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CAPITOLO 5 DETERMINAZIONE VULNERABILITA’ MEDIANTE METODOLOGIE VC E VM ELABORATE DA G.N.D.T.

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CAPITOLO 5

DETERMINAZIONE VULNERABILITA’ MEDIANTE METODOLOGIE

VC E VM ELABORATE DA G.N.D.T.

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5.1 Valutazione della vulnerabilità nell’ambito del progetto S.A.V.E.

Nei precedenti paragrafi si è spiegato come l’utilizzo delle schede G.N.D.T. di II livello per il calcolo della vulnerabilità degli edifici, sia un metodo finalizzato a indagini e valutazioni su larga scala e può fornire stime affidabili in senso statistico, piuttosto che puntuale. Esso si basa su rilievi sommari “a vista”, e difficilmente è possibile tener conto delle differenze nei dettagli costruttivi e nelle resistenze dei materiali che caratterizzano edifici diversi. Quindi se da un lato questo approccio garantisce una buona robustezza della stima in senso statistico, esso non può fornire indicazioni verosimili sul singolo edificio.

Un’analisi approfondita della vulnerabilità e del rischio sismico del patrimonio edilizio esistente richiede un dispendio di risorse e di tempo, che spesso non è compatibile con l’impellenza dell’indagine e le disponibilità economiche. Infatti tramite l’attuale disponibilità di potenti mezzi di calcolo, è possibile descrivere dettagliatamente il comportamento degli edifici mediante modelli tridimensionali e analisi statiche e dinamiche, lineari e non lineari. Tuttavia l’affidabilità di tali valutazioni è strettamente legata alla conoscenza di tutte le caratteristiche della struttura relative ai materiali, alla geometria esterna e ai dettagli costruttivi, che spesso costituiscono il fattore cruciale nella risposta sismica a forti terremoti. Conseguentemente i tempi ed i costi necessari per le indagini e i rilievi strutturali e per l’esecuzione dei calcoli diventano proibitivi con l’aumentare del numero di edifici.

E’ quindi giocoforza calibrare la metodologia di indagine con quella di valutazione, in maniera da contemperare il livello di conoscenza raggiungibile con il metodo di valutazione applicato.

Per rispondere all’esigenze su esposte è stata proposta, per la valutazione della vulnerabilità e del rischio sismico degli edifici, la metodologia VC (Vulnerabilità Calcestruzzo armato) e VM (Vulnerabilità Muratura) elaborata da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro, ed impiegabile su edifici esistenti nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.).

In questo e nei successivi paragrafi della presente tesi è proposto un nuovo studio al fine di fornire una valutazione complessiva della vulnerabilità e del rischio sismico dei 48 edifici (15 in muratura e 33 in cemento armato) dislocati nella città di Livorno e provincia e precedentemente già analizzati tramite le schede G.N.D.T. di II livello. E’ stata quindi applicata la procedura di valutazione della vulnerabilità e del rischio sismico, VC per gli edifici in c.a. e VM per gli edifici in muratura, nella sua versione più recente, ampliata e migliorata rispetto a quella utilizzata nel passato. In particolare la procedura VC è stata sviluppata dopo il terremoto del Molise del 31.10.2002 per essere applicata a edifici scolastici.

I miglioramenti apportati derivano in parte dal completamento dei parametri valutativi della vulnerabilità, tra i quali le irregolarità strutturali e di forma, in parte dai confronti di calibrazione svolti rispetto ad altri metodi esistenti e a prove sperimentali su grandi modelli.

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Nella vecchia versione, in particolare, non venivano presi in considerazione direttamente gli effetti delle irregolarità strutturali in pianta ed in elevazione e non si differenziavano le accelerazioni spettrali in funzione del periodo di vibrazione della struttura, nella definizione dell’azione sismica. Inoltre veniva presa in esame la sola condizione limite di collasso strutturale.

Lo scopo delle metodologie è determinare la resistenza sismica ultima della struttura tramite l’individuazione dell’accelerazione massima del moto alla base della struttura che produce il collasso, sinteticamente denominata nel seguito PGA di collasso, e l’individuazione del piano critico.

La generalità dell’approccio con cui si affronta la ricerca della vulnerabilità e del rischio sismico in entrambe le metodologie VC e VM, è tale che, se sono rispettate alcune ipotesi di base sulle caratteristiche strutturali, tipiche degli edifici del dopoguerra, le procedure messe originariamente a punto per gli edifici pubblici, possono essere affidabilmente applicate anche ad edifici residenziali, in particolare a quelli in c.a..

Si è già detto nel capitolo 2 della presente tesi che, sostituendo all’edificio un suo modello meccanico teorico, la tecnica (meccanicistica) in questione è più vicina all’usuale approccio ingegneristico per la valutazione della sicurezza, rispetto alla metodologia adottata nelle schede G.N.D.T.. Il modello di calcolo semplificato permette l’analisi piano per piano sia per la determinazione degli spostamenti relativi tra un piano e l’altro, ai fini della valutazione delle condizioni di operatività, sia per il calcolo della resistenza sismica dell’organismo strutturale, ai fini della valutazione delle condizioni di collasso.

Il livello di complessità del modello è commisurato al livello di conoscenza della struttura reale, in termini di caratteristiche sia meccaniche dei materiali, che geometriche dei diversi elementi strutturali e dell’organismo strutturale nel suo insieme permettendo una valutazione relativamente affidabile in relazione al grado di conoscenza raggiunto della struttura. La scelta del modello e l’intera procedura di analisi nascono dall’ottimizzazione dell’impegno richiesto, sia in termini di indagini in situ, sia in termini di calcolo, impegno che va commisurato ad una applicazione su scala relativamente ampia.

Attraverso un’analisi preliminare dei possibili meccanismi di collasso (piano critico), viene individuato il meccanismo più probabile per la costruzione in esame, in relazione alle sue caratteristiche costruttive e sulla base di calcoli semplificati, dell’esperienza di passati terremoti e dei risultati presenti nella letteratura tecnico-scientifica. Quindi il modello semplificato, grazie al quale vengono effettuati i calcoli per la valutazione della resistenza sismica, è comunque capace di cogliere il meccanismo di collasso.

La vulnerabilità è riferita a due livelli di danneggiamento, corrispondenti, in termini prestazionali alla condizione limite di operatività, ossia di danneggiamento lieve tale da non pregiudicarne l’utilizzazione, e alla condizione di collasso incipiente. La vulnerabilità, pertanto, viene intesa come stima dell’intensità del terremoto per la quale l’edificio raggiunge le due condizioni dette:

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DS AD PM j DUT D j S PGA α α α α ⋅ ⋅ ⋅ = ,

dove PGAj è l’accelerazione massima al suolo; SD è il rapporto tra i tagli di piano Vj corrispondenti alla condizione limite in esame ed i corrispondenti tagli di piano agenti Vag,j (per accelerazione pari a g); i coefficienti α esprimono invece un giudizio sul comportamento dinamico (αPM e αAD) e sulla capacità dissipativa e duttile dell’edificio (αDS e αDUT,j).

Il rischio, ovviamente riferito alle condizioni di pericolosità sismica del sito in cui sorge la costruzione, tenendo conto anche di eventuali effetti di amplificazione locale, viene espresso in termini di periodo di ritorno del terremoto (corrispondente all’accelerazione di picco trovata) che produce le due condizioni limite dette. Con riferimento alle mappe della pericolosità sismica italiana predisposte nel 2001 dal Servizio Sismico Nazionale (SSN), si possono ottenere, per interpolazione o estrapolazione, i periodi di ritorno corrispondenti alle accelerazioni a terra mediante l’equazione: ) ln(ag e K T = ⋅ α⋅

dove i parametri α e k sono funzione del sito ed ag è l’accelerazione su roccia di cui si vuole determinare la ricorrenza.

Va evidenziato che dalle mappe del SSN è possibile ricavare, assumendo due diverse leggi di attenuazione, due possibili valori del periodo di ritorno corrispondenti alla PGA calcolata, ossia un valore medio, oppure un frattile più cautelativo, pari alla media più una deviazione standard.

L’attendibilità dei risultati che il metodo può fornire è strettamente legata alla qualità delle informazioni e all’aderenza del modello alla realtà. Questi aspetti uniti alla incompletezza delle informazioni sulla geometria della struttura e sulle resistenze dei materiali che il modello considera, la mancata valutazione degli effetti torsionali e l’assente stima di vulnerabilità delle parti non strutturali, hanno suggerito di utilizzare la metodologia S.A.V.E. similmente alle schede G.N.D.T. di II livello: individuare le situazioni di maggior rischio, ovvero a stilare una graduatoria dei fabbricati che necessitano di miglioramenti, con il fine di poter attribuire un indice di priorità nel caso di avviamento di un’iniziativa di interventi di adeguamento sismico migliorando conseguentemente l’utilizzazione delle risorse destinate ad interventi di riduzione del rischio.

Infatti l’applicazione di una stessa procedura ai diversi edifici permette di raffrontare in maniera diretta, e su base quantitativa, i loro livelli di vulnerabilità e di rischio, e di evidenziare quelle situazioni precarie, sulle quali occorre intervenire con maggiore urgenza.

Per valutazioni affidabili non semplicemente in senso conservativo, così com’è usualmente richiesto per i metodi di analisi per la progettazione e la verifica di sicurezza di una struttura, ma

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nella stima del valore più probabile della resistenza sismica della struttura e dell’azione che ne può determinare le condizioni limite, la procedura può essere applicata secondo due logiche diverse. La prima, coerente con un’analisi della sicurezza svolta ai sensi della normativa, richiede la considerazione di coefficienti di sicurezza e fattori di confidenza relative ai diversi tipi e materiali strutturali, conduce ad una valutazione convenzionale e cautelativa della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame. La seconda prescinde dall’adozione di coefficienti di sicurezza e fattori di confidenza e fa riferimento direttamente ai valori stimati più probabili delle resistenze dei materiali, essendo finalizzata alla determinazione della più probabile stima delle capacità sismiche della struttura in esame. Essa pertanto fornisce valutazioni meno cautelative ma più verosimili della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame. In questo modo il valore della resistenza sismica fornito non equivale a quello calcolato a norma di regolamento sismico, che risulta in genere inferiore, a parità di ipotesi sui materiali. Non adottando alcun coefficiente di sicurezza, si assumono, per la resistenza dei materiali, i valori medi o nominali o desunti dalla letteratura anziché i valori caratteristici. Inoltre, nel caso di strutture in cemento armato, si mette in conto, direttamente o indirettamente, anche il contributo positivo che gli elementi non strutturali possono offrire, contributo che non può essere portato in conto nella valutazione della sicurezza secondo normativa. Tutto ciò al fine di ottenere, al di là delle approssimazioni e dei limiti del modello, una stima della reale resistenza sismica, o meglio di quella più probabile.

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5.2 Legami tra le schede di II livello C.N.R./G.N.D.T. (per edifici in muratura

ed in c.a.) e le procedure VM e VC del progetto S.A.V.E.

Si è già visto come il parametro 3 relativo alle schede di vulnerabilità G.N.D.T./C.N.R. di II livello, denominato Resistenza convenzionale, rappresenti una stima della resistenza sismica dell’edificio. Il parametro è basato sul calcolo di un coefficiente α dato dal rapporto tra la forza di resistenza al taglio minima del piano in esame e le forze sismiche agenti sullo stesso valutate mediante l'analisi statica della struttura soggetta ad un sistema di forze orizzontali parallele alla direzione prevista per il sisma.

Si tratta di un modello di calcolo semplificato basato sulla risposta sismica dell’edificio di tipo tagliante; sotto questa condizione e con una accurata valutazione degli altri elementi coinvolti nel calcolo (resistenza specifica, masse e caratteristiche dimensionali), si può ritenere il coefficiente “α” un buon indicatore di vulnerabilità di tipo meccanico ed essere utilizzato per una stima dell’accelerazione di collasso al suolo (PGA) e quindi impiegato per analisi di rischio attraverso il confronto con i valori delle accelerazioni al sito attese, rese disponibili dalle valutazioni aggiornate di pericolosità sismica del territorio.

Il valore di “α”, si può assumere quindi come una stima approssimata dell’accelerazione sismica spettrale di collasso dell’edificio SD.

E’ proprio su questi aspetti che si basano le procedure VM e VC elaborate da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro, ed impiegabili su edifici esistenti nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.).

Entrambi i metodi VM e VC calcolano, per ciascun piano e per le due direzioni, i rapporti SD tra i tagli resistenti di piano Vj corrispondenti alla condizione limite in esame ed i tagli di piano agenti

Vag,j = ∑Fj (per accelerazione pari a g) definendo così la prestazione strutturale dei singoli piani

dell’edificio in termini di accelerazioni sulle masse strutturali, espresse in frazione di g.

= j j res j D F V VM VC S , ( , ) , dove:

Vres,j è il taglio resistente al piano j-esimo j

j

j w

F =γ ⋅ con wj corrispondente al peso del piano j-esimo e

⋅ ⋅ = i i j j j h w w h γ

La formulazione è proprio analoga a quella vista per il calcolo del coefficiente “α” del parametro 3 relativo alle schede di vulnerabilità G.N.D.T./C.N.R. di II livello sia per quanto riguarda il calcolo del taglio resistente per la condizione limite di collasso (per il quale negli edifici in muratura si adotta la formulazione di Turnsek-Cacovic), sia per il calcolo delle forze statiche equivalenti (a meno dei diversi coefficienti correttivi che concorrono al calcolo delle forze

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statiche equivalenti e ipotizzando piani tutti con la medesima altezza hj e con il medesimo peso wj).

Il passaggio da accelerazione sulle masse strutturali SD di piano ad accelerazione al suolo PGA dipende da numerosi fattori che caratterizzano il comportamento dinamico in campo non lineare della struttura, come verrà più dettagliatamente descritto nei paragrafi successivi. I parametri che possono maggiormente differenziare i risultati in termini di PGA per i diversi piani e le due direzioni sono il periodo proprio, che può variare nelle due direzioni, la forma spettrale, la presenza di irregolarità in elevazione, il livello di sollecitazione dei pilastri a sforzo normale e a taglio (per il c.a.).

Nel precedente paragrafo si è visto come il modello di calcolo semplificato che si sceglie di adottare, permetta l’analisi piano per piano sia per la determinazione degli spostamenti relativi tra un piano e l’altro, ai fini della valutazione delle condizioni di operatività, sia per il calcolo della resistenza sismica dell’organismo strutturale, ai fini della valutazione delle condizioni di collasso. Per gli edifici in muratura si possono distinguere due diverse modalità di collasso principali: - meccanismi di primo modo

- meccanismi di secondo modo

È consuetudine indicare come meccanismi di primo modo quelle configurazioni deformative di flessione fuori dal piano, attivate dalle sollecitazioni sismiche, che comportano quindi la possibilità di ribaltamento delle pareti. Essi tendono a manifestarsi prevalentemente in quegli edifici che non hanno un efficace sistema di connessioni tra pareti strutturali e tra pareti e orizzontamenti rigidi, che induca quel comportamento spaziale che viene definito di tipo

scatolare.

Sono invece detti meccanismi di secondo modo quelle manifestazioni di risposta alle azioni sismiche delle costruzioni in muratura associate a questo tipo di comportamento scatolare, caratterizzate dal fatto che l’organismo strutturale reagisce alle forze d’inerzia indotte dal sisma prevalentemente con sollecitazioni di taglio nelle pareti, con esclusione o limitata attivazione di meccanismi di collasso locali per flessione fuori dal piano. Questo tipo di meccanismo è da ritenere che possa realisticamente manifestarsi nel caso di edifici che presentano una adeguata densità e una regolare distribuzione delle pareti resistenti secondo due direzioni ortogonali, con efficaci collegamenti tra loro, orizzontamenti rigidi nel piano e ben collegati alle pareti e quando siano limitati gli spostamenti alla sommità della costruzione, per presenza di elementi di contenimento e in assenza di fattori locali di vulnerabilità, quali aperture e azioni orizzontali quali quelli associati alle masse ed alle strutture di copertura spingenti.

A tal proposito nella scheda di vulnerabilità di II livello per le murature, I parametri 1, 5, e 9 si possono utilizzare per l’attribuzione degli edifici ad uno dei due meccanismi sopra descritti. Nella tabella di seguito riportata sono elencati i criteri di assegnazione delle classi di vulnerabilità

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A,B,C e D ai suddetti parametri che descrivono le caratteristiche principali per il funzionamento scatolare del sistema strutturale:

Tab.: 5.1 Criteri di assegnazione delle classi di vulnerabilità A,B,C e D ai parametri 1, 5 e 9 della scheda di 2° livelloGNDT per gli edifici in muratura

Le informazioni sul buon collegamento tra le pareti (Parametro 1), la presenza di solai rigidi e ben collegati (parametro 5) e di coperture ben realizzate e non spingenti (Parametro 9), possono essere assunte come parametri per il riconoscimento della sussistenza, più o meno marcata, delle condizioni di validità del modello scatolare, modello che viene adottato proprio dalla metodologia VC. La compresenza per i parametri 1, 5 e 9 di classi di vulnerabilità bassa (A o B prevalentemente e C in alcuni casi) porta a individuare gruppi di edifici con comportamento più o meno marcatamente prossimo a quello di tipo tagliante; al contrario, la presenza di classi a

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vulnerabilità alta (D e C in alcuni casi) definisce gruppi suscettibili di comportamento flessionale, con probabili meccanismi di ribaltamento.

5.3 La procedura VM elaborata nell’ambito del progetto S.A.V.E.

Nel presente paragrafo si spiega in maniera più dettagliata come si determina la vulnerabilità sismica degli edifici in muratura mediante la procedura VM elaborata da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro, ed impiegabile su edifici esistenti nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.).

Il modello di calcolo semplificato di cui si è già parlato nel paragrafo precedente e che è alla base dei calcoli sia per la determinazione degli spostamenti relativi tra un piano e l’altro sia per il calcolo della resistenza sismica dell’organismo strutturale, considera le modalità di plasticizzazione e rottura per taglio e/o per pressoflessione dei maschi murari sollecitati nel proprio piano, determinando il taglio complessivo portato dalla struttura.

Per la condizione limite di collasso, la resistenza all’azione orizzontale del maschio murario i-esimo, al j-esimo piano, nella direzione dell’analisi, sollecitato nel proprio piano, viene valutata considerando il valor medio della sua resistenza unitaria a taglio, secondo la formulazione di Turnsek-Cacovic. La formula esprime bene la resistenza di un maschio murario quando la rottura avviene per taglio, mentre ne fornisce una sovrastima quando il maschio murario è snello e soggetto ad una tensione di compressione bassa, a causa del sopraggiungere della crisi per flessione, prima che si determini la crisi per taglio. Per tener conto di questa eventualità, si applica un fattore riduttivo della resistenza specifica tangenziale, funzione della snellezza e della tensione di compressione media, così da ottenere il valore corretto τcorr,i,j, per il maschio murario i-esimo del piano j-esimo, nella direzione parallela al piano medio del maschio murario:

j i corr j i j i corr j i j i A V , , , , 0 , , , , 5 , 1 1 τ σ τ ⋅ + ⋅ ⋅ =

in cui Vi,j è la resistenza a taglio del maschio murario i-esimo, al piano j-esimo, sollecitato nel proprio piano, σ0,i,j è la tensione di compressione agente sullo stesso maschio murario per effetto dei carichi verticali, Ai,j è l’area della sua sezione orizzontale. La valutazione di τcorr,i,j viene effettuata automaticamente dalla procedura, una volta specificate le caratteristiche geometriche del maschio murario e delle fasce di piano inferiore e superiore ed i carichi agenti. La valutazione della resistenza complessiva dell’edificio, infatti, richiede la determinazione delle aree di muratura resistente nelle due direzioni, escludendo naturalmente le aperture di porte e finestre,

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valutando per ciascun allineamento la snellezza media e la tensione media di compressione, così da determinare il fattore riduttivo da applicare alla resistenza unitaria a taglio. La resistenza complessiva in ciascuna direzione è ottenuta sommando i contributi dei singoli maschi murari del livello in esame sollecitati parallelamente, secondo l’equazione:

= i j

j V

V ,

Per la condizione limite di operatività, invece, la perdita di operatività è riferita alla condizione di danneggiamento non trascurabile delle parti non strutturali e/o di quelle strutturali. Per questo essa è determinata dal raggiungimento di una delle due seguenti condizioni:

− drift percentuale (spostamento interpiano/altezza di interpiano) dr,lim = 0.3% − accelerazione a terra corrispondente ad un valore unitario di αDUT,j.

Per quanto riguarda la prima condizione, il taglio che provoca il drift limite nella direzione considerata (e quindi il taglio massimo resistente per la condizione limite di operatività) sarà pari a:

Vop,j = Kj ⋅ hj ⋅ dr,lim

dove Kj rappresenta la rigidezza dei singoli maschi murari e viene valutata tenendo conto della deformabilità a taglio e la deformabilità a flessione con l’equazione:

2 2 , 1 1 b E h G h A G r K def def j i ⋅ ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = χ χ

in cui per tutte le grandezze in formula sono omessi, per semplicità, gli indici di riferimento del maschio in esame ed i moduli elastici sono valutati come:

E = 6 G ; G = 1100 τk

r è un fattore riduttivo che tiene conto della riduzione di rigidezza per fessurazione, compreso tra 0.5 e 1;

hdef è l’altezza deformabile, valutata tenendo conto delle dimensioni delle aperture adiacenti al maschio murario in esame;

b è la larghezza del maschio murario;

A è l’area della sezione orizzontale del maschio murario.

L’altra condizione è valutata semplicemente assumendo αDUT,j = 1 (coefficiente di duttilità di cui si parlerà più avanti). È opportuno sottolineare come questa condizione corrisponda non alla prima plasticizzazione locale dei maschi murari ma alla plasticizzazione di tutti i maschi di un piano, e, dunque, ad uno stato di danneggiamento effettivo della struttura.

Come già esposto nel precedente paragrafo, adottando il metodo dell’analisi statica lineare, è possibile calcolare la risultante delle forze statiche orizzontali che definisce le forze di piano in

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relazione ad una prefissata forma semplificata del primo modo di vibrare della struttura in cui si assume l’accelerazione pari ad 1g:

j j

j w

F =γ ⋅

con wj corrispondente al peso del piano j-esimo; hj corrispondente all’altezza del piano j-esimo; hi l’altezza di un piano i-esimo rispetto allo spiccato di fondazione e con wi il peso del relativo piano, mentre la relazione che lega queste grandezze è

⋅ ⋅ = i i j j j h w w h γ .

I rapporti SDj tra i tagli resistenti di piano ed i tagli di piano agenti Vag,j = ∑Fj (per accelerazione pari a g) calcolate come sopra esposto, definiscono la prestazione strutturale dei singoli piani dell’edificio in termini di accelerazioni sulle masse strutturali, espresse in frazione di g.

A questo punto, determinate le massime accelerazioni spettrali per ciascuna condizione limite esaminata (calcolate a sua volta per ciascun piano e per entrambe le direzioni) tramite i rapporti SDj, si passa al calcolo delle accelerazione al suolo PGAj applicando la seguente relazione:

DS AD PM j DUT j D j S PGA α α α α ⋅ ⋅ ⋅ = , , dove:

- αPM è il coefficiente di partecipazione modale del primo modo di vibrare nella direzione considerata, che può essere assunto pari a 0.8 per edifici aventi più di un piano.

- αAD è l’amplificazione spettrale, funzione del periodo del primo modo nella direzione in

esame e della forma spettrale; esso viene determinato con riferimento agli spettri riportati in [PCM, 2003] per i diversi tipi di terreno, secondo le categorie di profili stratigrafici del suolo di fondazione. Il periodo proprio della struttura viene automaticamente calcolato mediante la formula di Rayleigh adottando la deformata prodotta dalle forze statiche ovvero applicando staticamente i pesi calcolati come carichi orizzontali agenti ai piani e calcolando i rispettivi spostamenti:

⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = i i i i W g W T δ δ π 2 1 2

È opportuno ricordare che la condizione di danneggiamento è legata al raggiungimento di uno spostamento interpiano pari a 0.3% dell’altezza di piano e dipende dalla rigidezza, risultando lo spostamento sostanzialmente proporzionale al periodo. Al contrario la condizione ultima è legata all’amplificazione spettrale che, avendo assunto sempre lo spettro relativo a terreni di categoria C, nell’intervallo di periodi compresi tra 0,15 e 0,5s, rimane costantemente pari a 2,5. Per valori di periodo inferiore a 0,15s, l’amplificazione spettrale αAD decresce al diminuire del periodo analogamente per valori di periodo superiori a 0,5s, αAD decresce all’aumentare del periodo.

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- αDS è un coefficiente che tiene conto delle capacità dissipative dell’edificio, determinate dalla presenza di elementi non strutturali collaboranti, non messi direttamente in conto esplicitamente in termini di resistenza. Negli edifici in muratura, nei quali il contributo degli elementi non strutturali, ove presenti, si considera trascurabile, αDS è normalmente assunto pari a 1.

- αDUT,j è un coefficiente di duttilità, che tiene conto della capacita duttile della struttura. Mentre

nella valutazione delle prestazioni strutturali rispetto alle condizioni di operatività il coefficiente di duttilità assume, in ogni caso, valore unitario, per la condizione limite di collasso, il coefficiente di duttilità di piano nella direzione considerata assume la forma: αDUT,j = 2 ⋅ p1,j ⋅ p2 ⋅ p3 ≥ 1.

Ai coefficienti pk sono da attribuire i seguenti significati:

- p1j = coefficiente riduttivo di piano per irregolarità di resistenza tra piani successivi; un eccessivo aumento del rapporto tra capacità e domanda in termini di taglio di piano procedendo dal basso verso l’alto, viene quantizzata attraverso il calcolo automatico dei rapporti Rj tra il taglio-resistente ed il taglio-agente, rapporti calcolati per il piano j-esimo e il piano (j+1)-esimo immediatamente al di sopra, per una data direzione:

Rj = (Vj/Vag,j)/(Vj+1/Vag,j+1) si ha:

p1,j = 0.5 + 0.5 Rj ≥ 0.75 se Rj < 1 p1,j = 1 se Rj ≥ 1

Il coefficiente p1,j, pertanto, sarà pari a 1 se ai piani inferiori si hanno delle sovraresistenze rispetto ai piani superiori; a 0,75 quando si hanno delle sovraresistenze dei piani superiori maggiori del 50% rispetto ai piani inferiori; e valori compresi tra 0,75 e 1 negli altri casi. Ovviamente il coefficiente è sempre unitario all’ultimo piano.

Le irregolarità di rigidezza e massa in elevazione non sono considerate, ritenendo che esse producano effetti trascurabili rispetto a quelli determinati dalle irregolarità di resistenza.

- p2 = coefficiente riduttivo globale per irregolarità di rigidezza o di massa in pianta. E’ un fattore che si applica al coefficiente di duttilità di tutti i piani, ed assume i seguenti valori: p2 = 1.00 per situazioni regolari

p2 = 0.95 per situazioni mediamente irregolari p2 = 0.90 per situazioni fortemente irregolari

- p3 = coefficiente riduttivo globale per irregolarità di forma geometrica. E’ un fattore che considera l’irregolarità di forma in pianta (pianta non compatta, non simmetrica) e/o in elevazione e si applica al coefficiente di duttilità di tutti i piani, ed assume i seguenti valori: p3 = 1.00 per situazioni regolari

p3 = 0.95 per situazioni mediamente irregolari p3 = 0.90 per situazioni fortemente irregolari

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Determinate le accelerazioni massime del terreno in situ (PGA), corrispondenti al raggiungimento delle condizioni limite ai singoli piani e nelle due direzioni considerate, si passa a quelle su roccia (ag) tramite la relazione:

S a PGAj = gj

dove S rappresenta l’accelerazione di ancoraggio dello spettro ed è un fattore che tiene conto del profilo stratigrafico del suolo di fondazione assumendo i seguenti valori:

Tab.: 5.2

Per gli edifici oggetto della presente tesi, si è ipotizzato un suolo di categoria C cioè composto da depositi di terreni a grana grossa mediamente addensati o terreni a grana fina mediamente consistenti.

Una volta valutata la vulnerabilità reale della struttura, espressa in termini di accelerazione massima a terra del terremoto che produce il collasso o la perdita di operatività, è possibile definire il rischio di collasso, ovvero il periodo di ritorno del terremoto corrispondente all’accelerazione di picco trovata nel sito. Allo scopo si adotta la metodologia esposta nel paragrafo 5.1.

Si ricorda infine che applicando ai materiali strutturali i relativi coefficienti di sicurezza ed i fattori di confidenza, si ottiene una valutazione convenzionale e cautelativa della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame. Prescindendo dall’adozione di coefficienti di sicurezza e fattori di confidenza, adottando quindi i soli valori medi o nominali delle resistenze, si ottiene una valutazioni meno cautelative ma più verosimili della reale vulnerabilità e del rischio sismico dell’edificio in esame (si adottano le resistenze specifiche ultime mediamente più vicine ai valori sperimentali ovvero i valori reali di rottura della resistenza a compressione e della resistenza unitaria taglio della muratura priva di carichi assiali moltiplicando i valori indicati dalle norme per i relativi coefficienti di sicurezza che la norma ha utilizzato implicitamente o esplicitamente).

In questo modo il valore della resistenza sismica fornito non equivale a quello calcolato a norma di regolamento sismico, che risulta in genere inferiore, a parità di ipotesi sui materiali.

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5.4 La procedura VC elaborata nell’ambito del progetto S.A.V.E.

Nel presente paragrafo si spiega in maniera più dettagliata come si determina la vulnerabilità sismica degli edifici in calcestruzzo armato mediante la procedura VC elaborata da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro, ed impiegabile su edifici esistenti nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.).

Già nel capitolo 1 della presente tesi si è visto che, nello spirito del Capacity Design, in caso di terremoti di grande intensità, l’attenzione è rivolta verso la prevenzione dei crolli rovinosi: pur dovendo accettare un certo danneggiamento, diventa allora determinante assicurare un’ampia capacità dissipativa globale dell’intero sistema resistente. Essa dipende dalle caratteristiche del particolare meccanismo di collasso che si instaura quando la struttura deve estendere la sua risposta nel campo post-elastico e dalla deformabilità plastica locale disponibile nelle zone critiche che da tale meccanismo sono mobilitate. I meccanismi indesiderati sono invece impediti assicurando che la resistenza di tali meccanismi sia superiore rispetto agli altri.

In occasione della descrizione del parametro 7 della scheda di II livello G.N.D.T./C.N.R. (“configurazione in elevazione”), si è dimostrato che un buon comportamento sismico delle strutture intelaiate in c.a. è legato alla formazione di un meccanismo di collasso globale, che coinvolge l’intera struttura sotto sismi violenti, producendo deformazioni anelastiche alle estremità delle travi di tutti i piani e alla base dei soli pilastri del piano terra (meccanismo a travi deboli – colonne forti).

La realizzazione di un tale meccanismo richiede, però, un’accurata progettazione antisismica, basata sul principio di gerarchia delle resistenze, o “Capacity Design” introdotto in Italia a livello normativo solo con la recente Ordinanza 3274/2003 per le costruzioni in zona sismica.

Le strutture in c.a. esistenti, spesso progettate per soli carichi verticali, sono abitualmente caratterizzate da bassi quantitativi di armatura longitudinale nei pilastri, per cui, salvo particolari condizioni geometriche, il meccanismo di collasso più probabile è quello a colonne deboli e travi forti. E’ proprio a tale meccanismo che la procedura VC fa riferimento nella messa a punto del modello semplificato, caratterizzato dalla formazione di cerniere plastiche alle estremità di tutti i pilastri dei singoli piani.

Il coinvolgimento di un numero ridotto di elementi strutturali di un unico piano alla dissipazione di energia e, in particolare, di pilastri soggetti, per la funzione che svolgono, a elevati sforzi di compressione, determina una ridotta duttilità disponibile e una limitata capacità dissipativa d’insieme della struttura.

Valori elevati dello sforzo di compressione nei pilastri possono determinare rotture fragili per schiacciamento e favorire un collasso anticipato della struttura. Comportamenti fragili possono anche derivare da elevate percentuali di armatura longitudinale, associate ad insufficiente

(15)

armatura trasversale (staffe) o la presenza di pilastri corti, nei quali è prevalente la sollecitazione tagliante rispetto a quella flessionale. In tali casi la rottura fragile a taglio può anticipare la plasticizzazione a flessione.

La non perfetta rispondenza del modello alla realtà comporta, naturalmente, errori di stima della vulnerabilità sismica, che sono comunque in favore di sicurezza. Infatti la resistenza sismica che scaturisce dall’ipotesi di meccanismo a pilastri deboli – travi forti fornisce sicuramente un limite inferiore alla effettiva capacità resistente e duttile di una struttura intelaiata nella quale si sviluppino meccanismi alternativi o misti.

Si procede analogamente a quanto già esposto per gli edifici in muratura con l’ulteriore diversificazione tra un modello in assenza di tamponature ed un modello che invece ne considera il contributo in termini di rigidezza e resistenza. Per la condizione limite di collasso nelle strutture in calcestruzzo armato, la resistenza all’azione orizzontale del pilastro i-esimo, al j-esimo piano, nella direzione dell’analisi, viene valutata considerando le effettive capacità duttili che i singoli pilastri possono sviluppare, in relazione all’entità degli sforzi di compressione e di taglio agenti. Così, facendo riferimento alla modalità di rottura per flessione, si definisce con myi,j il momento resistente del pilastro i-esimo al j-esimo piano, nella direzione dell’analisi condotto tramite la costruzione dei domini di interazione N–M.

A questo punto, definita con hpil.i,j l’altezza del pilastro nella direzione considerata e con αpil.i,j⋅hpil.i,j, la quota in cui si localizza il punto di flesso (momento nullo) della deformata del pilastro, il taglio resistente di ogni pilastro del j-esimo piano in esame, nell’ipotesi di meccanismo duttile per flessione, sarà pari, per ciascuna delle due direzioni ortogonali considerate, a:

j i pil j i pil j yi j i pil flex h m V , . , . , , . . ⋅ = α

Il taglio resistente per meccanismo duttile del j-esimo piano è calcolato come somma dei contributi dei singoli pilastri:

= i j i pil j pil V V . .,

Le espressioni che hanno portato alla determinazione del taglio resistente di piano appena esposte, si riferiscono alla condizione di modello in assenza di tamponature. Il contributo delle tamponature e delle tramezzature inserite nelle maglie strutturali può essere messo in conto, in relazione all’accuratezza e all’affidabilità del rilievo, secondo due modalità alternative:

1) valutando la rigidezza e la resistenza dei singoli pannelli mediante formule di comprovata affidabilità;

2) considerando solo un incremento forfetario della capacità dissipativa dell’edificio.

La seconda modalità di valutazione è basata solo su un incremento forfetario della capacità dissipativa dell’edificio per opera del contributo delle tamponature e delle tramezzature. Ai fini del calcolo della resistenza sismica si suppone che la dissipazione di energia conseguente al loro

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danneggiamento si traduca in un maggiore smorzamento (assunto tipicamente pari al 10%) e nella conseguente riduzione dell’accelerazione sulla struttura.

Il calcolo del taglio resistente delle tamponature e tramezzature al piano j-esimo si effettua considerando tre meccanismi di rottura che verranno indagati più dettagliatamente nel paragrafo seguente: scorrimento orizzontale, compressione diagonale, schiacciamento degli spigoli.

Il taglio resistente complessivo delle tamponature e tramezzature al piano j-esimo, nella direzione considerata, (Vmur,j) viene valutato sommando i contributi dei singoli elementi e considerando anche la presenza di aperture nel piano considerato.

Dunque per la condizione di collasso si definisce la resistenza di piano Vj,COLL come pari a Vj,pil o Vj,tot, a seconda della eventuale messa in conto degli elementi non strutturali.

I calcoli svolti fino a questo momento fanno costantemente riferimento ad un meccanismo di rottura di tipo duttile. Per valutare invece la resistenza del pilastro nell’eventualità che la rottura fragile a taglio anticipi quella duttile per pressoflessione, si fa riferimento alla formulazione del metodo normale esposta nel paragrafo 4.3.2.4.3 dell’Eurocodice 2. Il taglio resistente è dato da: VRd3,pil,i, j = VRd1 + Vwd

dove:

[

k

]

b d

VRd1 = τRd (1,2+40ρl)+ 0,15σcp w rappresenta il contributo del solo calcestruzzo; Vwd = (Asw / s) * 0.9 * d * fsy rappresenta il contributo offerto dalle armature a taglio;

τRd è resistenza unitaria a taglio di calcolo di elementi privi di armatura a taglio che nella seguente tabella è espressa in N/rnm2 e dove il valoe di è pari a γc = 1,5

fck 12 16 20 25 30 35 40 45 50

γc = 1.5 τRd 0.18 0.22 0.26 0.30 0.34 0.37 0.41 0.44 0.48

γc = 1.6 τRd 0.17 0.21 0.24 0.28 0.32 0.35 0.38 0.41 0.45

Tab.: 5.3

bw è lo spessore dell’anima; d è l’altezza utile della sezione;

K è il coefficiente che considera la continuità o meno delle armature in compressione; Asw è l’area della sezione trasversale dell’armatura a taglio;

fsy è la tensione media di snervamento delle armature;

ρl è la percentuale di armatura longitudinale;

σcp è lo sforzo sul pilastro.

Per ogni pilastro il taglio resistente è dato dal valore minimo offerto dai due differenti meccanismi di rottura: quello duttile e quello fragile.

Anche, nel caso di ottura fragile, il taglio resistente del j-esimo piano in una direzione, è calcolato come somma dei contributi dei singoli pilastri nella medesima direzione.

(17)

Per la condizione limite di operatività, in analogia con quanto già esposto per le costruzioni in muratura, la perdita di operatività è riferita alla condizione di danneggiamento non trascurabile delle parti non strutturali e/o di quelle strutturali. Per questo essa è determinata dal raggiungimento di una delle due seguenti condizioni:

− drift percentuale (spostamento interpiano/altezza di interpiano) dr,lim = 0.5% − accelerazione a terra corrispondente ad un valore unitario di αDUT,j.

Per quanto riguarda la prima condizione, il taglio che provoca il drift limite nella direzione considerata (e quindi il taglio massimo resistente per la condizione limite di operatività) sarà pari a:

Vop,j = Kj ⋅ hj ⋅ dr,lim

dove hj è l’altezza del piano j-esimo e Kj è la rigidezza complessiva del piano j-esimo, nella direzione in esame, che viene valutata sommando le rigidezze di tutti i pilastri in tale direzione e, nel caso in cui si consideri il contributo offerto dalle tamponature e tramezzature in termini di rigidezza, aggiungendo il valore risultante, nella direzione in esame, della rigidezza allo spostamento orizzontale dei singoli pannelli i-esimi ∑Kmur,i,j del j-esimo piano.

La rigidezza di ogni pilastro del generico j-esimo piano per ognuna delle due direzioni considerate è valutata sulla base delle caratteristiche geometriche e meccaniche, mediante la consueta equazione: j i pil j i pil j j i pil j i pil h J E c K , . 3 , . , . , . ⋅ ⋅ = dove:

Ej = 5700 R [N/mmc 2] è il modulo elastico del calcestruzzo al piano j-esimo in esame, essendo Rc il valore assunto per la resistenza cubica del calcestruzzo;

Jpil,i,j è il momento d’inerzia del pilastro, al piano in esame, rispetto all’asse ortogonale alla

direzione considerata nell’analisi;

hpil,i,j è l’altezza del pilastro, al piano in esame, nella direzione considerata nell’analisi;

cpil,i,j è un coefficiente di deformabilità, che assume valori differenti in funzione del grado di vincolo che le travi esplicano nei confronti del pilastro.

Per ciascuna delle due direzioni ortogonali, la rigidezza complessiva viene valutata nelle due ipotesi di calcestruzzo integro o fessurato. La rigidezza della struttura nello stato fessurato viene valutata riducendo del 50% la rigidezza EJ della sezione integra dei pilastri.

Quindi in assenza di tamponature la rigidezza complessiva del piano j-esimo, nella direzione in esame, viene valutata sommando le rigidezze di tutti i pilastri in tale direzione:

j i pil j pil j K K K , . . =

=

Se invece si considera anche il contributo di rigidezza offerto dalle tamponature, integre o fessurate, nella direzione parallela al loro piano, facendo riferimento alla formulazione basata sull’ipotesi di puntone equivalente, si ottiene che:

(18)

(

)

2ϑ 2ϑ ,

, = EA/d ⋅cos =0,1⋅Et⋅cos

Kmuri j m m

dove:

Kmur,i,j è la rigidezza allo spostamento orizzontale del generico pannello i-esimo del j-esimo piano

presa pari al contributo di un puntone, la cui sezione ha spessore pari a quello del pannello murario e larghezza pari ad 1/10 della lunghezza del pannello (una stima conservativa della deformazione laterale del telaio può essere effettuata attribuendo ai puntoni diagonali una larghezza pari al 10% della loro lunghezza) ed assumendo un’ulteriore riduzione del 50% per tener conto di una condizione di danno incipiente.

Em è il modulo elastico della muratura assunto pari a 1000 fk A è l’area della sezione del puntone equivalente, pari a 0.1⋅s⋅d

d = 2 2

l

h + è la lunghezza della diagonale del pannello

La rigidezza totale Kj del piano j-esimo è determinata sommando i contributi di tutti gli elementi strutturali e non strutturali efficaci nella direzione considerata:

+ = i j i mur j pil j K K K , ,,

Analogamente a quanto già visto per le murature, adottando il metodo dell’analisi statica lineare, è possibile calcolare la risultante delle forze statiche orizzontali al piano j che definisce le forze di piano in relazione ad una prefissata forma semplificata del primo modo di vibrare della struttura ed in cui si assume l’accelerazione pari ad 1g:

j j

j w

F =γ ⋅

con wj corrispondente al peso del piano j-esimo; hj corrispondente all’altezza del piano j-esimo; hi l’altezza di un piano i-esimo rispetto allo spiccato di fondazione e con wi il peso del relativo piano, mentre la relazione che lega queste grandezze è

⋅ ⋅ = i i j j j h w w h γ .

I rapporti SDj tra i tagli resistenti di piano corrispondenti alla condizione limite in esame ed i tagli di piano agenti Vag,j = ∑Fj (per accelerazione pari a g) calcolate come sopra esposto, definiscono la prestazione strutturale dei singoli piani dell’edificio in termini di accelerazioni sulle masse strutturali, espresse in frazione di g.

Infine, solo per la condizione di collasso, si tiene conto degli effetti del secondo ordine, calcolando lo spostamento relativo di piano corrispondente alla condizione di collasso drcoll,j (nell’ipotesi di uguale rigidezza elastica tra le condizioni di operatività e di collasso) e incrementando gli effetti dell’azione sismica Vag,j tramite il fattore:

ϑ

− 1

(19)

dove θ è il coefficiente di sensibilità agli spostamenti di interpiano pari a j COLL j j rCOLL j h V d W ⋅ ⋅ = , , ϑ ;

Wj il peso dell’edificio al di sopra del piano j-esimo (incluso); op r OPER j COLL j j rCOLL d V V d , , ,

, = ⋅ è lo spostamento relativo di piano corrispondente alla condizione di

collasso;

Vj,OPER e dr,op sono pari rispettivamente al taglio resistente per meccanismo duttile del j-esimo

piano e lo spostamento relativo di piano corrispondente alla condizione limite di operatività e verranno esplicitati più avanti.

Con semplici passaggi si ottiene dunque che:

j j ag j rCOLL j j COLL j j COLL D h V d w h V S ⋅ ⋅ − ⋅ = , , , ), (

A questo punto, analogamente a quanto già visto per le strutture in muratura portante, determinate le massime accelerazioni spettrali per ciascuna condizione limite esaminata (calcolate a sua volta per ciascun piano e per entrambe le direzioni) tramite i rapporti SDj, si passa al calcolo delle accelerazione al suolo PGAj applicando la seguente relazione:

DS AD PM j DUT j D j S PGA α α α α ⋅ ⋅ ⋅ = , ,

I coefficienti che vanno a moltiplicare e dividere le massime accelerazioni spettrali su ciascun piano, conservano gli stessi significati già descritti nel caso degli edifici in muratura. Sono però necessarie le seguenti precisazioni:

- il coefficiente αDS, che tiene conto delle capacità dissipative dell’edificio, non è posto pari a 1 solo nel caso in cui, per il calcolo delle resistenze strutturali, non si sono considerati direttamente i contributi offerti dagli elementi non strutturali. In questo caso si considera un rapporto di smorzamento ξ pari al 10% e conseguentemente si ottiene che

82 , 0 ) 5 /( 10 + = = ξ αDS .

In ogni caso, nella valutazione delle prestazioni strutturali rispetto alle condizioni di operatività esso assume sempre valore unitario.

- αDUT,j è il coefficiente di duttilità che tiene conto della capacità duttile sia della struttura nel suo insieme che dei singoli pilastri del piano j-esimo. Il calcolo del coefficiente in esame varia a seconda che si faccia riferimento al modello con o senza tamponature.

Per il primo il valore di αDUT,j è relativo alla struttura nel suo insieme e si assume pari a: 1 5 , 1 1, 2 3 ,j = ⋅p jppDUT α

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p1a,j è il coefficiente riduttivo di piano per piano soffice in corrispondenza del quale si impone un incremento delle sollecitazioni pari al 40% assumendo p1a,j = 1/1,4. Per tutti gli altri casi assume invece valore unitario.

p1b,j è il coefficiente riduttivo di piano per irregolarità di resistenza tra piani successivi ed è calcolato in maniera analoga a quanto già visto per le costruzioni in muratura portante con le precisazioni seguenti:

p1b,j = 0.6 + 0.4 Rj ≥ 0.8 se Rj < 1 p1b,j = 1 se Rj ≥ 1

Il coefficiente p1b,j, pertanto, sarà pari a 1, se ai piani inferiori si hanno delle sovraresistenze rispetto ai piani superiori; vale invece 0,8 quando si hanno delle sovraresistenze dei piani superiori maggiori del 50% rispetto ai piani inferiori, ed assume valori compresi tra 0,8 e 1 negli altri casi. Ovviamente il coefficiente è sempre unitario all’ultimo piano.

Le irregolarità di rigidezza e massa in elevazione non sono considerate, ritenendo che esse producano effetti trascurabili rispetto a quelli determinati dalle irregolarità di resistenza.

In generale, in assenza di piano soffice, essendo il coefficiente p1b,j differente per ciascuna direzione di ciascun piano, tale differenza si ritrova anche nei coefficienti αDUT,j.

In corrispondenza del piano e della direzione in cui si ha assunto la presenza di un piano soffice, è necessario considerare in ogni caso il valore dell’ αDUT,j relativo al modello in assenza di tamponature.

I calcoli appena descritti fanno riferimento al modello in cui il contributo delle tamponature è stato direttamente considerato.

Se al contrario la resistenza e rigidezza degli elementi non strutturali vengono considerate solo forfettariamente, allora il calcolo della duttilità viene sviluppato nel modo seguente:

1 5 , 1 2 3 ,j = ⋅ppDUT α

Non considerando il coefficiente p1,j, la duttilità si mantiene ora costante per ogni direzione di ciascun piano ad eccezione del piano e della direzione in cui si è considerata la presenza del piano soffice a causa del quale risulta ovviamente necessario assumere il corrispondente valore di αDUT,j relativo al modello in assenza di tamponature.

Fino a questo momento si sono calcolati i coefficienti di duttilità relativi al un modello in cui si sono considerati, ai fini della determinazione di resistenza e rigidezza, anche i contributi offerti dagli elementi non strutturali.

In caso contrario è invece necessario considerare la duttilità relativa a ciascun pilastro i-esimo del piano j-esimo tramite la seguente espressione:

(21)

3 11 , 1 1 2 , 0 3 2 , 1 , , , ≤                     − + ⋅ = c c j i pil DUT f σ α dove:

σc è la tensione di compressione agente sul pilastro in esame, determinata considerando la sola sezione di calcestruzzo ed assegnando i carichi competenti al pilastro per aree di influenza;

fc è la resistenza cilindrica media a compressione.

In particolare, qualora nella direzione considerata si possa manifestare una rottura per taglio anticipata rispetto a quella per flessione (e cioè qundo la resistenza a taglio per meccanismo duttile del singolo pilastro è superiore alla medesima resistenza offerta dal meccanismo per taglio), il coefficiente di duttilità del i-esimo pilastro per quella direzione è assunto pari a 1. Il coefficiente di duttilità così calcolato per ogni pilastro, viene trasformato nel coefficiente risultante del j-esimo piano e per ognuna delle due direzioni effettuando una media pesata con i pesi proporzionali al taglio resistente di ogni pilastro:

1 3 2 , 1 , , , , , , ⋅ ⋅ ⋅ ≥       ⋅ =

p p p V V j i j j i pil j i pil DUT j DUT α α

con i valori dei vari coefficienti già riportati in precedenza.

Determinate le accelerazioni massime del terreno in situ (PGA), corrispondenti al raggiungimento delle condizioni limite ai singoli piani e nelle due direzioni considerate, si passa a quelle su roccia (ag) ed infine alla definizione del rischio di collasso ovvero del periodo di ritorno del terremoto corrispondente all’accelerazione di picco trovata nel sito, procedendo analogamente a quanto visto per gli edifici in muratura; è quindi ad essi che si rimanda per la esplicitazione dei calcoli necessari.

(22)

5.5 Considerazioni sulle procedure VC e VM

In questa sede si vogliono mettere in luce alcuni aspetti ritenuti rilevanti nelle procedure VC e VM che non sono stati sufficientemente approfonditi nei paragrafi precedenti.

5.5.1 Grado di oggettività

Nei paragrafi dedicati alla descrizione delle schede G.N.D.T./C.N.R. di II livello si è visto come, per ognuno degli 11 paranetri necessari all’individuazione della vulnerabilità, vengano fornite delle descrizioni che consentono l’assegnazione di una classe tra quelle disponibili con un sufficiente grado di oggettività.

Tuttavia il compilatore è necessariamente chimato a formulare un giudizio che, per sua natura, è comunque permeato da un certo grado di soggettività.

Questo aspetto, che talvolta pregiudica il confronto di schede eseguite da compilatori differenti, è decisamente più attenuato nelle procedure VC e VM elaborate da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.), tuttavia non è del tutto scomparso.

Nella procedura VC entrano infatti in gioco una serie di parametri la cui valutazione, ovviamente in un range limitato e in funzione di parametri qualitativi, è “a discrezione” del progettista.

Primo fra tutti è il coefficiente di deformabilità cpil,i,j, che misura il grado di vincolo offerto dall’impalcato alle estremità del generico pilastro, ai fini della determinazione della rigidezza del pilastro del generico j-esimo piano per ognuna delle due direzioni considerate, mediante la seguente equazione: j i pil j i pil j j i pil j i pil h J E c K , . 3 , . , . , . ⋅ ⋅ = dove: Ej = 5700 R [N/mmc 2

] è il modulo elastico del calcestruzzo al piano j-esimo in esame, essendo Rc il valore assunto per la resistenza cubica del calcestruzzo;

Jpil,i,j è il momento d’inerzia del pilastro, al piano in esame, rispetto all’asse ortogonale alla

direzione considerata nell’analisi;

hpil,i,j è l’altezza del pilastro, al piano in esame, nella direzione considerata nell’analisi. Generalmente tale valore coincide con l’altezza di interpiano ma, in presenza di pilastri con altezze inferiori, perché tozzi o perché inclusi in tamponature particolarmente rigide e resistenti

(23)

che non chiudono a tutta altezza la maglia di telaio, potranno assumere valori differenti in una o in entrambe le direzioni.

Il coefficiente cpil,i,j risulta, in generale, compreso fra 3 (schema a mensola, cioè rotazione dell’estremo libera) e 12 (schema ad incastro, cioè rotazione dell’estremo impedita). In proposito si è assunto il valore 3 in assenza di travi, 6 in presenza di travi a spessore e 10 in presenza di travi emergenti.

II secondo parametro da considerare è il coefficiente αpil.i,j , che individua la posizione del punto di flesso della deformata del pilastro alla quota αpil.i,j ⋅ hpil.i,j , essendo hpil.i,j l’altezza del pilastro nella direzione considerata e che, di conseguenza, lega il momento flettente ultimo agente nelle cerniere plastiche dei pilastri al corrispondente sforzo di taglio, attraverso la relazione:

j i pil j i pil j yi j i pil flex h m V , . , . , , . . = α

essendo myi,j il momento resistente del pilastro i-esimo al j-esimo piano, nella direzione dell’analisi.

Si è assunto αpil ,.ij= 0,5, nell’ipotesi di formazione di un meccanismo di piano con cerniere plastiche con uguale resistenza flessionale alle due estremità del pilastro. Di norma, valori superiori, indicativamente fino a 0,8 possono essere assunti per tener conto sia di momenti resistenti diversi alle due estremità del pilastro, sia di condizioni di vincolo diverse (ad esempio travi emergenti inferiormente ed a spessore superiormente). In tal caso, infatti, lo sviluppo di una cerniera plastica ad un’estremità potrebbe essere fortemente anticipato rispetto a quello dell’estremità opposta, determinando una condizione di collasso prima che si sviluppi completamente la cerniera superiore e con il punto di flesso localizzato non a metà altezza.

Vi sono, poi, alcuni dei coefficienti che trasformano l’accelerazione del terreno corrispondente al raggiungimento della condizione limite in esame nella direzione in esame, definita come PGAj, in accelerazione sulle masse strutturali SDj, attraverso la seguente equazione:

SDj = PGAj ⋅ αPM ⋅ αAD ⋅ αDS / αDUT,j = agj ⋅ S ⋅ αPM ⋅ αAD ⋅ αDS / αDUT,j dove:

αPM è il coefficiente di partecipazione modale del primo modo di vibrare nella direzione

considerata che esprime cioè la percentuale di massa totale eccitata. Per esso si assume un valore pari a 0,8 per edifici aventi più di un piano, 0,9 per edifici aventi solo due piani, 1 per edifici ad un piano.

αDS è un coefficiente che tiene conto delle capacità dissipative dell’edificio, determinate dalla

presenza di elementi non strutturali collaboranti, non messi direttamente in conto esplicitamente in termini di resistenza. La formulazione adottata è funzione del coefficiente di smorzamento viscoso equivalente ξ che assumendosi in tal caso pari al 10% permette di ottenere che:

82 , 0 ) 5 /( 10 + = = ξ αDS

(24)

5.5.2 Pannelli di tamponatura

In generale, i pannelli di tamponatura possono essere divisi in due diverse categorie: i “pannelli isolati” ed i “pannelli regolari”, questi ultimi vengono definiti anche “pannelli a taglio”. I pannelli isolati sono totalmente separati dal telaio confinante, nella zona superiore e su entrambi i lati. Il distacco tra il telaio ed il pannello risulta più grande di ogni possibile deformazione subita dal telaio, in modo tale da impedire qualsiasi interazione telaio-pannello. Tali tipi di tamponature non sono considerate come elementi strutturali.

I pannelli regolari o a taglio sono realizzati a contatto con il telaio circostante e si comportano come parte di un sistema resistente ai carichi laterali ai quali è soggetta la struttura. In questo capitolo si incentra l’attenzione su tale categoria di pannelli.

Negli edifici oggetto della presente tesi i pannelli di chiusura vengono realizzati quasi sempre a contatto con gli elementi strutturali, senza giunto di separazione né connettori che garantiscano un collegamento affidabile con l’ossatura.

Gli studi sui terremoti avvenuti in passato hanno dimostrato che la risposta sismica degli edifici costruiti seguendo tale pratica viene fortemente condizionata dalle tamponature.

Sebbene la consuetudine dei progettisti è quella di considerare le tamponature come elementi non strutturali, ignorandone la resistenza e la rigidezza e valutandone la sola massa, la presenza delle murature influenza il comportamento della struttura soggetta ad eventi sismici in termini di incremento di rigidezza laterale e di resistenza ai carichi laterali, nonché di un notevole aumento della capacità dissipativa. Spesso le tamponature costituiscono l’unico elemento resistente di talune costruzioni: non è raro riconoscere casi di edifici di cemento armato che hanno resistito adeguatamente ad un’azione sismica prolungata ed intensa solo per merito delle tamponature, le quali hanno consentito la dissipazione di quantità di energia notevoli.

I telai nudi sono progettati con riferimento a regimi flessionali con la formazione di cerniere plastiche in corrispondenza dei nodi sotto l’effetto di carichi laterali, mentre nei telai tamponati si instaura il meccanismo di puntone nel pannello con effetto controventante e trazione nei pilastri.

Gli effetti della presenza delle murature non sono però sempre positivi: a causa della notevole rigidezza, le tamponature possono originare configurazioni di fatto irregolari, pregiudicando una conformazione strutturale corretta. Basti pensare alle ben note situazioni della torsione in pianta e della formazione del piano soffice in altezza. Tali comportamenti possono generarsi anche a seguito del collasso di solo alcuni pannelli, che in genere avviene improvvisamente, causando squilibri alle sollecitazioni agenti sugli elementi strutturali. Questo accade sia per l’elevata fragilità del materiale, sia perché sovente la rottura è dovuta alla perdita di equilibrio fuori dal piano, a causa del collegamento inefficace con la struttura, oppure da fenomeni di instabilità, dato l’esiguo spessore dei pannelli in rapporto alle altre dimensioni.

(25)

Tutte queste considerazioni vengono sfruttate dalla procedura VC e elaborata da G.N.D.T. insieme al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero del Lavoro nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.). I calcoli svolti nella suddetta procedura fanno infatti riferimento a due modelli differenti: uno in assenza e l’altro in presenza di tamponature. Nei paragrafi precedenti si è visto come viene considerato il contributo offerto dalle tamponature in termini di incremento di rigidezza e resistenza. Per quest’ultimo aspetto si vuole precisare in questa sede che le ricerche sperimentali svolte hanno messo in evidenza la possibilità di tre meccanismi di rottura dei pannelli di tamponatura:

1) Rottura per scorrimento orizzontale dovuta alle tensioni tangenziali agenti nella zona centrale della tamponatura, secondo lo schema rappresentato nella figura sotto riportata:

Fig.: 5.1 Rottura per scorrimento orizzontale

La crisi a taglio del pannello si origina lungo letti di malta della muratura, nel punto del pannello ove la tensione tangenziale orizzontale fv raggiunge la resistenza a taglio τu.

Teoricamente la resistenza a taglio della muratura può essere descritta da una legge del tipo: fv = fvko + µ · fy

essendo:

fvko il valore della coesione

fy la tensione di compressione verticale µ il coefficiente di attrito interno.

Stafford Smith e Riddington, in un lavoro del 1978, proposero per fv e fy le espressioni:

t l H fv ⋅ ⋅ =1,43 0 t l H l h fy ⋅ ⋅       − ⋅ = 0 2 , 0 8 , 0 in cui sono:

Ho carico orizzontale agente sul telaio tamponato;

l, h, t rispettivamente la larghezza, l’altezza e lo spessore del pannello Per sostituzione il carico ultimo orizzontale risulta quindi pari a:

(26)

      − ⋅ ⋅ − ⋅ ⋅ = 2 , 0 8 , 0 43 , 1 0 l h t l f H vk u µ

La formula proposta dalla normativa (Min. LL.PP., 1997) e riproposta nella procedura VC è molto simile all’espressione appena calcolata:

t l H u ⋅ ⋅ Φ ≤= τ 0 in cui sono:

Φ un fattore di riduzione delle tensioni pari a 1 per gli stati limite;

τu la tensione ultima a taglio (Turnsek, 1971), con:

0 0 5 , 1 1 vk y vk u f f f ⋅ + ⋅ =

τ in cui fy è pari all’espressione precedentemente scritta. Si ottiene quindi l’espressione definitiva:

(

)

t l f H l h f vk vk u ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ − ⋅ + ⋅ = 0 0 0 5 , 1 2 , 0 8 , 0 1 τ

2) Rottura diagonale per trazione, dovuta alle tensioni di trazione inclinate, agenti anche esse nella zona centrale della tamponatura secondo lo schema riportato nella figira seguente:

Fig.: 5.2 Crisi per trazione diagonale

Il carico ultimo valutato quando la tensionedi trazione al centro del pannello raggiunge il valore limite di resistenza a trazione della muratura ftu, può essere valutato con la formula proposta da Stafford Smith e Riddington:

t l f H tu u = ⋅ ⋅ 58 , 0

La formula proposta dalla normativa (Min. LL.PP., 1997) e riproposta nella procedura VC è la seguente: t l f H vk ⋅ ⋅ ⋅ ≤= φ 6 , 0 0 0

(27)

3) Rottura per schiacciamento locale degli spigoli della tamponatura, dovuta alla concentrazione delle forze orizzontali di interazione trasmesse dal telaio secondo lo schema riportato nella figura seguente:

Fig.: 5.3 Crisi per compressione ai vertici

nella crisi per compressione ai vertici del pannello è determinante il rapporto fra le rigidezze del telaio e del pannello in quanto da questo dipende l’estensione della zona di contatto.

Di questo aspetto si occupò Mainstone concludendo che una stima conservativa per la forza orizzontale ultima è data dalla espressione seguente:

( )

λ 0,88 2ϑ cos 12 , 1 ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = − t h f Hu h k essendo:

fk la resistenza caratteristica a compressione della muratura; ϑ l'angolo compreso tra la diagonale del pannello e l'orizzontale;

λh è un parametro adimensionale che introduce la rigidezza del telaio.

Sostituendo si ottiene che:

ϑ 2 88 , 0 4 3 cos 4 12 , 1  ⋅ ⋅ ⋅ ⋅       ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = − t h f J E t h E H k c m u

La formula proposta dalla normativa (Min. LL.PP., 1997) e riproposta nella procedura VC è la seguente: 4 3 2 0 0,8 cos J h t E E f H m c k ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ Φ ⋅ ≤ ϑ essendo:

J il momento d'inerzia della sezione trasversale del pilastro (in caso di pilastri con sezioni diverse, si assume il valore medio dei due momenti d'inerzia)

Ec modulo di elasticità del calcestruzzo Em modulo di elasticità della muratura

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