Introduzione.
“litteras architectum scire oportet, uti commentariis memoriam firmiorem efficere possit.” ─ Vitruvio, De Architectura, I, I, 4.
1. Trasformare la “Sylva” caotica in un giardino geometrico: gli spazi architettonici come metafora di un ordinato sapere.
Nel mondo occidentale la seconda metà del XVI secolo corrisponde alla fase più critica di transizione verso la civiltà moderna. Sono anni in cui si assiste ad una trasformazione radicale dell’ambiente artistico e del clima intellettuale, conseguenza anche dell’impatto prodotto da eventi rivoluzionari del secolo precedente quali la rivalutazione critica della cultura classica, la scoperta del Nuovo Mondo e l’invenzione dei caratteri mobili nella stampa.
Questo periodo fu anche decisivo per l’evoluzione della scienza occidentale. In molti paesi europei sorsero infatti accademie, biblioteche, laboratori, orti botanici e teatri anatomici, ovvero istituzioni dinamiche e creative che consolidarono, insieme alle più tradizionali università, le basi della scienza moderna approfondendo in modo sistematico numerose scoperte.
D’altro canto in questo periodo si impose l’esigenza di compiere un’opera di compilazione e riassunto del sapere esistente. Nel Cinquecento infatti vennero intrapresi vari ed enormi progetti enciclopedici, che assunsero spesso la forma di libri e di collezioni. Con essi si intendeva costruire una vasta e solida architettura delle conoscenze acquisite, capace di presentare e armonizzare tutto lo scibile dal mondo antico all’età contemporanea. Contestualmente con queste straordinarie imprese editoriali e collezionistiche fiorirono diverse correnti di pensiero come il neoplatonismo, l’ermetismo, il lullismo e la cabala che definiscono uomo come un microcosmo, capace di comprendere e riassumere la totalità del macrocosmo.
Nella ricerca cinquecentesca di schemi e modelli che permettessero di inquadrare l’ingente mole di nozioni del mondo classico e di quello moderno notevole interesse presenta, dal nostro punto di vista, l’importanza del ruolo delle metafore dell’architettura o, più generale, degli spazi fisici. Nell’ambiente pansofico-enciclopedico del Cinque e Seicento gli intellettuali provarono, dunque, a costruire, in modo metaforico, una grande architettura del mondo capace di offrire un inventario esauriente e coerente dell’universo e della società umana, realizzando
un’armoniosa compenetrazione delle varie discipline.
Il topos più diffuso e suggestivo a questo riguardo è offerto dal paragone dell’accumulazione disordinata del sapere con una “sylva” caotica e impenetrabile. Le conoscenze perfettamente controllate e organizzate, invece, sono spesso rappresentate tramite l’immagine del giardino geometrico “perfettamente squadrato nelle sue aiuole e
nelle sue siepi, percorso da viali e da piani sentieri”1. Per citare solo un esempio, oltre
alle famose opere di Angelo Poliziano (1454-94) e di Francesco Bacone (1561-1626)
nei cui titoli ricorre il termine “sylva”2, il francescano Francesco Panigarola (1548-94),
nel suo trattato sul Modo di comporre una predica (Venezia, 1603), contrappone i fogli di lavoro, la “selva o bosco” dove viene raccolto il materiale necessario, alla predica
completata nella sua stesura definitiava, vista come un “giardino” ben compartimentato3.
Queste metafore denunciano che un semplice cumulo di informazioni non solo è inutile per l’attività intellettuale, ma può addirittura essere dannoso in quanto potremmo smarrirci nella “selva oscura” composta dalla mescolanza delle notizie eterogenee. Al contrario l’ordine degli spazi architettonici ben corrisponde ad una chiara strutturazione delle abitudini mentali di intelletti illuminati.
Come Mary Carruthers ha dimostrato a proposito della cultura monastica del Medioevo, per produrre pensieri creativi è indispensabile costruire un efficace schema cognitivo, ossia una memoria “ad accesso casuale”, che consente di accedere in modo
immediato a qualsiasi elemento conservato nell’inventario mentale4. È assai interessante
dal nostro punto di vista il riferimento di tale schema alle costruzioni bibliche, quali l’arca, il tempio e il giardino. All’interno dei già menzionati edifici mentali gli elementi dell’informazione si incrociano attraverso una rete di rimandi reciproci, cosicché risulta un insieme organico delle nozioni strettamente associate. L’affermazione della Carruthers, altrettanto valida anche se riferita al periodo da noi preso in considerazione, potrebbe essere ancora più suggestiva se si considera il rivoluzionario sviluppo dell’architettura rinascimentale.
1
C. Vasoli, Profezia e ragione. Studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Morano, Napoli, 1974, p. 619. Su questo topos si veda anche W. J. Ong, Ramus: Method, and the Decay
of Dialogue: From the Art of Discourse to the Art of Reason, Harvard University Press,
Cambridge (Mass), 1958, pp. 118-119.
2
Le Sylvae di Poliziano riuniscono le opere poetiche Manto (1482), Rusticus (1483), Ambra (1485) e la storia della poesia attraverso i secoli dei Nutricia (1486). Cfr. A. Poliziano, Sylvae, Olschki, Firenze, 1997. La Sylva sylvarum di Bacone, pubblicata postuma, è invece una raccolta di storia naturale e descrizioni di esperimenti.
3
Cfr. L. Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età della
stampa, Einaudi, Torino, 1995, pp. 76-77.
4
M. Carruthers, The Craft of Thought. Meditation, Rhetoric, and the Making of Images,
400-1200, Cambridge University Press, Cambridge, 1998, trad. it. di L. Iseppi, Pisa, 2006, p.
Come è noto, in questo periodo storico l’ispirazione al passato, unita all’invenzione di nuove regole prospettiche, portò all’ideazione e alla costruzione di una serie di splendidi palazzi, teatri, piazze e giardini difficilmente concepibili nella città medievale. Ciò equivale a dire che gli articolati e ordinati modelli mentali, che soddisfano i requisiti necessari alla formazione di uno schema cognitivo ideale, si arricchiscono improvvisamente alla luce di numerosi esempi concreti. Non possiamo non aspettarci, allora, anche un profondo mutamento nella forma della struttura architettonica della mente.
2. L’architettura della mente: costruire gli splendidi edifici della memoria.
Da quanto fin qui è stato detto, ritengo sia dunque possibile stabilire uno stretto rapporto tra le metafore degli spazi architettonici utilizzate nel mondo intellettuale agli albori dell’era moderna e il processo simultaneo di “riintellettualizzazione” dell’architettura, un’arte fortemente ancorata alle ricerche umanistiche. Tuttavia, a mio avviso, questo rapporto non è stato ancora sufficientemente evidenziato, benché l’architettura, definita già da Vitruvio disciplina “enciclopedica”, costituisca un terreno d’indagine assai fertile anche per l’analisi della così detta “storia intellettuale”.
Questa ricerca non ha dunque intenzione di analizzare esclusivamente lo sviluppo storico di forme e stili architettonici, ma piuttosto quello di individuare i rapporti reciproci e creativi tra idea e spazio, focalizzando l’attenzione su conoscenze scientifiche e pensieri filosofici che si riflettono nelle forme concrete degli edifici sia mentali che fisici. In altre parole, si cercherà di esaminare come vennero rappresentate le varie discipline e le conoscenze dell’epoca negli spazi architettonici coevi e per rivelare quale influenza abbiano avuto questi modi di rappresentare il sapere sulle reali costruzioni architettoniche. Attraverso questo approccio, vorrei suggerire l’esistenza di altri principi, non presi in esami dagli storici odierni, per la composizione spaziale, al di là dei criteri funzionali e di quelli estetici dell’architettura classica.
L’aspetto speculativo fortemente dipendente dalle capacità intellettive di chi progetta un edificio è ben sottolineato già nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti (1404-1472), primo trattato dell’architettura dell’età rinascimentale. In quest’opera l’umanista e l’architetto affronta, infatti, il problema del “progetto mentale”,
con cui è possibile “integras formas praescribere animo et mente seclusa omni materia”5.
5
Quest’idea svolse un ruolo cruciale nel processo di riconoscimento dell’architettura come arte liberale. Al trattato albertiano segue quello di Antonio Averulino Filarete (1400 ca-1460 ca) che sostenne che ogni progetto edilizio dovesse essere concepito
nella mente dell’architetto prima della sua realizzazione nel mondo fisico6. Vincenzo
Scamozzi (1552-1616), forse parzialmente influenzato anche dal pensiero di Giordano Bruno (1548-1600), definì invece l’architetto come un intellettuale che ben conosce i meccanismi dell’immaginazione e affermò che il disegno per un edificio doveva essere concepito come una immagine mentale basata sulle conoscenze dell’arte liberale
inventariate nella memoria dell’architetto7.
Ritengo che questo sviluppo intellettuale dell’architettura rinascimentale, alla base di quel processo che concepì l’idea moderna dell’architetto professionista separato dal lavoro manuale, possa essere valutato da un nuovo punto di vista, se inserito in un contesto culturale più ampio in cui l’architettura contribuiva all’ordinamento della struttura mentale. Come suggeriscono le tesi brevemente sopraccitate, in particolare quella di Scamozzi, l’edificio realizzato altro non è che il ricordo di una composizione mentale basata sul materiale immagazzinato nella memoria di chi lo progetta. Così l’edificio può essere usato anche come una macchina per il pensiero, ossia una machina
memorialis, in quanto ogni sua singola parte è in grado di fungere anche da contenitore
della memoria.
Nella cultura occidentale esisteva un’arte antica che sfruttò proprio quest’aspetto “cognitivo” dell’architettura per favorire il processo di memorizzazione. Si tratta dell’arte della memoria locale oppure “architettonica” che costituirà il filo conduttore della nostra indagine. Concepita nel mondo antico come semplice tecnica da usare nella stesura delle orazioni e delle prediche, la mnemotecnica conosce il momento di massimo splendore, per una specie di paradosso, proprio nel Cinquecento, l’età che vide l’affermarsi della stampa. In parallelo alla sua grande diffusione come strumento che può essere impiegato con fini pratici per gli scopi più diversi, l’arte della memoria, sovracaricandosi di ricchi significati metafisici, divenne anche una parte di una complessa indagine mirata a riformare l’ordine architettonico tradizionale del sapere e
lib. I, cap. 2, p. 21. Sull’importanza di questo brano nella “metafisicizzazione” dell’architettura rinascimentale, si veda R. Perugini, “Gli Elementi di Euclide. Tra scienza, filosofia ed
architettura”, in W. Tega (a cura di), Le origini della modernità (I). Linguaggi e saperi tra XV e
XVI secolo, Olschki, Firenze, 1998, pp. 103-121, in particolare p. 107.
6
Cfr. L. Giordano, “On Filarete’s Libro Architettonico”, in V. Hart e P. Hicks (a cura di), Paper
Palaces: The Rise of the Renaissance Architectural Treatise, Yale University Press, New
Haven-London, 1998, pp. 51-65.
7
Cfr. M. Frascari, “The Mirror Theatre of Vincenzo Scamozzi”, in V. Hart e P. Hicks (a cura di),
ad assicurare un accesso rapido alla verità universale. Ciò che rese possibile tale sviluppo è, come si esaminerà più in dettaglio nel primo capitolo, il sistema stesso della mnemotecnica che consiste in luoghi mentali, immagini e ordine.
Per fabbricare un solido inquadramento strutturale finalizzato
all’immagazzinamento delle informazioni nella memoria, la mnemotecnica cinquecentesca impiegò dunque come loci mnemonici gli edifici coevi quali palazzi sontuosi, anfiteatri e piazze porticate. Si tratta di costruzioni caratterizzate dall’articolazione ben ordinata degli spazi, condizione basilare per agevolare l’atto mnemonico. In altre parole gli spazi architettonici rinascimentali non solo offrivano le metafore letterarie per l’organizzazione della conoscenza (ad esempio il giardino del sapere ed il tempio dell’armonia), ma fungevano anche da efficace strumento cognitivo, capace di ordinare le svariate nozioni. Come Lina Bolzoni ha affermato, “l’arte della memoria ha insegnato a plasmare la propria mente, a scandirla entro spazi ordinati, a
costruirvi elaborate architetture interiori”8.
Chi pratica l’arte della memoria percorre idealmente gli edifici o le strade “virtuali” per ritrovare le immagini mnemoniche ivi collocate che consentono di restituire, a distanza di tempo, i significati o le parole ad esse affidati. Questo sistema mnemonico, basato sull’interazione inscindibile tra le parole, le immagini e gli spazi, suggerisce che la mente umana venga percepita come qualcosa che ha una dimensione
spaziale e che i processi intellettuali vengano assimilati ad un percorso fisico9. Da ciò
deriva, a mio avviso, la possibilità di estremo interesse di prolungare il meccanismo mentale nel mondo fisico e di proiettare le immagini mnemoniche in strutture materializzate. Non c’è nessuna ragione per cui i raffinati edifici mentali meticolosamente costruiti a partire dalle strutture reali debbano rimanere racchiusi unicamente all’interno del mondo interiore.
3. Aprire una finestra sul cuore: proiezione della struttura mentale nel mondo fisico.
3.1. Rappresentare il sapere enciclopedico negli spazi fisici mnemonicamente costruiti.
8
L. Bolzoni, “Lo spettacolo della memoria”, in Id. (a cura di), Giulio Camillo, L’idea del
theatro, Sellerio, Palermo, 1991, pp. 9-34, in particolare p. 11.
9
Una metafora molto significativa a proposito della proiezione della struttura mentale nel mondo fisico viene offerta dal De Architectura di Vitruvio. Nel proemio al III libro l’architetto di Augusto, nell’apprezzare la straordinaria sapienza di Socrate, presenta l’immagine di una finestra aperta sul cuore, attraverso cui si possono vedere le vere opinioni e la natura della gente. Questa metafora ebbe una grande fortuna nel Cinquecento, tanto che ne apparvero variazioni sia negli Hieroglyphica di Pierio Valeriano che nella Iconologia di Cesare Ripa (fig. 1).
Ciò che riveste maggiore interesse per la nostra analisi è il fatto che Giulio Camillo Delminio (1480?-1544), autore del trattato mnemonico l’Idea del Theatro (Firenze, 1550), amava definire il suo teatro della memoria con questa metafora
vitruviana10. Ciò significa che questa invenzione mnemonica, articolata e ordinata sulla
base dell’anfiteatro vitruviano11, poi effettivamente realizzata in legno, può essere
considerata anche come una specie di proiezione fisica della memoria dell’ideatore stesso, attraverso la quale si può intravedere la sua struttura mentale. Per giunta, questo anfiteatro mnemonico risulta ancora più interessante se si considera che l’idea di “enciclopedia” rappresenta, come avremo modo di osservare più in dettaglio nel primo capitolo, la struttura unitaria del sapere ordinato che realizza l’insieme armonico delle discipline. Da ciò si può dedurre che nel teatro di Camillo si realizzava una complementarietà fra le forme architettoniche e il circolo delle conoscenze ivi rappresentato.
Per chiarire il rapporto tra enciclopedia, architettura e mnemotecnica ritengo però sia necessario rivolgere gli occhi anche ad altri spazi architettonici che, pur non avendo una chiara forma orbicolare, sono “mnemonicamente” costruiti, vale a dire che forniscono una struttura di supporto fisico ben articolata e ordinata, all’interno della quale viene rappresentato il circolo completo del sapere. In altre parole per esaminare le caratteristiche del sapere enciclopedico rappresentato negli spazi “mnemonicamente” costruiti, dobbiamo tenere in conto non solo l’apparente contorno degli edifici, ma anche i loro modi di composizione, collegamento e articolazione degli spazi interni. Si tratterebbe perciò di una grammatica architettonica “conoscitiva”, basata non solo sul criterio estetico e proporzionale dell’architettura classica ma anche sulla realizzazione della corrispondenza tra la struttura mentale e quella fisica.
10
Su questo cfr. C. Bologna, “Esercizi di memoria. Dal «Theatro della sapienza» di Giulio Camillo agli «Esercizi spirituali» di Ignazio di Loyola”, in L. Bolzoni e P. Corsi (a cura di), La
cultura della memoria, Mulino, Bologna, 1992, pp. 169-221, in particolare pp. 185-187; L.
Bolzoni, La stanza della memoria, cit., pp. 157-162.
11
Sull’influenza di Camillo sulla cultura architettonica del Cinquecento e soprattutto sul pensiero di Sebastiano Serlio si veda M. Carpo, Metodo ed ordini nella teoria architettonica dei
Sono proprio le già menzionate istituzioni scientifiche nate al Cinquecento quali i musei, gli orti botanici, i teatri anatomici a presentarsi come possibili spazi mnemonici. Queste nuove tipologie architettoniche sono esclusivamente dedicate al ricercare, raccogliere, classificare e mostrare l’ingente mole di sapere in spazi nettamente scanditi tramite la composizione degli ambienti e la sistemazione degli arredamenti. Per considerarne solo un esempio, l’orto botanico di Pisa fondato nel 1543, trasferito poi nel centro della città nel 1591, fungeva, insieme alla biblioteca, alla galleria e alla distilleria annesse all’orto, da grande strumento educativo che presentava un riepilogo visivo e
fisico dell’universo (fig. 2)12.
Da questo punto di vista, oltre agli esempi delle architetture scientifiche, sarebbe interessante riesaminare anche i meravigliosi e sontuosi giardini manieristici progettati da sapienti architetti quali Bernard Palissy (1510-1590), Bernardo Buontalenti (1523 ca -1608) (fig. 3) e Salomon de Caus (1576 ca -1626) (fig. 4), oggi perduti o profondamente modificati. In tali giardini abbondantemente ornati di minerali rari e popolati da piante ed animali esotici, venivano rappresentate, attraverso la combinazione di pitture, sculture, automi ed esempi di ars topiaria, svariate conoscenze che vanno dalla mitologia antica all’archeologia, dalla storia naturale all’idraulica e alla meccanica. In altre parole, i sovrani e gli architetti provarono a trasformare l’intero spazio del giardino in un inventario figurato dei vari generi, in modo tale da realizzare materialmente l’ordine enciclopedico del sapere, rendendo immediatamente percepibile dall’intelletto.
3.2. “Architettura cinetica”.
Dall’osservare, da un punto assoluto e privilegiato, tutto il sapere chiaramente classificato e comprensibilmente rappresentato negli spazi geometrici perfettamente controllati da regole prospettiche, deriva un eccezionale diletto. Negli spazi mnemonicamente costruiti la cesura tra mondo interiore ed esteriore diventa sempre più labile, finendo così per produrre un ambiente particolare in cui il percorrere da una stanza all’altra osservando le immagini o gli oggetti ivi collocati corrisponde al processo conoscitivo basato sul sistema dei luoghi-immagini utilizzato dagli intellettuali dell’epoca. Si tratta cioè dell’arte della memoria applicata all’architettura reale.
12
Sulla storia dell’orto botanico di Pisa si vedano F. Garbari, L. Tongiorgi Tomasi e A. Tosi,
Giardino dei semplici: l’orto botanico di Pisa dal XVI al XX secolo, Pacini, Pisa, 1991; Id., Giardino dei semplici: Garden of Simples, Edizioni Plus, Università di Pisa, Pisa, 2002; F.
Come gli esempi sopraccitati dimostrano, certe tipologie di spazi architettonici dell’epoca erano dunque in grado di offrire l’impalcatura di un edificio concettuale che abbraccia circolarmente o, per meglio dire, “enciclopedisticamente” tutto il sapere. A loro volta, tali spazi potevano offrire modelli mentali per gli intellettuali che si intendessero di mnemotecnica. Influenzandosi in modo reciproco, gli spazi mentali ed fisici finiscono per fondersi arrivando al punto di essere indistinguibili.
Occorre sottolineare che gli spazi architettonici prodotti attraverso la proiezione o la visualizzazione del meccanismo conoscitivo non dovrebbero essere né esclusivamente mentali né esclusivamente fisici, bensì sono il risultato della indissolubile fusione di entrambi i mondi. Le architetture “virtuali” della mnemotecnica sono intimamente legate a quelle reali, in quanto basate sulla realtà dell’esistente e del possibile. Viceversa la composizione degli spazi fisici mnemonicamente costruiti è ideata in modo che il movimento fisico riproduca il processo conoscitivo. Queste costruzioni, sia mentali che fisiche, presuppongono l’alternarsi degli spazi e il continuo spostamento del punto di vista dell’osservatore.
Ritengo sia possibile introdurre al proposito il nuovo concetto di “architettura
mobile” o “architettura cinetica”13, cioè uno spazio “dinamico”, differente sia
dall’architettura rinascimentale, basata su un’armoniosa composizione statica, sia da quella barocca che dà solo l’impressione di movimento attraverso lo studio della forma e degli effetti della luce. L’architettura cinetica costruisce invece uno spazio mobile, in cui mediante la sinergia dei cinque sensi, come consigliato dalla mnemotecnica, si realizza una successione di scene come in una sequenza cinematografica. Chi pratica l’arte della memoria può plasmare a piacere i loci mentali architettonici e collocarvi qualunque immagine e poi cancellarla quando vuole. Chi invece percorre gli edifici mnemonicamente costruiti può proiettare, ispirandosi alla composizione delle stanze e agli ornamenti, le immagini mentali sugli spazi fisici, modificandone così la percezione. Per dipingere un quadro completo del mondo architettonico del Cinque e Seicento, ritengo sia necessario dunque considerare il concetto dell’“architettura mobile” presente nel pensiero degli intellettuali dell’epoca.
4. L’enciclopedismo architettonico: architettura come scientia scientiarum.
Per comprendere bene quanto fosse importante il ruolo dell’architettura come strumento mediatore tra spazi mentali e fisici, diamo un’occhiata, infine, ad una
13
corrente di pensiero che possiamo definire “enciclopedismo architettonico” che fiorì nel Cinque e Seicento.
Come si è già accennato, all’inizio del suo trattato, Vitruvio sottolineò chiaramente il carattere enciclopedico e pluridisciplinare dell’architettura:
“Architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, cuius iudicio
probantur ominia quae ab ceteris artibus perficiuntur opera.”14
Pertanto l’architetto romano non crede che “ci si possa a buon titolo professarsi architetti dall’oggi al domani, ma che possa dichiararsi tale soltanto chi fin dall’infanzia, percorrendo gradualmente il programma di studi, nutrito di un quanto più ampio sapere
letterario e tecnico, sia salito fino alla cima del tempio dell’architettura”15. Il programma
educativo dell’architetto ideale presentato da Vitruvio copre, infatti, una vasta gamma di conoscenze tra cui la letteratura, la pittura, la geometria, la storia, la musica, la medicina, la giurisprudenza e l’astronomia. Questo pensiero vitruviano, insieme agli analoghi programmi istruttivi per l’oratore perfetto proposti da Cicerone e da Quintiliano, ebbe
una grande influenza sull’enciclopedismo dell’età moderna16. A chi dubita sulla
possibilità di impadronirsi in tempi brevi di scienze così svariate, l’architetto romano risponde sottolineando la possibilità di trovare punti comuni e connessioni tra tutte le discipline. Leggiamo infatti:
“Encyclios enim disciplina uti corpus unum ex his membris est composita. Itaque qui a teneris aetatibus eruditionibus variis instruuntur, omnibus litteris agnoscunt easdem notas communicationemque omnium disciplinarum, et ea re facilius omnia
cognoscunt.”17
L’eccellenza e l’universalità dell’architettura descritte in questi brani furono ampliate nel processo dell’intellettualizzazione umanistica dell’architettura. Oltre all’esempio di Giorgio Vasari (1511-74) che considerò l’architettura come l’arte più
14
Vitruvio, De Architectura, I, I, 1.
15
“non puto posse se iuste repente profiteri architectos, nisi qui ab aetate puerili his gradibus disciplinarum scandendo scientia plerarumque litterarum et artium nutriti pervenerint ad summum templum architecturae.”, ibid. I, I, 11.
16
Sulla storia dell’idea dell’enciclopedia si veda il primo capitolo del presente studio.
17
“La cultura enciclopedica infatti è come un corpo unico costituito da queste membra. Ecco perché quanti fin dai teneri anni ricevono un’istruzione nei vari campi di sapere riconoscono i tratti comuni a tutto ciò che studiano e le relazioni reciproche fra tutte le discipline,e per questo apprendono tutto più facilmente”, ibid, I, I, 12.
universale ed utile e pertanto superiore alla pittura e alla scultura18, anche alcuni intellettuali e critici dell’arte la valutarono in sommo grado, collocandola sopra tutte le arti. Ad esempio il neoplatonista fiorentino Marsilio Ficino (1433-99) nel
Commentarium in Timaeum (1494) paragonò l’atto di progettare costruzioni con quello
della creazione divina, in quanto l’architetto applica principi matematici alla materia
informe per creare armonia19. Anche il matematico e alchimista inglese John Dee
(1527-1608) sottolineò in modo simile la predominanza dell’arte architettonica rispetto alle altre dal momento che essa si basa sulla matematica, “principessa” di tutte le
scienze20.
Tuttavia, come Annarita Angelini ha ben dimostrato, il vero promotore di questa interpretazione concettuale è il teorico Daniele Barbaro (1514-70) che considerò
l’architettura come un’arte capace di unificare tutto il sapere21. Nel suo commento al De
Architectura di Vitruvio (1556), infatti, l’umanista veneziano definì l’ars aedificatoria
come un’enciclopedia composta di principi generali applicabili a tutte le restanti discipline. Così l’architettura acquista giustamente, secondo Barbaro, il titolo “regina” del sapere in quanto occupa il centro dell’orbis scientiarum, posizione ideale per
mediare fra le diverse discipline, anziché il vertice della piramide22. Si noti che in
Barbaro l’ars aedificatoria si trasforma da scienza specialistica in strumento universale del sapere, capace di imporre ordine alle conoscenze e di offrire un modello intellettuale su cui proiettare l’immagine dell’universo.
Un concetto analogo a quello di Barbaro ricorre nel pensiero enciclopedico del Seicento: ad esempio Johann Heinrich Alsted (1588-1638), rappresentante del ramismo in Germania e maestro di Johann Amos Comenius (1592-1670), si propose
nella sua grande impresa editoriale Encyclopaedia (Herborn, 1630)23, la nozione
18
“Comincerommi dunque dall’Architettura, come dalla più universale e più necessaria ed utile agli uomini, ed al servizio e ornamento della quale sono l’altre due [scil. pittura e scultura]”, G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, a cura di G. Milanesi, G. C. Sansoni, Firenze, 1906, p. 104.
19
Su questo si veda G. L. Hersey, Pythagorean Palaces: Magic and the Architecture in the
Italian Renaissance, Cornell University Press, London, 1976, pp. 34-35.
20
Su questo si veda R. Perugini, “Gli Elementi di Euclide tra scienza, filosofia ed architettura”, in W. Tega (a cura di), Le origini della modernità (I), cit., pp. 103-121, in particolare pp. 118-119.
21
A. Angelini, “Architetti del sapere: il caso di Daniele Barbaro”, in W. Tega (a cura di), Le
origini della modernità (I), cit., pp. 123-152.
22
Ibid., p. 126.
23
J. H. Alsted, Encyclopaedia universa in quatuor tomos divisa, G. Corvin, Herborn, 1630 (ristampa anastatica con premessa di W. Schmidt-Biggerman e bibliografia di J. Jungmayer, Frommann-Holzboog, Stuttgart, 1989). Sull’enciclopedismo di Alsted rimando a H. Hotson,
Johann Heinrich Alsted, 1588-1638: Between Renaissance,Reformation, and Universal Reform,
vitruviana di enciclopedia. Lo studioso tedesco affermò che colui che possiede le fonti prime del sapere “de rebus omnibus, tamquam architectus, iudicare potest”, in quanto
conosce le dimensione universale di ogni cosa24. Così l’architettura si identifica con
l’idea dell’enciclopedia e l’architetto con l’enciclopedista.
La sovranità dell’architettura come principio reggente di tutte le arti era un concetto abbastanza diffuso anche al di fuori dell’enciclopedismo propriamente detto, tanto da venir espresso, ad esempio, da Tommaso Campanella (1568-1639) nel campo della poetica. Nel discorrere sulla natura e sul “dovere” della poesia l’autore presenta, infatti, l’affascinante idea dei “poeti architettonici”, ispirata alla tripartizione delle arti concepita da Platone nella Repubblica (X, 601). L’arte suprema “si dice architettonica” e il poeta architettonico è colui che intende “altamente e speculatamente il fine” e possiede buon giudizio, diversamente da coloro che imitano ciecamente le cose senza
“intendenza architettonica”25. In questa affermazione si può vedere un punto di arrivo
del processo umanistico di intellettualizzare l’ars aedificatoria.
Siamo ormai pronti per passare ad analizzare la grande cupola del sapere enciclopedico mnemonicamente costruita che si erigeva e “si muoveva” nella mente degli intellettuali tardocinquecenteschi. Si tratta della storia intellettuale dell’architettura o, per meglio dire, della storia meno conosciuta dell’architettura mentale che abbiamo definito cinetica.
5. Un grande itinerario mnemonico attraverso il giardino edenico, il teatro del mondo e la Città Celeste.
Come abbiamo rapidamente osservato, l’architettura, l’arte della memoria e l’enciclopedismo giocarono un ruolo signidicativo nel grande rinnovamento intellettuale agli albori della modernità. Tutti e tre ci insegnano, in un certo qual modo, come costruire efficaci schemi cognitivi che servono per pensare e costruire i concetti. Possiamo quindi considerarle come parti della grande scienza dei luoghi mentali, con cui avevano qualche attinenza anche tante altre scienze e discipline dell’epoca, tra cui la
24
J. H. Alsted, Encyclopaedia, cit., p. 53, citato in W. Tega, “Il prisma di Alsted. L’enciclopedia come sistema di sistemi”, in Id (a cura di), Le origini della modernità (II). Linguaggi e saperi
nel XVII secolo, Olschki, Firenze, 1999, pp. 101-131, in particolare p. 116.
25
Cfr. T. Campanella, Poetica [redazione italiana Giovanile], in Tutte le opere di Tommaso
Campanella, volume primo: scritti letterari, a cura di L. Firpo, Arnoldo Mondadori, Verona,
1954, pp. 319-322. Ringrazio la professoressa Lina Bolzoni per avermi segnalato l’opera di Campanella.
dialettica, la retorica, la teoria di loci communes, la “methodus” umanistica, la bibliografia e persino i generi letterari dell’emblema e dell’impresa. Tutte queste scienze, attraverso l’elaborazione delle dottrine riguardanti i vari concetti dei loci topici, mnemonici e bibliografici provarono, direttamente o di riflesso, a controllare e sistemare il sapere enciclopedico.
Nell’ambiente intellettuale della prima età moderna, caratterizzato da un’accentuata cultura visiva, pensiero e immagine si collegarono strettamente. Libri, opere d’arte, collezioni eclettiche e naturalistiche e costruzioni architettoniche offrivano modelli per gli schemi mentali, mentre la storia, la religione, l’archeologia, la letteratura, la mitologia ed altre discipline presentavano ricche fonti iconografiche per suggerire una visione più attraente del mondo fisico. In tale clima culturale incline a materializzare concetti e intellettualizzare la materia, l’arte visiva mutava di pari passo con il gusto coevo. Si pensi ad esempio alle illustrazioni naturalistiche dipinte da Iacopo Ligozzi (1547-1627) (fig. 5), talmente realistiche da poter essere utilizzate come
strumento per gli studi scientifici in quanto addirittura sostitutive del reperto naturale26.
Oppure, per ciatare brevemente altri esempi, si pensi alle pitture “enciclopediche” di Giuseppe Arcimboldi (1527-93) o alle opere “iper-realistiche” di Caravaggio (1571-1610), basate sullo studio della luce. Per comprendere profondamente le caratteristiche dell’arte chiamata in generale manieristica e prebarocca non è dunque sufficiente rivolgere gli occhi solo alla forma e allo stile, ma dobbiamo invece provare a districare il complesso intreccio dell’influenza del contesto intellettuale e culturale sull’arte, passare poi ad esaminare il colore e la qualità dei singoli fili di pensiero che componevano tale maglia e infine ricostruire di nuovo un grande tessuto intellettuale intrecciando accuratamente quei fili.
Per effettuare questo tipo di analisi, a mio avviso, l’importanza della feconda interazione tra parole, immagine e spazio non viene mai evidenziata a sufficienza. Per chiarire quanto l’architettura contribuisca all’organizzazione e alla produzione del sapere non dobbiamo limitarci unicamente ad una semplice indicazione sulla presenza di immagini o di parole negli spazi, ma abbiamo bisogno di evidenziare la natura di tali spazi “mobili”, prodotti dalla sinergia di elementi iconici e architettonici, e il modo in cui essi sono percepiti e utilizzati dalla gente che li percorre sia fisicamente che mentalmente.
Quasi in un viaggio ideale, partiamo ora per visitare alcune splendide architetture mnemonicamente costruite del tardo Cinquecento. Gli esempi che analizzeremo sono offerte da tre tipologie architettoniche usate spesso anche come luoghi mentali: il
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giardino, il teatro e la città. Ciò di cui ci occuperemo però non sono tanto gli edifici realizzati, bensì i progetti ideali costruiti da parole, i cui autori sono, per giunta, intellettuali e “virtuosi” che si intendevano di architettura piuttosto che architetti professionisti. Questi edifici presenti solo nei testi sono sostanzialmente rimasti abbastanza sconosciuti agli storici e ritengo che siano proprio questi esempi, collocati al di fuori del campo specialistico dell’ars aedificatoria, a far trasparire come in filigrana, aspetti sino ad oggi ignoti o poco analizzati, sebbene essi risultino molto interessanti e fertili. Desidero sottolineare che la mia analisi non vuole sostituirsi all’altro approccio, concentrato sull’indagine dello sviluppo stilistico nei vari secoli, ma offrirsi come una lettura complementare ed un arricchimento della storia dell’architettura cinquecentesca.
Il nostro itinerario inizia da un ameno giardino “edenico” ideato dal frate domenicano fiorentino Agostino Del Riccio (1541-98). Possessore di un forte gusto enciclopedico, il domenicano, verso la fine della sua vita, versò quasi precipitosamente la sua vasta erudizione in una serie di opere manoscritte che trattano di agraria, botanica, giardinaggio, mineralogia, idraulica, predicazione e mnemotecnica. In una di queste opere intitolata Agricoltura sperimentale (Firenze, 1595-98) egli ideò un sontuoso giardino per un re, ricco di animali e piante. Il primo capitolo del presente studio dunque sarà dedicato alla ricostruzione di questo affascinante progetto e all’analisi della sua struttura architettonica presumibilmente basata su precetti mnemonici.
In un grande bosco a forma di labirinto sono disposte ben trentadue grotte abbellite con ornamenti con temi enciclopedici, le cui iconografie sono illustrate in dettaglio dall’autore. A prima vista lo scritto delricciano sembra spiegare come costruire un magnifico giardino nel mondo reale. Tralasciando il problema se l’autore abbia agito consapevolmente o meno, l’idea di collocare svariate conoscenze nel bosco labirintico può fungere da metafora per indicare la confusione del sapere enciclopedico da
organizzare e classificare27.
Il secondo capitolo esamina il modo di rappresentare e trasmettere il sapere nelle grotte, soprattutto in rapporto con l’emblema e l’impresa, nel tentativo di chiarire come la “sylva” caotica possa trasformarsi in un giardino mnemonico del sapere.
Il terzo capitolo costituisce invece una digressione sullo sviluppo del giardino geometrico in Italia dopo Del Riccio. Vi vengono analizzati i progetti delle aiuole pubblicati nel De Florum Cultura (Roma, 1633), trattato di giardinaggio del gesuita Giovan Battista Ferrari (1583-1655). Attraverso l’esame della simbologia del cielo
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Ringrazio il professore Massimiliano Rossi che mi ha accennato l’aspetto “meta textuality” del giardino delricciano.
riflessa nelle forme stellari dei comapartimenti, si cercherà di dimostrare che il giardino geometrico racchiude un forte flusso verticale che mira alla Città Celeste, uno dei modelli favoriti come luogo mnemonico, e da essa ritorna verso la terra.
Prima di inalzarsi verso il cielo si dedicherà il quarto capitolo ad ammirare il grande teatro del mondo, progettato dal medico e bibliografo belga Samuel von Quiccheberg (1529-67), attivo alla corte bavarese. Si tratta di un museo enciclopedico a forma di anfiteatro descritto nelle Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi ... (München, 1565). Si tratta di un testo assai fertile in cui confluiscono varie discipline quali la dottrina dei loci communes, la “methodus” umanistica e la bibliografia, che costituiscono la grande scienza dei luoghi mentali. Attraverso la ricostruzione di questo museo ideale e l’analisi del modo di esibire gli oggetti raccolti si presenterà un esempio di proiezione della struttura mentale nel mondo fisico.
L’ultimo capitolo tratterà della Città Celeste quale è concepita dal frate domenicano fiorentino Cosma Rosselli nel Thesaurus artificiosae memoriae (Venezia, 1579). Si tratta di un trattato mnemonico che insegna come costruire una serie di loci
mnemonici che – sulla scia del poema dantesco – inizia dall’“orribile” Inferno e, dopo
aver attraversato il mondo fisico in cui è compreso anche il Paradiso “terreno”, perviene in fine alla Gerusalemme Celeste, permettendoci di ribadire e precisare gli argomenti già trattati nei capitoli precedenti. Attraverso l’analisi della struttura della Città Celeste e quella terrena presentate nel testo, si esaminerà il rapporto creativo tra l’urbanistica, l’arte della memoria e la dottrina dei loci communes.
Il nostro itinerario può essere paragonato alla storia salvifica delle Sacre Scritture che inizia dal giardino edenico e che attraversa poi il grande teatro del mondo per giungere alla Città Celeste, sposa dell’Agnello. A questo proposito è suggestivo notare, pur essendo una pura coincidenza, il fatto che quasi tutti i testi analizzati nel nostro studio sono composti da monaci o uomoni di chiesa. Anche l’unico autore laico, Quiccheberg, si intendeva approfonditamente di teologia, tanto che redasse alcune opere
teologiche28.
Coloro che progettano gli edifici contemporaneamente mentali e fisici, che “sostengono” e su cui viene rappresentato lo scibile, sono, per dirlo con la famosa metafora architettonica della Bibbia, veri e propri “architetti sapienti” che pongono le
fondamenta su cui altri possono costruire l’edificio di Dio29.
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Cfr. Il quarto capitolo.
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“Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.”,
Partiamo ora anche noi per visitare e ammirare le splendide architetture della sapienza progettate dagli eruditi come schemi cognitivi per il pensiero, ut sapiens
Fig. 1: Cesare Ripa, Iconologia, Lepido Faci, Roma, 1603: l’Amore verso Dio.
Fig. 2: C. Mogalli, Pianta dell’Orto botanico (M. Tilli, Catalogus Plantarum Horti
Fig. 3: Giusto Utens, Villa Medici, Pratolino, 1599, Firenze, Museo di Frenze com’era.
Fig. 5: Iacopo Ligozzi, Ramo di fico con uccelli, seconda metà del XVI secolo, Firenze, Galleria degli Uffizi.