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PARTE SECONDA I CASI DI GRANAIOLO, CEGGIA E CECINA

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PARTE SECONDA I CASI DI GRANAIOLO, CEGGIA E

CECINA

Come si è accennato nell'introduzione, la scelta di questi casi di studio è legata al fatto che i tre zuccherifici, tra i primi ad essere stati attivati in Italia, furono segnati da un comune destino. La loro chiusura definitiva, infatti, fu determinata da un'eccessiva produzione e dal conseguente processo di ristrutturazione e concentrazione produttiva, che le varie imprese saccarifere nazionali avviarono dopo l'istituzione del regime delle quote di produzione, imposto dalla Comunità Economica Europea.

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1. Lo zuccherificio di Granaiolo

Prima di introdurre la vicende dello zuccherificio di Granaiolo, ho ritenuto opportuno accennare ad alcune vicende politiche ed economiche che caratterizzarono la cittadina, in modo tale da contestualizzare meglio, prima lo sviluppo industriale, e dopo lo zuccherificio.

1.1. Castelfiorentino e la Valdelsa: cenni storici

Lo Zuccherificio sorge a Granaiolo una frazione del comune di Castelfiorentino.

Castelfiorentino è una cittadina della Val d'Elsa, che si sviluppa tra il piano e il colle, a metà strada tra Siena e Firenze. La Val d'Elsa confina ad est con la Val di Pesa, a sud con la Val di Cecina, ad ovest con la Val d'Era e a nord con la Val di Nievole. È un territorio molto vasto e assai variegato: pianeggiante lungo la riva sinistra dell'Arno e lungo l'Era (precisamente tra la foce e Certaldo), montuoso all'estremità opposta, dove dalla Montagnola Senese nasce il fiume Elsa e pressoché collinare il resto della superficie.

Come testimonia il noto medico e naturalista fiorentino, nonché assiduo viaggiatore, Giovanni Targioni Tozzetti365: “La Val d'Elsa è certamente una delle belle province della Toscana, e

attraversandola per la sua diagonale, lungo il tratto dell'Elsa, ch'è il corso della strada maestra o Via Regia, chiamata la Traversa, si trova tutta domestica, ben popolata e coltivata con gran diligenza, e perciò molto fertile”366.

Il primo nucleo di Castelfiorentino, chiamato Castelvecchio, si formò sulle basi del borgo fortificato di Timignano, un antico insediamento di origine romana367. L'elemento

365

G.T. Tozzetti (Firenze 1712-Firenze 1783) capostipite di una famiglia di studiosi la cui opera fu legata allo sviluppo scientifico ed economico della Toscana. Tra le sue opere da ricordare, Relazioni d'alcuni viaggi fatti in

diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, 1712-1793. 366

G. Mori, La Valdelsa dal 1848 al 1900: sviluppo economico, movimenti sociali e lotta politica, Milano, Feltrinelli Editore, 1957, p. 15.

367

“Prova ne sono i già citati ritrovamenti archeologici, ma soprattutto, ancora una volta, le sopravvivenze toponomastiche: se i toponimi di origine etrusca mancano completamente, quelli di origine prediale (cioè derivanti da nomi di persona romani con suffisso generalmente in -ano o in -atico, a indicare un fondo rustico assegnato alla gens da cui prendevano il nome) costituiscono ancora oggi, a venti secoli di distanza, quasi il 6% di tutti i toponimi censiti nel territorio comunale, e lo stesso nome di Timignano-il borgo fortificato dal cui sviluppo si formerà poi Castelfiorentino- ha chiaramente un'origine di questo tipo”, vedi R. Nelli, Dalle origini

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fondamentale per la futura prosperità della valle e, in particolare, di Castelfiorentino, fu il nuovo tracciato della via Francigena.368 Dalla testimonianza del re di Francia, Filippo II

Augusto, del 1191, sappiamo che il nuovo percorso della strada toccava il centro abitato di Castelfiorentino369, oltre a quelli di Poggibonsi e Certaldo. Il cambiamento, rispetto al percorso

più antico370, fu dovuto, sia al miglioramento delle condizioni idrologiche del fondovalle, sia

all'attrazione che esercitava Firenze, data la sua accresciuta importanza politica ed economica nel corso del XII secolo. Il nome di Castelfiorentino è menzionato per la prima volta in un documento del 1149, riferito ad un castello, che il vescovo Attone II decise di costruire sul colle di Pisangoli, sovrastante il suddetto borgo di Timignano.371

Castelfiorentino sorgeva nel punto d'incrocio tra la via Volterrana372 e la via Francigena o

Romea, un nodo viario che, come già brevemente accennato più sopra, favorì la crescita del paese e lo trasformò in un importante centro di transito per pellegrini, viandanti e mercanti, che dal nord Europa si recavano a Roma e viceversa. Il paese incrementò le infrastrutture373 e

le attività374 necessarie alla sosta e allo spostamento di uomini e merci; i guadagni che

derivavano dai traffici sulla Francigena furono determinati per la sua crescita economica. Nel corso del XIII secolo, Castelfiorentino, proprio in virtù della sua importanza economica e strategica, aveva assunto caratteristiche simili a quelle di una società urbana. Se durante il XIII secolo, Castelfiorentino raggiunse l'apice del suo sviluppo, economico, politico e sociale,

Ospedaletto (PI), Pacini editore, 1995, p. 14.

368

Per i diversi tracciati che la via Francigena seguiva nella Val d'Elsa e, in rapporto a Castelfiorentino, vedi F. Allegri e M. Tosi (a cura di), Introduzione storica di I. Moretti, La Francigena in Castelfiorentino terra d'arte,

centro viario e spirituale sulla Francigena, Certaldo (FI), Federighi Editori, 2005, p. 12. 369

“...dalle colline sulla riva sinistra del fiume al fondovalle su quella destra, toccando i centri abitati di Poggibonsi Certaldo, Castelfiorentino”, in R. Nelli, op. cit., p. 15.

370

Si tratta del percorso descritto nell'itinerario compiuto da Sigerico, arcivescovo di Canterbury, quando, tra il 990 e il 994 d. C, si recò a Roma in visita dal Papa Giovanni XV, Ibidem. Per una descrizione dell'itinerario seguito da dall'arcivescovo Sigerico, in R. Stopani, La via Francigena. Storia di una strada medievale, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1990.

371

R. Nelli, op. cit., p.21

372

“...Si tratta della via Volterrana che inizia dal Galluzzo, presso Firenze, passando per Cerbaia, Montespertoli, Castelfiorentino (località presso la quale veniva attraversata l'Elsa), Gambassi e il Castagno”, vedi I. Moretti,

Castelfiorentino e la strada, in “Storia di Castelfiorentino II...”, op. cit., pp. 32-34. Per i due tracciati della via

Volterrana in Valdelsa, in Ibidem.

373

“...Castelfiorentino ospitava un rilevante numero di alberghi...: nel 1305, ben 11 individui di Castelfiorentino risultavano iscritti nelle matricole dell'Arte degli albergatori.”, vedi P. Pirillo, Dal XIII secolo alla fine del

medioevo:le componenti e gli attori di una crisi, in “Storia di Castelfiorentino II...”, op. cit., p.51. 374

Oltre a quella alberghiera, si svilupparono le attività di intermediazione commerciale, di prestito e, alcune attività artigianali di servizio (riparazione di selle, calzolai, merciai, etc.)

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circa un secolo più tardi entrò in un periodo di profonda crisi. La via Francigena, che era stata una delle componenti principali della crescita economica castellana, trasformò, paradossalmente, Castelfiorentino in una zona ad alto rischio. Questo tracciato stradale divenne infatti anche il veicolo di diffusione della peste nera, nel 1348375; inoltre, agevolò le

distruttive incursioni nemiche, che caratterizzarono il conflitto regionale376, esploso alla metà

del secolo, e che ebbe in quest'area uno dei teatri più violenti di scontro. Alla fine del XIV secolo, a seguito degli eventi bellici suddetti, il borgo di Castelfiorentino perse quelle caratteristiche di importante centro di scambi, che aveva acquisito grazie alla sua posizione strategica sulla via Francigena; con questo vennero meno anche tutte le attività commerciali che, grazie alla strada, avevano portato ingenti guadagni al paese. Gli sconvolgimenti causati dalla peste e dalla guerra determinarono un notevole spopolamento, sia del centro, sia della campagna circostante. Il calo demografico fu, inoltre, accentuato dal progressivo processo di emigrazione verso Firenze, che vide protagoniste le famiglie più facoltose di Castelfiorentino. La partenza dei ceti più alti della società in direzione di Firenze comportò per la comunità castellana anche la perdita di gran parte del reddito377, con il conseguente impoverimento

dell'abitato. Questi eventi mutarono le condizioni sociali ed economiche di Castelfiorentino, che perse le caratteristiche di realtà semi urbana, delineatesi nel corso del XIII secolo, per assumere quelle di borgo rurale378. La guerra, oltre ad aver causato morti e devastazioni,

consentì a Firenze, grazie all'acquisizione di nuovi territori379, di espandere l'area sotto il

proprio controllo. Castelfiorentino, divenuto uno dei principali punti di riferimento della Repubblica Fiorentina, rispetto ai nuovi centri acquisiti da quest'ultima, risentì positivamente

375

P. Pirillo, op. cit., p. 56.

376

Castelfiorentino fu attivamente coinvolta nel conflitto per la conquista di San Miniato, che fu acquisita dalla repubblica fiorentina nel 1336: “...gli uomini della comunità avevano preso parte all'assedio di due castelli del territorio di San Miniato, mantenendo in uno di essi (Castelnuovo) una guarnigione durante un semestre”, Ivi, p. 65

377

“Nel 1364, ad esempio, il censimento fiscale concernente la parrocchia di S. Andrea a Monteravoli prese in considerazione 33 nuclei complessivi che avrebbero dovuto ripartirsi le paghe di estimo per un totale nominale di 5144 lire...Ma per i tre fratelli che con 720 lire coprivano il 14% del coefficiente impositivo complessivo dell'intera parrocchia, non c'era più niente da fare, dal momento che una nota marginale segnalava il loro definitivo trasferimento in Firenze e la cancellazione dal novero dei contribuenti di Monteravoli”, vedi Ivi, p. 61.

378

Ivi, p. 65.

379

“...dall'inizio degli anni settanta, l'area sotto il controllo fiorentino poteva annoverare anche territori quali San Miniato, San Quintino, Coiano, Cevoli, Barbialla, Tonda, Canneto, Stibbio, Leporaia e Montatione...”, in Ibidem.

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dell'allargamento dei confini, sia da un punto di vista economico380, sia sociale381.

L'intensificarsi delle relazioni con i centri vicini e, il conseguente flusso immigratorio, non riuscirono a compensare il vuoto lasciato dall'esodo delle famiglie più facoltose in direzione di Firenze. Il progressivo impoverimento del centro valdelsano fece si che quest'ultimo diventasse, socialmente ed economicamente, strettamente dipendente dalla vecchia élite castellana che, nonostante il trasferimento a Firenze, aveva mantenuto a Castelfiorentino i legami di proprietà della terra, oltre i rapporti e le relazioni con la comunità.

Negli anni 1529-1531, Castelfiorentino fu nuovamente teatro di scontri; essendo una delle roccaforti difensive di Firenze fu devastata ed oppressa dalle milizie spagnole, impegnate a porre fine alla Repubblica382 e a restaurare il potere Mediceo383. La sconfitta dell'esercito

repubblicano, nella battaglia di Gavinana, nel 1530, segnò la fine dello stato fiorentino; Castelfiorentino e il suo territorio, già legati ai Medici per la presenza sul luogo della famiglia Pucci384, fedele sostenitrice degli imperiali385, passarono definitivamente sotto il controllo

mediceo.

I Medici detennero il potere fino al 1737, quando la morte di Giangastone dei Medici segnò la fine della dinastia e l'avvento al potere degli Asburgo-Lorena.

Nel corso del XVIII secolo, Castelfiorentino accrebbe notevolmente la sua importanza, quale centro nevralgico della Valdelsa. Dalle parole del sovrano Pietro Leopoldo apprendiamo che Castelfiorentino era un “...paese molto popolato, di gran traffico, ove è un grosso mercato, la

380

“Nel 1427, ad esempio, l'attività commerciale di Antonio di Bartolo Catri, uno dei contribuenti castellani più ricchi si era sdoppiata su due centri: <Abiamo di traficho in Castelfiorentino e in Enpoli>, affermava il facoltoso bottegaio.” (sic)”, Ivi, p. 66.

381

Le nuove annessioni alla Repubblica Fiorentina avevano contributo ad intensificare i rapporti sociali tra i vari centri e a creare condizioni nuove per ciò che riguardava, sia il mercato matrimoniale sia quello professionale. Castelfiorentino, in particolare, risentì positivamente dell'incremento dei suoi rapporti con il territorio di Montaione, recentemente acquisito dalla Repubblica Fiorentina, Ivi, pp. 66-68.

382

Il sacco di Roma, nel 1527, decretò il crollo dell'autorità pontificia e, di riflesso, la fine del governo mediceo; a Firenze, dopo la fuga dei Medici dalla città, fu instaurato un governo repubblicano che durò fino al 1530.

383

Nel 1529 Papa Clemente VII (della famiglia Medici) raggiunse un accordo con l'imperatore Carlo V: in cambio dell'alleanza e dell'incoronazione ufficiale di quest'ultimo a Sacro Romano Imperatore, Clemente VII chiedeva a Carlo V che, a Firenze, fosse ripristinato il potere della sua famiglia e abolita la repubblica a favore della signoria medicea, in G. Cipriani, Castelfiorentino nell'età medicea, in “Storia di Castelfiorentino II...”, op.

cit., p.126. 384

“Lo splendido castello di Uliveto, non lontano da Castelfiorentino, al centro di estesi possedimenti fondiari, costituiva uno dei gioielli più preziosi del cospicuo patrimonio Pucci e ben testimoniava la radicata presenza nella zona dell'influente famiglia fiorentina”, Ivi, p. 127

385

“Legatissimi ai Medici, i Pucci avevano più di un motivo per essere fedeli sostenitori degli eredi del Magnifico. Leone X nel 1513 aveva innalzato al cardinalato Lorenzo Pucci e suo nipote Antonio stava conducendo una brillante carriera ecclesiastica all'ombra dei Medici” in Ibidem.

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prepositura e la cancelleria”386, tanto che era stato pensato di erigerla a sede di Vicariato.

L'importanza raggiunta nella valle è testimoniata anche dal “Regolamento locale per la comunità”, del 1774, nel quale si dice che: “Castel Fiorentino è la più florida, e rispettabile Terra della Valdelsa non tanto per la Popolazione, e per l'eleganza delle Fabbriche, quanto ancora per la cultura degli Abitanti, a' quali non manca quell'educazione che si conviene alle persone nate civilmente”387. Alla metà del XVIII secolo, con il passaggio dalla dinastia

medicea a quella lorenese, tutta la Toscana attraversò un periodo di profondi cambiamenti, economici e politici, che comportarono inevitabilmente tensioni e conflitti all'interno delle comunità locali. Anche Castelfiorentino, nonostante il forte senso di appartenenza dei suoi abitanti alla comunità, determinato da un solido sistema di valori comunitario, fu percorsa da violenti scontri e divisioni interne, per il controllo e la ripartizione del potere388.

Con l'occupazione francese, in seguito all'annessione della Toscana all'Impero Napoleonico, nel 1808, iniziò, invece, un periodo di relativa pace politica e di riorganizzazione in ambito amministrativo ed economico. In particolare, il governo napoleonico si preoccupò di ingaggiare e formare una classe di funzionari pubblici, per garantire un'efficiente amministrazione dell'impero. Molta attenzione fu dedicata anche all'incremento delle attività produttive, al fine di fronteggiare lo sforzo bellico sostenuto dall'Impero e, sempre per esigenze militari, al mantenimento e potenziamento delle vie di comunicazione.

L'8 Maggio del 1814, Castelfiorentino festeggiò la caduta dell'Impero napoleonico e il ritorno dei Lorena sul trono toscano con Ferdinando III. Durante la Restaurazione il comune visse un periodo di prosperità; il suo territorio fu ampliato e, in quanto sede di Cancelleria e di Podesteria, estese la propria giurisdizione su Certaldo e Montaione.389Leopoldo II, salito al

trono nel 1824, proseguì, per quell'area, la politica mite e tollerante del padre Ferdinando III. Il suo governo fu caratterizzato da un sostegno attivo allo sviluppo economico, sia attraverso la realizzazione di un progetto di bonifica di vaste aree paludose390, sia grazie alla costruzione

386

F. Mineccia, Economia, struttura sociale e vita amministrativa in una comunità di antico regime.

Castelfiorentino dal 1737 al 1815, in G. Mori (a cura di) Storia di Castelfiorentino III. Dal 1737 al 1861,

Ospedaletto (PI), Pacini editore, 1997, p. 15.

387

Ibidem.

388

F. Mineccia, op. cit., pp. 40-50.

389

A. Giuntini, Dal congresso di Vienna all'unità d'Italia (1815-1861), in G. Mori (a cura di), “Storia di Castelfiorentino III...”, op. cit., p. 90.

390

V. Baldacci e C. Ceccuti (a cura di), prefazione di R. Nencini, La Toscana nell'età del risorgimento, Firenze, Regione Toscana, Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Siena, 2012, pp.30-33.

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di un moderno sistema di comunicazione391. Durante gli anni '30 del XIX secolo alcuni stati

italiani furono scossi da movimenti insurrezionali, sull'esempio di ciò che stava accadendo in Francia392; il Granducato di Toscana, invece, non fu coinvolto nessuna attività rivoluzionaria di

rilievo, questo fu dovuto alla politica tollerante del granduca e all'egemonia del gruppo dirigente moderato393, che collaborava con il governo. Anche Castelfiorentino fu estranea alle

vicende risorgimentali che stavano caratterizzando il resto della penisola e, soltanto intorno agli anni '40 del XIX secolo, iniziarono a diffondersi in paese, le prime idee liberali394. Nel

1848 esplosero moti rivoluzionari in tutta la penisola e il 23 Marzo scoppiò la I guerra d'indipendenza contro l'Impero austriaco; Leopoldo II, il 30 Gennaio del 1849, fuggì a Gaeta e il potere fu affidato ad un governo provvisorio395, che sembrò, anche se per poco tempo, ridare

fiducia alla popolazione. Il 12 Aprile 1849, Leopoldo II fu restaurato sul trono, ma questo non evitò l'invasione austriaca: il Maggio seguente l'esercito imperiale entrò a Firenze e assunse il controllo del Granducato lorenese396. Nel 1859 francesi e piemontesi si allearono contro

l'Austria, tutta l'Italia era in movimento, la guerra per la liberazione del paese era imminente, da ogni paese della Val d'Elsa partivano volontari. Il Granduca, invece di ripristinare lo Statuto e dichiarare guerra all'Austria, proclamò la neutralità; i sudditi lo considerarono un gesto inaccettabile e costrinsero Leopoldo II alla fuga; il 27 Aprile 1859 i Lorena lasciarono

391

Ivi, pp. 26-29.

392

I moti rivoluzionari francesi, del 1830-1831, che dalla Francia si diffusero in numerosi paesi europei, portarono alla caduta del regime assolutistico e dell'opprimente politica reazionaria del governo di Carlo X e alla successiva instaurazione di una monarchia costituzionale.

393

Il Granduca instaurò una collaborazione positiva con molti intellettuali, alcuni dei quali vennero promossi al ruolo di collaboratori e di consulenti Tra i principali esponenti del gruppo dei moderati liberali toscani ricordiamo: Ridolfi, Rinuccini, Ginori e Capponi. La tradizione liberale e illuminata, nonché la collaborazione con gli intellettuali risale a Pietro Leopoldo (1747-1792), in M. Mattolini, Il principe illuminato: Pietro

Leopoldo, Firenze, Edizioni Medicea, 1981. 394

Fu intorno alla richiesta della Guardia Civica, nel 1847, che i liberali si unirono per la prima sfida politica. I liberali di Castelfiorentino appartenevano alla Società Filarmonica, considerata un vero e proprio covo di sovversivi; i suoi membri erano i più saldi sostenitori dell'unità nazionale, in A. Giuntini, op. cit., pp. 95-97 e pp. 105-106.

395

Il triumvirato di Domenico Guerrazzi, Giuseppe Montanelli e Giuseppe Mazzoni.

396

Leopoldo II, ormai completamente sottomesso all'Austria, mutò radicalmente il suo tradizionale atteggiamento di apertura e ripristinò uno Stato assoluto: “...inizia lo svuotamento graduale ma sistematico di tutte la garanzie costituzionali, dalle leggi riformiste allo Statuto, sospeso il 2 Ottobre 1950 e abolito il 6 Maggio 1851. Si adottano contemporaneamente restrizioni alla libertà di stampa...Il 25 Aprile 1851 è concluso il Concordato con la Santa Sede, fortemente voluto da Leopoldo II: assai favorevole al papato, in quanto accorda ampie concessioni per “proteggere la moralità, il culto, la religione”, rappresenta un'autentica inversione di rotta rispetto alla tradizione leopoldina”, in V. Baldacci e C. Ceccuti (a cura di), op. cit., p. 56. A Castelfiorentino, il 7 Luglio 1849, fu soppressa la guardia civica, vedi A. Giuntini, op. cit., p. 96.

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definitivamente la Toscana. A Castelfiorentino la notizia fu accolta con estrema gioia da parte della popolazione, che inneggiando all'Italia e al re Vittorio Emanuele, “...si ritrovò alla stazione ferroviaria per avere maggiori notizie dalla capitale all'arrivo del treno da Firenze”397.

Mentre a Firenze, in assenza di un governo legittimo, fu nominato un Governo Provvisorio Toscano398, a Castelfiorentino, fu istituito, quale espressione locale del governo provvisorio, un

comitato di tre persone, al fine di garantire l'ordine cittadino. Uno dei suoi membri, Francesco Vallesi399, il 23 Dicembre 1859, a seguito di elezioni amministrative, fu eletto primo sindaco

della nuova epoca. L'anno successivo, l'11 e il 12 Marzo del 1860, i cittadini tornarono alle urne e votarono a favore dell'annessione della Toscana al Regno di Sardegna, poi Regno d'Italia. L'idea di Unificazione fu molto sentita a Castelfiorentino e l'apporto dato dalla Comunità alla causa nazionale fu notevole400.

Nel corso dei primi venti anni successivi all'unità d'Italia, Castelfiorentino era, in ordine di grandezza, il quinto dei quindici comuni del circondario di San Miniato. I responsabili della municipalità castellana richiesero un riconoscimento amministrativo da parte del neonato Stato Italiano, in particolare che Castelfiorentino diventasse Capoluogo di Mandamento401,

potendo estendere così la sua giurisdizione su Certaldo e Montaione. Tale riconoscimento fu ottenuto nel 1865 e riconfermato nel 1867. Alla fine degli anni '60 del XIX secolo Castelfiorentino, “grossa e popolosa terra della provincia di Firenze”402, costituiva il principale

centro amministrativo della Valdelsa fiorentina.

397

M. Carrai, op. cit., p.10

398

Il triumvirato di Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini e Alessandro Danzini, in V. Baldacci e C. Ceccuti (a cura di), op. cit., p. 58-59

399

“Nato in una famiglia di notabili di Castelfiorentino nel 1813, dopo gli studi di diritto compiuti a Pisa ed il conseguimento della laurea nel 1834, iniziò a svolgere la professione di avvocato. Fu uno dei principali protagonisti del Quarantotto liberale a Castelfiorentino, capitano della Guardia Civica istituita nel 1847...”, in M. Carrai, op. cit., p.10

400

“...anche la guerra di liberazione contro gli austriaci così fu molto sentita a Castelfiorentino, la cui amministrazione decise di stanziare ben 1.000 lire per sostenerla finanziariamente”, in A. Giuntini, op. cit., p. 97.

401

Il Mandamento era una circoscrizione amministrativa sovra comunale intermedia tra il circondario e il comune con funzioni amministrative e giudiziarie. Fu introdotta nel Regno di Sardegna nel 1814 da un editto di Vittorio Emanuele I e rimase in vigore fino po al 1923.

402

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1.2. L'opera di Cosimo Ridolfi a Meleto

La vicenda di Cosimo Ridolfi a Meleto è indicativa dei mutamenti in corso durante il XIX secolo, della struttura sociale ed economica in campo agricolo. Ridolfi raccolse tutte le esperienze d'avanguardia e le innovazioni agronomiche che erano presenti in Europa e le ripropose nel podere sperimentale di Meleto, creando un modello di innovazione e progresso agricolo per l'agricoltura Toscana. Cosimo Ridolfi e la fattoria di Meleto, inoltre, sono legati alla nascita dello Zuccherificio di Granaiolo. L'attività del marchese, in particolare quella dell'Istituto agrario da lui fondato a Meleto, ebbe una notevole influenza per la diffusione, e poi l'adozione, della coltivazione della barbabietola da zucchero in queste zone403. Nel 1898, a

distanza di più di mezzo secolo, Carlo Ridolfi, nipote di Cosimo, insieme ad altri proprietari terrieri della zona, fu uno dei promotori per la costruzione dello zuccherificio. La nuova fabbrica costituiva un conveniente investimento e una garanzia per la valorizzazione dei terreni, grazie proprio alla diffusione su larga scala della coltivazione della barbabietola. Alla metà del XIX secolo la Val d'Elsa era caratterizzata da una popolazione che viveva per la maggior parte sparsa nelle campagne, mentre una minima parte era accentrata in alcuni gruppi di case, che si trovavano lungo l'Elsa e sulle colline attorno a quest'ultimo. Castelfiorentino era un tipico borgo rurale toscano, circondato da una campagna costellata di insediamenti sparsi, da cui la popolazione si spostava per raggiungere il paese solo in occasioni speciali, quali, il mercato settimanale404.

L'economia della zona si basava sull'agricoltura, che era la principale fonte di sostentamento della popolazione. Gran parte dei proprietari terrieri, che accentrava nelle proprie mani la maggior parte della proprietà fondiaria405, risiedeva in città, ed era ben poco interessata ad

403

C. Ridolfi, Dell'influenza che l'Istituto agrario di Meleto ha avuto nell'introduzione della cultura della

barbabietola in Toscana, come foraggio e come parte di migliore avvicendamento, in Continuazione degli Atti dell'Imp. e Reale Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, Tom. XX, Disp. I°, 1842, Firenze,

Tipografia Galileiana, 1842.

404

A. Giuntini, op. cit., p. 87-88.

405

Alcuni dati relativi ai primi anni del 1900 indicano che a Castelfiorentino circa il 40% delle terre appoderate, pari al 45% dell'intero territorio comunale, apparteneva a soli sette proprietari, in M.Carrai, op. cit., p. 18. La situazione era comune a tutta la Toscana: “Analisi recenti-...- hanno puntualizzato meglio di quanto già si sapesse i caratteri della distribuzione della proprietà fondiaria che risulta decisamente accentrata: 300 possidenti, pari al 25% del totale, erano titolari del 55% della rendita complessiva, e all'interno di tale gruppo la medesima rendita si concentrava quasi per intero in poco più di 400 proprietari”, in R.P. Coppini, Modello economico o

morale comune? Le idiosincrasie del moderatismo toscano, in Atti del Convegno: Dalle botteghe alle manifatture. Artigianato, protoindustria e sviluppo industriale tra la Valdinievole e l'Arno (sec. XVII-XIX), Edito

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investire i propri capitali nella terra: molti preferivano destinare le loro risorse agli istituti bancari, che in quel periodo stavano nascendo nel Comune406, e che, considerati ben più

redditizi della terra, erano uno strumento utile per favorire lo sviluppo di attività commerciali e industriali; altri, più intraprendenti, scelsero invece di lasciare la città e trasferirsi nelle campagne per gestire direttamente le loro proprietà407. Tra questi, il caso esemplare di Cosimo

Ridolfi (1794-1865)408 che, nella sua tenuta di Meleto, nel comune di Castelfiorentino, si

occupò in prima persona dell'amministrazione della sua proprietà409, e si dedicò

all'introduzione di quelle innovazioni, di ordine tecnico410 e culturale, che si stavano

sviluppando nelle più progredite agricolture europee411. L'applicazione pratica delle più

dala Comune di Buggiano nel 2001, Buggiano Castello 24 Giugno 2000, pp. 28-29

406

M. Carrai, op. cit., pp.22-23.

407

Alcuni membri del ceto nobiliare, non più soddisfatti del lussuosa vita di città, abbandonano Firenze per trasferirsi sulle loro terre e guidare in prima persona il processo di innovazione agricola. Tra gli esempi più illustri: Ricasoli, Peruzzi, Cambray Digny, Corsini, Ridolfi, che assumono i connotati del proprietario imprenditore, una figura che, pur facendo parte del ceto nobiliare, si allontana dagli schemi tradizionali della nobiltà assenteista, causa di immobilismo e decadenza, per avvicinarsi a quelli dell'emergente società capitalistica, in G. Biagioli, Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell'Ottocento: Bettino

Ricasoli. Il patrimonio, le fattorie, Firenze, Leo S. Olschki, 2000. 408

È stato un agronomo e politico italiano, considerato uno dei più grandi personaggi del gruppo di moderati toscani, appartenenti alla nobiltà, che operarono negli anni centrali dell'Ottocento, tra Granducato e Unità d'Italia. Nel 1827 fu uno dei fondatori del Giornale agrario toscano e, nel 1842 fu eletto presidente dell'Accademia dei Georgofili, mantenendone la carica per 23 anni, fino alla sua morte. Tra le tante attività che svolse, quella che lo rese più celebre, fu quella legata alle ricerche di agronomia, svolte sul campo sin dalla gioventù, nella sua fattoria di Meleto, in collaborazione con il suo fattore Agostino Testaferrata.

409

Cosimo Ridolfi, considerando l'agricoltura del tutto simile alle altre attività industriali, puntò su una nuova gestione dell'azienda agraria, seguendo l'esempio delle manifatture nate dalla rivoluzione industriale. L'obiettivo dell'organizzazione globale del processo produttivo era, infatti, di far si che i capitali investiti nell'agricoltura dessero un profitto tale da fare concorrenza alle attività manifatturiere, vedi G. Biagioli, “Agricoltura come

manifattura”: le condizioni per lo sviluppo agricolo, in G. Biagioli, R. Pazzagli (a cura di), Agricoltura come manifattura, istruzione agraria, professionalizzazione e sviluppo agricolo nell'ottocento, Vol. I, Olschki, Firenze,

2004, pp.63-80.

410

“..., il progresso tecnico perseguito da Ridolfi nei metodi di coltivazione poggiava infatti su tre o quattro punti principali: nuovi strumenti per la lavorazione del terreno, un avvicendamento più razionale che, lasciando posto ai foraggi, consentisse di allevare una maggior copia di bestiame sui fondi, quindi anche di avere maggiore concime a disposizione. Oltre a ciò, ovunque fosse consigliabile, l'introduzione di nuove colture, come quella della patata, della barbabietola da zucchero, o del tabacco.”, in G. Biagioli, “Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell'Ottocento:...”, op. cit., p.302. Per quanto riguarda la costruzione di nuovi strumenti, Ridolfi si occupò principalmente della realizzazione degli aratri, studiati in modo tale da poterli adattare alla lavorazione del tipico terreno della collina toscana. Per tale motivo Ridolfi aprì una fabbrica di strumenti agrari annessa al suo podere di Meleto, in Ibidem, p. 207.

411

“Alcuni proprietari terrieri, come Ridolfi nei primi anni '20,..., fecero visite mirate a quanto si faceva in realtà all'avanguardia nel settore agronomico ed agrario. I punti di riferimento obbligati erano, oltre alla Francia, l'Inghilterra, la Germania, la Svizzera.”, Ibidem, pp. 208-209. “Per l'avvicendamento, Ridolfi aveva rivolto la sua attenzione al quadriennale che, introdotto verso la metà del Settecento in Inghilterra, si era diffuso prima in quel paese ed era poi passato anche in Germania ed in Francia, ed era noto come rotazione di Norfolk”, in Ibidem, p. 302.

(11)

avanzate conoscenze tecnologiche e agronomiche aveva come obiettivo l'incremento della produzione e, per produrre di più, era necessario creare assetti territoriali ottimali. Tale esigenza guidò Ridolfi e il suo fattore Agostino Testaferrata412 alla realizzazione, in via

sperimentale, delle note sistemazioni idraulico-agrarie413, che rappresentarono un modello di

ordine razionale per tutti quegli ambienti con caratteristiche geomorfologiche simili a quelle di Meleto414. L'obiettivo dell'opera di bonifica collinare era la conservazione e la difesa del

suolo, nonché, cercare di aumentare la fertilità di quelle aree rimaste a lungo incolte e, praticamente, improduttive a causa delle notevoli difficoltà di lavorazione415.

L'esperienza di Meleto non fu esemplare soltanto per l'introduzione di innovative tecniche e pratiche agricole, ma anche perché diventò il modello di una diversa organizzazione del

412

Nato a Castelfiorentino nel 1744, gestì la fattoria di Meleto dal 1793 fino alla sua morte, avvenuta nel 1822. C. Ridolfi era legato ad A. Testaferrata da grande stima ed affetto; il marchese apprese la conoscenza diretta delle pratiche agricole grazie agli insegnamenti pratici ricevuti dal suo fattore, sin dall'adolescenza: “Egli quasi mi fu padre putativo negli anni infantili, a lui debbo l'amore per le cose agrarie succhiato col latte, a lui voglio coglier quest'occasione per render piena giustizia”, in Lezioni Orali di Agraria date in Empoli dal March. Cosimo

Ridolfi negli anni 1857 e 1858, ed ora ristampate ad utilità dei campagnoli italiani, III edizione, Volume II, M.

Cellini, Firenze, 1968, p. 463. All'ingegno e all'intuito del Testaferrata si deve l'ideazione del sistema di bonifica collinare di Meleto; Ridolfi, per ricordare l'opera del suo fattore, chiamò una delle nuove unità poderali, frutto delle recenti bonifiche, Podere Testaferrata. L'abile fattore non possedeva nessuna istruzione scolastica, né particolari nozioni agronomiche; fu un autodidatta, fortemente attaccato alla terra, dotato di uno spiccato spirito d'osservazione per la realizzazione della sua opera si basò esclusivamente sulla conoscenza che aveva delle caratteristiche dei terreni di Meleto. Sempre Ridolfi dice: “Quest'uomo dotato di grandissimo zelo per le cose agrarie e di moltissima perspicacia, benché privo di quella cultura e di quelli studi che tanto facilitano ogni cosa, travide il vero e si pose con incredibile ostinazione a metterlo in luce ed a cavarne tutto il profitto possibile.” (sic), in Ibidem.

413

Le sistemazioni idrauliche-agrarie dovevano risolvere due problemi: la correzione della morfologia delle pendici, attraverso l'eliminazione delle formazioni calanchive (fenomeno causato dal processo di erosione del terreno) e; il controllo e la sistemazione delle acque di superficie. Il primo dei due fu risolto con la creazione delle “colamte di monte”, l'altro con l'adozione del sistema detto “a spina”. Per una descrizione dettagliata dei due sistemi, vedi P. L. Pini, Prof. Accademia dei Georgofili, Le sistemazioni collinari di C. Ridolfi e A.

Testaferrata a Meleto, in “Atti del convegno sul tema: Sistemazioni idraulico-agrarie delle colline toscane...”,

pp. 15-20, vedi anche Le classiche sistemazioni di Meleto, in Memorie sulla bonifica collinare di Cosimo Ridolfi, Pubblicazione promossa dalla Reale Accademia dei Georgofili, Ramo editoriale degli agricoltori, Roma, 1934-XII, pp. 38-47.

414

Meleto appartiene all'aerea delle colline plioceniche, ossia, ad un ambiente caratterizzato da una cospicua presenza di argilla e sabbia, in L. Rombai, Il problema delle sistemazioni collinari nell'800, in L'esperienza di

Ridolfi a Meleto: dalla conoscenza del passato alle prospettive per il futuro, Atti della giornata di studio. Villa

di Meleto, Castelfiorentino, 18 Novembre 1988, Pacini editore, Castelfiorentino, 1991. Per una descrizione della morfologia e del paesaggio delle colline plioceniche, vedi anche Dr. P. Grilli (geologo), La dinamica

geomorfologica delle colline toscane, in “Atti del convegno sul tema: Sitemazioni idraulico-agrarie delle colline toscane...”, pp. 21-30. Confronta anche G. Biagioli, L'agricoltura e la popolazione in toscana all'inizio dell'Ottocento, Pisa, Pacini editore, 1975, pp. 168-170.

415

“...quelle zone abbandonate da tempo, avevano assunto a seguito dell'erosione idrica una morfologia estremamente accidentata tale da precludere ogni possibilità di lavorazione; in gran parte di esse l'erosione aveva assunto la forma limite del calanco . Questa era la situazione delle piagge di Meleto”, in P. L. Pini Prof. Accademia dei Georgofili, op. cit., p. 16.

(12)

sistema mezzadrile toscano416: un sistema agricolo non più basato sulle autonomie di

conduzione dei poderi ma organizzato secondo la gestione di fattoria417. La fattoria costituiva il

centro amministrativo e direzionale dell'intera proprietà e comprendeva nella sua struttura un certo numero di poderi. La gestione spettava in prima persona al proprietario, l'unico responsabile della scelta dei metodi di coltivazione e dell'organizzazione produttiva, mentre al contadino, che per secoli aveva mantenuto l'autonomia nella conduzione del podere, fu lasciato soltanto il compito di eseguire gli ordini.

La mezzadria, spesso considerata un sistema produttivo statico e retrivo e causa del ristagno della produzione e dell'economia agricola418 dimostrò, invece, di essere un istituto capace di

rinnovarsi e di rispondere alle esigenze di modernizzazione dell'agricoltura, all'altezza delle trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche provenienti dal mondo agricolo europeo419.

L'esperienza di Meleto ne e’ un esempio.

Un altro aspetto che distinse l'attività di Ridolfi a Meleto, nel quadro dell'opera di miglioramento dell'agricoltura toscana, fu la realizzazione, accanto alla Fattoria, dell'Istituto agrario per l'insegnamento teorico e pratico dell'agricoltura. L'Istituto di Meleto, fondato nel 1834, fu la prima scuola agraria italiana420; Ridolfi, per la sua realizzazione, seguì l'esempio

delle più ammirevoli e già avviate esperienze europee, tra cui ricordiamo: l'Istituto agronomico di Roville sulla Mosella421 e l'Istituto agrario voluto dal re di Prussia nella sua

416

Per quanto riguarda la posizione di Cosimo Ridolfi nei confronti della mezzadria, in G. Biagioli, “Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell'Ottocento:...”, op. cit., pp. 216-222.

417

Z. Ciuffoletti, Meleto: un modello nell'agronomia europea dell'800, in L'esperienza Ridolfi a Meleto: dalla

conoscenza del passato alle prospettive per il futuro, Comune di Castelfiorentino, Pacini Editore, 1991. 418

G. Mori, Storia d'Italia. Le regioni dall'unità ad oggi. La Toscana, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1986, p. 12. Per quanto riguarda il dibattito sulla mezzadria, confronta C. Pazzagli, L'agricoltura toscana nella prima

metà dell'800. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili, Leo Olschki, Firenze, 1973. 419

Z. Ciuffoletti, “Meleto: un modello nell'agronomia europea dell'800...”, op. cit.

420

La scuola, aperta e sostenuta dal favore dell'Accademia dei Georgofili, cessò la propria attività nel 1842. Alla scuola di Meleto fece seguito, sempre grazie all'ispirazione di Cosimo Ridolfi, l'Istituto Agrario Pisano, dove il marchese insegnò e di cui fu direttore, fino al 1944-45. Alla guida dell'Istituto gli successe Pietro Cuppari, medico siciliano, grande studioso di agraria e già allievo di Ridolfi a Meleto. Successivamente, nel 1971-72, l'Istituto Agrario Pisano si trasformò definitivamente nella odierna Facoltà di Agraria, in A. Benvenuti, R.P. Coppini, R. Favilli, A. Volpi, La Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa. Dall'istituto agrario di Cosimo

Ridolfi ai nostri giorni, Pacini Editore, Pisa, 1991, p. 4-5. 421

“La tenuta modello e l'istituto agrario di Roville fu fondato nel 1821 dal celebre Dombasle; esso segnò un'epoca nuova per l'arte e per la scienza agraria,...”, in “Cenno storico dei principali Istituti di Agricoltura in

Europa” in Giornale Agrario Toscano, compilato da una deputazione dell' I. E R. Accademia

Economico-Agraria dei Georgofili, Tipografia Galileiana 1839, Vol. XIII, p.13. L'agronomo Matteo Dombasle era ritenuto il padre supremo dell'agricoltura in Francia e la sua scuola di Roville era considerata, per gli alti risultati raggiunti, la scuola per eccellenza, Ivi, p. 18-19. Cosimo Ridolfi era amico di Dombasle e, con lui strettamente in contatto per fare tesoro dei suoi consigli: “Le mie lettere al marchese Ridolfi da Roville pubblicate nel Giornale Agrario

(13)

tenuta di Moeglin.422 Secondo il pensiero di Cosimo Ridolfi, l'idea di progresso agrario423 era

strettamente legata alla necessità di dotare il personale addetto all'agricoltura delle conoscenze tecnologiche e culturali indispensabili per la gestione di una fattoria. Ridolfi riteneva che una delle cause principali delle condizioni di arretratezza in cui versava l'agricoltura, fosse, infatti, la mancanza di cultura nei fattori, provenienti generalmente dalle famiglie contadine. Inizialmente la scuola di Meleto fu pensata esclusivamente per i contadini, l'obiettivo era quello di trasformarli in abili agenti di campagna, sul modello esemplare di Agostino Testaferrata, il fattore della famiglia Ridolfi. Successivamente l'accesso alla scuola fu esteso anche ai figli dei proprietari terrieri424, intenzionati ad acquisire le conoscenze e gli strumenti

necessari per una efficace gestione delle proprie tenute425. Inoltre, la figura del proprietario,

secondo il pensiero di Ridolfi, avrebbe dovuto svolgere il ruolo di educatore dei propri coloni e questa era considerata una condizione indispensabile per eludere ogni pericolo sociale, che poteva derivare dall'introduzione di innovazioni agricole426.

L'Istituto di Meleto iniziò l'attività il 2 Febbraio 1834427, era gestito da Ridolfi in prima

persona, insieme alla moglie e ai figli, anch'essi alunni della scuola428. L'istituto disponeva di

Toscano , fecero noto il regolamento e le occupazioni degli alunni in quello stabilimento.”, Ivi, p. 17.

422

“L'Istituto agrario di Moeglin, fondato sulle rive dell'Oder, dal celebre agronomo e consigliere di stato Thaer, per le generose elargizioni del re di Prussia, dette le mosse al perfezionamento dell'industria agricola della Germania, poiché sorsero successivamente per imitazione le scuole di agricoltura del Wurtenberg, della Baviera, dell'Austria”, Ivi, p. 3.

423

“...intendo per progresso agrario ogni innovazione, ogni mutamento che accresca la produzione e quindi meglio retribuisca il lavoro, migliori la condizione del produttore, e rispetti anzi accumuli nuova fertilità nella terra”, in A. Benvenuti, R.P. Coppini, R. Favilli, A.Volpi, op. cit., pp. 50-51.

424

“Dei 35 alunni di Meleto nel 1843 solo 16 erano -coltivatori di professione-, il resto era rappresentato da figli di proprietari”, Ivi, p. 86.

425

“Così scriveva nel 1840 il marchese raccontando la sua storia di Meleto: “ed infatti mentre nel cominciare la mia intrapresa doveva credere che la classe degli industriali alla quale sarebbe stato principalmente opportuna, quella fosse dei così detti fattori o agenti di campagna, e mi sforzai di darle le qualità che giudicava per essi necessarie, ho poi veduto in pratica che non è realmente così e che quelli i quali specialmente cercano di profittarne sono i proprietari medesimi”, Ivi, p. 85.

426

“...l'aspetto morale era fortemente avvertibile; l'istruzione agraria, nella mente della cerchia dei grandi proprietari toscani, doveva produrre contadini e fattori non solo tecnicamente capaci, ma anche fedeli e, soprattutto, convinti della bontà e validità dell'assetto sociale in cui vivevano perché solo a questa condizione avrebbero accettato di offrire quel “sopralavoro” a lungo indicato come la forza del sistema agricolo toscano”,

Ivi, p. 74. 427

Ivi, p. 44.

428

Gli alunni ammessi nella scuola erano molto giovani (10-12 anni), il corso di studi prevedeva una durata di dieci anni. La scuola accolse, nel complesso, circa trenta allievi, di cui i primi dieci furono ammessi gratuitamente, mentre i successivi dovettero pagare una retta annuale. Il piano di studi prevedeva “...una prima fase in cui all'alfabetizzazione e al far di conto si aggiungeva la storia naturale generale, intesa come esposizione dell'intero sistema della natura, la geografia fisico-statistica, la botanica, la geologia, il disegno;

(14)

un dormitorio e di una mensa, inoltre, per consentire agli studenti di mettere in pratica le nozioni teoriche acquisite, era stato dotato anche di un orto sperimentale. Dalla scuola uscirono numerosi fattori e proprietari terrieri429 che, attraverso la gestione di aziende agrarie

altrui, o l'amministrazione diretta delle proprie, contribuirono a diffondere le capacità tecniche e la mentalità imprenditoriale acquisite, ossia i principi della così detta agricoltura “miglioratrice”430. La divulgazione di Meleto, quale modello di modernizzazione in campo

agricolo, avvenne anche grazie ad altre iniziative di Ridolfi, in particolare: le visite agronomiche431, guidate dallo stesso Ridolfi e le lezioni orali di agronomia, tenute ad Empoli,

sempre dal medesimo, nel 1957 e nel 1958432. Un'attività di continua informazione, inoltre, fu

svolta dal Giornale agrario toscano433, considerato la sede per eccellenza del dibattito agricolo

del Granducato434 che, con le sue pubblicazioni, contribuì a fare di Meleto un esempio da

imitare per tutta l'agricoltura toscana.

429

Per gli itinerari professionali seguiti dagli allievi della Scuola di Meleto, in R.Pazzagli Istruzione e nuova

agricoltura in Italia: la fortuna del modello di Cosimo Ridolfi, in G. Biagioli e R. Pazzagli (a cura di),

“Agricoltura come manifattura...”, op. cit., pp. 280-283.

430

Cosimo Ridolfi affermava che le scuole di agricoltura avevano il compito di: “cementare nelle nostre campagne l'importante alleanza del sapere e del capitale; e di procurarne l'applicazione alla pratica...L'unione della scienza e del capitale può sola attivare l'agricoltura miglioratrice, la quale deve rendere il lavoro più utile e produttivo.”, in G. Biagioli e R. Pazzagli (a cura di), “Agricoltura come manifattura...”, op. cit., p.80.

431

Le visite a Meleto si svolsero tra il 1837 e il 1853. Inizialmente furono limitate al podere modello, annesso all'Istituto agrario, successivamente, nel 1843 e nel 1853, furono estese all'intera tenuta. Tra i partecipanti, oltre a fattori e proprietari terrieri, erano presenti anche una commissione dell'Accademia dei Georgofili e i rappresentati di alcune delle Accademie toscane. Al termine delle visite, Ridolfi e gli studenti dell'Istituto rispondevano alle domande poste dai partecipanti, dopodiché seguiva una vera e propria seduta accademica, che aveva la funzione di divulgare a tutta la popolazione agricola toscana, quegli argomenti che normalmente venivano trattati nell'ambito dell'Accademia dei Georgofili. Al termine delle giornate agrarie venivano conferiti premi relativi ad alcuni concorsi indetti per l'utilizzo di alcuni strumenti agrari, in A. Benvenuti, R.P. Coppini, R. Favilli, A. Volpi, op. cit., pp 60-61, nota 29.

432

“Lezioni Orali di Agraria date in Empoli dal March. Cosimo Ridolfi negli anni 1857 e 1858...”, op. cit.,

433

Periodico fondato nel 1827 a Firenze da Cosimo Ridolfi, con la collaborazione di R. Lambruschini, G. Capponi, G.P. Vieusseux, per contribuire all'istruzione del popolo delle campagne e migliorare le condizioni dell'agricoltura. Fu pubblicato fino al 1865

434

(15)

1.3. Le prime attività industriali a Castelfiorentino

Nella seconda metà del XIX secolo, Castelfiorentino era caratterizzata da un'economia prevalentemente agricola; i prodotti della terra (cereali, legumi, olio, vino, foraggi, legname), insieme a quelli di un modesto artigianato (utensili, cappelli, tessuti), erano destinati, oltre che al consumo locale, anche al mercato settimanale435. Il mercato costituiva il fulcro delle attività

economiche del paese, inoltre rappresentava un'occasione di fusione tra città e contado. A Castelfiorentino, oltre al mercato, si tenevano alcune fiere: quella di San Lorenzo436, che

durava tre giorni, e quelle di Santa Verdiana e San Francesco, che si svolgevano in una giornata. Così come il mercato del sabato, le fiere attiravano visitatori da tutta la Toscana e sottolineavano la vocazione commerciale della cittadina437. Anche l'artigianato era ampiamente

diffuso, in particolare le attività di calzolaio, legnaiolo, fabbro, ciompo, oltre a quelle legate all'edilizia. Il lavoro a domicilio, di cui si occupavano prevalentemente le donne (filatrici, tessitrici e trecciaiole438) raramente era rivolto all'autoconsumo, ma era soprattutto destinato al

mercato locale. Oltre ai lavori artigianali, alle attività di filatura, tessitura e lavorazione dei cappelli, erano registrate a Castelfiorentino delle fornaci: le due più importanti erano quelle di proprietà di Eugenio e Luigi Bitossi con 10 operai e una produzione di 100.000 pezzi all'anno439. Da ricordare anche l'attività di conciatura delle pelli avviata a partire dal 1818 e, di

proprietà di Agostino Brandini a partire dal 1850440, inoltre l'officina di Benedetto Ciapetti per

la fabbricazione di attrezzi agricoli441.La Statistica industriale, realizzata da Filippo Corridi nel

435

“Ogni sabato il borgo Valdesano veniva invaso da compratori e venditori provenienti da un'area molto vasta, rappresentando un punto nevralgico per lo scambio di merci e di informazioni per un bacino di popolazione molto ampio.”, in A. Giuntini, op. cit. p. 88.

436

“La fiera grossa di S. Lorenzo è antichissima e rinomata come importanti sono quella del martedì dopo la Pentecoste e l'altra del lunedì dopo la metà di quaresima”, vedi E. Masoni, Castelfiorentino, sunto storico,

industriale, statistico, in S. Marconcini, Contributo per una bibliografia di Castelfiorentino II, Zanini,

Castelfiorentino (FI), 1973, ristampa dell'edizione del 1915, p. 36.

437

“I dati del censimento del 1841 confermano l'importanza dei traffici e dei commerci nell'economia castellana: più del 9 per cento della popolazione in condizione professionale si dedica a questo settore di attività.”, vedi V. Lucchesi L'evoluzione demografica di Castelfiorentino (1737-1790), in G. Mori (a cura di), “Storia di Castelfiorentino III...”, op. cit., p. 166.

438

Addette alla lavorazione delle trecce per cappelli.

439

A. Giuntini, op. cit., p.89.

440

Ibidem. La conceria di Agostino Brandini è citata anche in C. Torti, Economia in Toscana tra '700 e '800: le

origine della concia a Santa Croce, in F. Foggi (a cura di), Nel segno di saturno. Origini e sviluppo dell'industria conciaria a Santa Croce, Alinea, Firenze, 1987, p. 51.

441

(16)

1850442, inoltre menziona: “...undici officine di falegnami e una di intagliatore del legno, una

tintoria con due operai, due piccole cererie e una stamperia, di proprietà di Isidoro Ninci, definita sconsolatamente di -pochissimo lavoro e di ristretto commercio-...”.

A Castelfiorentino erano presenti le condizioni favorevoli per lo sviluppo industriale; il commercio, infatti, poteva usufruire della presenza di una rete di comunicazione alquanto efficiente. I più importanti centri della valle erano collegati da nord a sud dalla strada Francesca, mentre la Strada Ferrata Centrale Toscana443, così denominata perché: “internandosi

nel centro della Toscana dal nord a sud, la divide per la sua lunghezza in due eguali sezioni”444,

congiungeva i centri urbani di Empoli, Castelfiorentino, Certaldo, Poggibonsi, che dal punto di vista commerciale erano i più importanti della valle. Inoltre vi era una notevole quantità di manodopera locale, dovuta all'aumento demografico che si registrò a Castelfiorentino in seguito allo spopolamento delle campagne, intorno alla metà del secolo, e al conseguente fenomeno migratorio verso il paese445. Nonostante i presupposti fossero positivi, si dovette

comunque attendere la fine del XIX secolo e l'inizio di quello successivo, per registrare un significativo sviluppo delle attività manifatturiere nel comune. Un apporto decisivo al decollo industriale di Castelfiorentino fu dato sia dai grandi proprietari terrieri e dalla borghesia cittadina, sia dai piccoli artigiani. I primi, con l'obiettivo di incrementare i redditi provenienti dall'agricoltura, iniziarono a differenziare le proprie attività economiche e si distinsero per i

Cosimo Ridolfi. “Cosimo Ridolfi e, poco appresso suo figlio Luigi, diedero suggerimenti e consigli utilissimi ad un ingegnoso fabbro di Meleto, Passaponti, ed a Meleto incominciarono a costruirsi aratri moderni, voltaorecchi, estirpatori, erpici perfezionati, ruspe, sgranatoi, trinciaforaggi...E la richiesta, da ogni parte d'Italia, fu tale che una seconda officina congenere dovè (sic) aprirsi in Castelfiorentino e fu quella di Benedetto Ciapetti”, in S. Marconcini, Castelfiorentino Miscellanea storica, Empoli, 1985, p. 70, vedi anche R. Pazzagli, Innovazioni

tecniche per un'agricoltura collinare: l'esperienza di Cosimo Ridolfi, Milano, F. Angeli, 1985. 442

A. Giuntini, op. cit., p. 89.

443

La Ferrovia Centrale Toscana fu ideata per collegare Siena prima con Empoli e poi con il confine dello Stato Pontificio. L'iniziativa fu portata avanti in territorio senese, da un gruppo di privati, riuniti intorno a Policarpo Bandini, segretario gerente della società anonima appositamente costituita e a Giuseppe Pianigiani, il direttore dei lavori. La costruzione della linea Empoli-Siena iniziò il 15 Agosto 1845 e terminò quattro anni dopo, quando il 14 Ottobre 1849 fu inaugurata la stazione provvisoria di Mazzafonda, con una cerimonia ufficiale alla presenza del Granduca Leopoldo II, in S. Maggi, La ferrovia per la Maremma (1859-1994); con la nuova edizione del

Viaggio in strada ferrata da Asciano a Grosseto di G. Losi, II edizione, Siena, Nuova immagine editrice, 1997.

p. 15. Per le vicende della costruzione della linea ferroviaria Empoli-Siena e per l'attività della Società per la Strada Ferrata Centrale Toscana, vedi G. Catoni, Un treno per Siena. La Strada Ferrata Centrale Toscana dal

1844 al 1865, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1981. 444

S. Maggi, A. Giovani, Muoversi in Toscana: ferrovie e trasporti dal Granducato alla Regione, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 53.

445

La popolazione complessiva di Castelfiorentino passò da 4.470 unità nel 1815 a 6.745 nel 1860. La densità del paese era al tempo molto più alta della media delle comunità vicine, in A. Giuntini, op. cit., p. 84.

(17)

loro investimenti in campo industriale446, supportati dalle nuove istituzioni bancarie, che si

svilupparono a partire dalla metà del XIX secolo e che costituirono un utile strumento per lo sviluppo delle nuove attività produttive. Anche gli artigiani, grazie alle loro qualifiche e specializzazioni tecniche, pur non disponendo di notevoli risorse finanziare, contribuirono alla nascita di una vasta rete di piccole-medie imprese.

Il sindaco di Castelfiorentino, Antonio del Pela, nell'anno 1872, considerando il livello di sviluppo industriale raggiunto dal comune osservava: “vi sono nel paese tre o quattro industrie, ma sono talmente piccole, che non meritano neppure di essere citate nelle statistiche”447. Quelli a cui si riferiva il sindaco erano due opifici per la lavorazione della seta,

appartenenti a tali Ciapetti e Montagnani e, una filanda per la lana di proprietà Bondi; queste piccole industrie, sorte durante gli anni '40 e '50, conclusero la loro attività già nel 1875. Nel corso degli anni '80 nacquero le prime significative iniziative imprenditoriali. Nel 1881 “la principale e più importante industria di questo comune è la lavorazione della paglia da cappelli,...Hanno pure sede in questo comune alcuni opifici per la concia delle pelli, due fabbriche di fiammiferi, e delle fornaci di materiali laterizi, oltre una filanda di seta di importanza secondaria”448. Nel 1890 il comune contava 21 unità produttive e 187 operai, tra

queste le più importanti erano: la fabbrica Marconi e Taddei di vetri e cristalli, che dava lavoro a 30 operai, quattro fabbriche di fiammiferi, con 43 operai e quattro concerie di pelli, con 36 operai. La Martinella449 del 12 luglio 1902 dice: “Sono ormai tre anni che in questo

paese-Castelfiorentino-è stata aperta una lavorazione di filo a rete metallica della ditta Puccioni, nella quale trovansi impiegati circa 50 giovinetti da 12 a 17 anni...”450.

La produzione delle prime attività industriali a Castelfiorentino era caratterizzata dall'immissione nel mercato di beni di consumo immediato (vetri e cristalli, oggetti in cemento, fiammiferi in legno, pelli, paste da minestra, concimi artificiali, stuoie, etc) ed era organizzata intorno ad un gruppo di aziende di dimensioni maggiori (con 20-40 operai) e ad una serie di piccole, talvolta piccolissime, imprese (2-10 operai). Luigi Puccioni fu uno tra gli

446

La nascita dello Zuccherificio, come vedremo più avanti, è esemplare di come alcuni grandi proprietari terrieri della zona videro nell'attività manifatturiera un mezzo per aumentare le loro ricchezze.

447

M. Carrai, op. cit., p. 25.

448

Ibidem.

449

E' stato un periodico di ispirazione socialista, che ha iniziato le pubblicazioni nel 1884 a Colle Val d'Elsa, divenendo organo ufficiale del socialismo toscano. Il nome deriva dalla campana del carroccio di epoca comunale che veniva suonata per dare avvio alla battaglia.

450

(18)

imprenditori di maggiore successo del comune, nel 1893 dette vita ad una fabbrica di concimi chimici, mentre nel 1895 creò la Società Molino di Granaiolo, che gestiva un mulino idraulico di 70 hp di potenza451. Tra gli altri imprenditori castellani di successo possiamo ricordare: Elia

Taddeini, che nel 1895 dette vita ad una fabbrica di fiammiferi con circa 80 dipendenti452,

Torello Tinti, che aprì la conceria più grande del paese, con 22 operai453e, infine, Giuseppe

Puccioni, la cui fabbrica di reti, tele e corde metalliche, avviata nel 1897 con 3 operai, nel 1914 impiegava già 100 lavoratori454. La ditta Puccioni è menzionata da G. Mori nel suo studio

sulla Val d'Elsa, relativamente alle pessime condizioni di lavoro a cui erano costretti gli operai: “Il locale della fabbricazione, un lungo capannone alto circa 3 metri con piccole finestre, lascia l'aria infetta, sia per i troppi fiati, sia per il pulviscolo di metallo che gli operai adoperano. In un simile ambiente si entra la mattina appena fatto giorno, si esce alle 12, vi rientrano alle 1 e mezza e ne escono alle 6 e mezza”455. La manodopera era prevalentemente

maschile456 e, in buona parte, costituita da giovani lavoratori di età compresa tra i 10 e i 18

anni. In merito allo sfruttamento di operai in età scolare è protagonista ancora una volta la ditta Puccioni, menzionata poco sopra, la quale ricevette una denuncia da parte del settimanale socialista “Vita Nuova”457, nonostante il lavoro minorile fosse legittimato dalla

legislazione del tempo458.

Lo sviluppo economico del comune crebbe progressivamente durante il primo decennio del XX secolo; secondo il censimento demografico e industriale del 1911459 erano presenti a

451

M. Carrai, op. cit., p. 26.

452 Ibidem. 453 Ibidem. 454 Ibidem. 455

G. Mori, “La Valdelsa dal 1848 al 1900...”, op. cit., p. 240. 456

Dalla statistica degli stabilimenti industriali del Comune di Castelfiorentino, del 1898, risulta che su un totale di 237 operai adulti, 211 erano uomini e soltanto 26 donne, in M. Carrai, op. cit., p. 27. Le donne erano impiegate principalmente nel lavoro a domicilio oppure in quello stagionale; nella vetreria Marconi e Taddei, oltre ai 42 dipendenti, erano impiegate circa 500 impagliatrici di fiaschi a domicilio, Ivi, p. 28.

457

Il settimanale empolese dichiarava che nella fabbrica di reti metalliche di G. Puccioni erano impiegati circa 50 operai tra i 12 e i 17 anni di età, con un orario di circa 12 ore al giorno.

458

“All'inizio del '900 il lavoro minorile era regolato da una legge dell'11 Febbraio 1886 che fissava l'età minima per lavorare negli opifici industriale e/o nelle miniere a 9 anni e stabiliva per i ragazzi compresi tra i 9 e i 12 anni di età un orario non superiore alle 8 ore e l'esclusione dal lavoro notturno. Con la successiva legge del 19 Giugno 1902, la situazione non cambiava molto. L'età minima veniva innalzata da 9 a 12 anni e si stabiliva un orario massimo di 11ore”, in M. Carrai, op. cit., p. 66, nota 60.

459

(19)

Castelfiorentino un totale di 92 unità produttive con 986 operai occupati.

Con i primi anni del secolo nacquero anche le prime Società Anonime, ad esempio: le Fornaci riunite di laterizi e la Società anonima di prodotti chimici toscani di Luigi Piccioni460.Queste

nuove strutture societarie consentivano agli imprenditori di concentrare l'attività industriale, ed avere a disposizione maggiori risorse finanziare per potenziare ulteriormente la propria impresa. Durante la prima guerra mondiale, alcune aziende cessarono la propria attività, tra queste: la Società anonima Laterizi Toscana e la Bettini, che si occupava del rivestimento dei fiaschi461. Altre invece videro incrementare il proprio lavoro, nonché il numero degli addetti,

come l'officina meccanica Manzoni, che in due anni, dal 1915 al 1917, raddoppiò il numero degli operai, o altre piccole aziende dedite alla lavorazione di pellame e cuoio, che sfruttarono le numerose richieste per le forniture militari. Anche se la cosiddetta Mobilitazione Industriale462 non interessò direttamente Castelfiorentino, nel paese si tentò di coordinare e

organizzare le attività industriali e di valorizzare le risorse disponibili463 in vista della ripresa

economica del dopoguerra. L'industriale Angelo Mazzoni, titolare dell'omonima industria meccanica, riteneva che, al fine di incrementare lo sviluppo industriale del paese, fosse necessario istituire una scuola industriale, che migliorasse le competenze degli operai, “...poco efficienti perché poco istruiti e molto indisciplinati”464, sia operare un aggiornamento

dei macchinari e degli impianti di lavorazione che in alcuni casi avevano “...qualcosa del medioevale”465. L'attività industriale del Comune alla fine del 1933 era cosi suddivisa: “...lo

zuccherificio (di cui si parlerà più avanti) con 500 operai, la Vetreria Fratelli Rigatti, con 120 tra operai e impiegati e 500 rivestitrici di fiaschi a domicilio; la fabbrica di reti metalliche di Alfonso Puccioni con 180 maestranze; lo stabilimento Concimi Chimici e Affini con 60; le fornaci di laterizi Lelio Balli, ingegnere Meazza, San Matteo, Suppa & C., Poggi,

460

Ivi, p. 33.

461

L. Tommasini, Fra due Guerre, in G. Mori (a cura di), Storia di Castelfiorentino IV. Dal 1861 al 1970, Ospedaletto (PI), Pacini editore, 1998, p. 84.

462

“...quello sforzo intenso e concentrato di sviluppo di certi settori dell'apparato produttivo industriale che permise all'Italia di far fronte con successo al proprio fabbisogno e in certi settori - anche di punta, come nelle costruzioni automobilistiche e aeronautiche - di reggere il confronto con le industrie più avanzate dei maggiori paesi industrializzati.”, Ivi, p. 82.

463

Tra queste: la manodopera e alcune materie prime (pellame, minerale di rame), la cui valorizzazione avrebbe permesso di sviluppare degli insediamenti industriali più importanti di quelli presenti al momento, in Ibidem, p. 85

464

Ibidem.

465 Ibidem.

(20)

rispettivamente con 130, 60, 80, 20, 10 occupati. Seguivano alcune imprese medio-piccole come l'officina meccanica Fratelli Lenzi e l'officina Bagnoli, che davano lavoro ognuna a circa 30 operai; l'industria cementizia Rigatti con 25 maestranze, la conceria di pelli con 30, l'industria vinicola Amedeo Sussi con 20”466. Durante la primavera del 1944 gli stabilimenti

del paese che riuscirono a sopravvivere al disastro bellico ed ai continui bombardamenti furono pochi; molti, infatti, dovettero sospendere l'attività produttiva467. All'epoca, il tessuto

industriale di Castelfiorentino era composto da manifatture dedite all'attività agricolo-vinicola468 e da fabbriche come: “...lo stabilimento della Montecatini (...), ...le officine

meccaniche Castelfiorentino (riparazioni e costruzioni meccaniche) e la ditta Giuseppe Puccioni (reti e tele metalliche)”469. Pochi mesi dopo la liberazione, avvenuta per mano degli

alleati nell'estate del 1944, soltanto poche industrie ripreso la loro attività e con numero di addetti ridotto: la Puccioni, la Lemmi, la Montecatini470 e la distilleria Di Lorenzo. Dalle 1769

maestranze attive nel 1940, si passò a sole 430 nell'autunno del 1944471.

All'inizio degli anni '50 le condizioni socio-economiche del comune erano critiche, lo stato di emergenza riguardava tutti i settori produttivi (siderurgico, minerario, tessile, minerario, agricolo). L'aumento del tasso di disoccupazione472, dovuto al persistere della crisi

industriale473, causò un progressivo impoverimento della popolazione. Alla metà del XX secolo

466

Vedi A. Casali, Gli anni difficili: dal regime fascista alla guerra fredda (1930-1951), in A. Casali

Castelfiorentino 1930-1980. Medietà, sociabilità, trasformazioni, Comune di Castelfiorentino. Banca di Credito

Cooperativo di Cambiano, Pisa, Pacini Editore, 2000-2003, p. 29.

467

“...dopo la chiusura (sul finire di aprile) delle Officine Meccaniche anche le Fornaci Balli & Fioravanti spengevano i propri forni e licenziavano il poco personale rimasto, seguite poco dopo dalla Montecatini”, in A. Casali, Castelfiorentino dal 1943 al 1970. Guerra, resistenza, ricostruzione, in G. Mori (a cura di), “Storia di Castelfiorentino IV...”, op. cit., p. 145.

468

“...la Vetreria Fratelli Rigatti (produzione di fiaschi, damigiane,bottiglie), la Distilleria Di Lorenzo (alcool, liquori, distillazione vinacce), la S.A.G.D.A (alcool, distillazioni varie), la S.A.I.O.S (olii e saponi), i pastifici Papini, Gamberucci, Gelli (paste alimentari), la Società per l'industria dello zucchero di Granaiolo (lavorazione della barbabietola),...”, Ivi, p. 148.

469

In Ibidem.

470

Nata agli inizi del Novecento come industria di concimi, negli anni '50 la Montecatini-Edison ristrutturò l'area e dette il via alla produzione di sostanze chimiche.

471

A. Casali, “Castelfiorentino dal 1943 al 1970...”, op. cit., p. 149.

472

Dalla relazione sulla disoccupazione, tenuta dall'assessore Alvaro Bianchi il 24 settembre del 1952, emerge un aumento di oltre 200 unità rispetto al 1951, Ivi, p. 163.

473

“...alla Montecatini si era lavorato al 40% delle capacità produttive; alla Balli erano rimasti 87 operai di contro ai 102 del '47-'48; alla SMC 51 rispetto agli 87 del recente passato; una grave contrazione delle maestranze si era registrata inoltre negli stabilimenti Pecchioli, Puccioni e Saios. La vetreria Rigatti, infine, risultava ferma da 10 mesi, con conseguenze sociali gravissime in quanto, oltre a 160 operai occupati

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