• Non ci sono risultati.

Conclusioni alla Parte II

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Conclusioni alla Parte II"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

230

Conclusioni alla Parte II

Obiettivo del primo capitolo della seconda sezione del testo, dedicata all‟indagine sulla traduzione armena, era effettuare una rassegna critica della bibliografia, recente o meno, che si è occupata della collocazione cronologica e dell‟attribuzione delle traduzioni platoniche. Tale percorso ha consentito di elaborare alcuni punti che, ci si augura, potranno risultare utili per chi, in futuro, affronterà nuovamente il tema alla luce di una valutazione linguistica comparata di tutti i dialoghi, che consentirà forse di esprimere, con ragionevole margine di sicurezza, un‟opinione definitiva in merito.

Innanzitutto, è parso chiaro che la dimostrazione di Arevšatyan in favore dell‟attribuzione del Plato Armeniacus alla Yownaban Dprocʿ, sviluppata in più contributi in armeno e in russo, non è esente da critiche, e non risulta, a un‟analisi minuziosa, definitivamente probante. La scarsa cogenza degli indizi di natura lessicale, considerati in isolamento, era chiara allo stesso Arevšatyan: come è noto, il lessico è il settore più mobile e soggetto a rinnovamento della lingua, ed è anche quello più facilmente recuperabile e rivitalizzabile a partire da testi precedenti. Una imitazione posteriore di un registro connotato sul piano diafasico (e diamesico) è inoltre sempre possibile, anche ad altri livelli dell‟analisi linguistica: lo stile grecizzante, si ricordi, non era prerogativa degli autori attivi tra V-VI e VIII secolo. Per di più, l‟interpretazione dei dati è stata viziata, nel caso di Arevšatyan come in altri, dalla consultazione del dettato delle edizioni ottocentesche invece di quello del manoscritto. Un controllo del codice, per esempio, consente di proporre una spiegazione di natura meccanica per la presunta forma isolata di „infinito perfetto‟ ēmeṙanel () nell‟Apologia, che troverebbe un riscontro nella lingua di Dawitʿ Anyałt; ciò non significa che l‟ipotesi di una dipendenza sia necessariamente da escludere, ma anche questo elemento non è, di per sé, cogente. Lo stesso dicasi per le presunte congruenze lessicali tra la traduzione del Timeo e le

Definizioni della Filosofia, che, secondo Arevšatyan, sarebbero l‟elemento probante

definitivo che consentirebbe di stabilire un termine ante quem per il Platone armeno. In realtà, un confronto incrociato dei passi con i rispettivi originali greci ha mostrato come, accanto a casi di analogia, che peraltro possono dipendere in molti casi dall‟attuazione di corrispondenze ben attestate a partire da un testo greco pressoché identico, vi sono anche significative divergenze: se ci fu una consultazione del Timeo armeno da parte di Dawitʿ, essa fu episodica, poiché vi sono luoghi che testimoniano senza possibilità di dubbio una resa autonoma. D‟altro canto, le possibili convergenze non dimostrano in modo inequivoco la direzionalità dell‟influsso: esse si sarebbero potute produrre anche qualora il traduttore di Platone avesse conosciuto le opere di Dawitʿ, cosa che, si noti tangenzialmente, è documentata con sicurezza per Grigor Magistros (in base alle ben più cogenti congruenze tra un passo della sua corrispondenza e il testo di Dawitʿ). Per quanto riguarda la presunta influenza della traduzione armena del Timeo sulla Cosmografia di Anania Širakacʿi, Arevšatyan, oltre a non dichiarare di quale tipo di „influsso‟ si tratti (lessicale? tematico?), non segnala precise e inequivocabili corrispondenze testuali. Evidentemente, una generale somiglianza di temi e anche di lessico non prova una dipendenza, e nemmeno una conoscenza della versione armena del dialogo, soprattutto se si considera che Anania avrebbe potuto avere accesso all‟originale greco o a letteratura secondaria che ne riproponesse il contenuto. Ancora, le motivazioni di natura storico-culturale addotte da Arevšatyan sono tutte confutabili con contro-esempi: l‟implausibilità di un‟assenza delle traduzioni platoniche fino all‟XI secolo si scontra con l‟analoga evidenza in area siriana e georgiana, nonché con la possibilità che contenuti e tematiche platoniche circolassero tra i dotti armeni tramite compendi e commenti, o grazie alla accessibilità degli originali.

(2)

231

L‟analisi condotta non mira, in conclusione, a negare senz‟altro la proposta di Arevšatyan, ma piuttosto a sottolineare come le prove da lui presentate non siano di per sé convincenti.

D‟altro canto, pochi dei contributi successivi che sostengono, invece, l‟attribuzione a Grigor Magistros, hanno prodotto elementi nuovi a sostegno della tesi: in molti casi, si tratta di una riproposizione di vecchie opinioni, quando non di totale ignoranza dell‟esistenza di una proposta alternativa. Significativa in tal senso è la trattazione di Saffrey (2007), che peraltro, potenzialmente, è in grado di esercitare un‟influenza su un pubblico di filologi e storici della filosofia occidentali che non conoscono la situazione armena e non possono accedere alla bibliografia originale a causa di barriere linguistiche. Egli, partendo da una consultazione molto parziale della letteratura scientifica precedente, sviluppa un‟argomentazione in cui la dipendenza del Platone armeno dal codice A (peraltro esclusa da analisi filologiche più o meno recenti) e l‟attribuzione delle traduzioni a Grigor Magistros, assunta come punto indiscutibile, si sostengono a vicenda nel proporre un itinerario armeno per il codice in questione. Anche in questo caso, spetta a codicologi e filologi, ben più competenti di chi scrive, valutare la possibilità di una presenza di A in Armenia. Le prove, però, devono essere senz‟altro cercate altrove.

Una notizia antica, presente in Sukias Somal (1825), sembra invece fornire elementi nuovi in questo dibattito ormai secolare. Prima dell‟arrivo in Occidente del manoscritto 1123, lo studioso segnalava la presenza di una citazione del Timeo nell‟Omelia sul Figlio Prodigo di Nersēs Lambronacʿi. Senza poter, evidentemente, effettuare un confronto, e senza menzionare il dettato del passo in esame (né, in effetti, di che passo si trattasse), egli considerava tale testimonianza come un indizio della sopravvivenza della traduzione di Grigor Magistros perlomeno fino al XII secolo. Una comparazione del testo del Timeo oggi noto con questa citazione, trovata ripercorrendo il testo dell‟Omelia, rivela una coincidenza pressoché totale (nettamente superiore, si noti, alle presunte corrispondenze tra il Timeo e Dawitʿ); ciò fornisce un termine ante quem, ovvero la fine del XII secolo, per la realizzazione della versione del

Timeo (il che, di per sé, non dice nulla sulla datazione degli altri dialoghi). Questo elemento è

più significativo di quanto sembri, perché, a differenza di quanto si ripete frequentemente e come sottolinea giustamente Aimi (2008-2009) sulla scorta di Yarnley (1976), la pratica della traduzione dal greco non morì con il Magistros.

La situazione è quindi la seguente: un dotto di X-XI secolo dichiarava di non aver trovato una traduzione del Timeo e di averne intrapresa una; un suo discendente, peraltro evidentemente al corrente della sua reputazione di studioso, citava, un secolo e mezzo più tardi, una versione oggi supersite, anonima e non datata. Ciascuno è libero di trarre da questi elementi le conclusioni che ritiene opportune: è possibile, evidentemente, che Nersēs abbia trovato una traduzione antica ignota al suo antenato; sembra però quantomeno verosimile che la versione in esame sia stata invece realizzata nell‟arco di questo secolo e mezzo. Pur tenendo presente che il valore probante di un argumentum ex silentio è scarso, soprattutto in una situazione documentaria come quella che caratterizza gli studi armeni, può essere opportuno segnalare che, tra gli autori e traduttori attivi in questo periodo, Grigor è l‟unico per cui sia documentato un lavoro di traduzione su Platone. Salvo nuove scoperte che indichino con chiarezza una paternità e una datazione, la parola definitiva, se mai sarà possibile raggiungerla, spetterà, comunque, all‟auspicata e auspicabile analisi sistematica del dettato di tutti i dialoghi, possibilmente in rapporto con le caratteristiche della lingua di Grigor (definita in termini generali come ellenizzante, oscura e artificiale), pur nella consapevolezza che un‟opera di traduzione può assumere caratteristiche nettamente distinte rispetto alla produzione autonoma del medesimo autore.

Per quanto riguarda il secondo capitolo, che si proponeva di delineare in prima istanza il metodo di traduzione, e secondariamente le caratteristiche linguistiche del testo, partendo da un‟analisi a campione condotta sull‟ambito semantico e lessicale dell‟“essere” e del

(3)

232

“divenire”, è opportuno segnalare che, in linea generale, i dati del Timeo concordano con quanto Aimi (2008-2009: 23 ss.) ha delineato per l’Apologia di Socrate.

La lingua risente, senza dubbio, dell‟influenza del greco, e ciò risulta evidente soprattutto dai numerosi calchi sintattici: nelle porzioni di testo analizzate si riscontra ad esempio la presenza di „genitivi assoluti‟; infinitive con soggetto in caso retto invece che in dativo; uso del prefisso z- (classicamente associato all‟accusativo) in funzione di articolo sostantivante anche in unione con un nominativo (il che si ricollega, peraltro, a una generale incertezza nel distinguere nominativi e accusativi)1; riproposizione pedissequa di alcune delle perifrasi con ; sovra-estensione dello strumentale dell‟infinito, con soggetto in nominativo, per rendere participi circostanziali; introduzione di una struttura artificiale evidentemente modellata sul greco (orpēs .. etʿē) per rendere interrogative disgiuntive, etc.

L‟approccio al testo, tuttavia, è discretamente autonomo; per quanto sia quasi sempre possibile individuare le corrispondenze tra segmenti greci ed armeni, ovvero, banalmente, capire che cosa traduca cosa (il che suggerisce un metodo che, nella maggior parte dei casi, non considera il testo come l‟unità propria della traduzione, mirando a riprodurne il senso generale, ma cerca anche un‟adesione più minuta), il traduttore non rispetta quasi mai l‟ordine delle parole del greco, e non si perita di inserire nuovi elementi al fine di chiarificare il dettato del modello. Ciò succede molto frequentemente con voci del verbo per “essere”, introdotte in corrispondenza di frasi nominali del greco, e questa prassi determina sovente una ristrutturazione sintattica, qualora, per esempio, participi congiunti vengano reinterpretati come predicati con copula sottintesa. Sintagmi preposizionali vengono talora resi con aggettivi, participi sostantivati con nomi, pronomi con sostantivi che ne interpretano la referenza: anche grazie a questo, in linea di massima, in contesto non tecnico il senso è preservato, fatte salve le prevedibili istanze di fraintendimento, o i casi in cui si adotta un‟interpretazione del testo greco di per sé legittima, ma non coincidente con quella preferita dagli interpreti moderni.

Anche l‟impiego di strutture sintattiche tipicamente greche non è sempre adottato per calco della struttura del modello; „genitivi assoluti‟ armeni si riscontrano, ad esempio, anche in corrispondenza di participi congiunti del greco: l‟autore si comporta come se disponesse di questa struttura nel proprio registro linguistico, e si sentisse autorizzato ad utilizzarla, in certa misura, in modo indipendente. D‟altro canto, sono attestate anche strutture proprie dell‟armeno classico, come infiniti con regolare soggetto in dativo, participi con regolare soggetto in genitivo, complementi d‟origine con i / y- e l‟ablativo in luogo di genitivi di provenienza del greco, casi in cui la perifrasi con è resa correttamente con una voce di “essere”, etc. Per quanto riguarda le voci verbali direttamente oggetto di analisi, l‟infinito gol risponde, effettivamente, alle occorrenze di tanto in funzione di copula quanto in accezione esistenziale, anche perché l‟alternativa, ovvero l‟impiego di un infinito linel, avrebbe creato problemi di natura terminologica; le occorrenze di indicativo sono però in linea con l‟uso classico: sono attestate solo terze persone, che compaiono in corrispondenza di voci di che veicolano una presupposizione di esistenza. Tra i verbi afferenti alla sfera del divenire, il presente post-classico ełanim non è attestato, ma il presente linim coesiste con forme di aoristo del tipo ełē.

A proposito di calchi morfologici, si danno casi in cui la struttura di elementi composti viene riprodotta pedissequamente in armeno: esemplare è il caso di očʿ ew mi, che trasferisce occorrenze di pronomi / aggettivi indefiniti quali e . Relativamente alla

1

Tale incertezza, si noti, non fornisce elementi utili ai fini di una datazione del testo: da un lato, la sovraestensione del prefisso z- è attestata già nella Scuola Ellenizzante; dall‟altro, l‟assorbimento di forme di accusativo plurale in quelle di nominativo è un tratto tipico dell‟armeno di Cilicia, che potrebbe però essere imputabile alle abitudini linguistiche dei copisti (non a caso, è presente anche in manoscritti che riportano testi di Filone).

(4)

233

trasposizione di verbi composti, come sottolinea anche Aimi (2008-2009: 23) per l‟Apologia, il traduttore non si perita però di impiegare, dove possibile, verbi semplici armeni, sia che essi corrispondano al verbo greco senza preposizione, cosicché, in traduzione, viene sostanzialmente omesso solo il preverbo, sia che si tratti di verbi semplici diversi, di significato analogo a quello del composto greco. Egli sente il bisogno di riprodurre anche il preverbo, per lo più tramite un aggettivo, un avverbio o un sintagma preposizionale, solo quando il significato dell‟elemento semplice non corrisponde a quello del composto greco. Per quanto riguarda i composti di esolo in un caso su oltre trenta l‟armeno utilizza a propria volta un composto modellato sul greco (aṙlinim per ). D‟altro canto, nel dialogo sono attestati composti, quali ad esempio əndownim, in corrispondenza di verbi semplici greci, es. 

Un probabile calco semantico è suggerito dalla corrispondenza  / lineli (che è, peraltro, attestata altrove); ciò non depone, tuttavia, contro l‟autonomia del traduttore, che non usa sistematicamente tale soluzione (all‟aggettivo armeno corrispondono, in altri passi, un sostantivo, un participio e un aggettivo diverso), ma rappresenta piuttosto la risposta a un‟esigenza di natura terminologica, consentendo di disporre di un aggettivo genericamente connesso con linim e linelowtʿiwn. Lo stesso dicasi proprio per linelowtʿiwn, che non significa, nel dialogo, “essenza”, ma funge da nominalizzazione del verbo linim, sulla scorta del greco in opposizione a goyowtʿiwn e goyacʿowtʿiwn.

Il quadro complessivo, dunque, è quello di un traduttore che utilizza un registro linguistico indubbiamente ellenizzato ed ellenizzante, ma non lo fa in nome di una aderenza servile al modello: la definizione di „versione interlineare‟, talora riferita ad alcune opere della

Yownaban Dprocʿ2

, non descrive accuratamente il testo in esame. A questo proposito, repertori delle caratteristiche linguistiche della Scuola Ellenizzante sono stati utilizzati di frequente, nel corso della trattazione, come elemento di valutazione contrastiva: ciò, si noti, non vuole necessariamente suggerire un‟attribuzione del Timeo armeno al periodo V/VI-VIII secolo, ma solo individuare in che misura le sue peculiarità trovino riscontro nella tipologia di alterazioni che la lingua subisce in un testo ellenizzato. Non a caso, molti di questi elementi sono riscontrabili anche nelle versioni di testi patristici (Mowradean, 2004).

I dati relativi alla trasposizione dell‟ambito lessicale afferente ad “essere” e “divenire” depongono in favore di un metodo che non procede per equivalenze automatiche, ma che non conosce nemmeno criteri sistematici. Il traduttore non attua infatti corrispondenze biunivoche tra elementi greci e armeni, per quanto alcune di esse siano notevolmente costanti, come, ad esempio, quella tra linim e .Egli sembra procedere di brano in brano, senza preoccuparsi di mantenere sempre una coerenza traduttiva nell‟intero dialogo, ma cercando senza dubbio di preservare il senso dei singoli passaggi. A questo proposito, è significativo che il grado di letteralità e artificialità della lingua aumenti esponenzialmente nei casi in cui il dettato greco è particolarmente complesso, e pone difficoltà oggettive anche all‟interprete moderno. Le „espansioni e spiegazioni del testo‟ cui faceva riferimento Finazzi (1990a), quando non sono giustificabili con la possibile presenza di uno scolio nel modello o con l‟influsso dell‟interpretamentum presente in un lessico eventualmente utilizzato dal traduttore, sono in ogni caso elaborazioni molto ridotte e legate al contesto immediato, ben diverse da quelle attestate, ad esempio, nella traduzione armena delle Definizioni della Filosofia di Dawitʿ.

L‟opposizione tra “essere” e “divenire” in contesto tecnico è mantenuta, il che non è di per sé particolarmente significativo, dato che l‟armeno dispone di elementi lessicali adeguati. Molto più rilevante è la chiara volontà del traduttore di rispettare distinzioni presenti nel greco, anche quando la lingua replica non possiede un analogo set di forme tra loro

2

(5)

234

differenziate. Si è avuto modo di constatare come questo sia particolarmente evidente nel caso delle opposizioni tra infiniti (si ricordi l‟adozione di forme finite per rendere il perfetto e il futuro), e soprattutto, tra participi di linim: il traduttore ricorre a perifrasi e, in un caso, anche a una forma artificiale (per quanto strutturalmente ammissibile) al fine di preservare, nel limite delle sue possibilità, il senso del testo. Anche la scelta di rendere forme di perfetto con perifrasi stative piuttosto che con forme di aoristo sembra indicare, in certa misura, una valutazione di tipo contestuale. Un approccio autonomo e una volontà di comprensione testimonia anche la resa differenziata di elementi che sono indistinti in greco: è il caso di alcuni participi di interpretati (a ragione o a torto) come sostantivati, e tradotti con ēak, elemento presente peraltro nel sottocodice filosofico armeno (a cui afferisce, si noti, anche l‟aggettivo aneł, usato in corrispondenza di e []Un caso analogo è costituito dalla resa differenziata di : non solo il traduttore è in grado e si preoccupa di distinguere un‟occorrenza nel senso concreto di “ricchezze”, “beni” (goykʿ) dagli impieghi in senso tecnico; egli giunge persino a impiegare una traduzione differenziata per le occorrenze filosoficamente connotate, adottando inizialmente goyowtʿiwn e, dopo che Platone ha descritto la nascita di un terzo tipo di essenza, impiegando solo goyacʿowtʿiwn, che significa anche “sostanza”. Capacità di valutazione del contesto dimostra anche la resa di occorrenze di e degli aggettivi corradicali con elementi che rimandano specificamente alla dimensione della generazione, laddove il senso lo consenta, a fronte di una traduzione di

default che utilizza il polisemico linim e gli elementi ad esso connessi. Almeno in due casi,

inoltre, è possibile che l‟autore sia stato influenzato, nella resa, dalla propria formazione cristiana.

Riassumendo, la versione del Timeo dimostra senz‟altro un approccio meditato e non meccanico, che cerca di salvare il senso del testo e riconosce la rilevanza filosofica di determinati elementi. L‟esito di tale proposito è però alterno: il traduttore dimostra maggiore disinvoltura e autonomia di resa in passi dal dettato piano e dal contenuto inequivoco, mentre si attiene più strettamente al modello in brani ad alta complessità. Queste possono essere considerate manifestazioni di una non completa comprensione e padronanza della lingua di partenza per come essa si presenta nel dialogo, ovvero, se si vuole, di bilinguismo imperfetto, non, genericamente, tra greco e armeno, ma piuttosto tra il greco platonico, che risultava talora oscuro anche a interpreti molto più vicini temporalmente e culturalmente, e l‟armeno di (almeno) otto secoli dopo.

Riferimenti

Documenti correlati

Come nel linguaggio comune, molte affermazioni si ottengono combinando opportunamente afferma- zioni pi` u

3 Con questo termine si può intendere sia l’area geografica a nord del Padus (Po), sia la regio XI augustea. Per quanto riguarda la prima accezione, la distinzione tra una

These variables comprise several measures of real economic activity (GDP, personal consumption, total fixed investment, residential and non-residential investment,

Interior, Foreign Affairs, Labor and Social Policy, Public Health, as well as the State Border Guard Service, exercises the following functions: policy development in the field

Anche nei lavaggi con UP (acqua ultrapura) sono state rilasciate fibre (50% circa rispetto ai lavaggi con prodotti di pulizia), nello specifico più fibre di poliammide rispetto

3) Calcolare il volume del tetraedro regolare di spigolo l. 4) Individuare la posizione del punto P sull’altezza di un cono in modo che il piano passante per P e parallelo alla

Maria Chiara Pettenati, Dirigente di Ricerca INDIRE – Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa Mario Rusconi _ Presidente Ass. Nazionale Presidi

This is very apparent in the new formulation of Article 117 (later 136) of the TEC, which refers to ‘fundamental social rights such as those set out in the