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1 DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Dottorato di Ricerca in Diritto ed Impresa XXXII Ciclo L

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Dottorato di Ricerca in Diritto ed Impresa

XXXII Ciclo

LA RESTITUZIONE DEL PROFITTO ILLECITO TRA RESPONSABILITÀ CIVILE E ARRICCHIMENTO

TESI DI DOTTORATO Dott.ssa Anna Fittante

TUTOR

Chiar.mo Prof. Giorgio Meo

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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INDICE

La restituzione del profitto illecito tra responsabilità civile e arricchimento

INTRODUZIONE………...5

I CAPITOLO:L’ammissibilità dei danni punitivi nel nostro ordinamento 1. Introduzione: le nuove frontiere della responsabilità

civile………..8 1.1 L’emersione del tema dei danni

punitivi………..9 1.1.1 I danni punitivi negli ordinamenti di common

law………..11 1.1.2 I danni punitivi nelle tradizioni di civil law: il caso di

Germania, Francia e Spagna………20 1.1.3 I danni punitivi nel contesto euro

unitario……….25 1.2 L’evoluzione della funzione dell’articolo 2043 c.c.: dalla

sanzione alla compensazione………..28 1.2.1 Alcune riflessioni della dottrina italiana in materia di

danni punitivi………...34 1.2.2 L’evoluzione giurisprudenziale sul

tema………..39 1.2.3 La pronuncia delle Sezioni Unite al vaglio della dottrina

………..49 1.2.4 Esiste già un fondamento normativo per i danni

punitivi?...58 II CAPITOLO:I rimedi tipici previsti dall’ordinamento tra risarcimento, sanzione e restituzione: alla ricerca di un minimo comun denominatore

2. Introduzione………65 2.1 La responsabilità processuale

aggravata……….67 2.2 Le sanzioni

civili………75 2.3 L’azione in materia

familiare………..77 2.4 Il danno ambientale……….80 2.5 L’arricchimento da fatto

ingiusto………92

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2.6 L’azione di retroversione degli

utili………..98 2.6.1 Alla ricerca di una valorizzazione del

rimedio………...104

III CAPITOLO:Il danno antitrust tra private e public enforcement 3.1 Il risarcimento del danno da concorrenza

sleale………..113 3.2 Condotte illecite e violazione di norme

antitrust………..118 3.3 Il dibattito sorto in ordine alla risoluzione dei conflitti di

attribuzione della ricchezza derivante

dall’illecito………121 3.4 Il problema della legittimazione dei consumatori e i riflessi

sulla quantificazione del danno……….131 3.5 Il superamento della prospettiva restitutoria: la Direttiva

2014/104/UE relativa alle azioni per il risarcimento del danno derivante dalla violazione del diritto della

concorrenza………...135 3.5.1 L’attuazione della Direttiva 2014/104/UE nel nostro

ordinamento………...146 3.5.2 L’onere della

prova………..150 3.5.3 Risarcimento e

prescrizione………...153 3.5.4 La responsabilità

solidale………...155 3.5.5 Rilievi critici del decreto di recepimento della Direttiva

Comunitaria in punto di quantificazione del

danno……….162 3.6 La cessione del credito risarcitorio………...164 3.7 Considerazioni conclusive e prospettive de jure

condendo……….168

BIBLIOGRAFIA………173

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INTRODUZIONE

In presenza di comportamenti illeciti che determinano un ingiustificato arricchimento del danneggiante, l’ordinamento prevede strumenti con funzione ripristinatoria, sanzionatoria o equitativa. Il rimedio risarcitorio è tipicamente calibrato sul danno, in una prospettiva tipicamente riparatoria. Sorge, conseguentemente, il tema della allocazione dei profitti (la cui entità sia superiore rispetto al pregiudizio cagionato al danneggiato) realizzati attraverso condotte illecite.

Preliminarmente si illustra l’evoluzione dell’ordinamento italiano sul tema della polifunzionalità della responsabilità civile, alla luce del dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Si prende atto della inidoneità della funzione compensativa a soddisfare esigenze di giustizia sostanziale.

Alcuni ordinamenti abdicano alla tradizionale funzione riparatoria, ricorrendo ai c.d. “punitive damages”. Un focus specifico è pertanto dedicato a tale tema, anche mediante il confronto con le tradizioni giuridiche di common law, di alcuni ordinamenti dell’Europa continentale e tenendo conto di alcuni orientamenti della Corte di Lussemburgo e della Corte di Strasburgo.

Nel nostro ordinamento sono intervenute sul punto le Sezioni Unite che, con sentenza n. 16601 del 5 luglio 2017, hanno ammesso la delibabilità delle sentenze straniere che comminano danni punitivi tipici, in presenza di alcune condizioni che ne garantiscano la proporzionalità. La pronuncia in esame richiama una pluralità di norme che rispondono a logiche sanzionatorie, equitative o restitutorie, diverse dal meccanismo moltiplicatore dei “punitive damages”. Dall’analisi svolta è emerso un panorama normativo disomogeneo. Si analizzano alcune di tali fattispecie al fine di verificare se esiste un rimedio suscettibile di applicazione generalizzata. Del resto, secondo

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l’impostazione prevalente, i risarcimenti con funzione sanzionatoria devono essere sorretti da una intermediazione legislativa, essendo la prerogativa sanzionatoria attribuita allo Stato.

Si passa poi a verificare se il problema dell’allocazione del surplus di ricchezza derivante dall’illecito possa essere risolto attraverso i rimedi con funzione restitutoria. Conseguentemente, alcune riflessioni sono compiute in relazione all’azione di arricchimento senza causa di cui all’articolo 2041 c.c., nonché all’azione di retroversione degli utili, disciplinata dall’articolo 125 c.p.i., mediante la quale l’autore della condotta illecita può essere condannato a risarcire il danno e a restituire gli utili indebitamente realizzati. Oggetto di analisi è, pertanto, la natura sottesa alla suddetta azione, al fine di valutare la sua eventuale applicazione in altri settori dell’ordinamento, nonché al fine di verificare se rappresenti un rimedio autonomo o se debba essere inquadrato nell’ambito della responsabilità civile.

Infine, merita di essere menzionato il danno antitrust, al fine di illustrare la soluzione ivi individuata dal legislatore in un’ottica deterrente. Trattasi di un settore nel quale, a fronte dell’intersercarsi di interessi pubblicistici (tutela della libera concorrenza sul mercato) e privatistici, alcuni ordinamenti ricorrono allo strumento dei danni punitivi, mentre in Europa è stata adottata la Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione Europea, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 3.

È interessante notare la risposta fornita dal legislatore, il quale ha cercato di incentivare il ricorso al rimedio risarcitorio, ma senza stravolgerne la funzione compensativa. Al tempo stesso, non sono stati espressamente previsti rimedi con funzione restitutoria, diversamente

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da quanto accade ai sensi dell’articolo 125 c.p.i., probabilmente a fronte della distinta natura dei beni oggetto di tutela e dell’esigenza di approntare rimedi che rispondono a diverse logiche.

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I CAPITOLO

L’AMMISSIBILITÀ DEI DANNI PUNITIVI NEL NOSTRO ORDINAMENTO

1. Introduzione: le nuove frontiere della responsabilità civile; 1.1 L’emersione del tema dei danni punitivi; 1.1.1 I danni punitivi negli ordinamenti di common law;1.1.2 I danni punitivi nelle tradizioni di civil law: il caso di Germania, Francia e Spagna, Francia e Spagna; 1.1.3 I danni punitivi nel contesto euro-unitario; 1.2 L’evoluzione della funzione dell’articolo 2043 c.c.: dalla sanzione alla compensazione; 1.2.1 Alcune riflessioni della dottrina italiana in materia di danni punitivi; 1.2.2 L’evoluzione giurisprudenziale sul tema; 1.2.3 La pronuncia delle Sezioni Unite al vaglio della dottrina; 1.2.4 Esiste già un fondamento normativo per i danni punitivi?

1. Introduzione: le nuove frontiere della responsabilità civile

Come è stato autorevolmente sostenuto in dottrina il principio di indifferenza, volto a garantire un ristoro corrispondente al danno subito, mira a evitare indebite locupletazioni del danneggiato.1 Il problema sorge allorché, nel tentativo di prevenire un arricchimento

1 A PALMIERI, R. PARDOLESI, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità, in Foro Italiano, n. 9, 2017, pp. 2630-2638

Nel contributo si legge: “[…] Il principio dell’integrale riparazione del danno transita con tutti gli onori nelle motivazioni delle sentenze che si occupano di profili inerenti al quantum e va ad insediarsi anche nell’area del danno contrattuale.

E continua nel tempo a godere di un indiscusso avallo giurisprudenziale […]”. È stato altresì evidenziato che l’integrale riparazione non ha copertura costituzionale ed è stata addotta per contrastare una curvatura afflittiva, con il rischio di ridurre, se non escludere del tutto il quantum dovuto al danneggiato. Tale principio, unitamente alla vocazione compensativa della responsabilità, è stato a lungo un ostacolo all’utilizzo del rimedio aquiliano come correttivo dei comportamenti umani. In questo contesto un risveglio della funzione sanzionatoria/deterrente della responsabilità consente un recupero in termini di effettività della tutela giurisdizionale. Nella parte conclusiva dello scritto si legge: “Dare ingresso a un mosaico funzionale più complesso aiuta, sul piano della teoria dell’argomentazione, a rivisitare, con cadenze meno asfittiche di quelle imposte da dogmi che non hanno ragion d’essere, taluni avvitamenti dell’elaborazione in materia di illecito extracontrattuale. […]”.

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indebito della vittima, si accetti il rischio che il danneggiante consegua un profitto.2

Nel nostro ordinamento, come nella maggior parte delle tradizioni giuridiche di civil law, la funzione compensativa della responsabilità aquiliana ha carattere dominante, precludendo l’assunzione di declinazioni sanzionatorie anche nei casi in cui il meccanismo differenziale non sia adeguatamente satisfattivo. Ed alla funzione è intrinsecamente connessa la quantificazione del danno da risarcire, oggetto di un vivo dibattito sia in dottrina, sia in giurisprudenza, anche alla luce delle suggestioni provenienti dal confronto con altri ordinamenti più inclini al riconoscimento di danni punitivi. Occorre conseguentemente analizzare il tema dei danni punitivi e verificare se ed in che modo, possa essere ritenuto un valido strumento di allocazione del surplus di ricchezza generato dall’illecito, tenuto conto delle posizioni assunte dagli interpreti in relazione alla funzione della responsabilità civile.

1.1 L’emersione del tema dei danni punitivi

Erroneamente si riconduce l’espressione “danni punitivi” alla locuzione anglosassone “punitive damages”; trattasi di una mera traduzione letterale non propriamente fedele al dato sostanziale. Per

“damages” non deve invero intendersi il danno, ma il risarcimento con

2 A titolo esemplificativo si possono richiamare le c.d. microviolazioni che ricorrono allorché il danno inferto è modesto e il danneggiato può anche rinunciare alla somma risarcita, inducendo il danneggiante a profittarne e a reiterare l’attività illecita anche nei confronti di altri soggetti. È evidente che in questi casi se il risarcimento dovuto è parametrato al danno non esplica alcuna efficacia dissuasiva.

G. SPOTO, Risarcimento e sanzione, Europa e Diritto Privato, fasc. 2, 1 giugno 2018, pp. 489 ss.

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funzione punitiva.3 Si distingue tra danni punitivi in senso stretto, calcolati autonomamente rispetto ai danni compensativi, e danni punitivi in senso lato, liquidati sulla base di un certo multiplo dei danni compensativi.4

La ratio originariamente sottesa era la repressione di illeciti particolarmente gravi, sorretti da considerevole riprovevolezza e potenzialità lesiva dell’autore.5 A partire dalla seconda metà del Novecento si è fatto ricorso all’istituto in esame anche per le c.d. “mass tort litigation”, ossia gli illeciti rivolti a un numero non predeterminato di vittime. 6

Negli ultimi decenni si è registrato un fenomeno di contenimento dei risarcimenti sproporzionati comminati dalle Corti

3 Erroneamente si parla di danni punitivi. A bene vedere la corretta traduzione dell’espressione “punitive damages” è “risarcimenti punitivi”, in quanto

“damage” indica il danno, mentre “damages” i risarcimenti.

Vedi, tra gli altri, M. LA TORRE, Un punto fermo sul problema dei “danni punitivi”, in Danno e responsabilità, vol. 4, 2017, pp. 421-428

4P. PETRELLI, Verso i «danni punitivi»?, in Contratto e impresa, vol. 4, 2017, p. 1188

L’autore precisa anche che gli ordinamenti di common law prevedono i compensatory damages, con funzione compensativa e i punitive o exemplary damages, comminati per punire condotte particolarmente gravi.

5 Una parte della dottrina fornisce una ricostruzione storica dell’istituto della responsabilità civile partendo dalle fonti romanistiche. Si richiama la lex aquilia de damno che imponeva, a tutela del diritto di proprietà, il pagamento di una somma di denaro e non l’assoggettamento ad una pena. I giuristi si soffermavano sulla clausola condemnatoria prevista dalla legge che consentiva di ottenere la somma necessaria per sostituire il bene nella sua materialità. Successivamente, con Giustiniano, si passa alla aestimatio rei, ossia alla possibilità di ottenere il valore del bene e una somma ulteriore volta a risarcire il quantum corrispondente al valore per il proprietario, anche tenuto conto delle utilità che avrebbe dovuto ricavare. Il quadro è stato poi completato all’età dei Severi con l’individuazione di alcuni assunti generali: la responsabilità per colpa, la sussistenza di una funzione mista, sanzionatoria e riparatoria, la quantificazione del danno alla luce del criterio dell’interesse del creditore. Il quadro delineato si desume dal Digesto ed è stato tenuto in considerazione dai giuristi francesi nel code civil. In epoca successiva, per il tramite di Baldo, Accursio, Bartolo, Azzone, Donello, si assiste ad un progressivo abbandono della funzione sanzionatoria, al fine di rendere autonoma la responsabilità civile.

G. ALPA, La responsabilità civile, II Edizione, Utet Giuridica, 2018, pp. 70- 76

6 A. NERVI,Danni punitivi e controllo sulla circolazione di ricchezza, in Responsabilità Civile e Previdenza, vol. 1, 2016, p. 323

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americane e una progressiva apertura da parte degli ordinamenti continentali verso fattispecie volte a sanzionare l’autore della condotta e non solo a risarcire il danneggiato.7

Nel nostro ordinamento, in sede di delibazione di sentenze suscettibili di recare condanne esemplari, sono emersi profili di incompatibilità strutturale e teleologica nel confronto con i paradigmi classici della responsabilità aquiliana. Sembra, conseguentemente, opportuno soffermarsi sulla diversa prospettiva esistente in materia negli ordinamenti di common law e nelle principali tradizioni giuridiche continentali.

1.1.1 I danni punitivi negli ordinamenti di common law

I risarcimenti esemplari hanno trovato terreno fertile negli ordinamenti di common law.8 Si può riflettere sulla ragione di tale diffusione. In particolare, si tratta di sistemi giuridici a basso tasso legislativo, nei quali ampia rilevanza assumono i principi di derivazione giurisprudenziale e può risultare più efficace l’adeguamento alle peculiarità del caso concreto e quindi anche la comminazione di risarcimenti ultra-compensativi.

Nelle tradizioni giuridiche continentali, al contrario, i paradigmi tradizionali della responsabilità civile fungono da ostacolo e si riconosce un margine di discrezionalità ridotto all’autorità giudiziaria.

7G. PONZANELLI,Le Sezioni Unite sui danni punitivi tra diritto internazionale privato e diritto interno, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 10, 2017, pp. 1413-1415

8 I danni punitivi sono prevalentemente previsti negli Stati Uniti, in Canada, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda, nonché in Inghilterra, Irlanda del nord e Galles.

Si distingue tra sistema monistico, nel quale alla responsabilità civile è attribuito il ruolo di compensare la vittima e sistema dualistico, volto a compensare e sanzionare.

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La sanzione è inoltre demandata al diritto penale, ispirato da logiche di tipicità.9

L’origine dei danni punitivi in Inghilterra risale al XVIII secolo e la ratio sottesa era l’inflizione di una pena esemplare al danneggiante e la deterrenza nei confronti della collettività in presenza di illeciti particolarmente gravi. Nel 1763, nel caso Wilkes v. Wood, la Corte ha sostenuto che i danni punitivi non solo ristorano la vittima, ma sono finalizzati alla sanzione per evitare la reiterazione della condotta illecita in futuro e per evidenziare la disapprovazione verso la stessa. Il sistema fungeva da completamento delle sanzioni penali.10 In linea generale i danni punitivi erano riconosciuti in caso di cattivo utilizzo del potere pubblicistico a danno della vittima o di comportamenti oppressivi da parte di un pubblico ufficiale.

Nel caso “Rookes vs Barnard” è stato poi sostenuto che possono essere comminati risarcimenti sanzionatori solo nelle ipotesi di forme di abuso da parte della pubblica amministrazione, di consistente profitto per il danneggiante, oppure in presenza di una specifica previsione normativa.11 Nella suddetta pronuncia è stata in particolare evidenziata la distinzione tra exemplary damages, con funzione sanzionatoria e deterrente e aggravated damages rispondenti a logiche di tipo riparatorio.

9 Gli ordinamenti continentali hanno mostrato una certa ritrosia nel riconoscimento dei danni punitivi. Ad esempio in Germania, nel caso Doe v. Eckhard Schmitz la Corte tedesca ha ammesso solo la componente compensativa del risarcimento, con esclusione di quella sanzionatoria, ritenendo i danni punitivi una forma di interferenza del soggetto privato nel monopolio della sanzione riservato allo Stato. La giurisprudenza ha chiarito altresì che al limite possono estendersi fino a ricomprendere il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima..

P. A. HOVERSTEN, Punishment but Not a Penalty? Punitive Damages Are Impermissible Under Foreign Substantive Law, in Michigan Law Review, Vol.

116:759, March 2018, 772

10 Wilkes v. Wood (1763) 98 Eng. Rep. 498, 499

11G. ALPA, La responsabilità civile, op. cit., pp. 67-68

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In linea generale, al di fuori dei casi tipizzati, i danni punitivi sono una estrema ratio, alla quale si ricorre in assenza di altri rimedi volti a sanzionare e a fungere da deterrente.12

Il danno punitivo sembra invece opportuno in ogni caso in cui un soggetto si arricchisce ingiustificatamente “sulle spalle” della vittima, come nel caso della diffamazione a mezzo stampa allorché, ad esempio, la vendita delle riviste sia più vantaggiosa dell’eventuale danno da risarcire. Gran parte dei giuristi inglesi guardano, in ogni caso, con diffidenza i risarcimenti punitivi mediante i quali è irrogata una sanzione pecuniaria attraverso il processo civile e pertanto senza che siano rispettate le garanzie tipiche del processo penale.13

12 In uno studio empirico in materia di danni punitivi comminati in UK sono emersi i seguenti fattori:

- i danni punitivi sono comminati nel 39.7% dei casi esaminati (riferiti ad un arco temporale di circa 15 anni);

- sono maggiormente frequenti nei casi in cui il profitto atteso sia superiore al quantum da risarcire, rispetto alle controversie connesse a forme di abuso di potere da parte di agenti pubblici;

- gli ambiti sono prevalentemente quelli dell’invasione del diritto di proprietà, illeciti economici (in prevalenza frodi nel settore assicurativo) e forme di abuso di potere;

- i danni punitivi comminati verso persone fisiche hanno più probabilità di successo di quelli avverso persone giuridiche o enti pubblici, nonostante in questi ultimi due casi siano superiori le relative entità;

- i casi esaminati dimostrano una correlazione tra punitive damages e aggregated damages.

Vedi J. GOUDKAMP, E. KATSAMPOUKA, An Empirical Study of Punitive Damages, Oxford Journal of Legal Studies, Vol. 38, No. 1 (2018), pp. 90–122

13 Degno di menzione è il caso (John v. Mirror Group Newspapers Ltd., 1997, QB 586) di un editore che ha ritenuto più vantaggioso vendere una notizia non accertata, che risarcire la vittima della diffamazione, a fronte della sua notorietà.

L’elemento psicologico che ha mosso l’agente è stato non solo la negligenza e l’imprudenza, ma anche la consapevolezza di diffondere informazioni non sicuramente veritiere e che l’eventuale danno da risarcire sarebbe stato una voce di costo da internalizzare. Parte della dottrina osserva che correttamente i giuristi inglesi limitano i casi in cui possono essere accordati i danni punitivi, stante la loro natura di sanzione sostanzialmente penale comminata nell’ambito di un processo civile. La sanzione compete unicamente allo Stato, nel rispetto del principio di legalità e possono al massimo essere concesse deroghe nel perseguimento di interessi costituzionali. La potestà punitiva può in questi casi essere esercitata nell’ambito del processo civile, con gli opportuni adeguamenti di tutela.

A. CIAN CAIMI,I danni punitivi e quello che non vorremmo sentirci dire dalle corti di common law, Contratto e impresa/Europa, 2017, p. 5

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L’istituto è stato importato negli Stati Uniti, dove veniva originariamente applicato per gli illeciti dolosi nei casi di violazione della proprietà, dell’integrità fisica e di diffamazione. Successivamente l’ambito di operatività è stato esteso alla responsabilità del produttore, agli inadempimenti contrattuali commessi con mala fede, agli illeciti civili, ecc.

Giova precisare che ciascuno Stato ha discrezionalità in materia.

Nonostante la diversità di approccio, sono stati individuati tre indici alla cui stregua esaminare i danni punitivi: l’elemento soggettivo, l’onere della prova, i fattori determinanti nella liquidazione del quantum.

Quanto al primo profilo, si rileva che i danni punitivi presuppongono un atteggiamento doloso, con esclusione della possibilità che siano comminati per mera negligenza. Si osserva che alcuni Stati ammettono la colpa grave, ma allorché sia stata tale da lasciare intendere la totale indifferenza del danneggiante verso i diritti della parte lesa.

Relativamente all’onere della prova, nelle controversie civilistiche l’attore deve dimostrare la c.d. “preponderance of evidence”, ossia una ragionevole probabilità (oltre il 50%) che il danno sia causa della condotta del danneggiante. Ai fini del riconoscimento dei danni punitivi molti Stati richiedono la c.d. “clear and convincing evidence” a metà strada tra le controversie civili e quelle penali che richiedono la prova

“oltre ogni ragionevole dubbio”. Quanto al terzo elemento, la quantificazione è rimessa alla discrezionalità della giuria che procede alla luce di una pluralità di fattori che tengono conto delle condizioni del danneggiante e del danneggiato (in alcuni Stati sono oggetto di valutazione le condizioni economiche in cui versa la vittima).14 Le Corti individuano i presupposti per la concessione dei danni punitivi, mentre

14 C. VANLEENHOVE, Punitive Damages in private international law, Intersenia, 2016, p. 21-22

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alla Giuria spetta la loro effettiva comminazione e l’individuazione del quantum alla luce di una serie di criteri quali la natura dell’illecito, le condizioni sociali del danneggiato, l’estensione del danno, ecc., fatti salvi i limiti previsti dai singoli stati e dalla Corte Suprema.15

Sotto il profilo funzionale il secondo Restatement of Torts definisce i danni punitivi come danni comminati per punire l’autore, per evitare che egli o altri commettano la medesima condotta in futuro. La funzione assolta dai punitive damages è deterrente e sanzionatoria.

Ricostruendo l’evoluzione dell’istituto si segnala che negli anni 60’ si è registrata una espansione nel ricorso allo stesso, a fronte dell’individuazione di un numero sempre maggiore di fattispecie legittimanti e delle liquidazioni molto consistenti da parte delle giurie.

Tale fenomeno ha instaurato un clima di terrore, soprattutto per le imprese.

A partire dagli anni 80’ si è affacciata l’ipotesi della incostituzionalità per contrasto con il divieto di comminare pene sproporzionate e inusitate sancito dall’VIII Emendamento e con i principi della due process of law, di cui al XIV Emendamento.16 Alcuni

15 Giova sul punto richiamare quanto sostenuto nel 2001, nel caso Cooper Industries, Inc. v. Leatherman Tool Group, Inc. con riferimento al ruolo della Giuria.

In particolare, la Corte Suprema ha affermato che mentre i danni compensativi servono per ristorare la vittima, i danni punitivi possono essere considerati alla stregua di pene private volte a punire il danneggiante e a prevenire la reiterazione di condotte future. La quantificazione posta in essere dalla giuria non è altro che una determinazione di fatto, mentre la comminazione dei danni punitivi è una condanna morale. Poiché il danno compensativo si è esteso fino a ricomprendere il danno morale, i danni punitivi hanno assunto una curva sempre più sanzionatoria e sono divenuti per le giurie un facile strumento per esprimere indignazione sociale. Essendo la Giuria espressione della coscienza morale di quella Corte, non dovrebbe essere chiamata ad esprimersi con riferimento ad altri Stati.

Vedi P. A. HOVERSTEN, Punishment but Not a Penalty? Punitive Damages Are Impermissible Under Foreign Substantive Law, op. cit., pp. 766 ss.

16 Quando si parla di “due process clause” si fa riferimento alla correttezza sotto un profilo sostanziale e processuale. Quanto al primo aspetto, la ratio è circoscrivere la liquidazione di risarcimenti sproporzionati. La “procedural due process clause” garantisce che il calcolo avvenga in modo ragionevole. Nella

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Stati hanno previsto la devoluzione di una parte dell’ammontare liquidato all’erario, altri hanno fissato un tetto massimo, altri ancora hanno ricondotto i danni punitivi ai danni compensativi. È stato però evidenziato il rischio di una eccessiva prevedibilità che avrebbe potuto condurre ad una internalizzazione nei costi di impresa, scaricando gli stessi sugli utenti finali.

Con la pronuncia del 26 giugno 1988, nel caso “Browning- Ferris Industries of Vermont Inc. e altri, v. Kelco Disposal Inc. e altri”, la Corte Suprema ha poi analizzato il tema della legittimità costituzionale dei danni punitivi in relazione alla “excessive fines clauses” contenuta nell’VIII Emendamento della Costituzione Federale.17 La Corte giunge ad escludere che l’VIII Emendamento possa essere invocato per limitare i risarcimenti sproporzionati, essendo l’ambito di operatività limitato alle sanzioni penali.18

casistica, la Suprema Corte ha fatto prevalente applicazione di quest’ultima nella limitazione dei danni punitivi.

Per un approfondimento del tema vedi C. VANLEENHOVE,Punitive Damages in private international law, op. cit.

17 Per ulteriori approfondimenti vedi Corte Suprema degli Stati Uniti, pronuncia del 26 giugno 1988, nel caso “Browning-Ferris Industries of Vermont Inc.

e altro, c. Kelco Disposal Inc.”, con nota di M. S. ROMANO, Danni punitivi ed eccesso di deterrenza: gli (incerti) argini costituzionali, in Foro it. anno 1990, parte IV, col.

175

18 Si segnala la diversa tesi sostenuta da O’Connors, secondo cui la clausola relativa al divieto di applicazione di pene eccessive si sarebbe dovuta applicare anche ai danni punitivi. In particolare, sposando un approccio di natura funzionale, le garanzie offerte dalla clausola si sarebbero dovute estendere a qualsiasi sanzione che pur essendo formalmente civilistica, presentasse carattere afflittivo e perseguisse le medesime finalità delle sanzioni penali. Inoltre, i criteri di quantificazione utilizzati in via interpretativa per garantire la compatibilità con le garanzie offerte dall’VIII Emendamento avrebbero condotto a condanne adeguate e non eccessive. Il principio desumibile era pertanto quello della necessaria adeguatezza delle sanzioni, a prescindere da come fossero qualificate formalmente. È sorto quindi il problema di stabilire quando una condanna potesse dirsi eccessiva. In particolare è stata evidenziata l’esigenza di valutare l’adeguatezza tra severità della sanzione inflitta e gravità della condotta posta in essere, come implicitamente desumibile dal VIII Emendamento. In ogni caso tali criteri non avrebbero assicurerebbero il rispetto del principio di proporzionalità, anche tenuto conto dell’ampio margine di discrezionalità riconosciuto alle giurie in sede di liquidazione. Ricostruendo la ratio sottesa alla clausola (richiamando il capitolo 20 della Magna Carta e l’articolo 10 della dichiarazione dei diritti inglese) la dissenting opinion dimostra che l’ambito di

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Solo nel 1996 la Suprema Corte19 ha preso posizione sulla incostituzionalità dei danni eccessivi sotto il profilo della Due Process Clause. In particolare, è stata evidenziata l’esigenza di valutare in concreto la ragionevolezza e la proporzionalità del danno punitivo, mostrando ritrosia per i meccanismi di calcolo basati sul danno compensativo. Secondo la Corte il giudizio deve essere condotto alla stregua di tre criteri: grado di riprovevolezza della condotta, rapporto proporzionale tra risarcimento compensativo e punitivo, valutazione delle sanzioni civili e penali applicate in fattispecie analoghe. In ogni caso il potere punitivo dello Stato può essere esercitato nei limiti della ragionevolezza costituzionale che esclude pene sproporzionate.20

operatività non deve essere circoscritto alle sanzioni penali. Sono richiamate le figure di sanzioni pecuniarie riconosciute dal diritto inglese, tra le quali si segnala il c.d.

“amercement” risalente al XII-XIII secolo, consistente nella condanna al pagamento di una somma di denaro al re o ad un suo delegato, a fronte di violazioni civili o penali e considerato come un antecedente storico dell’VIII Emendamento della Costituzione federale. I criteri di liquidazione erano ampiamente discrezionali e per cercare di arginare un abuso dello strumento è stato introdotto il cap. 20 della Magna Carta, che limitava le condanne eccessive, suscettibili di privare il destinatario di ogni forma di sussistenza. In epoca successiva agli “amercement” si sostituirono dapprima le fines (volte a sanzionare gli illeciti penali) e poi le multe e perse di significato il Capitolo 20 della Magna Carta. Entrò quindi in vigore l’articolo 10 della dichiarazione dei diritti inglese, al fine di richiedere la proporzionalità tra sanzione comminata e condotta posta in essere.

Vedi M. S. ROMANO, Danni punitivi ed eccesso di deterrenza: gli (incerti) argini costituzionali, op. cit.

19 US Supreme Court, BMW Of North America Inc. V. Gore, 517 U.S. 559 La controversia verteva sulla truffa subita da un automobilista, il quale citava in giudizio la casa automobilistica per aver venduto una vettura riverniciata come nuova. La Giuria, nella decisione sul fatto, aveva tenuto in considerazione la reiterazione della condotta da parte del danneggiante.

20 In alcuni casi è stata prevista l’attribuzione di una quota ad agenzie nazionali preposte all’assolvimento di funzioni assistenziali. Si sostiene che la diffusione dei danni punitivi nell’ordinamento americano sia riconducibile alla presenza della giuria e all’elemento soggettivo. Nello specifico l’autore dell’illecito deve avere agito almeno con colpa grave. Inoltre una volta acclarata l’esistenza dei presupposti per opera dell’autorità giudiziaria, spetta alla giuria (la cui discrezionalità è stata ampiamente criticata) stabilire il quantum. In ogni caso è ormai consolidato l’orientamento della Suprema Corte degli Stati Uniti che reputa incostituzionali i danni punitivi largamente eccessivi, ossia sproporzionati rispetto alla condotta.

M. SCHIRRIPA., I danni punitivi nel panorama internazionale e nella situazione italiana: verso il loro riconoscimento?, in www.comparazionedirittocivile.it, marzo 2017

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Con specifico riferimento al grado di riprovevolezza della condotta la Corte ha individuato cinque parametri di valutazione da seguire: l’aver causato un danno alla persona e non sono al patrimonio, l’aver dimostrato indifferenza verso la posizione soggettiva altrui, le condizioni economiche della vittima, la reiterazione della condotta, l’aver agito con dolo o inganno.

Nel caso “State Farm Mutual Automobile Insurance Co. V.

Campbell” del 2003 la Corte ha poi precisato che i danni punitivi non possono essere superiori ad un decimo del danno compensativo, così fissando un tetto massimo per la giuria.

Merita inoltre di essere menzionata la pronuncia resa nel caso

“Philip Morris USA V. Williams” nella quale la Suprema Corte ha affermato che la quantificazione dei danni punitivi deve avvenire alla stregua di criteri oggettivi, al fine di evitare forme di politica redistributiva o condizionamenti emotivi da parte delle giurie. Il parametro preso in considerazione è stato il XIV Emendamento e in particolare si è evidenziato il divieto di punire il convenuto, imponendogli di pagare una pena anche per chi non è parte del processo. La Corte ha escluso che il danneggiante possa essere condannato a pagare una somma calcolata applicando un moltiplicatore in relazione al numero di potenziali vittime dell’illecito.

Si segnala che una parte della dottrina si è soffermata sulla esigenza di escludere i danni punitivi comminati alla luce della legge sostanziale di un altro Stato, allorché agli stessi sia riconosciuta natura penale. È richiamato il caso “Loucks v. Standard Oil Co. of New York”, nel quale è riconosciuta la natura penale quando la sanzione è devoluta allo Stato, nell’interesse della collettività, essendo l’obiettivo la vendetta sociale e non la compensazione della vittima. Se i danni

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punitivi assumono le sembianze di una sanzione penale si esclude la possibilità di applicazione secondo la legge sostanziale di altro Stato, diversamente da quanto accade se agli stessi si riconosce natura civilistica. L’impostazione espressa nel suddetto precedente non sembra, tuttavia, porsi in linea di continuità con la concezione dei danni punitivi espressa nel caso “Cooper” (2001) allorché sono stati considerati come “quasi penali” a fronte della loro attitudine a sanzionare e a fungere da deterrente.21

Quanto premesso consente di considerare che i danni punitivi, ancorché espressamente previsti, tendono ad essere ridimensionati nel loro ammontare, invocando esigenze di proporzionalità ed al fine di evitare che un eccesso di “emotività” delle giurie possa divenire sistemico e incidere negativamente anche sull’attività di impresa.

Naturalmente non possono essere trascurate le differenze ontologiche tra gli ordinamenti di common law e quelli di civil law, ma un minimo comun denominatore può essere individuato nelle funzioni sanzionatoria e deterrente assolte dai danni punitivi, siano essi espressamente tipizzati, ovvero applicati dalle giurie. Inoltre, un punto fermo sembra essere altresì il necessario rispetto del principio di proporzionalità volto a frenare la comminazione di risarcimenti

21 Di fronte alla c.d. “eccezione penale” sono state proposte tre soluzioni. In primo luogo, considerando che quasi tutti gli Stati contemplano i danni punitivi negli Stati Uniti, si può rimanere indifferenti al tema della applicazione degli stessi secondo la legge di uno stato diverso. Le corti potrebbero aggirare il problema della natura penalistica dividendo i temi e applicando agli stessi leggi diverse. Applicando la propria normativa al tema dei danni punitivi si supera il problema della natura penalistica. Si parla in questo caso di “dépecage”. Tale soluzione tende solo ad aggirare il problema senza risolverlo. La seconda soluzione potrebbe essere applicare la legge più favorevole al reo. Detto approccio risulta più difficilmente sostenibile in linea di principio. Infine, l’ultima opzione è escludere l’applicazione dei danni punitivi comminati secondo una legge sostanziale di altro stato.

P. A. HOVERSTEN, Punishment but Not a Penalty? Punitive Damages Are Impermissible Under Foreign Substantive Law, op. cit., pp. 759 ss.

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esorbitanti.22 Rileva, in ogni caso, il contesto nel quale tale rimedio ha attecchito, ossia un sistema giuridico che affida al precedente giurisprudenziale anche una funzione normativa e pertanto il rimedio risponde altresì ad una ratio di redistribuzione sociale.

1.1.2 I danni punitivi nelle tradizioni di civil law: il caso di Germania, Francia e Spagna

In Europa si registra un’evoluzione favorevole alla ammissibilità della funzione sanzionatoria della responsabilità civile.

In Francia, sia in ambito contrattuale, sia in ambito extracontrattuale, domina il principio della integrale riparazione, secondo il quale occorre avere riguardo unicamente al danno subito dal danneggiato. Tale principio non ha un referente normativo all’interno del codice civile francese e pertanto il fondamento è di natura pretoria, ma la giurisprudenza della Cour de cassaction vi si attiene, censurando quelle pronunce in cui il calcolo sia avvenuto sulla base di criteri diversi. Giova considerare che l’integrale riparazione preclude la possibilità che si riconoscano risarcimenti sanzionatori mediante i quali il danneggiato ottiene oltre al risarcimento compensativo una somma a titolo di sanzione, nonché risarcimenti restitutori, attraverso i quali il danneggiante deve restituire il profitto illecitamente realizzato

22 È stato osservato che tra i fattori che hanno portato alla esclusione dei danni punitivi nelle tradizioni giuridiche di civil law rientra sicuramente la funzione unicamente compensativa della responsabilità. L’idea che la responsabilità possa svolgere una funzione sanzionatoria ulteriore rispetto a quella tipicamente riparatoria è parte del dibattito in corso tra le diverse tradizioni giuridiche continentali. Un altro fattore può essere rinvenuto nella rigida bipartizione tra diritto pubblico e diritto privato. Il terzo argomento è poi il ruolo rivestito dalle autorità pubbliche.

Nell’ordinamento americano non mancano ipotesi di giustizia privata, totalmente assenti negli ordinamenti di civil law. Esistono poi alcuni meccanismi procedurali che facilitano le controversie (class action, ecc.)

R. C. MEURKENS, Punitive Damages, Kluwer 2014, pp. 204-206

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mediante la condotta. Il compito di sanzionare è affidato al diritto penale o ad alcuni rimedi civilistici inquadrabili nell’ambito delle pene private - come ad esempio le astreintes -. È stato osservato che nonostante tale apparente chiarezza, esistono diverse fattispecie che mettono in discussione tale dicotomia. In particolare, si richiamano le ipotesi in cui la quantificazione è disancorata dal pregiudizio subito: i danni moratori, le ipotesi di liquidazione forfettaria, ecc.. Si richiama poi il codice della proprietà intellettuale francese ai sensi del quale l’autore della contraffazione sarà tenuto al pagamento di una somma che tiene conto del profitto illecitamente realizzato. Ciò rende il dibattito sulla ammissibilità dei danni punitivi ancora attuale. Con una importante pronuncia resa nel 2010 la Cour de Cassation ha ammesso la delibazione di una sentenza straniera con la quale venivano comminati danni punitivi, escludendo il contrasto con l’ordine pubblico internazionale. È stato sostenuto che il principio della integrale riparazione non rileva ai fini dell’ordine pubblico internazionale. Il limite individuato dalla Corte è la sproporzione del risarcimento liquidato avuto riguardo all’inadempimento contrattuale e al pregiudizio recato.23 Al riguardo, è stato osservato che il parametro del pregiudizio subito rischia di snaturare la natura punitiva del risarcimento. L’ordinamento francese sembra in ogni caso essere distante dalla possibilità di accordare risarcimenti con funzione punitiva. A fronte di chi sostiene l’incompatibilità con l’ordine pubblico internazionale, la Cour de Cassation nel 201024 ha dimostrato una maggiore apertura, subordinando la delibazione di una sentenza

23 G.C. CLOAREC, Lo stato dell’arte del risarcimento punitivo nel diritto francese, in Contratto e impresa/Europa 2017, pp. 12-27

È stato correttamente osservato che, a differenza della giurisprudenza italiana, non si richiede la tipicità nell’ordinamento di provenienza.

24 Cour de Cassation, 1/12/2010 n. 90-13303

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americana che comminava danni punitivi, al principio di proporzionalità.25

La questione in ordine alla ammissibilità si inserisce in un contesto normativo nel quale non è “un’intrusa” la funzione sanzionatoria e deterrente della responsabilità civile.26 Si richiama non soltanto la clausola penale, ma anche l’istituto dell’astreinte, forma di coercizione indiretta contemplata anche nel nostro ordinamento. Ne consegue che il dibattito lungi dell’essere sopito. Un progetto di riforma della responsabilità civile ha proposto invece l’applicazione generalizzata dell’amende civile. Tale istituto esiste già in materia di intese restrittive della concorrenza e consente al giudice civile di condannare l’autore della violazione alla restituzione del profitto illecito moltiplicato per un dato coefficiente. Il presupposto è la sussistenza di una condotta lucrativa e deliberativa e l’ambito di operatività è circoscritto alla responsabilità extracontrattuale. La somma è devoluta al Tesoro ed è previsto un tetto massimo allorché sia rivolta alle persone giuridiche. Tale soluzione appare un compromesso volto a risolvere il problema delle inefficienze dei risarcimenti unicamente compensativi.27

25 M. SCHIRRIPA, I danni punitivi nel panorama internazionale e nella situazione italiana: verso il loro riconoscimento?, op. cit.

26 Merita, inoltre, di essere menzionato il progetto di riforma “Avant-Projet du réforme du droit des obligations” proposto dal Professor Catala al fine di riformare il diritto delle obbligazioni (contrattuali ed extracontrattuali). Si tratta di una proposta legislativa che non è divenuta legge, ma che ha contribuito ad alimentare il dibattito relativo alla funzione sanzionatoria della responsabilità civile. Nel contesto della proposta di modifica dell’articolo 1371 del Code Civil il giudice può condannare l’autore della condotta illecita al pagamento di una somma di denaro a titolo di danno punitivo, da devolvere al tesoro e ben distinto dalla componente compensativa riconosciuta alla vittima. Tale somma non è assicurabile. Il presupposto di operatività è la sussistenza di una condotta lucrativa.

R. C. MEURKENS,Punitive Damages, Wolters Kluwer, 2014, pp. 322 ss.

27 La suddetta generalizzazione è stata oggetto di critica, in considerazione dello scontro con il principio di tipicità. Inoltre sorgono problemi di coordinamento con le sanzioni penali e con quelle amministrative eventualmente comminate per la medesima pronuncia. Appaiono poi estranee al diritto civile le categorie della finalità

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Anche l’esperienza tedesca sembra mostrare un’oscillazione tra coloro che si dimostrano aperti al riconoscimento di una funzione sanzionatoria alla responsabilità extracontrattuale e coloro che al contrario manifestano ritrosia. L’ostacolo è sempre stato la contrarietà con l’ordine pubblico e con il divieto di arricchimento ingiustificato del danneggiato. Celebre è stato il caso in cui nel 1992 la Corte tedesca ha escluso la delibazione di una pronuncia americana che comminava i danni punitivi, ritenendola contrastante con l’ordine pubblico, essendo il sistema della responsabilità civile ispirato alla riparazione e non all’arricchimento del danneggiato. Secondo la giurisprudenza, la prerogativa punitiva è dello Stato e non anche dei cittadini privati. Si invocano altresì il principio di proporzionalità, applicabile nel settore civile e in quello penale, nonché il principio di eguaglianza a fronte delle disparità di trattamento fra creditori tedeschi, ai quali non si riconosce il risarcimento ultra-compensativo e creditori stranieri.28 Si evidenzia, tuttavia, che dinanzi la necessità di tutelare vittime di discriminazione, violazioni dei diritti della persona o delle norme in tema di proprietà intellettuale, la giurisprudenza ha dimostrato una maggiore apertura.29

In una pronuncia recente la giurisprudenza tedesca ha ammesso la delibazione di una condanna ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c.

italiano escludendo il contrasto con l’ordine pubblico sostanziale e processuale.30 Sul punto si osserva che non necessariamente l’articolo 96, comma 3, c.p.c. debba essere qualificato come danno punitivo e che,

lucrativa e di quella deliberativa, quest’ultima difficilmente individuabile per le persone giuridiche.

G.C. CLOAREC, Lo stato dell’arte del risarcimento punitivo nel diritto francese, op. cit.

28P. FAVA,La responsabilità civile, II ed., Giuffrè editore, 2018, p. 247

29F. BENATTI, Correggere e punire dalla law of torts all'inadempimento del contratto, Milano, Giuffrè Editore, 2008, p. 130

30 BGH, 22.06.2017 - IX ZB 61/16

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conseguentemente, la pronuncia tedesca non sembrerebbe scardinare i propri dogmi.

L’ordinamento spagnolo, al pari di quello italiano, è ispirato al principio della integrale riparazione del danno. Il risarcimento è concepito in funzione compensativa. Gli interpreti hanno affrontato il tema del trapianto dei danni punitivi, sia in occasione dell’esecuzione di sentenze straniere che li comminavano, sia attraverso il danno morale.

Esistono poi alcune forme mascherate in cui al danneggiato può essere attribuito un quantum ultra-compensativo. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’articolo 9.3 della Legge n. 1/1982 in materia di tutela dell’onore, il quale dispone un danno morale presunto, la cui quantificazione è connessa a parametri quali la gravità dell’offesa, la rilevanza del mezzo di diffusione, ecc..

Secondo parte della dottrina, la presunzione di danno morale assolve una finalità punitiva, potendo essere riconosciuto anche in assenza di un danno patrimoniale. La dottrina spagnola ha osservato che il danno morale cela un danno punitivo, sia sotto il profilo della sua quantificazione “arbitraria”, sia perché spesso consente di dare ingresso a forme di danni sostanzialmente punitivi.31

Tra le forme di danno punitivo mascherato è annoverato da alcuni autori l’indennizzo coercitivo di cui all’articolo 44 della Ley de Marcas (7 dicembre 2001, n. 17) che prevede un indennizzo da corrispondere per ogni giorno di violazione.

Le sentenze straniere che comminano danni punitivi potranno invece essere eseguite, sempre che non siano esorbitanti, per non

31 L. DÌEZ PICAZO, Derecho de danos, Civitas, Madrid, 1999, p. 324 richiamato da M. I. FELIU REI, La silenziosa “civilizaciòn” dei danni punitivi in Spagna, in Contratto e impresa/Europa, 2017

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incorrere nel contrasto con l’ordine pubblico internazionale spagnolo.32 Nel 2001 il Tribunale Supremo Spagnolo ha escluso il contrasto con l’ordine pubblico a condizione che sia rispettato il principio di proporzionalità..33

Sulla base di quanto premesso, sussistono due ordini di motivi principali che precludono l’ingresso dei danni punitivi negli ordinamenti continentali. Il primo è rappresentato dal contrasto con l’ordine pubblico, sull’assunto secondo il quale la responsabilità civile assolve una funzione compensativa. Il secondo, invece, è connesso all’esigenza di evitare quantificazioni arbitrarie e sproporzionate. Si osserva che i due ostacoli operano su piani diversi, ma interdipendenti:

il primo attiene la funzione assolta dal rimedio, il secondo le modalità di quantificazione. Il dogma della funzione sembra essere stato superato, ma rimane il tema della quantificazione. Si osserva altresì che in detti ordinamenti la sanzione è prerogativa dello Stato e difficilmente potrà trovare spazio un sistema che attribuisce all’autorità giudiziaria un eccessivo margine di discrezionalità.

1.1.3 I danni punitivi nel contesto euro-unitario

Nel contesto Euro-Unitario, il Regolamento 864/2007 dell’11 luglio 2007 in materia di obbligazioni extracontrattuali, esclude il risarcimento di danni “aventi carattere esemplare o punitivo di natura eccessiva”. Ad essere escluso è il quantum di natura eccessiva, sproporzionato e non quello punitivo in sé.

32M. I. FELIU REI,La silenziosa “civilizaciòn” dei danni punitivi in Spagna, in Contratto e impresa/Europa, 2017, p. 40

33P. FAVA,La responsabilità civile, op. cit., p. 248

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L’articolo 18 della Direttiva 2006/54 recita: “Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire, per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione fondata sul sesso, un indennizzo o una riparazione reali ed effettivi, da essi stessi stabiliti in modo tale da essere dissuasivi e proporzionati al danno subito. Tale indennizzo o riparazione non può avere un massimale stabilito a priori, fatti salvi i casi in cui il datore di lavoro può dimostrare che l'unico danno subito dall'aspirante a seguito di una discriminazione ai sensi della presente direttiva è costituito dal rifiuto di prendere in considerazione la sua domanda”.34 Secondo la Corte di Giustizia la norma deve essere interpretata nel senso che la violazione dei principi di pari opportunità tra uomini e donne in materia di occupazione deve essere sanzionata in modo da garantire un risarcimento che copra integralmente il danno. È rimesso agli Stati membri il compito di individuare rimedi sufficientemente dissuasivi, per tali intendendosi quelli adeguati, non necessariamente punitivi.35 La giurisprudenza comunitaria dimostra un atteggiamento tollerante nei confronti del risarcimento punitivo, ferma restando l’esclusione di automatismi tra integralità/effettività e sanzione, dal momento che il concetto di integralità del danno può risultare fuorviante.

In una recente pronuncia la Corte di Giustizia ha chiarito che la Direttiva 2004/48/CE non può essere interpretata come un divieto alla introduzione di danni punitivi per la violazione dei diritti di proprietà

34 Direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

35M. MANFRON, La riparazione dissuasiva non impone i danni punitivi (e nemmeno la deterrenza), in Danno e responsabilità, vol. 6, 2016, pp. 583-590

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industriale.36 In particolare, è affermata la compatibilità tra un’ipotesi di risarcimento multiplo e il Diritto dell’Unione. È stato evidenziato che la legislazione polacca, nel prevedere che in caso di violazione delle norme sulla proprietà intellettuale possa essere concesso un risarcimento pari al doppio di quanto spettante per l’utilizzo dello stesso, non si pone in contrasto con l’articolo 13 della Direttiva c.d.

Enforcement che, nel richiedere uno standard minimo di tutela non impedisce agli Stati di accordare una tutela rafforzata. Inoltre, secondo la Corte, l’inesistenza di un obbligo di introdurre risarcimenti punitivi, di cui al considerando 26 della Direttiva in esame, non deve essere interpretata come un divieto. È interessante notare che secondo la giurisprudenza europea la somma pari al doppio del presunto canone pagato per l’utilizzo del diritto leso non necessariamente assume una curva sanzionatoria, ben potendo essere inferiore rispetto a quanto spettante al danneggiato. Nel caso in cui invece sussista una evidente sproporzione tra il danno subito e l’eventuale risarcimento multiplo si può configurare una ipotesi di abuso del diritto.

Si segnala, inoltre, che il giudice rimettente chiede alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità tra il diritto europeo e il risarcimento forfettario e la Corte afferma che tale modalità di liquidazione è in linea con l’esigenza di evitare che difficoltà probatorie possano pregiudicare il danneggiato. Del resto, il danno forfettario è ontologicamente non esattamente proporzionale al danno concretamente subito.37

Ne consegue il riconoscimento di un discreto margine di discrezionalità agli Stati Membri sul punto, ferma restando l’esigenza di evitare forme di sproporzione.

36 Corte giustizia Unione Europea Sez. V, 25/01/2017, n. 367/15- Stowarzyszenie "Olawska Telewizja Kablowa" c. Stowarzyszenie Filmowców Polskich.

37 A. CHIABOTTO, Risarcimento del danno da contraffazione, in Giurisprudenza Italiana - Agosto/Settembre 2017, pp. 1873-1875

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1.2 L’evoluzione della funzione dell’articolo 2043 c.c.: dalla sanzione alla compensazione

L’analisi del tema dei danni punitivi nel nostro ordinamento presuppone una breve introduzione sulla funzione del rimedio aquiliano. 38

Nel codice del 1865 l’illecito civile era concepito come un surrogato di quello penale e ne mutuava la funzione sanzionatoria, nonché le regole di accertamento dell’elemento soggettivo, dell’imputabilità e del nesso di causalità.39 Si valutava l’ingiustizia del

“fatto” doloso o colposo e la fonte dell’obbligo risarcitorio era la lesione di un diritto tutelato erga omnes da norme primarie. I corollari di questa impostazione erano due: la tipicità dei danni risarcibili, l’applicazione delle regole penalistiche di accertamento degli elementi costitutivi dell’illecito (stante la medesima funzione assolta).40

Con il codice del 1942 e con la successiva evoluzione giurisprudenziale muta la prospettiva.41 L’articolo 2043 c.c. punisce

38 A ben vedere l’istituto tanto controverso non era estraneo al diritto romano.

La Lex Aquilia conteneva invero tre capi: il primo dedicato al delitto di uccisione dello schiavo altrui, punito con il pagamento di una somma corrispondente al massimo valore del servo, stimato nell’ultimo anno; il secondo riferito al danno cagionato dall’adstipulator, creditore sopravvenuto; il terzo capo relativo invece al delitto di ferimento del servo altrui, o di danneggiamento di cosa altrui, condannato al pagamento del massimo valore conseguito nei trenta giorni precedenti il fatto illecito.

Orbene nel primo e nel terzo caso, si duplicava l’ammontare complessivo del risarcimento dovuto allorché il convenuto, nell’esercizio del suo diritto di difesa, contestando il fatto, avesse costretto l’attore a fornire la relativa prova.

39 Ai sensi dell’articolo 1151, R.D. 25 giugno 1865, n. 2358: “Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è

avvenuto a risarcire il danno”.

40 G. CHINE’, A. ZOPPINI, M. FRATINI,Manuale di diritto civile, I manuali superiori diretti da Guido Alpa e Roberto Garofoli, V ed., Nel diritto editore, 2015, p. 2040

41Nella relazione di accompagnamento al Codice Civile si legge espressamente, nella sezione dedicata ai fatti illeciti, che fonte di responsabilità sono quei comportamenti dell’uomo, nel rapporto con altre persone o cose, contrastanti con

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qualunque fatto doloso o colposo che arreca ad altri un danno ingiusto.

L’ingiustizia non è più parametrata sul fatto, ma sul danno e non rileva la qualificazione giuridica della posizione soggettiva compromessa, essendo la tutela risarcitoria ammessa in presenza della lesione di un qualunque interesse giuridicamente rilevante. Entra in gioco la prospettiva vittimologica volta a traslare il costo economico dell’illecito e non più a neutralizzare la condotta.42

Tra le principali pronunce che hanno favorito il superamento della rigida tipicità dell’illecito civile, possono essere menzionate la sentenza “Meroni”43 che ha ammesso il risarcimento nel caso di lesione dei diritti di credito e successivamente la sentenza 500/99 che ha esteso la tutela aquiliana agli interessi legittimi. Secondo le Sezioni Unite l’articolo 2043 c.c. è una clausola generale che riconosce al danneggiato la possibilità di richiedere il risarcimento di qualunque fatto non iure, lesivo di interessi giuridicamente rilevanti.44 La norma ha natura

il principio generale che impone ai singoli di non cagionare danni agli altri. Affinché sorga tale responsabilità è necessario che sussista un danno ingiusto che sia conseguenza del fatto doloso o colposo. Si precisa quindi che la condotta attiva o omissiva deve essere imputabile, dolosa o colposa, e deve essere posta in essere in violazione della sfera giuridica altrui.

42 Parte della dottrina analizza il principio della integrale riparazione e la funzione riparatoria della responsabilità civile. Evidenzia, in particolare, che alla funzione riparatoria si sovrappongono (o coesistono con essa) la funzione deterrente, la funzione sanzionatoria, la funzione di riequilibrio patrimoniale (presente nella retroversione degli utili). Diverse sono le applicazioni pratiche connesse alla suddetta polifunzionalità della responsabilità civile. In particolare si richiama la disciplina sul ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, la legge sul diritto d’autore, la responsabilità processuale aggravata e, in generale, tutti i casi in cui possono essere rintracciate funzioni ulteriori rispetto a quella meramente compensativa.

V. CARBONE, F. CARINGELLA,I principi del diritto civile, Dike Giuridica Editrice, 2016, pp. 114 ss.

43 Cass., Sez. Un., sentenza 26 gennaio 1971, n. 174

44Cass., Sez. Un., sentenza 22 luglio 1999, n. 500: “La normativa sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioè, inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., non è possibile individuare in via preventiva gli interessi

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