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infatti, nelle regiones italiche il punto di vista dell’archeologia paleocristiana ha un forte predominio nella maggior parte degli scavi databili a questo periodo

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INTRODUZIONE

L’Italia Settentrionale nella tarda antichità assume un ruolo e delle funzioni completamente nuovi rispetto alle epoche precedenti. Sotto molteplici punti di vista diviene una parte

estremamente importante dell’impero post classico, vivendo così una vera e propria rinascita in un periodo come questo, generalemente caratterizzato dalla decadenza e dalla corruzione in ogni sua forma. Considerando, poi, la città come elemento portante della cultura e

dell’impero romano, mi pare molto interessante lo studio e l’analisi dell’elemento urbano in questo preciso spazio e in questo preciso momento, sotto tutte le sue angolature.

L’operazione mi sembra ancora più interessante considerando che ancora oggi gli studi archeologici, topografici e, naturalmente, storiografici sulla tarda antichità rivestono un ruolo abbastanza secondario nella ricerca; in Italia, poi, tali studi riguardano in larga misura aspetti esclusivamente legati all’affermarsi della nuova religione; infatti, nelle regiones italiche il punto di vista dell’archeologia paleocristiana ha un forte predominio nella maggior parte degli scavi databili a questo periodo; di conseguenza abbiamo una vastissima bibliografia che tratta lo sviluppo delle prime comunità cristiane e l’articolarsi delle diocesi, con il risultato che vengono penalizzati altri punti di vista. Rimangono, infatti, spesso in secondo piano aspetti diversi legati alla vita cittadina e civile, cioè prettamente romana, delle città della fine dell’impero. Il filone prevalente si concentra sul trionfo rivoluzionario della nuova religione, un fenomeno importantissimo per tutta la Storia successiva e sicuramente uno degli eventi più significativi di questo periodo di transizione. Ma il fatto stesso che la tarda antichità si possa chiamare un periodo di transizione implica che non ci sia soltanto un dopo, l’Europa cristiana, ma esige anche l’esistenza di un prima, il mondo romano. E poiché il passaggio tra queste realtà non è repentino, ma ovviamente graduale, concentrare gli studi prevalentemente sui fenomeni di rottura – il nuovo impero cristiano- a mio avviso è riduttivo e non permette di dare un quadro esaustivo e onesto del periodo. Ritengo che, quindi, sia molto importante anche lo studio delle continuità che ci possano essere tra la Roma delle legioni e questo diverso impero che può fare a meno della città di Roma, ma che si vorrà chiamare romano ancora per mille anni. Inoltre mi sembra ugualmente importante anche l’evoluzione o la trasformazione, al di là della netta rottura, di concetti e elementi tipicamente antichi, che si realizzano all’interno della realtà urbana. Lo studio della città mi pare fondamentale per un’analisi profonda del rapporto tra prima e tardo antico. Infatti, non a torto, la vita urbana può essere considerta la cifra emblematica della civiltà antica, l’elemento peculiare e portante, che caratterizza il mondo romano. Il significato della città sicuramente non ha un valore soltanto spirituale; infatti, nell’articolazione dello Stato romano, benessere delle città e

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prosperità dell’impero sono strettamente legati: si pensi ad esempio alla raccolta delle tasse, che avviene, appunto, tramite gli organi cittadini. Tale rapporto assume un valore molto diverso nel basso impero: da una parte la snellissima burocrazia del principato delegava quasi ogni funzione alla città con vantaggio reciproco, dall’altra una compagine statale complicata lega la città ad una serie di compiti molto precisi che garantiscono, teoricamente, il

funzionamento dello Stato, ma che non portano nessun ritorno alla città. Se un tempo si aveva un interdipendenza, ora si ha soltanto una dipendenza: il circolo virtuoso che sosteneva e incrimentava lo Stato si è rotto e per la stessa sopravvivenza dello Stato si passa da un modello di collaboroziane ad uno di sfruttamento, in questo modo l’impero può ancora sopravvivere quasi due secoli, ma risulta estremamente fragile ed è soggetto alle spinte centrifughe già presenti nel III secolo, che ora sono decisamente rafforzate dalla presenza di uno governo autoritario. Mi sembra comunque da notare quanto il ruolo della città rimanga in ultima analisi importante per l’articolarsi dello Stato romano.

Città e romanità sono strettamente legate, là dove c’è l’impero, ovvero la civiltà, ci devono essere anche le città. Per questo motivo ritengo che uno studio che voglia indagare il tardo antico non debba e non possa prescindere dalla categoria di città. Osservare il suo sviluppo, annotarne cambiamenti e persitenze mi pare estremamente importante per vedere di riflesso sviluppo e cambiamenti dell’impero e, più in gerale, della civiltà ad esso legata. Non per questo gli studi paleocristiani vanno trascurati, anzi, la cristianizzazione dello spazio urbano è uno sviluppo fondamentale per la città: la nuova religione opera al livello delle città e se ne impadronisce, offrendo così vasti ambiti di analisi allo storico. D’altra parte, ritengo che per la ricerca scientifica sono molto nocivi alcuni atteggiamenti caratterizzati da particolare trasporto1, che hanno avuto il risultato di produrre una letteratura più vicina all’agiografia che alla storiografia; la realtà tarda viene così privata di una sua complessità storica a vantaggio di una visione provvidenziale e quindi incontrastabile. Pur essendo ancora forte, l’indagine paleocristiana non è certo l’unica chiave interpretativa per la città antica, infatti moltissime notizie di scavi e studi2 puntano la loro attenzione su aspetti dell contesto urbano che non sono prettamenti cristiani. Ad esmpio, lo studio delle difese e della fortificazioni è molto approfondito3 ed anche la ricerca sui luoghi più tradizionali del contesto urbano non è priva

1 CATTANEO, 1989.

2 Si pensi ai numerosi resoconti di scavi che si trovano in AAAd e ai numeri di questa rivista concentrati su architteture civili della tarda antichità.

3 PETRU, 1976.

BRUSIN, 1966.

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di risultati4. La storiografia dunque spazia e mostra un quadro ben più ampio del mondo tardo antico e della sua città. Inoltre, in Italia per la ricerca sul basso impero sono stati molto

importanti gli studi di Lellia Cracco Ruggini, giacché, la storica con il suo Economia e

società dell’Italia annonaria5 ha aperto una nuova e importante strada per gli storici del tardo antico italico. Il suo merito principale, a mio avviso, è stato concentrare l’attenzione sui fatti economici e sociali, giungendo così a conclusioni di certo non scontate6. Molto interessante per tali analisi è il rapporto con le fonti: la Cracco Ruggini utilizza gli scritti di Ambrogio per ricostruire una realtà non religiosa, ma, appunto, socio-economica.

La città, dunque, può essere considerata un criterio utile per l’interpretazione di un periodo come questo. A questo punto è necessario giustificare meglio la scelta dell’area geografica, cioè l’Italia settentrionale. Di certo l’appartenenza all’Italia dà a questa regione una serie di vantaggi innegabili. Infatti, escludendo dall’analisi la parte orientale dell’impero con la sua dimensione ellenica, la parte occidentale offre un livello di urbanizzazione inferiore e decisamente più recente. In questo quadro la penisola italica presenta un quadro più ricco e articolato: la terra che ospita l’Urbe è caratterizzata da una forte presenza di città, che unita all’abbondanza di fonti rende l’Italia particolarmente attraente per lo storico. Inoltre il perdurare della vitalità urbana, attraverso i momenti più complicati della Storia romana, spesso fino ai nostri giorni, rappresenta un ulteriore motivo di interesse. La scelta, poi, della parte settentrionale del nostro paese è stata dettata dall’assoluta preminenza a livello politico ed economico di questa parte, sull’altra, la meridionale, che in questo momento rimane piuttosto isolata e impoverita.

Infine, è necessario rendere conto anche della scelta dell’ambito cronologico. A mio avviso il IV secolo presenta interessanti caratteristiche, da una parte la crisi del III secolo è ormai terminata e le riforme tetrarchiche, all’inizio del secolo ancora recenti, si consolidano e determinano la nuova compagine dell’impero; dall’altra l’impero d’Occidente è ancora abbastanza stabile da essere diverso rispetto a quello che sarà nel V secolo, quando le spinte centrifughe7 non saranno più controllabili. Dunque si può individuare all’interno del IV un osservatorio privilegiato per valutare la situazione della città romana in un periodo, che abbia avuto modo di realizzare delle proprie caratteristiche peculiari, ma che non sia ancora

stravolto da eventi.

4 Spettacolo in Aquileia e nella Cisalpina romana, AAAd 41, 1994; Forum et Basilica in Aquilieia e nella Cisalpina, AAAd 42, 1995.

5 CRACCO RUGGINI, 1961.

6 La prosperità dell’Italia Annonaria nel IV secolo, scientificamente argomentata, contrasta fortemente con l’idea di un tardo antico caratterizzato da decadenza e miseria.

7 Si pensi, ad esempio, all’opera di Salviano di Marsiglia.

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CAPITOLO 1: L’ITALIA SETTENTRIONALE OVVERO L’ITALIA ANNONARIA8

L’Italia settentrionale è caratterizzata, dunque, da una nuova rilevanza politica e economica, si presenta infatti in una posizione fondamentalmente diversa rispetto a quella dell’alto impero. Importanti mutamenti geo-politici si sono ormai realizzati, in generale, in tutte le province e, in particolare, nel cuore, non più pulsante, dell’impero: la penisola italica nei secoli successivi alla creazione del principato ha vissuto un continuo e inarrestabile processo di decadenza. In un primo momento essa si è manifestata come declino economico9, l’Italia si trova così in una situazione problematica e nel II secolo misure che tentano di rivitalizzarne l’economia10 vengono varate con lo scopo di rendere il centro dell’impero forte anche economicamente. Dall’altra parte, poi, iniziano a imporsi scelte che evidenziano un

cambiamento dal punto di vista amministrativo all’interno della Terra Italia. Basti pensare all’introduzione del curator civitatis che avviene per la prima volta sotto Domiziano e Traiano; questa figura ha originariamente il compito di revisore dei conti con larghi poteri su spese e bilancio civici. Se pure si può vedere in tale funzionario un salutare limitatore degli sperperi cittadini11, non si può far a meno di notare l’ingerenza dello Stato centrale

nell’autonomia delle città. Nel III secolo, all’epoca dei Severi, poi, il curator civitatis accresce le sue funzioni12, poco a poco si sostituisce alla curia per tutto ciò che riguarda le finanze e nel IV secolo risulterà la principale magistratura cittadina13.

Da tenere in considerazione è, poi, la Constitutio Antoniniana del 212, che rende tutti gli abitanti dell’impero cittadini e rappresenta una tappa importante per il livellamento degli statuti municipali. Sotto Aureliano, poi, vengono introdotti i correctores: quasi dei governatori.

Agli occhi dei moderni, però, la grande rivoluzione amministrativa avviene con le riforme dioclezianee. Infatti il sistema provinciale viene completamente rivoluzionato, le antiche province sono smembrate in nuove molto più piccole che vengono raggruppate in diocesi, a loro volta sottostanti a prefetture. Tale divisione, però, non coinvolge soltanto il suolo

provinciale, ma anche quello italico. Per la prima volta l’Italia viene formalmente considerata

8THOMSEN, 1947. GIARDINA, 1986. ZACCARIA, 1986. REBECCHI, 1993. CECCONI, 1994. CECCONI, 1998.

LEPELLEY, 2001. CECCONI, 2003. FORLIN PATRUCCO, 2002. MAZZARINO, 1980.

9 Spesso legato alla concorrenza delle colture e produzioni provinciali.

10 Si pensi ai Frumentaria di Traiano e di Adriano.

11 JONES 1974, pp. 30-31.

12 GANGHOFFER, 1963. pp. 156-172.

13 ECK, 1999, pp. 195-249; RODA, 1999, pp. 133-141.

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alla stregua degli altri territori dell’impero e viene divisa in province. Le conseguenze di tali riforme non sono di scarso rilievo per la penisola: vengono meno l’immunità dal tributo14 e l’esenzione dal reclutamento, mentre il territorio italico diventa sede stabile di eserciti . Per quanto riguarda il nome che viene dato a questi distretti provinciali, la critica fornisce due possibilità. Il filone capitanato dallo storico francese Jullian15 sostiene che, per rispetto e riverenza verso l’antico ruolo dell’Italia, tali province mantenessero il nome più nobile di regiones. L’autore argomenta la sua tesi richiamandosi ad Aureliano16 che introduce nei distretti italici correctores , cioè legati imperiali che portano il nome di una magistratura straordinaria. Agli occhi di Jullian ciò dimostra una posizione amministrativa, appunto, straordinaria.

Un’opinione diversa è espressa da Cecconi17, che si propone di smentire l’interpretazione precedente indagando il materiale epigrafico e giuridico. Lo storico italiano sostiene una fondamentale interscambiabilità dei termini regio e provincia e la mancanza di un termine tecnico per designare i distretti. Infatti, da una parte, per la fase di fine III secolo solo un’iscrizione attesta l’uso di regio18, dall’altra per il IV sono limitate le epigrafi che usano tale termine19. Invece l’uso della parola provincia è attestato per quest’ultimo secolo, e in particolare per la prima metà di esso, da diverse diverse testimonianze epigrafiche20. Nei testi legislativi si verifica, poi, da un lato, una tendenza all’uso del termine regiones per indicare l’insieme dei territori italici o un raggruppamento di essi (regiones suburbicariae)21, mentre dall’altro si può notare che, nella documentazione ufficiale dell’inoltrato IV secolo, si diffondono i termini provincia e provinciales, non solo in testi giuridici22, ma anche in documenti di altro tipo come gli atti del concilio di Arles23 e il Laterculus Veronensis24. Le conclusioni di Cecconi25 non offrono un modello preciso di terminologia, ma dimostrano, a mio avviso, l’infondatezza della teoria di Jullian.

14 La tassa fondiaria viene applicata per la prima volta in Italia con Galerio. Vedi: LACT. De mort. pers. XXIII.

15 JUILLIAN,1882.

16 Jullian è del parere che circoscrizioni di tipo provinciale esistessero sin dal tempo di Aureliano.

17 CECCONI, 1994.

18 CIL VI 1419b

19 AE 1983, 247: CIL IX 1576 = ILS 1239; AE 1904, 52 ; CIL XIV 2934 = ILS 8375.

20 CIL VI 1747; CIL IX 1596; CIL X 1247.

21 CTh XIV 4,2 del 324 Seeck; XI 16, 9 del 359; XIV 6, 1 del 359; IX 30, 3 del 365; IX 1, 9 del 365; XI 13, 1 del 383;

XI 28, 12 del 418.

22 CTh IX 30, 5 del 399; CTh IV 13, 1 del 321; CTh II 4, 2 del 322; CTh VIII 12, 3 del 323 Seeck; CTh X 4,1 del 326 Seeck; CTh II 16, 2 Seeck.

23 Datato 314.

24 Datatabile intorno al 313.

25 A simili conclusioni è anche arrivato Andrea Giardina in La formazione dell’Italia provinciale, in Storia di Roma 3 I l’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp. 63-67.

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E’, inolte, interessante notare che le nostre fonti non ci trasmettono per l’Italia nessuna critica alle riforme tetrarchiche, né da parte delle città, né da parte dei grandi contribuenti26. Questo atteggiamento può derivare da due condizioni; in primo luogo il processo di

provincializzazione è stato tanto graduale che Diocleziano non causa un netto e sconvolgente cambiamento, ma non fa altro che portare a termine un processo ormai avanzato; in secondo luogo, durante questo periodo storico, è ormai scomparsa del tutto la connotazione negativa di sottomissione, che un tempo caratterizzava il concetto di provincia27.

Dunque l’Italia viene divisa in province e queste vengono raggruppate in due diocesi; una comprende la gran parte del territorio peninsulare e le isole, viene retta da un vicarius urbis Romae e prende il nome di Italia Suburbicaria; Roma ha uno status speciale28 ed è retta da un prefetto urbano29. I territori rimanenti, ovvero l’Italia propriamente settentrionale e una parte di quella centrale, confluiscono nell’Italia Annonaria e vengono retti da un vicario

comunemente designato come vicarius Italiae, i cui apparati amministrativi hanno sede a Milano. Il nome di questa diocesi fa, poi, riferimento all’introduzione, da parte di

Massimiano, dell’annona, cioè di una tassa in natura destinata al mantenimento degli

eserciti. Bisogna, poi, ricordare che Andrea Giardina30 propone un’interpretazione diversa di tali divisioni amministrative, infatti lo studioso sostiene l’ipotesi dell’esistenza di un’unica diocesi italiciana, retta però da due vicari.

A questo punto è utile delineare meglio i confini dell’Italia Annonaria31. Infatti, i territori sotto tale amministrazione variarono sensibilmente nell’arco dell’esistenza della diocesi.

Dunque, nel IV secolo tale vicariato, comunemente chiamato nelle fonti vicariatus Italiae, comprende: Aemilia et Liguria, Flaminia et Picenum, Venetia et Histria, Alpes Cottiae, Raetia. Le ultime due province, pur facendo parte dell’Annonaria, presentano caratteri storici e economici diversi rispetto alle altre, per cui questa indagine le tralascerà, dedicandosi ad un insieme più unitario di circoscrizioni32.

Le stesse regiones presentano, poi, significative variazioni per quanto riguarda confini e collocazioni nel quadro delle diocesi. Si pensi in primo luogo all’ Aemilia et Liguria. Alla

26 CECCONI, 1992, pp. 152-153.

27 CECCONI,1994, pp. 183-184.

28 In questo caso è innegabile il rispetto e la considerazione per l’antica capitale.

29 La giurisdizione del prefetto urbano si estende per un raggio di cento miglia da Roma.

30 GIARDINA, 1986.

31 THOMSEN, 1947.

32 Resterà fuori da questa ricerca anche la Tuscia Annonaria, infatti, verso la fine del IV secolo, la parte della Tuscia che si estende a nord di Volterra entra a far parte dell’Italia Annonaria. Non mi pare utile trattare di questo territorio perché, non solo, come Raetia e Alpes Cottiae, possiede peculiarità diverse rispetto al nord dell’Italia, ma anche entra a far parte di tale unità amministrativa molto tardi.

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fine del III secolo essa comprende quelle che sono state le regioni VIII e IX della divisione augustea, con l’esclusione della fascia costiera fino a Ravenna e al Po, che appartiene in questo momento alla Flaminia et Picenum. In un lasso di tempo che va dal 385 al 391 si verifica la divisione tra Aemilia e Liguria; la prima mantiene la sua configurazione e la sua autonomia fino all’epoca gotica; la seconda, in un periodo posteriore alla Notitia Dignitatum Occidentis, si scinderà poi in due parti, quella corrispondente alla regio IX sarà accorpata alle Alpes Cottiae, l’altra, ovvero la regio XI Transpadana, conserverà il nome di Liguria.

Confini molto più stabili sono quelli della Venetia et Histria, provincia che occupa un territossa rio quasi corrispondente a quello della decima regione augustea33. Abbastanza complessa è, invece, la situazione della Flaminia et Picenum. Alla fine del III, come abbiamo visto, eoccupa gran parte dell’odierna Romagna e appartiene all’Italia Annonaria. In un momento successivo, però, avviene una scissione tra Flaminia e Picenum, la prima resta sotto il vicarius Italiae, l’altra, a sua volta divisa in Picenum e Valeria, passa nell’Italia Suburbicaria. Nel 402 si giunge, infine, alla creazione della Flaminia et Picenum annonarium.

Mi pare, poi, significativo porre l’attenzione su un particolare rilevato nelle fonti: il vicariato dell’Italia Annonaria viene chiamato semplicemente vicariatus Italiae, cioè si sottintende la qualifica di Annonaria e, più in generale, si assiste al processo metonimico per cui Italia coincide soltanto con la parte settentrionale del suo territorio, cioè con il vicariato annonario34. Le fonti testimoniano molto presto tale fenomeno, ad esempio, gli atti del concilio di Arles del 31435 o i panegirici a Costantino del 313 e 321. A questo punto, è molto interessante chiedersi perché Italia e Italia Annonaria vanno a coincidere. Di certo va

considerata la forte unità di questa regione dell’impero, una consapevolezza d’identità ben collaudata36 che affonda le sue radici nei tempi della creazione della provincia Cisalpina.

D’altra parte, poi, è innegabile un fattore molto più materiale: nel IV secolo, la parte d’Italia che conta è quella settentrionale, i grandi eventi si svolgono lì e non più nella penisola, che risulta pressoché tagliata fuori da politica e commerci; di conseguenza non mi pare

sorprendente che un uomo del IV secolo pensando all’Italia pensi al settentrione e viceversa.

33 ZACCARIA,1986; CRACCO RUGGINI, 2000.

34 CRACCO RUGGINI, 2001, pp. 480-481.

35 In tali atti Milano è considerata appartenente alla provincia Italia, altre sedi episcopali, invece, sono identificate come appartenenti a vere e proprie province come Campania, Apulia, Viennensis, ecc.

36 CRACCO RUGGINI, 2001, p.481.

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Una volta ridisegnato l’assetto dell’Italia settentrionale, viene scelto il capoluogo, la città che doveva ospitare il vicarius Italiae. La scelta cade sulla città di Mediolanum. Le fonti sono pressoché mute su Milano nel periodo antecedente al tardo antico e per questo è lecito pensare che si trattasse di un centro non particolarmente importante: una cittadina di provincia e niente di più. Infatti, non è legato alla gloria passata il motivo per cui tale città diviene il capoluogo: la scelta è condizionata dalle nuove esigenze contemporanee. Non a caso il principale punto di forza di Milano è la sua posizione decisamente centrale, capace di controllare tutta la valle del Po, in quanto tale e in quanto passaggio tra le diverse parti dell’impero. Nel IV secolo, infatti, l’Italia settentrionale deve essere attentamente controllata:

è una regione strategica dal punto di vista militare perché di qua passano eserciti, si scontrano gli usurpatori e arrivano persino i barbari. In vero, quello che un tempo era il cuore ben protetto dell’impero adesso, in epoca tardo antica, ha perso gran parte della sua sicurezza.

Già nel II secolo, possiamo assistere a quelle che sono le prime incursioni nemiche dopo molti decenni: i Quadi e i Marcomanni scendono in Italia del Nord, nel 168 assediano Aquileia e vengono successivamente respinti da Marco Aurelio. Nella tarda anrichità, poi, diventa forte la necessità di difendere al meglio questa regione: la sua è una posizione chiave all’interno dell’impero ed è chiaro che tramite tale pianura sono facilmente accessibili tutte le aree più importanti dell’impero, da una parte l’Illirico, zona caldissima nel basso impero, dall’altra le Gallie, terra che, nonostante la tendenza alla secessione, può essere ancora controllata; inoltre, non bisogna dimenticare altri passaggi: dai valichi alpini sono

raggiungibili le regioni del nord e le province danubiane. Tale centralità non deve stupire, in fondo dobbiamo pensare che la creazione dell’impero era partita dall’Italia e da qui doveva essere controllato; di conseguenza, l’Italia resta innegabilmente strategica, anche se in altri luoghi si decidono le sorti dell’impero ed anche senza la prestigiosa presenza della città di Roma, ormai politicamente agonizzante, se non morta. A mio avviso, si potrebbe sostenere che l’Urbe passa in secondo piano di fronte ad un nuovo baluardo più funzionale ai nuovi tempi: l’Italia settentrionale. Di conseguenza ci troviamo davanti ad un semplice spostamento di baricentro che pragmaticamente taglia via le parti inutili, cioè l’Italia centro-meridionale, e fa coincidere l’Italia, ovvero il centro di controllo, con il settentrione; a questo punto non sorprende l’identità Italia-Italia Annonaria, che troviamo nelle fonti. Non a caso, poi, proprio in questa regione viene collocata una delle nuove capitali tetrarchiche, Milano: la funzione di Roma si è trasferita in Transpadana.

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Bisogna comunque notare che gli episodi bellici che coinvolgono questa zona nel IV secolo sono episodi di guerre civili, scontri tra vari pretendenti che lottano per ampliare o per imporre il proprio dominio37. Nella prima parte del secolo, dopo l’abdicazione dioclezianea, l’Italia del nord s’accende sotto i colpi di chi vorrebbe il potere e la regione viene coinvolta soprattutto dallo scontro finale tra Costantino e Massenzio; nel corso del 312 il figlio di Costanzo scende in Italia e giunge a Roma, mentre molte delle città settentrionali vengono prese con le armi, molte altre passano spontaneamente dalla parte del nuovo pretendente. Già con i figli di Costantino scoppiano nuove guerre civili: Costantino II marcia contro il fratello Costante e nel 340 cade in un’imboscata presso Aquileia. Tra il 350 e il 353 nuovi torbidi toccano la Cisalpina: l’usurpatore Magnenzio, eliminato Costante, pone la sua capitale ad Aquileia mentre l’Italia è schierata con lui38. Poco più di trent’anni dopo l’Italia vede un nuovo usurpatore: Magno Massimo39; questi, proclamato Augusto nel 383, nel 387 invade l’Italia di Valentiniano II causando l’intervento di Teodosio, l’anno dopo viene ucciso dai propri soldati presso Aquileia. Infine, tra 392 e 394, si consuma la vicenda di Eugenio e dei suoi compagni, conclusa dalla battaglia del Frigido.

Ritengo significativo sottolineare un altro elemento: in questo periodo vengono stanziate in Italia settentrionale alcune comunità di etnia barbara, che, in luoghi diversi e con diverso status, dimorano sul suolo padano. Il diritto tardoantico prevedeva tipi differenti di

condizione per i barbari che venissero ad insediarsi legalmente all’interno dell’impero: laeti, inquilini/coloni, foederati, gentiles40. L’istituto dei laeti è creato da Probo: grandi gruppi di barbari vengono insediati nelle zone vuote dell’impero con l’obbligo di fornire reparti all’esercito41, sono unità militari reclutate presso comunità contadine, alle queli sono state concesse terre romane da coltivare42 I foederati, invece, sono obbligati al servizio militare tramite patti (foedera, appunto) imposti dall’imperatore ai loro capi43, sono installati in blocco e obbligati a fornire uomini44; nel V secolo, poi, diventeranno delle vere e proprie squadre di razzia che tormenteranno impunemente le terre dei romani e dai quali saranno pure stipendiati. Ancora, i gentiles sono coloni militari accolti pacificamente all’interno

37 SOTINEL, 2003.

38 BASSO, 1987, pp. 167-170.

39 SORDI, 1982.

40 Si tenga, comunque, conto che le differenze militari, giuridiche e sociali tra inquilini, laeti e gentiles sono molto controverse. Si veda anche: JULLIAN, C., Histoire de la Gaule, VIII, Paris 1926; HUMBERT, G., Gentiles, D.A.G.R.

II, 2, pp. 1516-1517 ;

41 ZIOLKOWSKI, 2000, pp. 446-448.

42 POMA 2002, pp. 205-206.

43 ZIOLKOWSKI, 2000, pp. 446-448.

44 POMA, 2002, pp. 205-206.

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dell’impero con le loro famiglie, sono raggruppati alle dipendenze di prefetti e prepositi, coltivano terre pubbliche inalienabili per tempi anche molto lunghi e offrono in cambio il proprio servizio all’interno di reparti unitari dal punto di vista etnico, chiamati numeri; la loro collcazione in una certa zona è dettata da motivi esclusivamente strategici45. Infine, gli inquilini, ovvero dei coloni-coltivatori46, sono in larga misura ex-prigionieri barbari arresi a discrezione, quindi non vincolati da patti collettivi, impiegati a contrastare l’oligantropia e l’abbondono nei campi in determinate zone dell’impero47.

All’interno dell’Italia settentrionale troviamo diversi insediamenti barbarici, che vengono installati da vari imperatori e generali nel corso del IV secolo48.

Al tempo di Costantino il grande e di suo figlio Costantino Cesare risalgono gli insediamenti più antichi, infatti nel 334, secondo le fonti49, sono stanziati per Italiam 300.000 Liberi Sarmati Argaraganti cacciati dalle loro terre al di là del Danubio e accolti pacificamente dall’impero50. Circa l’espressione Italiam, sopra citata, può essere utile segnalare i commenti della Cracco Ruggini: in un primo momento è incerta se vedere in questa parola riferimento all’omonima diocesi o all’omonima prefettura51; successivamente, però, si dichiara

favorevole a vedervi la diocesi52.

Nel 370 Teodosio, come magister equitum, stanzia gruppi di Alemanni sconfitti in Rezia nelle terre intorno al fiume Po, perché le coltivino53. Essi sono laeti e inquilini e hanno la condizione di tributarii.

Nel 377, poi, i Taifali vinti in Illirico da Frigerido, sono stabiliti presso Modena, Reggio e Parma, affinchè ne facciano prosperare i campi54. Anch’essi sono laeti e tributari.

Molto interessanti sono le osservazioni della Cracco Ruggini55, che dalla lettura di un’epistola di Ambrogio a Costanzo vescovo di Forum Cornelii56, ricava chiaramente la presenza di Illirici all’interno della giurisdizione di tale vescovo. La storica considera, con buona probabilità, che queste persone non siano altro che cittadini romani profughi, rifugiatisi in Italia settentrionale dopo il disastro di Adrianopoli. Ragionevolmente si può

45 CRACCO RUGGINI, 1987, pp. 280-283.

46 CRACCO RUGGINI, 1987, pp. 281.

47 Ciò accade in Cisalpina: Sarmati Argaraganti, (334), Alamanni (370), Goti e Taifali (378).

48 Bisogna ricordaer che già al tempo di Marco Aurelio si ebbero degli stanziamenti di barbari nelle vicinanze di Ravenna. Vedi: CASS. DIO. Epit. 71, 11, 4-5.

49 ANONYMUS VALESIANUS, I 32.

50 CRACCO RUGGINI, 1987, pp. 281.

51 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 62.

52 CRACCO RUGGINI, 1987, pp. 281.

53 AMM. MARC. 28, 5, 15.

54 AMM. MARC. 31, 9, 4.

55 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 62-63.

56 AMBR. Ep. II, 28.

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dedurre che si siano stabiliti nelle zone più spopolate, dove, cioè, c’è maggiore richiesta di manodopera.

Infine, si possono ricordare anche gli stanziamenti di Sarmatae gentiles. La Notitia Dignitatum Occidentis riporta dodici Praefecti Sarmatarum gentilium in altrettanti centri dell’Italia settentrionale. La presenza di tali barbari non è legata a progetti di valorizzazione agricola, ma è eclusivamente legata a scopi militari, non a caso si trovano lungo arterie stradali significative e in punti strategici.

Le grandi innovazioni tetrarchiche e le nuove esigenze, come si è visto, rendono Milano una della nuove capitali dell’impere. Ma non solo: Milano è infatti per lunghissimi periodi sede dell’imperatore di Occidente. Dopo il tetrarca Massimiano, possiamo trovare Costanzo II, imperatore unico, che risiede spesso a Milano come ci testimonia Ammiano Marcellino57. Per Valentiniano I58, imperatore d’Occidente, è la principale capitale. Il figlio di quest’ultimo Graziano, proprio a Milano sotto l’influenza di Ambrogio emana i decreti antipagani59. Valentiniano II e sua madre Giustina vivono presso la corte di Milano60 finchè pericoli troppo grandi li spingono verso luoghi più sicuri. L’usurpatore Magno Massimo segue la tradizione imperiale e nel 387 pone la sua base operativa in questa città. Nel 402, però, la sede imperiale viene spostata nella meglio difendibile Ravenna, Milano cessa di essere la capitale e perde buona parte della sua importanza.

Bisogna comunque considerare che ospitare l’imperatore non comporta solo un enorme prestigio, ma anche innumerevoli vantaggi sociali e soprattutto economici. Infatti la presenza dell’Augusto è accompagnata da quella della corte densa di ricchi personaggi e da quella dei numerosi funzionari dell’articolata burocrazia. Tale situzione fornisce alcune importanti opportunità per Milano e dintorni e, più in generale, per tutta l’Italia Annonaria. In primo luogo Milano vive un periodo di grande attività edilizia: la città deve essere degna del suo ruolo61, di conseguenza lo Stato investe e abbellisce il contesto urbano. Inoltre, a Milano e in

57AMM. MARC. 14, 11, 5 (Costanzo è in partenza per Milano.); AMM. MARC. 15, 1, 2-7. (Apodemio porta i calzari di Gallo a Milano, entra nella reggia, dove Costanzo è adulato dalle più altre cariche di corte.); AMM. MARC. 15, 1, 7.

(A Milano è appena arrivato Giuliano, cugino di Costanzo. La corte è contro di lui.); AMM. MARC 15, 9. (Giuliano è fatto Cesare a Milano, a corte, davanti a tutte le truppe presenti in città che erano state convocate, Costanzo sale su una tribuna, mese di novembre).

58AMM. MARC. 29, 3, 5, (Valentiniano prova profonda antipatia per un auriga dell’ippodromo milanese.); AMM.

MARC. 29, 3, 9. (Valentiniano nel suo palazzo milanese tiene due orse e ne libera una nelle selve poco lontane dalla città.); AMM. MARC. 27, 7, 5. (Valentiniano fa giustiziare atrocemente tre impiegati dell’ufficio del vicario dell’Italia.

Il luogo della sepoltura è chiamato dai cristiani al tempo di Ammiano Ad Innocentes.); AMM. MARC. 26, 5, 4.

(Valentiniano riveste il suo primo consolato a Milano.)

59 AMBR. Ep. 17, 5.

60 AMBR. Ep. 17; Ep. 18; Ep. 30; de ob. Val.

61 Si pensi ad esempio al palazzo imperiale, alle terme erculee e alle nuove mura.

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Lombardia, arrivano nuovi importanti capitali: i membri della corte stabilendosi qui, portano con loro anche grandi fortune. L’archeologia, infatti, testimonia per questo periodo la

costruzione di fattorie agricole, ma soprattutto di molte ville lussuose nelle immediate vicinanze della capitale62. In questo periodo, poi, si ha nell’Italia Annonaria una circolazione monetaria veramente forte rispetto ad altre parti dell’impero e ad altri periodi: è la presenza dei funzionari amministrativi e dei numerosi soldati ad immettere tanta moneta in

circolazione, con il risultato che i loro stipendi innescano processi positivi per l’economia di tutta la regione. D’altra parte significativa per comprenderne la vitalità è anche l’analisi della diffusione della moneta énea, che risulta capillarmente presente sia in campagna che in città;

il potere d’acquisto limitato di questo tipo, infatti, dimostra la vitalità di un’economia di scambio, che, con le dovute eccezioni, riesce a sopravvivere fino al V secolo63. Inoltre, le esigenze logistiche dell’esercito portano alla creazione di diverse fabbriche statali che producono frecce, archi e altri articoli necessari al combattimento. Anche la presenza di zecche può aver favorito l’economia; nell’Annonaria se ne possono trovare ben quattro nell’arco di poco più di un secolo: Milano64, Pavia, Aquileia e Ravenna. E’ molto interessante vedere che la stessa provincializzazione dell’Italia offre molte opportunità.

Infatti l’introduzione di province, diocesi e prefettura crea una certa quantità di quadri amministrativi, che aprono nuove possibilità di carriera e diventano un mezzo di mobilità sociale per la regione e una fonte di affermazione. Ovviamente sono privilegiate le città capoluogo di provincia e tra queste la più avvantaggiata è Milano, che accoglie al suo interno gli uffici dell’amministrazione provinciale della Liguria, quelli della diocesi annonaria e quelli della praefectura Italiae; a questo ricco quadro vanno, poi, aggiunti gli staff dei ministri palatini, che si trovano a Milano quando vi è presente l’imperatore.

Per approfondire l’analisi della situazione economica di questa regione, non si può

prescindere dagli studi di Lellia Cracco Ruggini e in primo luogo dal suo innovativo volume del 196165. La storica mostra un’Italia settentrionale florida nonostante sia gravata

dall’annona e più in generale dal sistema iugatio-capitatio tardoantico. Per tale regione non abbiamo notizia di remissioni dei debiti: questo significa che l’Italia settentrionale è

perfettamente in grado di pagare le sue tasse e, di conseguenza, possiamo dedurre che i movimenti militari e le travagliate vicende storiche non hanno danneggiato eccessivamente

62 CRACCO RUGGINI, 1967 p. 379.

63 CRACCO RUGGINI, 1987, p. 282.

64 BELLONI, 1974.

65 Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo.

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questa terra. Anzi, paradossalmente, l’obbligo fiscale diventa un imput per l’economia con esiti assolutamente positivi66: la necessità di versare al governo una certa parte del proprio raccolto porta il proprietario terriero a investire meglio le proprie risorse, recuperando parti delle sue terre ormai incolte e valorizzando al massimo la manodopera67. Inoltre, senza entrare nel merito del dibattito che lo riguarda68, il sistema fiscale tardo consente al

contribuente di conoscere con sufficiente anticipo la quantità di derrate che dovrà versare allo Stato, quindi di pianificare il proprio lavoro in modo da poter ottemperare ai propri doveri fiscali senza rovinarsi. Quindi non solo non siamo di fronte ad un periodo di crisi, ma ci troviamo anche in un momento di vero e proprio boom economico. Testimonianza di tale situazione è, di certo, la grande quantità di investimenti che si effettuano nella regione: è facile capire che alla base di tali operazioni si trovano i capitali della corte e dei burocrati residenti a Milano69. Per quanto riguarda il tipo di coltura prevalente la Cracco Ruggini pensa che, soprattutto per le grandi proprietà dei domini, sia il frumento il quale, secondo la storica, viene coltivato in maniera piuttosto intensiva considerata l’epoca70; mentre all’interno delle piccole proprietà autonome e nei fondi minori dovrebbe prevalere la coltura della vite71. La situazione che, dunque, si è venuta a creare in Italia settentrionale concede largo spazio non solo agli investimenti, ma anche a vere e proprie speculazioni. Protagonisti di tali movimenti sono quelli che Lellia Cracco Ruggini chiama possessores-negotiatores72. E’ necessario precisare che questi personaggi oggi sono valutati in modo diverso rispetto al passato; un tempo, infatti, era predominante la tendenza che identificava i proprietari nord-italici tardo antichi con signorotti prefeudali73 chiusi nella propria tenuta fortificata. Tale immagine non rispecchia per niente la situazione dell’Italia Annonaria, i possessores vivono ancora all’interno del contesto cittadino, ben lontani dalle loro terre, che amministrano dalle belle ville urbane74, come ci testimoniano le prediche sia di Ambrogio sia di altri vescovi, i quali

66 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 19-112.

67 CRACCO RUGGINI,1961, pp. 29-31.

68 DE MARTINO, F., Volume V.

69 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 25.

70 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 94.

71 La coltura della vite è significativa in Emilia-Romagna, dove è carica di conseguenze sociali che vanno oltre le pure dinamiche economiche.

72 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 19-112.

73 DOREN, 1937. CARLI, 1934.

74 AMBR. De Cain. I, 19 ; De Nab, 56 ; Ep. 30, 4.

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insistono, oltre che sulla ricchezza ostentata di questi personaggi75, anche sul fatto che non si curano affatto delle campagne standosene sempre in città76.

Dunque tutta una serie di condizioni presenti nel IV secolo, permettono, a chi abbia i capitali di partenza, di realizzare ingenti guadagni. In questo momento, infatti, esplode quella che la Cracco Ruggini77 chiama pulchritudo iungendi78, che altro non è che una vera e propria corsa, da parte dei proprietari maggiori, ad accaparrarsi le terre dei piccoli e medi coltivatori indipendenti, con lo scopo di creare praedia sempre più vasti79. A tal proposito, le prediche di Ambrogio80, Zeno di Verona81, Gaudenzio di Brescia82 e Massimo di Torino83 mostrano quale e quanto pesante sia la pressione dei latifondisti sui piccoli proprietari vessati da ogni genere di prepotenza. Non bisogna, poi, dimenticare che il peso fiscale, se anche fornisce stimolo al quadro generale, è estremamente pesante per il singolo proprietario e insostenibile per quello piccolo; di consegnuenza, oltre a subire vere e proprie minacce, i possessores minori spesso sono costretti a cedere le lore terre per saldare i debiti contratti con i loro colleghi più potenti84. La forza dei grandi proprietari terrieri non si esprime solo nei confronti dei deboli, ma si fa sentire anche dallo Stato. Infatti si creano dei veri e propri gruppi di pressione che, in alcune situazioni, si oppongono, con ottimi risultati alle scelte del governo.

A tal proposito, sono interessanti le osservazioni che si possono fare sulla Vita Aureliani dell’Historia Augusta85, nella quale la Cracco Ruggini86 vede una trasposizione della situazione del IV secolo, quando i possessores dell’Italia Annonaria premono per abolire i tributi in vino destinati alle distribuzioni dell’Urbe. Un tipo di pressione molto più forte si trova, invece, a Milano, dove i mercatores, gruppo profondamente legato a quello dei proprietari terrieri, non ha timore di opporsi allo stesso imperatore. Tale protesta si pone nel 386, quando Milano era percorsa da una certa tensione legata alla presenza dell’elemento

75 ZENO VER., 1. I, Tract. III, 6; Tract. V, 1; Tract. IX de av. I, 2 ; Tract. XII, 5; GAUD. BRIX., Sermo XIII ; PS- AMBR., Sermo I, 2; AMBR., De Viduis 28 ; AMBR., De Off. II, 109-110 ; MAX. TAUR., Sermo CII.

76 A questo proposito, il rimprovero dei vescovi ha soprattutto valenza relgiosa. Infatti in questo momento la Chiesa è completamente staccata dalle campagne, che possono essere raggiunte soltanto tramite l’interesse e la mediazione dei proprietari terrieri.

77 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 23-35.

78 PLIN., Ep. III, 9.

79 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 23-24.

80 AMBR. Exp. Ps. CXVIII, 5, 8; Exp. Ps. CXVIII 6, 20 e 32 ; Exp. Ps. CXVIII 8, 4 e 5 e 58 ; Exp. Ps. CXVIII 16, 6 e 7 ; 20, 47 ; Ep II, 11 ; Ep II, 30; Ep XXXVII 43-44; De Off. I, 63 ; De Off. I, 137; De Off. I, 158; De Off. I, 243; De Off. II, 69; De Noc. 102 ; De Iacob. I, 10, De Viduis 58 ; De Nabuthae 1-14 ; De Nabuthae 40 ; De Nabuthae 44-45 ; De Bono Mortis 16 ; De Bono Mortis 22-24 ; De Cain I, 21.

81 I, Tract. III, 5; Tract. IX De Av. I,2; Tract XV, 6 (P.L. 11).

82 Sermo IV; Sermo VIII; Sermo XIII..

83 Sermo LXXXII; Sermo CI; Sermo CII.

84 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 26

85 HIST. AUG., Vita Aur. XLVIII.

86 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 38-42.

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ariano. Valentiniano II, infatti, ha appena concesso una basilica suburbana, la Portiana, alla comunità ariana della capitale, suscitando, così, le ire di Ambrogio e dei suoi fedeli.

All’interno di questi avvenimenti che si articolano su un piano politico e religioso, possiamo individuare un fatto che potrebbe apparentemente sembrare sorprendente e svincolato dal contesto.Dalla testimonianza di Ambrogio87 sappiamo che a seguito delle violente reazioni popolari avviene l’incarcerazione di tutto il corpus dei mercatores milanesi, ai quali viene imposto il pagamento di una multa di duecento libbre d’oro88, somma estremamente

consistente. Di conseguenza è necessario trovare un collegamento tra i moti e i commercianti e dare a quest’ultimi un ruolo molto importante nell’organizzazione della protesta. In primo luogo, è interessante osservare che il quartiere commerciale di Milano ha una collocazione extra-muraria e extra-muraria è anche la basilica concessa agli ariani, di conseguenza per le autorità è chiaro il legame tra i tumulti e i mercatores, che ne sono i sobillatori e i

protagonisti89. Bisogna, però, credere che tali mercanti non si espongano alla vendetta dell’autorità solamente per zelo religioso; certo esso non va sottovalutato: la presenza di una corte ariana all’interno di una comunità cittadina prevalentemente nicena irrita sicuramente gli animi; ma al di là di tali considerazioni si possono trovare anche altri motivi che spingono i mercatores alla rivolta. Come ci testimonia Ambrogio90, infatti, il ruolo di tale gruppo è importantissimo per l’economia della città di Milano e di tutta l’Italia Annonaria, che, quasi, crollerebbe senza il loro apporto91. I traffici di tali operatori, però, risentono negativamente del nuovo ordinamento fiscale: la presenza della corte in Cisalpina innesca il meccanismo dell’annona e obbliga il corpus mercatorum da una parte a prestazioni coatte e dall’altra alla coemptio92, misura che accompagna l’adaeratio93 e causa, per il contribuente facoltoso, la

87 AMBR. Ep. XX, 6.

88 Pari a 14.400 solidi.

89 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 109.

90 AMBR. Ep. XX, 9.

91 AMBR. Ep. XX, 9.

92 La coemptio è una fornitura di derrate alimentari a prezzo di calmiere, imposta dalla Stato ai contribuenti per soddisfare sia le esigenze dell’annona , quasi ovunque aderata, sia per reperire altri elementi necessari. Il prezzo di calmiere era molto basso e non teneva conto delle cattive annate. Come è comprensibile questo è un regime svantaggioso per il contribuente.

93 L’adaeratio rappresenta il superamento della fornitura in natura. Il contributo in natura dava una serie di problemi per lo Stato, sia per la conservazione e il trasporto, sia per la qualità del prodotto confiscato (si pensi all’Africa dove i contribuenti che devono allo Stato tasse in cavalli, forniscono per lo più animali di scarso valore o inutilizzabili), per cui ben presto si sceglie di commutare la tassa in natura in una tassa in denaro equivalente, l’adaeratio appunto. Tale misura favorisce molto i grandi proprietari che sono molto danneggiati dal sistema dell’annona (si pensi all’annona vinaria dell’Emilia), ma è sfavorevole per i meno ricchi. Sulla scia di Giuliano e del suo interesse verso il contribuente, Valentinano I adotta una politica antiaderativa, che ha lo scopo di contrastare gli abusi degli esattori, infatti, i burocrati tendono a realizzare guadagni illeciti cercando di sfruttare il dislivello tra l’alto prezzo dell’adaeratio e quello molto più basso della coemptio, cioè chiedono una tassa in natura aderata molto alta e con il denaro ricavato si procurano i viveri e le altre vettovaglie tramite un acquisto a prezzo di calmiere (ovvero a prezzo minimo), cioè con la coemptio, in questo si ralizzano interpraetia che scivolano nelle tasche dei funzionari . La politica antiaderativa è continuata per ragioni filantropiche da Teodosio, che poi l’abbandona per una coemptio che favorisce l’elemento barbarico dell’esercito.

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perdita di molti guadagni. Di conseguenza si crea un vero e proprio gruppo di pressione, che trova estremamente interessante sfruttare una motivazione religiosa94 per opporsi

vivacemente alla corte. Bisogna, infine, sottolineare che la posizione dei mercatores è estremamente forte, tanto da poter tener testa allo stesso imperatore95: Valentiniano II, invano, tenta con le minacce di trascinare la lobby mercantile dalla sua parte e dopo un periodo di prigionia è costretto a liberare tutti i prigionieri e restituire loro le duecento libbre della multa96. Per comprendere la forza di tale gruppo di pressione mi pare utile fare ancora una volta riferimento al lavoro di Lellia Cracco Ruggini, che mostra il ruolo da protagonisti che i cisalpini hanno sul mercato di Roma97. Infatti, nella tarda antichità, la piazza di Roma, mai come prima, trova insufficienti le derrate dell’annona e ha particolare bisogno di altre vie di rifornimento98; queste condizioni rendono l’Urbe un mercato molto appetibile e attraggono gli interessi dell’Italia settentrionale. Tra le prove della presenza, a Roma, di peregrini italici, c’è l’attestazione di Ambrogio99 che parla di loro circa le espulsioni di stranieri durante le carestie100. Quindi l’attività agricola dell’Italia del nord, lungi da essere prosciugata dalle esazioni, non è limitata né a uno smercio puramente locale, né ad uno su raggio regionale, ma al contrario possiede un dinamismo tale da permetterle la conquista di importanti mercati, che quasi si potrebbero definire esteri. Infine, credo sia importante dire che nonostante la tendenza al concentramento delle terre, in Italia Annonaria la piccola e media proprietà alla fine del IV secolo sopravvive ancora, dimostrandosi molto più duratura qui che in molte zone101.

La presenza di corte e esercito non ha, però, soltanto risvolti positivi; questi due apparati portarono con sé anche numerosi svantaggi e disagi; non si può dimenticare, ad esempio, l’obbligo di alloggiamento per i soldati, a cui devono sottostare le case dei privati cittadini.

Simmaco ci rende una preziosa testimonianza di tale istituto relativamente alla città di Rimini102. Non è difficile immaginare il disagio e la tensione che può scaturire da tale

Vedi: MAZZARINO 1980, pp. 251-266, pp. 287-291 e pp. 299-324.

94 Si tenga conto che l’opposizione religiosa tra corte e mercatores è reale: gli uni sono ariani e gli altri niceni. E aumenta la distanza che già esisteva tra corte e abitanti di Milano, che vedevano nei cortigiani un gruppo di stranieri ben separato da loro.

95 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 107.

96 AMBR. Ep. XX, 26.

97 CRACCO RUGGINI 1961, pp. 112-146.

98 Si tenga conto che i raccolti dell’Egitto sono stati dirottati verso la nuova capitale Costantinopoli e ben presto l’Africa non sarà più romana.

99 AMBR. De Off. III, 44-52.

100 La Cracco Ruggini ritiene che tali peregrni italici siano da una parte mezzadri o coloni che lavorano le terre padane dei clarissimi, dall’altra veri e propri mercatores legati da amicizia e da parentela alle famiglie senatorie.

101 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 23-24.

102 SYMM. Ep. IX, 48.

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ospitalità forzata: acquartierare intere guarnigioni all’interno di un centro urbano porta, sicuramente, danni materiali enormi, sia per l’edilizia pubblica, che per quella privata, e per i beni di altro tipo; inoltre i rapporti tra civili e soldati possono costantemente sfociare in tafferugli e il fastidio procurato agli ospiti può diventare un vero e proprio sopruso dello Stato sui cittadini.

CAPITOLO 2: DECADENZA E CONTINUITA’

La tarda antichità si colloca tra due epoche molto diverse sotto la maggior parte dei punti di vista, un momento di passaggio, quindi, e di elaborazione, che tende, però, ad essere

considerato esclusivamente come momento di decadenza. Senza voler negare questo fattore, è interessante indagare il nostro periodo anche sotto il punto di vista della continuità per capire quanto ancora ci sia di romano, all’interno di una realtà in mutamento. Tale indagine, poi, può rivelarsi particolarmente significativa se la città diventa l’oggetto di essa: la realtà urbana, come abbiamo precedentemete detto, è un elemento fondamentale della romanitas.

La visione di un’esagerata decadenza, arrivata fino a noi moderni, è in gran parte legata alla testimonianza che gli antichi ci hanno tramandato. Alcune fonti antiche, infatti, ci

trasmettono un’immagine drammatica e molto fosca della situazione della città nel IV secolo.

La mente non può far a meno di correre all’epistola XXXIX di Ambrogio sui centri

dell’Emilia e all’epistola I di Girolamo su Vercelli, che offrono un quadro urbano veramente desolato. In passato tali epistole sono state considerate prove incontrovertibili della

decadenza urbana dell’Italia Annonaria più profonda. Tale certezza è, però, scalfita da studi più recenti di diverso carattere che disegnano un quadro molto più ameno dell’economia e della vitalità di tali zone103. A questo punto è lecito chiedersi da una parte se la testimonianza dei due autori sia attendibile e dall’altra per quale motivo avrebbero dovuto mistificare la realtà. Il problema si articola in due punti, che riguardano e il mezzo letterario usato e il sistema concettuale dell’uomo del IV secolo. In primo luogo bisogna considerare sia che siamo in presenza di epistole di tipo privato e non di testi storici o geografici, sia che tali documenti hanno un forte contenuto retorico, nel caso di Ambrogio addirittura influenzato da modelli preesistenti. In secondo luogo non bisogna dimenticare che gli antichi hanno un punto di vista che può non coincidere con quello dei moderni e il loro sistema di valori può portarli a considerazioni diverse da quelle che noi possiamo fare in base all’osservazione dei

103 CRACCO RUGGINI, 1977, p. 451.

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medesimi elementi104. Come abbiamo detto, Girolamo e Ambrogio vedono rispettivamente in Vercelli e nei centri emilani una profonda decadenza, anzi una vera e propria morte, la fine, insomma, dello status di città. A questo punto diventa interessante comprendere cosa significhi per un antico il concetto, appunto, di città. Cassiodoro105, nel secolo successivo a quello qui considerato, parlando ancora della decadenza dei centri urbani (questa volta dell’Italia meridionale), descrive la vita di chi abbandona la realtà cittadina per vivere sui propri praedia. In questo brano vengono elencati i vantaggi, ai quali rinuncia chi se ne va: le scuole per i fanciulli, il foro dove discutere, i monumenti da ammirare, l’amministrazione della giustizia (quindi i luoghi in cui viene amministrata), i pubblici giochi, i balnea e la magnificenza dei pranzi. Dunque ci troviamo davanti ad elementi che sono, per lo più, di tipo archittetonico: l’architettura, cioè, diventa compendio della vita cittadina106 e gli edifici diventano l’essenza stessa della città, sono cioè la condizione necessaria e sufficiente per fare di un insediamento una città. Di conseguenza, un agglomerato di tipo logistico, funzionale ad esigenze militari, popolato, vivace e florido, per lo spirito antico non è una città, poiché non può considerarsi tale un centro che non possiede certe caratteristiche esteriori. Bisogna precisare che tali elementi non hanno un valore puramente estetico: sono frutto della mentalità e della civiltà di un popolo che li ha completamente interiorizzati rendendoli simbolo del mondo urbano da esso creato. Allora se un centro non possiede le terme e le basiliche non può nemmeno possedere la dignità urbana e quindi la marca della civiltà romana. A questo punto si può comprendere quanto potesse sembrare terribile per gli antichi vedere i centri dell’Emilia perdere i loro connotati urbani per diventare qualcosa di molto inferiore: dal punto di vista degli antichi è innegabile la decadenza. Di conseguenza le

civitates, le urbes e i castella, se perdono il loro nome e acquistano quello di castra o oppida, come si può attestare per molti centri negli autori da Ammiano in poi, perdono totalmente la loro dignità di città e di civilitas107.

Una volta analizzata l’ottica dei contemporanei è opportuno guardare all’Italia settentrionale del IV secolo, con gli occhi di noi moderni e capire quale fosse, al di là dei valori e delle costruzioni ideologiche antiche, l’effettiva situazione delle città. Andrea Carandini ha dedicato attenzione alla città tarda nell’articolo d’apertura del volume della Storia di Roma

104 CRACCO RUGGINI, 1982, p 64.

L’osservazione dei dati archeologici e topografici offre quadri che contrastano con molte fonti letterarie.

105 CASS, Var. 8, 31 (527 A. D.) MGH, AA 12, 259-260.

106 CRACCO RUGGINI, 1977, p. 459.

107 CRACCO RUGGINI, 1982, p. 65.

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Einaudi sulla cultura tardo antica108. In questo micro saggio l’archeologo si mostra fautore di una vera e propria morte della città. Tale morte viene collocata in un periodo successivo a quello della nostra indagine, ma è comunque interessante vedere come viene valutato lo sviluppo della realtà urbana. Secondo Carandini, infatti, la tarda antichità, dal punto di vista archeologico, è fondamentalmente un periodo di decadenza degli insediamenti, che

gradualmente scompaiono, senza alcuna ripresa109; se pure gli scavi attestano continuità insediativa in due terzi dei centri dell’Italia settentrionale110 non è lecito, secondo lo studioso, considerare tale perdurare dell’insediamento equivalente ad una continuità urbana: la crescita della stratificazione dovuta al riflusso delle acque, ai cumoli di rifiuti, agli edifici antichi ridotti a macerie insieme alla presenza di casupole e capanne, per Carandini testimonia la fine della città111; tale stadio evolutivo viene chiamato dallo studioso post-città ed è paragonato a quello delle proto-città dell’età del ferro: una realtà insediativa ben diversa dalla città, che è ormai morta e ha posto fine ad una parte della storia dell’uomo con un vero e proprio azzeramento del precedente grado di civiltà112.

La Cracco Ruggini113 si oppone fermamente e esplicitamente all’opinione di Carandini.

Infatti ritiene inaccettabile una visione del tardo antico caratterizzata unicamente dalla decadenza e dalla discontinuità sia materiale che spirituale114; la storica non vuole certo sostenere che l’attestazione archeologica di un insediamento sia, tout court, l’attestazione di un centro urbano, ma ritiene necessario sottolineare che, per l’Italia settentrionale, esistono studi recenti115 che attestano una vivace persistenza della civiltà urbana in siti stabili e cospicuamente abitati116; inoltre la Cracco Ruggini adduce un’ulteriore prova della

persistenza sia materiale che ideologica della città: dallo studio degli edifici pubblici emerge, da parte della classe dirigente, un’attenzione senza soluzione di continuità alla conservazione di questi luoghi funzionali che simbolizzano il potere117. La storica, ancora, ricorda un fatto molto significativo: in epoca tardoantica vengono costruite molte cinte murarie, non solo intorno a città, ma anche per alcuni vici; considerando innegabile l’aspetto urbano di un elemento complesso come le mura, per l’autrice, è innegabile la persistenza della civiltà romana e urbana in questo contesto. Per quanto riguarda, poi, il restringimento dei circuiti

108CARANDINI, 1993.

109 CARANDINI, 1993, pp. 35-36.

110 Solo venti città su settantadue scompaiono. Cfr. CARANDINI 1993, pp. 27-28.

111 CARANDINI, 1993, pp. 27-28.

112 CARANDINI, 1993, pp. 37.

113 CRACCO RUGGINI, 2001.

114 CRACCO RUGGINI, 2001, pp. 497.

115 LA ROCCA, 1992.

116 CRACCO RUGGINI, 2001, pp. 499.

117 CRACCO RUGGINI, 2001, pp. 500.

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urbani, la Cracco Ruggini sostiene che, se da una parte tale fenomeno è riscontrabile in molte regioni dell’impero, tra cui l’ Italia settentrionale, non bisogna, però, farsi ingannare dalle esigenze logistiche e militari; molto spesso solamente il cuore della città viene protetto da mura, mentre i quartieri residenziali e commerciali si estendono ben oltre le cinte, in zona extra-muraria118. In conseguenza di tali argomentazioni risulta inattendibile l’opinione di Carandini, secondo la quale le città tardoantiche si sarebbero chiuse e ben presto trasformate in post-città con una regressione ad uno stadio preromano119.

Bisogna, poi, sottolineare che l’idea di decadenza della città è, molto spesso, legata allo stato dei suoi monumenti e alla loro rovina. Alla fine dell’antichità, infatti, gli edifici si trovano in una situazione nuova: una politica di abbondono decretata dalla mancanza di fondi e

d’interesse, rende le vecchie costruzioni delle vere e proprie cave, dalle quali è facile reperire elementi e materiali per nuovi edifici. Tale quadro semplifica molto la situazione reale, che di certo presenta un percorso storico non lineare e più articolato; di conseguenza la vicenda dei così detti spolia, ovvero ciò che viene sottratto e riutilizzato, merita un approfondimento. In primo luogo dobbiamo considerare che nel IV secolo le leggi non consentono e anzi vietano tali pratiche: si pensi a Valentiniano I, che nel 365120 proibisce la spoliazione e il riuso di elementi architettonici, marmi e pietre sottratti ai monumenti delle piccole città, che rischiano ora di divenire vere e proprie cave per le costruzioni dei centri maggiori121. Di conseguenza, per questo periodo, anche se la legislazione che vieta gli spogli tradisce indubbiamente l’esistenza di tale pratica, non si può parlare di sistematico smantellamento dei vecchi edifici e non si può imputare totalmente all’opera dei nuovi costruttori il degrado che, spesso, è carattteristica di molte realtà urbane. Infatti, prima di pensare alla pratica dell’estrazione, bisogna considerare un'altra causa di decadenza, un fatto estremamente banale, ma

estremamente importante: l’incuria122. Non per niente, ancor prima della spoliazione, proprio i danni del tempo portano alla rovina moltissimi edifici, che non vengono così riparati a causa sia della mancanza di fondi sia del loro dirottamento verso attività più utili o più propagandistiche. Comunque la spinta che tende al riutilizzo non è contenibile: le leggi riescono a fare poco e si avviano verso un riconoscimento di tale pratica123; già nel 390 si

118 CRACCO RUGGINI, 1961, pp. 79-80.

119 CRACCO RUGGINI, 2001, p. 502.

120 C. Th. XV, 1, 4.

121 CRACCO RUGGINI, 1961, p. 81.

122 WARD-PERKINS, 1984, pp. 33-34.

123 Avvenuto solo in età teodoriciana, quando però si tenta ancora di reperire materiali nuovi ogni volta che è possibile, quando cioè le condizioni dei trasporti lo consentono. Si veda: WARD-PERKINS, 1984, pp. 216-217. E si veda anche CRACCO RUGGINI, 1961, p. 82.

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arriva con Valentiniano II ad uno stadio intermedio, per cui diviene lecito smantellare i monumenti e gli edifici dei centri minori per abbellire le città più importanti124, superando in questo modo la politica conservativa del padre. Si arriverà, poi, alle Variae di Cassiodoro, dove si conservano numerose costituzioni che ordinano il reimpiego di materiali e elementi architettonici125. Un particolare tipo di riuso degno di nota è quello legato al così detto umanesimo cristiano; tale corrente nasce al tempo di Teodosio, quando, infatti, si diffonde l’idea che oggetti decisamente legati al culto pagano come le statue, possano essere

conservati e ancora ammirati per il loro valore artistico. Dunque, i simulacri delle antiche divinità, estrapolati dal loro contesto liturgico, possono ancora appartenere alla città come elementi di decoro urbano126. Questa prospettiva è ben espressa nell’opera di un portavoce dell’ideologia statale: Prudenzio, infatti, nel suo Contra Symmachum descrive efficacemente i portici e le terme dei romani abbelliti dalle statue lavate dal sangue degli empi sacrifici127. Un’interessante applicazione di tale ideologia, si può trovare nel foro di Aquileia, dove una statua di Ercole viene riutilizzata per celebrare un personaggio umano che porta il titolo di Erculeo; dunque l’ “arte sacra” dell’epoca precedente si trova perfettamente piegata alle esigenze civili e decorative dei romani di nuova fede128. Molti altri sono gli esempi in tal senso, possediamo molte iscrizioni che testimoniano, in tutta la penisola, la rierezione di statue più antiche; per Verona, poi, abbiamo la certezza che le sculture collocate nel foro nel 379/382 siano state trasferite dal locale tempio capitolino per opera del governatore della Venetia et Histria129. Comunque, in una certa misura, il riuso è indispensabile e permesso ben prima del tempo di Teodorico: si pensi, ad esempio, alle fortificazioni; per riempire i volumi e le altezze di questi elementi difensivi si ricorre, spesso, a materiale di scarto proveniente da edifici in uno stato, più o meno, di rudere; si pensi al caso di Aquileia: le mura presentano molti elementi, un tempo appartenuti a templi pagani, are, arette e iscrizioni che, incorporate nelle nuove fortificazioni, forniscono, tra l’altro, un interessante termine ante quem per l’abbandono di tali templi130.

Bisogna, poi, considerare che buona parte delle spoliazioni illegali sono compiute da parte dei rappresentanti dello Stato. A rivestire un ruolo importante nel saccheggio dei vecchi edifici sono proprio i governatori, che nel tardo antico sono costruttori molto prolifici131. Lo

124 C. Th. XV, 1, 26.

125 CASS., Var. I, 28; II, 7; VII, 15.

126 MAZZARINO, 1980, pp. 357-364.

127 PRUD., c. S., I, 501-505.

128 ZACCARIA, 2000, pp. 101-105.

129 WARD-PERKINS, 1984, p. 33.

130 VERZAR-BASS, 2000.

131 WARD-PERKINS, 1984, p. 27.

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