cate in molte riviste (tra le quali le due appena citate), sono dedicati all’argomento il

numero straordinario del mese di maggio 2020 di MGL, il volume curato da U. C

A- RABELLI

, L. F

ASSINA

, La nuova legge sui riders e sulle collaborazioni eterorganizza-

te, Ediesse, 2010 – che raccoglie gli Atti del terzo Seminario annuale della Consulta

giuridica della Cgil, svoltosi a Roma il 17 dicembre 2019 – e la rubrica Agorà di

RIDL, 2020, n. 1, nonché molte pagine di LDE, 2020, n. 1, e del n. 2 di q. Rivista (ai

relativi scritti si rinvia anche per il dibattito sviluppatosi dal 2015 in riferimento alla

versione originaria dell’art. 2).

(9)

innovazioni organizzativo-tecnologiche in atto. Oggi, dinanzi al dibatti- to esploso – ancor più a seguito della sentenza della Cassazione del 24 gennaio 2020, n. 1663, che sulla questione dei riders si è pronunciata –, la dottrina viene chiamata, espressamente e condivisibilmente, alla sua responsabilità critica (

3

), nei confronti tanto del legislatore quanto della giurisprudenza.

Chi scrive è tra coloro che ebbero occasione di riflettere già sull’originaria versione dell’articolo 2: è, questo, almeno tra i principali motivi della presente ennesima voce che si aggiunge al dibattito. Delle tante questioni emerse e delle tante opinioni espresse non è possibile qui neppure dar solo conto (

4

). Si tornerà però sui più importanti snodi del dibattito. A tal fine, la visuale sarà la stessa della precedente rifles- sione: delimitata all’analisi della “collaborazione eterorganizzata”, ov- viamente alla luce delle novità di questi anni, tenendo da canto i profili più strettamente attinenti al fenomeno dei riders (

5

). Tra gli interlocuto- ri privilegiati ci sarà comunque la menzionata sentenza della Cassazio- ne (da ora in poi richiamata senza ulteriori precisazioni), pronunciatasi sul fenomeno ma, al contempo, attualmente la più autorevole voce giu- risprudenziale sull’articolo 2 (

6

). Della dottrina si dialogherà più appro- fonditamente con quanti, su alcuni bivi fondamentali nella interpreta- zione della norma, hanno imboccato un percorso più vicino alla opinio- ne di chi scrive: tanto, evidentemente, anzitutto per la convinzione che altri percorsi dilatino oltre misura le possibilità dell’interprete. Vengo, con questo, al piano metodologico, sia pure ai limitati fini di cui dicevo.

(

3

) M. M

AGNANI

, op. cit., p. 114.

(

4

) Per ulteriori profili dell’analisi, sia consentito rinviare a A. Z

OPPOLI

, La collabora- zione eterorganizzata: fattispecie e disciplina, in DLM, 2016, p. 33. In questo saggio, in particolare, è rinvenibile ogni riferimento che, nelle pagine seguenti, farò a mie precedenti riflessioni sul tema, qui non riprese per ragioni di spazio o perché non indi- spensabili al ragionamento.

(

5

) Come noto, alla «tutela del lavoro tramite piattaforme digitali» è dedicato il capo V-bis del d.lgs. n. 81/2015, introdotto dall’art. 1 del citato d.l. n. 101/2019.

(

6

) Riprendono la sentenza della Cassazione, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro, i decreti del Tribunale di Firenze e del Tribunale di Bologna, pronunciati in sede cautelare, rispettivamente del 1° aprile 2020 e del 14 aprile 2020 (il secondo con la sottolineatura di alcuni passaggi della pronuncia della Corte – come vedremo in seguito – sicuramente significativi). Al riguardo cfr. P.

M

ONDA

, Covid-19 e riders: primi sussulti della giurisprudenza di merito, in corso di

pubblicazione in DLM.

(10)

2. Limiti all’interpretazione e “realismo negativo”

Il problema del metodo – si sa bene, antico complesso e scivoloso – in- duce senza dubbio alla cautela. E si sa pure come esso accompagni, in realtà, pressoché qualsiasi attività del giurista, a un livello di consape- volezza che può variare in misura molto ampia: generando opinioni as- sai diverse, finanche talvolta di distacco, forse più manifesto che con- vinto. Opportuno appare – lo si suggerisce di frequente – quanto meno indicare un crinale metodologico su cui porsi (

7

).

Dunque, se da un lato non è il caso di avere dubbi né di indugiare sulla rilevanza, nell’interpretazione-applicazione della norma, del momento ermeneutico (

8

) e del momento della discorsività (

9

), che si affiancano al piano analitico-deduttivo e variamente si combinano a seconda dell’oggetto dell’interpretazione, dall’altro lato v’è da dire che lo spa- zio dell’interprete non appare però dilatabile oltre «un grado tollerabile d’incertezza» (

10

). Il Novecento ha reso ormai ampiamente evidente come più d’uno siano i piani da frequentare per coloro che si accostano seriamente al diritto (sociologico, economico, funzionalista, empirico, comparativo, e via dicendo), sì da richiedere un inevitabile arricchi- mento del bagaglio metodologico (

11

). Al contempo, tuttavia, la plurali-

(

7

) In proposito cfr., sin da ora, amplius (anche per i necessari riferimenti bibliografi- ci), A. Z

OPPOLI

, A proposito del metodo nel diritto sindacale: note sulla contempora- neità, in DLM, 2007, p. 337.

(

8

) Sul quale si veda, tra gli altri – oltre ovviamente a H.G. G

ADAMER

, Verità e meto- do, trad. it. di G. V

ATTIMO

, Bompiani, 2004, spec. p. 376 –, G. A

LPA

, La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Editoriale scientifica, 2006, p. 60; I

D

., Il metodo nel diritto civile, in CI, 2000, p. 476; R. G

UASTINI

, L’interpretazione dei documenti nor- mativi, Giuffrè, 2004, p. 263; C. C

ASTRONOVO

, C’è metodo in questo metodo?, in A

A

.V

V

., Il metodo della ricerca civilistica, in Rivista critica di diritto privato, 1990, p. 199; J. E

SSER

, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto, ESI, 1983, p. 132; T. A

SCARELLI

, Norma giuridica e realtà sociale, in I

D

., Problemi giuridici, I, Giuffrè, 1959, p. 87; I

D

., In tema di interpretazione ed applica- zione della legge, in RDP, 1958, p. 16.

(

9

) A. A

BIGNENTE

, Legittimazione, discorso, diritto. Il proceduralismo di Jürgen Ha- bermas, Editoriale scientifica, 2003, p. 148. Sulla «comunità dell’interpretazione giu- ridica» cfr. le significative osservazioni di F. V

IOLA

, G. Z

ACCARIA

, Le ragioni del di- ritto, il Mulino, 2003, p. 247.

(

10

) L. M

ENGONI

, Dogmatica giuridica, in EGT, 1988, p. 6, con specifico riferimento all’apparato concettuale apprestato dalla dogmatica.

(

11

) Sul pluralismo metodologico si vedano, tra i tanti, S. C

ASSESE

, Il sorriso del gat-

to, ovvero dei metodi nello studio del diritto pubblico, in RTDPub, 2006, p. 604; G.

(11)

tà di criteri classici del giurista (letterale, logico, storico, sistematico, assiologico) tracciano, all’attività interpretativa, pur sempre dei confini, talvolta (se non spesso) anche assai labili, ma comunque imprescindibi- li perché intrinseci al suo statuto. Per dirla in termini consoni al dibatti- to giuslavoristico di alcuni anni fa, è, questo, un tratto costitutivo dell’autorità del punto di vista giuridico (

12

). Volendo ampliare la pro- spettiva, si potrebbe dire che la rammentata duplice anima del diritto, nelle società articolate e composite che esprimono le democrazie con- temporanee, tiene insieme: a) la dimensione costituente e fondante di una società, con la sua storia e i suoi “valori”, intimamente dinamici; b) la pluralità dei “luoghi” in cui il diritto si crea, e con esso la sua “posi- tività”, che «non è, ma si produce» (

13

); c) le istituzioni, a cominciare da quella più rappresentativa dei cittadini, il Parlamento. In sostanza, nella suindicata duplice anima, il diritto esprime la sua essenziale fun- zione: tracciare, in una società pluralista priva di un “ordine” già dato, i canali entro cui la vita sociale può scorrere.

A ben vedere, allargando ulteriormente la prospettiva, questa concezio- ne del diritto è sintonica con il (più o meno) recente ritorno del pensiero neorealista (

14

). Che abbraccia un realismo “minimo” o “negativo”, sul- la cui scorta confidare in «uno zoccolo duro dell’essere, tale che alcune cose che diciamo su di esso e per esso non possano essere e non debba- no essere prese per buone»: non conduce alla verità, ma «incoraggia a

Z

AGREBELSKY

, Il diritto mite, Einaudi, 1992, p. 184; L. M

ENGONI

, L’argomentazione orientata alle conseguenza, in L. M

ENGONI

, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Giuffrè, 1996, p. 105; I

D

., Relazione introduttiva, in A

A

.V

V

., Il metodo della ricerca civilistica, cit., 1990, p. 9; S. R

ODOTÀ

, Relazione di sintesi. Un metodo tra i metodi?, ivi, p. 276; G. T

EUBNER

, Il diritto come soggetto epistemico: per un’epistemologia giuridica “costruttivistica”, in Rivista critica di diritto privato, 1990, p. 314; M.

D’A

NTONA

, L’anomalia post-positivista del diritto del lavoro e la questione del me- todo, in A

A

.V

V

., Il metodo della ricerca civilistica, cit., p. 224; N. B

OBBIO

, Giusnatu- ralismo e positivismo giuridico, Edizioni di comunità, 1977, p. 29.

(

12

) Cfr., per tutti, L. N

OGLER

, La subordinazione nel d. lgs. n. 81 del 2015: alla ri- cerca dell’“autorità del punto di vista giuridico”, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 267. Per una riflessione giuslavoristica, da più d’una delle possibili prospettive d’analisi, si vedano i saggi in LD, 2014, n. 2-3, dedicati al tema Il lavoro e la giustizia. Interpretare, argomentare, decidere.

(

13

) G. Z

ACCARIA

, L’arte dell’interpretazione, Cedam, 1990, p. 222.

(

14

) Sul quale è d’obbligo citare almeno M. F

ERRARIS

, Manifesto del nuovo realismo,

Laterza, 2012.

(12)

cercare ciò che in qualche modo sta davanti a noi» (

15

). Uno zoccolo tanto insuperabile quando fondamentale per la fecondità dell’agire e del dialogare comune.

3. Le tesi sull’eterorganizzazione oggi superate

Come accennato, delle questioni poste dall’articolo 2 si tornerà sulle quattro fondamentali: 1) la natura, subordinata o autonoma, della pre- stazione di lavoro; 2) la distinzione tra eterorganizzazione ed eterodire- zione; 3) la distinzione tra eterorganizzazione e c.d. collaborazioni coordinate e continuative di cui all’articolo 409, n. 3, c.p.c.; 4) la disci- plina delle collaborazioni eterorganizzate. È bene anticipare che, in questo e nei prossimi due paragrafi, si riprenderanno alcuni profili del dibattito sulla subordinazione ampiamente conosciuti, nondimeno meri- tevoli ancora di qualche riflessione in ragione degli stimoli suscitati dalla novella dell’articolo 2 e dal conseguente confronto dottrinale e giurisprudenziale.

Cominciamo ovviamente dalla prima questione indicata, peraltro pro- babilmente la più toccata dalla premessa metodologica.

Si diceva, un grado tollerabile d’incertezza del diritto. Ritornando alla pluralità dei criteri a disposizione, l’interprete non può evidentemente prescindere dal dato letterale, secondo quanto indicato dall’articolo 12 delle Disposizioni preliminari al codice civile: la “lettera” è il primo elemento dell’indicazione normativa, nel senso della sua materializza- zione.

Del tutto superfluo rammentare di nuovo la possibilità di sue molteplici letture, con buona pace del brocardo in claris non fit interpretatio. La visuale va piuttosto capovolta. Il dato letterale ha una valenza “in nega- tivo” (

16

), costituisce cioè l’«argine rispetto all’arbitrio manifesto» (

17

):

in quanto tale, non valicabile. In ipotesi, l’interprete potrebbe anche af- fermare l’insussistenza di quel dato, cioè l’assenza di qualsiasi univoco

(

15

) Le citazioni sono di U. E

CO

, Il realismo minimo, in la Repubblica, RCult, 1° mar- zo 2012, pp. 48-49.

(

16

) G. Z

ACCARIA

, Sul concetto di positività del diritto, in G. Z

ACCARIA

(a cura di), Diritto positivo e positività del diritto, Giappichelli, 1991, p. 346.

(

17

) G. G

ORLA

, I precedenti storici dell’art. 12 disposizioni preliminari del codice ci-

vile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in FI, 1969, V, c. 112.

(13)

suo contenuto o l’insostenibilità di qualsiasi contenuto sul piano siste- matico. Ipotesi possibili, però, solo se obbligate: non potrebbe altrimen- ti mettersi fuori gioco, ad un tempo, l’elemento previsto dal predetto ar- ticolo 12, che dà corpo all’indicazione normativa, e il principio di con- servazione degli atti giuridici. Naturalmente tutto cambia se ci si collo- ca in una prospettiva de iure condendo.

Per quanto qui interessa, non occorre spingersi oltre su questa sdruccio- levole strada.

L’articolo 2 è indiscutibilmente frutto di una «tecnica normativa ap- prossimativa» (

18

); e in seguito avremo modo di vederne tutte le conse- guenze. Tuttavia, l’approssimazione non «svaluta la decisività» del da- to testuale sotto qualsiasi profilo (

19

): la sua formulazione, infatti, esclude quanto meno il riferimento a una prestazione di lavoro subordi- nato, profilo – superfluo rimarcarlo – nient’affatto marginale.

Per argomentare in tal senso, alcuni hanno posto l’attenzione sui termi- ni “collaborazione” e “committente”; altri sulla c.d. questione dell’indisponibilità del tipo, chiamata in gioco dal comma 2 dell’articolo 2; altri ancora, dopo la novella del 2019, sul carattere pre- valentemente (non più esclusivamente) personale della prestazione. A me è apparso, da subito, inconfutabile e centrale l’incipit del comma 1.

«A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato»: questa espressione definisce, a chiare lettere, un limite invalicabile per l’interprete, ossia la non applicazione della di- sciplina della subordinazione prima della data indicata. Ciò, assumendo – come pare ragionevole (e nessuno, a quanto consta, l’ha negato) – che il legislatore si sia riferito alla disciplina della fattispecie tipica della subordinazione, vuol dire, necessariamente e precisamente, che la for- mulazione dell’articolo 2 non si sovrappone all’articolo 2094 c.c. Né sussistono, come vedremo, argomenti di alcun genere per ritenere que- sta conclusione insostenibile sul piano sistematico.

Alla medesima conclusione è giunta anche la citata sentenza della Cas- sazione. La Corte ha respinto la tesi secondo cui l’articolo 2 sarebbe una “norma apparente” perché priva di un aliquid novi rispetto all’articolo 2094 c.c. (

20

): vi ha cioè rinvenuto «concetti giuridici […]

(

18

) M. M

AGNANI

, op. cit., p. 110.

(

19

) Ibidem.

(

20

) Punto 16. La tesi è stata sostenuta da P. T

OSI

, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n.

81/2015: una norma apparente?, in ADL, 2015, p. 13. Come la Cassazione, si era

(14)

nuovi» (

21

). E, come c’era da attendersi, ha in proposito condivisibil- mente confermato il rilievo del principio di conservazione degli atti giuridici, segnatamente richiamando l’articolo 1367 c.c. (

22

).

Analoghe considerazioni possono farsi per l’opinione che ha rinvenuto nell’articolo 2 un contenuto meramente interpretativo/specificativo dell’articolo 2094 c.c.

Più attenzione merita invece chi, in una logica simile, ha collegato l’articolo 2 alla giurisprudenza sui c.d. indici sintomatici della subordi- nazione o sulla c.d. subordinazione attenuata, rinvenendone una sostan- ziale recezione. L’accento, in questa prospettiva, è per lo più stato po- sto sulla valenza pragmatica del nuovo dato normativo: l’articolo 2 – si sostiene –, dando veste legislativa alla menzionata giurisprudenza, semplifica le operazioni qualificatorie, complicate da ormai inutili vi- schiosità storiche.

Su questo piano, a mio avviso, persistono (un po’ sorprendentemente, invero) alcuni equivoci. È bene tornarci ancora, giovandosi dell’apporto della Cassazione.

È appena il caso di osservare che tali opinioni vanno considerate nella misura in cui non sovrappongono interamente l’articolo 2 alla rammen- tata giurisprudenza perché, altrimenti, anche ad esse si opporrebbe, nei termini suindicati e seguendo la Corte, il principio di conservazione de- gli atti giuridici.

Ciò detto, il punto da cui partire, difficilmente contestabile, è che la giurisprudenza non ha mai trascurato la centralità del potere direttivo nella subordinazione (c.d. eterodirezione) (

23

); peraltro l’osservazione non riguarda solo la nostra esperienza (

24

). Piuttosto, dinanzi a casi dal-

pronunciata la Corte di Appello di Torino, con la decisione del 4 febbraio 2019, n. 26, a differenza della sentenza di I grado del Trib. Torino dell’11 aprile 2018, n. 778.

(

21

) Punto 17. In merito alla correlazione norme-concetti si vedano le osservazioni cri- tiche di P. T

OSI

, La Corte di Cassazione e i riders. Lettura critica della sentenza n.

1663/2020, in LDE, 2020, n. 1, p. 3.

(

22

) In proposito si veda A. Z

OPPOLI

, La collaborazione eterorganizzata, cit., p. 39, nota 19.

(

23

) Cfr., da ultimo, P. A

LBI

, Fra qualificazione del rapporto di lavoro e disciplina applicabile: l’ordine normativo che non c’è, in MGL, maggio 2020, n. straordinario, p. 14; F. A

MENDOLA

, Subordinazione e autonomia: sindacato di legittimità, in ADL, 2018, p. 1000 ss.

(

24

) Cfr., tra gli altri, T. V

ETTOR

, Il “nuovo” lavoro autonomo. Problemi definitori e

tendenze regolative, Libreria Clup, 2005, p. 97 ss., spec. 105; E. R

EVILLA

E

STEVE

, La

(15)

la qualificazione complessa, in ragione di questo o quel particolare aspetto della prestazione o del contesto di lavoro, per lo più general- mente ed eloquentemente ricondotti alla c.d. zona grigia, ha desunto la presenza indiretta del potere direttivo dai c.d. “indici sintomatici”, così denominati appunto perché, secondo l’id quod plerumque accidit, di ta- le potere si ritengono evidentemente “sintomo”. Questi elementi, quin- di, dalla giurisprudenza sono comunque considerati manifestazione di fatto del potere direttivo, giuridicamente, ovvero anche solo in potenza (che non vuol dire in astratto), mai negato. Anche nel caso della subor- dinazione c.d. attenuata la giurisprudenza non è giunta a escluderlo, bensì, più semplicemente, si è accontentata, in concreto, di una sua ma- nifestazione generale o solo programmatica. In tale ottica, l’approccio tipologico seguito dalla giurisprudenza, strumentale al metodo sussun- tivo per l’analisi del dato sociale, è improntato al criterio della «equiva- lenza funzionale secondo le regole della teoria del significato» (

25

). È probabile che gli orientamenti in parola incrocino l’articolo 2, semplifi- cando il contenzioso, con l’applicazione della disciplina della subordi- nazione; tuttavia, il significato dell’articolo 2 è assai diverso, e ben più ampio, dal punto di vista tanto teorico quanto pratico, come mostra og- gi anche la pronuncia della Cassazione.

A parere della Corte, con l’articolo 2 il legislatore «si è limitato a valo- rizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l’applicazione della di- sciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato» (

26

). Sicché – ag- giunge la Corte – il giudice è esonerato da «ogni ulteriore indagine» e non può maturare un «diverso convincimento» (

27

); in questa prospetti- va – precisa ancora la Corte – «non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione […] siano collocabili nel campo della su- bordinazione ovvero della autonomia, perché ciò che conta è che per

nozione di lavoro subordinato nel diritto comunitario e nel diritto nazionale, in DLM, 2004, passim.

(

25

) L. M

ENGONI

, Il contratto individuale di lavoro, in DLRI, 2000, p. 194. Al riguar- do cfr., già, L. N

OGLER

, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro su- bordinato, in RIDL, 1990, I, p. 208; I

D

., Metodo e casistica nella qualificazione dei rapporti di lavoro, in DLRI, 1991, p. 108.

(

26

) Punto 24. Evidentemente, per “eterorganizzazione” la Corte intende quanto emer- gerà in seguito, ossia un intervento unilaterale del committente compatibile con il la- voro autonomo.

(

27

) Punto 24.

(16)

esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato» (

28

).

Su questo passaggio si tornerà. Per ora preme osservare, sulla scia delle affermazioni della Cassazione, in primo luogo che: a) la eterorganizza- zione si identifica, al più, con alcuni soltanto degli indici sintomatici utilizzati dalla giurisprudenza; b) la norma comunque non si è limitata a recepire la giurisprudenza in parola in quanto i c.d. indici, nella logica dell’articolo 2, hanno in ogni caso cambiato natura: oggi hanno rilievo in sé, per ciò che esprimono, e non quali rilevatori di altro, perché, al- tro, la norma non richiede. Ed è per tale ragione che, a quegli indici, l’interprete è vincolato: non è più libero di apprezzarli, ma, in loro pre- senza, deve applicare la disciplina della subordinazione. Il quadro, in- somma, risulta radicalmente mutato. Ci troviamo dinanzi non più solo a indici rilevatori dell’eterodirezione, bensì anzitutto a elementi costituti- vi della eterorganizzazione.

4. Subordinazione ed eterodirezione

Confermato che eterodirezione ed eterorganizzazione non si sovrap- pongono, è ora il momento di approfondire la riflessione sulla relazione tra essi esistente, seconda fondamentale questione prima indicata (

29

).

Si è giustamente fatto osservare come la sentenza della Cassazione non menzioni mai l’eterodirezione (

30

). Tuttavia v’è da considerare che la Corte – lo si è già detto – esclude il carattere “apparente” dell’articolo 2, escludendone così, al contempo, la sovrapposizione con l’articolo 2094 c.c.

Nella struttura della fattispecie dell’articolo 2094 c.c. l’eterodirezione (come prima indicato) riporta immediatamente al potere direttivo: se- condo la posizione storicamente prevalente, tanto in dottrina quanto in

(

28

) Punto 25.

(

29

) Va sottolineato che eterodirezione ed eterorganizzazione costituiscono, oggi, espressioni diverse del più generale raccordo tra “organizzazione” e “lavoro”. In pas- sato l’espressione eterorganizzazione non ha avuto una sua precisa fisionomia giuridi- ca e il termine organizzazione spesso ha accompagnato semplicemente, o si è sovrap- posto finanche, al sintagma potere direttivo in una non sempre definita relazione. Ora la terminologia dovrà essere, giocoforza, più accorta.

(

30

) V. S

PEZIALE

, Prime osservazioni alla sentenza della Cassazione n. 1663 del 2020

sui riders, in LDE, 2020, n. 1, p. 5.

(17)

giurisprudenza, elemento costitutivo della subordinazione (

31

). È fon- damentale, però, intendersi sui termini più convincenti di questa impo- stazione, sia pur riprendendo profili noti al dibattito.

Quando si colloca al centro il potere direttivo – muovendo dagli articoli 2094 e 2104 c.c. –, ci si rifà a insegnamenti ormai acquisiti al pensiero giuslavoristico, ancorché, talvolta, ancora oggi in qualche misura tra- scurati. Secondo questi insegnamenti, il potere direttivo è da intendersi come «potere dinamico di funzionamento dell’organizzazione del lavo- ro» (

32

), che segnatamente si esprime nell’«organizzare globalmente la prestazione» attraverso un sempre possibile e «ampio spettro di manife- stazioni» (

33

), concernenti: la determinazione del contesto organizzati- vo, dei soggetti con cui coordinarsi, dell’attività da compiere (salvo ov- viamente il limite delle mansioni), del relativo modo di svolgimento, e via dicendo, sino a giungere al merito di ciò che è da farsi. Alla poten- zialità, dinamicità e pervasività del potere direttivo è speculare, sul ver- sante del prestatore di lavoro, la disponibilità funzionale delle energie lavorative (

34

), essenziale per l’inserimento della prestazione nella or- ganizzazione dell’impresa. È questa che il datore di lavoro, nel suo tipi- co ruolo proiettato al (e responsabile del) risultato finale dell’organizzazione (articolo 2082 c.c.), intende anzitutto assicurarsi (

35

), al di là del concreto modo in cui della prestazione si avvale (

36

).

(

31

) Da ultimo, B. C

ARUSO

, R. D

EL

P

UNTA

, T. T

REU

, Manifesto per un diritto del lavo- ro sostenibile, Centre for the Study of European Labour Law “Massimo D’Antona”, 2020, p. 22.

(

32

) M. N

APOLI

, Contratti e rapporti di lavoro, oggi, in Scritti in onore di Luigi Men- goni, II, Giuffrè, 1995, p. 589. Il potere direttivo, osserva A. P

ERULLI

(Il potere diret- tivo dell’imprenditore, Giuffrè, 1992, p. 153), costituisce «l’interfaccia “tecnicamen- te” variabile tra dimensione individuale del contratto e dimensione organizzativa d’impresa».

(

33

) M. G

RANDI

, Rapporto di lavoro, in Enc. Dir., 1989, XXXVIII, p. 349.

(

34

) E. G

HERA

, La subordinazione fra tradizione e nuove proposte, in DLRI, 1988, p.

627. Le due situazioni soggettive, disponibilità funzionale e potere direttivo, risultano speculari e corrispondono ai due elementi indicati dall’art. 2094 c.c., «alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore»: rispettivamente, scrive M. G

RANDI

(op. cit., p.

323), «profilo statico» e «profilo dinamico» della subordinazione; profili «distinti ma pur sempre complementari» (G. F

ERRARO

, Dal lavoro subordinato al lavoro autono- mo, in Impresa e nuovi modi organizzazione del lavoro, Atti delle Giornate di studio Aidlass, Giuffrè, 1999, p. 60).

(

35

) Rileva eloquentemente M. P

ERSIANI

(Contratto di lavoro e organizzazione, Ce-

dam, 1966, p. 174): «Stare in attesa degli ordini del datore di lavoro significa limitare

(18)

Quando, non di rado e ancora di recente, si mette in discussione il pote- re direttivo argomentando dall’insussistenza di indicazioni specifiche e configurando una “attenuazione” della subordinazione, o quando si in- voca la sussistenza del potere di dare istruzioni anche in capo al credi- tore della prestazione di lavoro autonomo, si perde di vista quanto ap- pena detto. Non dico nulla di nuovo, ma giova ripeterlo. Più precisa- mente, nel primo caso, le indicazioni specifiche e continue possono, in ipotesi, anche non manifestarsi mai durante la vita di un rapporto di la- voro subordinato; decisivo, però, è che il datore abbia assicurata la di- sponibilità funzionale delle energie al fine dell’organizzabilità del lavo- ro (

37

). È nel suo ambito che la possibilità di emanare indicazioni speci- fiche rileva; su tale base, anche la capacità (di un numero da tempo cre- scente di professionalità) di operare a prescindere dalle indicazioni da- toriali assume contorni precisi, nient’affatto inconciliabili con la subor- dinazione (

38

). Nel secondo caso, il potere del creditore di lavoro auto-

la propria libertà ed è già un facere idoneo a soddisfare l’interesse del creditore di la- voro, anche se non interamente».

(

36

) Sul potere direttivo come elemento di mediazione giuridica tra risultato comples- sivo dell’organizzazione produttiva e prestazione di lavoro subordinato cfr., tra gli altri, U. C

ARABELLI

, Organizzazione del lavoro e professionalità, in DLRI, 2004, p.

41; M. M

ARAZZA

, Saggio sull’organizzazione del lavoro, Cedam, 2002, pp. 43 e 181;

A. P

ERULLI

, Il potere direttivo dell’imprenditore, cit., pp. 56 e 100; F. L

ISO

, La mobi- lità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Franco Angeli, 1982, p. 5.

(

37

) L. Z

OPPOLI

, La corrispettività nel contratto di lavoro, ESI, 1991, p. 148.

(

38

) Diversa è l’altra nota (delicata sotto ogni profilo) questione del comportamento che, in concreto, il datore può attendersi da queste figure nella quali è importante l’autonoma iniziativa del lavoratore.

Per quanto concerne la subordinazione “attenuata”, classico esempio è il rapporto di

lavoro del dirigente, non a caso da più d’uno ripreso nel recente dibattito su eterodire-

zione ed eterorganzizzazione. Al riguardo ci si potrebbe limitare a osservare che, pure

per il dirigente, decisiva è la possibilità, per il datore, di dare indicazioni specifiche e

continue: nello stipulare un contratto di lavoro subordinato con il dirigente, il datore

mira ad acquisire, anche dal dirigente, tale disponibilità. Da questo punto di vista po-

co rileverebbe l’obiezione secondo la quale, molto spesso, il datore non è in condizio-

ne di esercitare quel potere per carenza di competenze o per ragioni logistiche: può

infatti sempre esercitarlo attraverso l’articolazione organizzativa, ovvero rimettendo-

ne l’esercizio ad altri soggetti dotati delle necessarie competenze. Ma, in realtà, vi è

un secondo ordine di ragioni per cui l’opinione in parola non convince, di carattere

sostanziale, come tale sicuramente preferibile. Qui, per intuibili ragioni, lo si può solo

sfiorare (si veda amplius A. Z

OPPOLI

, Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione,

ESI, 2000, parte I). Il contratto del dirigente è un esempio assai interessante della re-

lazione fattispecie/disciplina – refrain del dibattito sull’art. 2 (puntualmente tra breve

(19)

nomo di dare istruzioni ha, per definizione, un ambito circoscritto: per questa ragione (e sul punto tornerò più avanti) siffatto potere non è mai stato concepito in funzione dell’adeguamento della prestazione all’organizzazione datoriale e alle sue multiformi esigenze, bensì, più semplicemente, come potere di indirizzo di questo o quel profilo della prestazione.

Diverso, ovviamente, è puntare il dito sulla difficoltà di distinguere, in concreto, le due situazioni creditorie. Questione indiscutibile, con la quale ci misuriamo da decenni, eppure, forse, anche essa foriera di equivoci. Che sul piano qualificatorio ci sia un ventaglio di casi “incer- ti”, grigi, più o meno significativo, e nel tempo più o meno cresciuto e crescente parallelamente alle trasformazioni di vario genere negli anni

ci torneremo) – anche se di carattere negativo, in ragione della marcata distanza se- gnata, dal legislatore, tra l’una e l’altra: se la fattispecie è (come è) in funzione della disciplina, per il dirigente la fattispecie della subordinazione non ha condotto il legi- slatore ad applicare la disciplina della subordinazione. A dimostrarlo è sufficiente la più significativa tra le tante peculiarità normative della disciplina del contratto di diri- gente, e cioè la regolamentazione legale del licenziamento, in generale – si sa – archi- trave dell’intero apparato di tutela del lavoro subordinato. Questa regolamentazione, per il dirigente, arriva ad avere, in ragione dei suoi peculiari contenuti, inevitabilmen- te riflessi sull’intero assetto degli interessi realizzato dal relativo contratto. Il dirigen- te è, oggi, l’unico tra i lavoratori nell’impresa a essere ancora soggetto al recesso ad nutum, cardine dell’impianto codicistico. D’altronde, la storia post-costituzionale del lavoro dirigenziale, sul piano tanto empirico quanto giuridico, non è certo la storia della subordinazione. Piuttosto, guardando al “diritto vivente”, dove la prestazione del dirigente e la relativa fattispecie contrattuale hanno trovato una loro fisionomia grazie alla pluridecennale costante giurisprudenza, la spiegazione di questa radicale diver- genza assume contorni definiti. Nel diritto vivente, il dirigente preso “sul serio”, cioè in sintonia con detta divergenza, è colui che, secondo una necessaria configurazione elitaria e restrittiva, esercita poteri tali da incidere sulle sorti dell’impresa, nel com- plesso o tramite l’influenza sull’andamento di un suo ramo autonomo (tra le tantissi- me sentenze, con espressioni diverse ma ininfluenti sull’intimo significato dell’elaborazione giurisprudenziale, cfr. Cass. 23 marzo 2018, n. 7295, in De Jure;

Cass. 16 settembre 2015, n. 18165, in De Jure; Cass. 10 marzo 2010, n. 5809, in LG,

2010, p. 515; Cass. 22 dicembre 2006, n. 27464, in RIDL, 2007, II, p. 641). Come di-

re, al contratto di dirigente, del potere direttivo, è estranea qualsiasi espressione non

soltanto quella più di dettaglio, perché il potere direttivo, il dirigente, lo esercita, non

lo subisce. Come affermò la Corte costituzionale in una sentenza sul punto storica (la

n. 121 del 6 luglio 1972), al dirigente «è assicurata nell’impresa una posizione che

trova nel potere direttivo la sua più vera qualificazione». E allora, tornando agli ele-

menti costitutivi della subordinazione, v’è da chiedersi che senso abbia trarre argo-

menti finanche decisivi per la relativa configurazione da un rapporto di lavoro, a conti

fatti, estraneo alla subordinazione e alla sua storia.

(20)

intervenute, è fuor di dubbio. Così come sono fuor di dubbio i conse- guenti annosi problemi di estensione o di negazione (a seconda dei pun- ti di vista) delle tutele. Questi, però, sono discorsi correlati al piano qualificatorio ma differenti: un conto è l’analisi critica, altro la ridefini- zione della storica dicotomia autonomia-subordinazione, nei termini prima indicati piuttosto solida. Al riguardo, l’attività ricostruttivo- interpretativa giova alla prima, in funziona ancillare alla seconda: la quale tuttavia, considerando la nostra tradizione e il nostro sistema giu- ridico, non può prescindere dall’opera del legislatore (ovviamente non solo ma, in primis, “del” legislatore) perché, ai suoi fini, l’interpretazione non può molto. Anzi, la storia mostra come la sovrap- posizione dei due piani non risolva i problemi, bensì allontani le solu- zioni.

5. Eterodirezione e c.d. doppia alienità

L’attenzione di recente nuovamente posta, da più di un autore, su un passaggio “classico” del dibattito sulla subordinazione, induce a tornar- vi su, sia pur velocemente.

Nei confronti della descritta ricostruzione della subordinazione, muo- vendo essenzialmente dalla già rammentata critica alla centralità del potere direttivo, alcuni oppongono la tesi della c.d. doppia alienità, dell’organizzazione e del risultato (

39

). Come noto essa è abitualmente ricondotta alla sentenza della Corte costituzionale del 12 febbraio 1996, n. 30, scritta dall’autorevole penna di Luigi Mengoni. In tutta franchez- za, a me appare quanto meno dubbio che questa sentenza si allontani realmente dall’impostazione prima illustrata. Dubbio che induce a ri- prenderne, qui, i passaggi salienti, nonostante essi siano ben conosciuti.

La sentenza – si ricorderà, ma è importante ribadirlo – ha ad oggetto la legittimità costituzionale dell’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n.

297, nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e lavoro la tutela del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rappor- to in caso di insolvenza della società. Ebbene, ad avviso della Consulta,

(

39

) Da ultimo M. B

ARBIERI

, Della subordinazione dei ciclofattorini, in LLI, 2019, p.

12, nonché, con diversità di accenti, O. M

AZZOTTA

, op. cit., p. 11. In precedenza, si

veda, almeno, M. R

OCCELLA

, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, 2008, p. 43

ss.

(21)

la doppia alienità è l’elemento sì decisivo per la sussistenza della «su- bordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro», in quanto però – si badi – «integra», ossia (secondo il significato letterale del termine ma anche inequivocabilmente nel contesto del ragionamen- to della Corte) completa la subordinazione tecnico-funzionale riscon- trabile in altri contratti (

40

), come quello oggetto del giudizio. Rispetto a quest’ultima, il concorso di «tutte le condizioni» (che secondo lo svi- luppo della sentenza, a questo punto, non possono che essere subordi- nazione tecnico-funzionale e doppia alienità) fa, della subordinazione in senso stretto, un «concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso»: da ricondurre – precisa la Corte – al «tipo di regolamento di interessi prescelto […], comportante l’incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun poter di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato»

(

41

).

Il ragionamento e la conseguente decisione sono palesemente ed esat- tamente tagliati sulla prestazione del socio lavoratore di società coope- rativa: la quale è sottoposta al potere direttivo ma, in ragione della par- tecipazione del socio lavoratore alle scelte, al controllo e agli utili della società, è priva della c.d. doppia alienità, ovvero subordinata non in senso stretto, secondo le parole della Consulta. L’accento sulla doppia alienità è per rimarcarne il rilievo; tuttavia – questo è il punto – non in alternativa al potere direttivo, che non appare affatto irrilevante, ancor- ché non sia sufficiente.

Non credo che vi sia molto da aggiungere. Riesce, in verità, difficile capire perché la sentenza venga sovente contrapposta al concetto di su- bordinazione qui accolto. Risulta arduo dubitare che, nella ricostruzio- ne della Corte, il contratto comunque comporti, sul versante datoriale, la titolarità di un potere ad ampio spettro e, sul versante del prestatore di lavoro, la sua disponibilità funzionale/organizzabilità. Entrambe ne-

(

40

) «Semplicemente un modo di essere della prestazione», scrive la Corte. In Con- tratto di lavoro e impresa, in Lezioni sul contratto di lavoro, Celuc, 1971, ora come estratto in M. N

APOLI

(a cura di), Luigi Mengoni. Il contratto di lavoro, Vita e Pensie- ro, 2004, p. 3 ss. – dove è pressoché riprodotta integralmente la sentenza – L. M

EN-

GONI

specifica che il modo di essere è «espresso nel concetto di “lavorare sotto la di- rezione altrui” (del creditore)» (p. 34).

(

41

) Da notare che la Corte, nel passaggio precedente, ha espressamente precisato che

l’«alienità del risultato» è da intendersi «nel senso di destinazione esclusiva ad altri».

(22)

cessarie affinché il dominus dell’organizzazione possa “incorporare”, al suo interno, la prestazione, governandone la doppia alienità rispetto alla stessa organizzazione e al suo risultato (

42

).

La conclusione, peraltro, riduce, almeno sensibilmente, la distanza tra questa decisione e la più recente pronuncia della Consulta del 7 maggio 2015, n. 76, talvolta ad essa invece contrapposta.

6. Norma di fattispecie e norma di disciplina

Sulla base di quanto sinora osservato, la distinzione tra eterodirezione ed eteroganizzazione sembra non solo proponibile, ma indiscutibile.

(

42

) Una più generale analisi del pensiero di M

ENGONI

sul tema conferma, sostanzial- mente, la lettura qui proposta della sentenza della Consulta del 1996. In un noto scrit- to del 1986 (L. M

ENGONI

, La questione della subordinazione in due trattazioni recen- ti, in RIDL, 1986, I, p. 5), sulla scia di uno dei due manuali in commento, l’A., invero, accenna alla distinzione tra tipo normativo, «più frequente» nonché modello di riferi- mento dell’art. 2094 c.c., di cui – egli scrive – l’eterodirezione costituisce «un modo di essere normale», e «tipo legale definito nell’art. 2094 c.c., più povero di connota- zioni e quindi meno ristretto del tipo normativo», a cui – sostiene l’A. – l’eterodirezione è estranea e dove «la subordinazione si identifica con l’inserimento organico del lavoratore nell’impresa», senza null’altro aggiungere. Già qualche anno dopo, nell’intervista rilasciata a P. I

CHINO

nel 1992 (in RIDL, 1992, I, p. 120), M

EN-

GONI

fa invece cenno a «un’articolazione della categoria del lavoro subordinato in una

pluralità di fattispecie», della quale afferma di aver individuato – in un intervento a un

convegno del periodo non meglio precisato – «un nucleo concettuale comune» nel fat-

to «che il prestatore di lavoro mette a disposizione il suo tempo (in una certa misura

convenuta) per gli scopi della controparte». In questa accezione, propria della subor-

dinazione, il tempo – a mio avviso – è, di per sé, significativo: in quanto immanente

alla posizione di soggezione del prestatore e speculare al carattere dinamico del potere

direttivo (si veda al riguardo, per tutti, V. B

AVARO

, Il tempo nel contratto di lavoro

subordinato, Cacucci, 2008, p. 188). Successivamente, nella relazione dal titolo Il

contratto individuale di lavoro, al convegno Aidlass del maggio 2000 sul tema Il di-

ritto del lavoro alla svolta del secolo (cit., p. 181) – di particolare importanza per ar-

gomento, contesto e collocazione temporale (di poco antecedente la sua scomparsa) –

M

ENGONI

, per un verso, non menziona proprio la “doppia alienità”; per altro verso,

accanto alla convinta riaffermazione della dicotomia lavoro autonomo/subordinato

(distinzione – si legge a p. 198 – «in rerum natura e concettualmente radicale»), ha

ben presente il rilievo del potere direttivo del datore di lavoro ai fini qualificatori del

rapporto di lavoro subordinato (pp. 190 e 198). Peraltro, in questo stesso scritto è net-

ta anche la distinzione tra collaborazione coordinata e subordinazione (p. 198 ss.), che

invece sarebbe da ripensare se la seconda fosse contraddistinta in ragione della sola

doppia alienità, organizzativa e di risultato.

(23)

Anzi, l’articolo 2, della prima, costituisce ulteriore conferma, indicando che, nonostante tutto, «l’art. 2094 è sempre lì, vale a dire dov’era nel 1942» (

43

).

Dunque, come prima osservato, anche la Cassazione è d’accordo sulla distinzione. Nello sviluppo del ragionamento la Corte poi, più di una volta, riprendendo il leitmotiv del dibattito sull’argomento, qualifica l’articolo 2 come una norma non di fattispecie bensì “di disciplina” (

44

).

Secondo alcuni ciò è dovuto a preoccupazioni legate alla dinamica en- doprocessuale (

45

). Quale ne sia la ragione, l’affermazione è, condivisi- bilmente, tra le più criticate della sentenza. Ciò nonostante in qualche misura può comprendersi.

Leggendo il punto 52 della sentenza, verrebbe da rilevare che, non ca- sualmente, la penna dell’estensore non sia riuscita a trattenere del tutto l’espressione «fattispecie astratta di cui all’art. 2». Ma il discorso è più ampio, si collega al centrale problema della disciplina applicabile. E nel ragionamento della Corte, a dispetto dei suoi silenzi, alcuni passaggi sono necessitati (

46

).

(

43

) B. C

ARUSO

, R. D

EL

P

UNTA

, T. T

REU

, op. cit., p. 21.

(

44

) Punti 25, 39 e 59.

(

45

) Cfr. P. B

ELLOCCHI

, Chi governa le collaborazioni organizzate dal committente?, e L. Z

OPPOLI

, I riders tra fattispecie e disciplina: dopo la sentenze della Cassazione n.

1663/2020, entrambi in MGL, maggio 2020, n. straordinario, rispettivamente p. 39 e p. 283.

(

46

) In via preliminare va osservato che, nonostante quanto rilevato da taluni, appaio- no inconferenti le considerazioni in merito alla prospettiva “anti-elusiva” e “rimedia- le”, secondo la Corte perseguita dal legislatore (punti 23 e 26). In particolare – si è detto criticando la sentenza – la prospettiva presupporrebbe un rapporto di subordina- zione e il conseguente intento di evitare la «fraudolenta disapplicazione» della relativa disciplina (A. P

ERULLI

, Collaborazioni etero-organizzate, coordinate e continuative, e subordinazione: come “orientarsi nel pensiero”, in q. Rivista, 2020, p. 270; in propo- sito si vedano anche A. G

ARILLI

, Le trasformazioni del diritto del lavoro tra ragioni dell’economia e dignità della persona, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2020, n. 412, p. 6; E. A

LES

, In favore dell’etero-organizzazione come

“concetto” autonomo: timeo danaos et remedia ferentes, in MGL, maggio 2020, n.

straordinario, p. 21, anch’egli critico sul punto, al contempo rilevando però che la

Corte, da un lato, segue un «approccio “non definitorio”/“rimediale”», dall’altro non

porta, tale approccio, «alle sue logiche conseguenze»). A me pare che la prospettiva

antielusiva, attenendo alle finalità dell’intervento legislativo, rimanga estranea al con-

tenuto della norma. Per essere più chiari, è bene muovere dalla scansione temporale

da essa indicata, prima e dopo il 16 giugno 2016. Prima, vi erano alcuni elementi di

fatto (personalità, continuità, eterorganizzazione) compatibili tanto con l’autonomia

quanto con la subordinazione: «una terra di mezzo» dice la Corte; in realtà, giuridi-

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