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LA SCELTA DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLA PROSPETTIVA DEL GIUSTO PROCESSO - Judicium

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MAURO MOCCI

LA SCELTA DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO NELLA PROSPETTIVA DEL GIUSTO PROCESSO

SOMMARIO. 1. Profili di ordine generale. - 2. La centralità della consulenza tecnica nel quadro probatorio. – 3. I rapporti fra il giudice ed il consulente. – 4. Le modalità di scelta del consulente. – 5. L’accertamento tecnico e la consulenza preventiva. – 6. Conclusioni.

1. Il consulente tecnico: ausiliario del giudice o giudice della causa? La domanda è legittima, e la risposta meno scontata di quanto a tutta prima potrebbe pensarsi. Benché manchino puntuali rilevazioni statistiche sull’incidenza dell’utilizzo delle consulenze nel processo civile, è ormai un dato di comune esperienza il crescente peso specifico che la c.t.u. è andata assumendo, durante gli ultimi anni, nella formazione del convincimento del giudice e dunque nella motivazione dei provvedimenti1. A questo non ha però corrisposto un’adeguata maggior attenzione da parte del legislatore, che, anche nella riforma del 2009, si è limitato ad enunciazioni di principio oppure a prendere atto di qualche prassi virtuosa dei tribunali italiani (trasfondendola in norma), senza però cogliere appieno lo snodo fondamentale del problema, che ruota intorno alla nomina del c.t.u.

Sarebbe stato lecito attendersi, in particolare, regole chiarificatrici sulla formazione degli elenchi e sulla preparazione giuridica degli iscritti, non solo per limitare gli intoppi sovente legati all’espletamento delle consulenze tecniche (e dunque il contributo fornito all’allungamento dei tempi processuali), ma anche per razionalizzare la scelta del giudice.

In questa situazione, può essere utile tornare a riflettere sui meccanismi di scelta del consulente e domandarsi, a breve termine, se qualche correttivo possa essere adottato in via interpretativa e, in una prospettiva di più ampio respiro, cosa sia possibile fare in vista della creazione di una figura specifica e ben definita di esperto all’interno delle rispettive categorie professionali.

2. La riflessione sul consulente tecnico e sulla sua scelta da parte del giudice non può che prendere le mosse dal quadro sistematico in cui si situa la c.t.u.

Come è noto, nel codice di procedura civile del 1865 la perizia era collocata fra i mezzi di prova in senso proprio, ed, in particolare, fra quelli che potevano essere ammessi anche d’ufficio dal giudice2. In questo senso, era stata accostata alla testimonianza, benché – a differenza del testimone – il perito potesse essere ricusato3.

La suddetta collocazione generava però una serie di difficoltà quando si trattava di desumere (oltre all’inquadramento normativo) anche il valore concreto della relazione ai fini della causa, perché occorreva distinguere ciò che era la risultante delle percezioni sensoriali del perito da ciò che

1 Cfr. TEDOLDI, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, 806: l’A. parla, argutamente, di peritus iudex a proposito della metamorfosi del c.t.u.

2 Così COMOGLIO, La consulenza tecnica, in Le prove civili3, Torino, 2010, 842 ss. che ricorda, quali altri mezzi officiosi, il giuramento, l’esame dei testimoni, l’accesso giudiziale ed i procedimenti di verificazione delle scritture o di accertamento della falsità documentale. Conforme MANDRIOLI, Diritto processuale civile21, II, Torino, 2011, 203. 3 L’assimilazione alla pura e semplice testimonianza è stata sostenuta, anche dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice, allorquando l’attività del consulente si limiti a fornire regole o massime d’esperienza. Cfr. in proposito FRANCHI, La perizia civile, Padova, 1959, 65 ss.; DENTI, Testimonianza tecnica, in Riv. dir. proc., 1962, 9.

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era invece il frutto di un’elaborazione scientifica. In più, diversamente dalla testimonianza, era possibile disattenderne il parere, sulla scorta del principio che il giudice era peritus peritorum. Così, sotto la vigenza del codice del 1940, che pure ha mantenuto la consulenza tecnica nell’alveo dell’istruzione probatoria, il consulente è stato altresì collocato fra gli ausiliari del giudice.

Si tratta di una soluzione ibrida, che alimenta la discussione dottrinale sull’inquadramento della consulenza tecnica come mezzo di prova o come mezzo di valutazione della prova4. Le implicazione sono evidenti: basti pensare al regime delle preclusioni, cui sono soggette le prove propriamente dette ed a cui, per converso, sfugge l’attività del consulente5.

A guardar bene, questa posizione ambivalente non è senza conseguenze neppure sotto il profilo, si potrebbe dire, operativo: mentre la consulenza tecnica fornisce al giudice la chiave di lettura per la soluzione di un numero rilevante di processi, anzi spesso è l’unico elemento acquisito nel corso dell’istruttoria, allo stesso tempo, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del magistrato, che è libero di disporla oppure no6.

E la giurisprudenza – rifuggendo da soluzioni manichee e cercando piuttosto di adeguare il dictum alle esigenze del caso singolo – se, per un verso, continua a riproporre la tesi della natura strumentale della consulenza7, per altro verso si è ormai consolidata nel reputare la c.t.u., a certe condizioni, una vera e propria prova. Si suole in proposito affermare che al consulente può essere affidato non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte alleghi il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. In tale secondo caso, la consulenza può costituire, da sola, fonte oggettiva di prova8.

In realtà, il fondamento teorico vale a giustificare, sul piano pratico, il riconoscimento dell’assoluta centralità della consulenza tecnica: l’equiparazione quoad effectum alla prova di parte

4 In realtà, nessun autore sostiene decisamente la prima qualificazione: SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile13, Padova, 2000, 322, si limita a sottolineare che il risultato delle indagini peritali è un accertamento di fatto, in connessione con l’onere della prova, mentre aderiscono più esplicitamente alla tesi della consulenza come “mezzo di istruzione probatoria” di elementi già acquisiti COMOGLIO, La consulenza tecnica, cit,, 841; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit,, II, 204; MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile5 , Padova, 2009, 420 ss..;AULETTA, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002, 33 ss; E. PROTETTÌ M.T.

PROTETTÌ, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 1999. Con riferimento alla figura del consulente, parla di

“organo processuale che assiste il giudice” GRASSELLI, L’istruzione probatoria nel processo civile riformato, Padova, 2000.

5 Sul punto, DITTRICH, La ricerca della verità nel processo civile: profili evolutivi in tema di prova testimoniale, consulenza tecnica e fatto notorio, in Riv. dir. proc., 2011, 121; M. FABIANI, Preclusioni istruttorie e onere della prova nelle consulenze tecniche in tema di revocatoria fallimentare, in Giur. it., 2003, 265. A rigore, non essendo un mezzo di prova, la consulenza tecnica non potrebbe neppure essere delegata ad altro giudice, ai sensi dell’art. 203 c.p.c., benché, anche al fine di contenere i costi, la norma venga correntemente interpretata in senso elastico.

6 Le uniche eccezioni si rinvengono in materia di sinistri marittimi (art. 599 cod. nav.) e di prestazioni previdenziali (art. 445 c.p.c.), ma, come rileva CATALDI, La nomina del C.T.U., in Giur. merito, 2007, 11, 1, 2805, la discrezionalità del giudice permane con riguardo alla scelta della categoria di esperti da nominare.

7 Cass. 21 aprile 2010, n. 9641; Cass. 13 marzo 2009, n. 6155.

8 Cass. 13 marzo 2009, n. 6155; Cass. 23 febbraio 2006, n. 3990. Fra gli autori che si sono occupati del tema, cfr.

POTETTI, Novità e vecchie questioni in tema di consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile, in Giur. merito, 2010, 38; DITTRICH, La ricerca della verità, cit,, 108; CATALDI, La nomina del C.T.U., cit., 2799; LOMBARDO, La scienza ed il giudice nella ricostruzione del fatto, in Riv. dir. proc., 2007, 35 ss.; MORLINI, La consulenza tecnica nel processo civile, in Il merito, 2006, 10, 2 ss. Quest’ultimo A. ricorda, in proposito, fra i casi di consulenza sostanzialmente necessaria (e dunque dirimente), le ipotesi in materia medico-legale per verificare gli stati d’incapacità o i requisiti necessari per la corresponsione di prestazioni previdenziali, in materia genetica nelle cause di riconoscimento e disconoscimento di paternità, in materia grafologica per verificare l’autografia di una firma.

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consente al giudice di fare proprie le conclusioni dell’elaborato peritale e di trasferirle nella sentenza, in genere senza rielaborazioni o interpretazioni.

Evidentemente, l’importanza della consulenza tecnica d’ufficio implica, a sua volta, la responsabilità del giudice rispetto alla scelta della persona del consulente. Ecco che allora è necessario ed opportuno focalizzare l’attenzione su tale figura professionale, concretamente in grado – molto più spesso di quanto in genere si creda - di segnare le sorti del giudizio.

3. Il rapporto fra il giudice ed il consulente, delineato come del tutto peculiare nel codice di rito, è stato però poco approfondito da dottrina e giurisprudenza. Vale pertanto la pena di ricordarne le articolazioni essenziali, specialmente con riguardo ai profili maggiormente ricorrenti nella pratica giudiziaria.

Una volta designato, il c.t.u. ha l’obbligo di prestare il suo ufficio (art. 63 c.p.c.), ma può astenersi e può essere ricusato dalle parti, purché ciò avvenga almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione – ove non si sia previamente astenuto nello stesso termine – per le medesime ipotesi di ricusazione del giudice, ex art. 51 c.p.c., in mancanza di motivi tipici di astensione9. La presentazione dell'istanza di ricusazione del consulente tecnico d'ufficio, dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 192 c.p.c., preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità: la consulenza rimane così ritualmente acquisita al processo, a nulla rilevando il fatto che il ricorrente sia venuto a conoscenza della pretesa causa di incompatibilità del consulente soltanto dopo l'espletamento dell'incarico conferitogli dal giudice.

Competente a decidere sull’astensione e sulla ricusazione del consulente è lo stesso giudice che l’ha nominato (artt. 63 e 192 c.p.c.). Questo costituisce, indubbiamente, un fattore di debolezza del sistema (giacché investe il giudice di una valutazione su una sua scelta) ed è auspicabile che, nel quadro di una futura modifica, sia designato un organo terzo. In caso di colpa grave nell’espletamento del mandato, il consulente è punibile con l’arresto o con l’ammenda e può essere chiamato a rispondere dei danni causati alla parte10.

Il confronto con il giudice non si limita al momento del giuramento e della predisposizione del quesito: se, durante le indagini, sorgono questioni sui poteri del consulente o sui limiti dell’incarico, costui deve prontamente informarne il giudice, sempre che la parte non vi provveda autonomamente con ricorso, che in ogni caso non sospende le operazioni peritali (art. 92 disp. att.). Su autorizzazione del giudice, il consulente può anche assumere informazioni da terzi, ancorché costoro abbiano prestato o possano prestare l’ufficio di testimone (art. 194 c.p.c.): è chiaro però che l’autorizzazione deve essere preventiva – dunque, già compresa nel mandato o richiesta con istanza a parte – giacché la ratifica, da parte del giudice, dell’operato del suo consulente porrebbe complicati problemi di ammissibilità. Per gli stessi motivi, il c.t.u. non è autorizzato a ricevere memorie e scritti defensionali diversi da quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte di cui all’art. 194 c.pc. e deve trasmetterne copia alle controparti (art. 90 disp. att.) 11. Tale norma è facilmente riconducibile al principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), che si applica anche alle

9Secondo COMOGLIO, La consulenza tecnica, cit,, 862, si potrebbe tener conto anche delle cause previste per i testimoni dall’art. 249 c.p.c. Sulle specifiche ipotesi, cfr. Cass. s.u. 31 marzo 2009, n. 7770, secondo cui la causa d'incompatibilità del consulente d'ufficio, fondata sulla nomina del medesimo ausiliare in primo e secondo grado, non può essere fatta valere in sede di giudizio di legittimità se non sia stata tempestivamente denunciata con richiesta di ricusazione formulata ai sensi dell'art. 192 cod. proc. civ. Tale formale istanza non è equiparabile alla richiesta di revoca e sostituzione del consulente per motivi di opportunità, ancorché formulata, con generico richiamo all'art. 51 c.p.c., nel corso del giudizio di secondo grado, e l'ordinanza di rigetto non è, conseguentemente, censurabile con ricorso per cassazione per vizio di motivazione.

10 BONA, Anche l’esperto risponde: la responsabilità civile del c.t.u., in Danno e resp., 2008, 253, si mostra scettico sugli effetti concreti di una domanda per il risarcimento diretto nei confronti del consulente.

11 Ne consegue, fra l’altro, l’illegittimità di eventuali osservazioni alla consulenza, presentate dopo la scadenza dei termini assegnati ai periti di parte.

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indagini del consulente tecnico e che impone che le operazioni peritali siano compiute nella più leale collaborazione con le parti (e con i loro consulenti eventualmente nominati) 12. Ne deriva che ogni fase della consulenza deve essere caratterizzata da una previa comunicazione del suo svolgimento - a meno che non si sia ovviato con un avviso orale al termine della fase precedente, di cui però deve essere fatta menzione nel verbale delle operazioni – quando il consulente è autorizzato a procedere da solo, il che è l’ipotesi normale (art. 194 c.p.c.).

La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine fissato dal giudice (art. 195 c.p.c.) 13. Si tratta di una disposizione spesso trascurata, forse per la natura formalmente ordinatoria della norma14. In realtà, dal rispetto dei tempi si evince la correttezza e la serietà del consulente nell’espletamento dell’incarico. La nuova sensibilità espressa dal legislatore della riforma del 2009 verso l’accelerazione del processo e la giurisprudenza formatasi in seguito alla c.d. legge Pinto impongono di considerare il predetto termine finale come sostanzialmente tassativo, giacché da esso dipende la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio e dunque un rinvio si riverbera anche sulla durata complessiva della causa. Secondo un corretto canone di governo processuale, la proroga può dunque essere concessa solo per ragioni gravissime: all’atto dell’incarico, il giudice dovrà attentamente valutare la portata del quesito ed attenersi al tempo richiestogli dal consulente15. Quest’ultimo, a sua volta, per poter modulare adeguatamente il suo impegno, dovrebbe prendere visione degli atti processuali almeno qualche giorno prima del conferimento dell’incarico. In tal senso, la novella del 2009 – allineandosi ad una prassi precedentemente in vigore presso molti uffici giudiziari – ha stabilito che l’ordinanza di nomina contenga già la formulazione del quesito (art. 191, 1° comma, c.p.c.) 16. Nulla vieta che tale ordinanza contenga anche i termini per la consegna dell’elaborato, termini che altrimenti devono essere necessariamente specificati nell’ordinanza resa all’udienza di giuramento (art. 193 c.p.c), unitamente al termine per la trasmissione della “bozza” ai consulenti di parte ed al termine a costoro per le osservazioni, a cui il c.t.u. dovrà conclusivamente rispondere con la relazione finale. Questi ultimi termini hanno essenzialmente lo scopo di evitare udienze di mero rinvio17.

Solo la consulenza tecnica contabile contempla il previo tentativo obbligatorio di conciliazione: anche in tal caso, però, il deposito deve essere effettuato nei termini (art. 200 c.p.c.).

Per quanto riguarda le consulenze di diverso tipo, il giudice può sempre prevederlo nel quesito –

12 Sul punto, diffusamente, MONTANARI, Tutela del contraddittorio in sede di consulenza tecnica e comunicazione d’inizio attività del perito, in questa Rivista., 2011, 679 e ss.. Secondo la giurisprudenza, non è lesiva del principio del contraddittorio, e dunque è ammessa, la possibilità per il consulente di avvalersi dell'opera di esperti specialisti, al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari sussidi tecnici, tutti gli elementi di giudizio, senza che sia necessaria una preventiva autorizzazione del giudice, né una nomina formale, purché egli assuma la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni raggiunte dal collaboratore e fatta salva una valutazione in ordine alla necessità del ricorso a tale esperto "esterno" svolta successivamente dal giudice (Cass. 15 luglio 2009, n.

16471).

13 Cfr. in generale, sulle questioni relative al deposito, M. FABIANI, in Le Nuove leggi civili comm., 2010, 872 ss.

14L’unico modo per ovviare all’inerzia del consulente nell'adempimento dell'incarico è quello di attivare, da parte del giudice, i poteri di accelerazione, rimozione e sostituzione (Cass. 20 settembre 2000, n. 12437, in Giur. it., 2001, 1853). Non pare abbia una qualche concreta incidenza – a giudicare dall’applicazione che ne è stata fatta negli uffici giudiziari - la modifica dell’art. 52 (L) del d.P.R. 115/2002, da parte della novella del 2009, che eleva ad un terzo la misura della riduzione degli onorari del consulente, qualora l’incarico non sia portato a termine entro la data originariamente stabilita o prorogata.

15 Secondo POTETTI, Novità e vecchie questioni, cit,, 24, una volta scaduto il termine, senza proroga, subentrerebbe il regime tipico dei termini perentori, con l’impossibilità per il giudice di allungarlo.

16Come nota POTETTI, op. loc. ult. cit., è una modifica tutto sommato marginale, nel contesto dell’intenzione di comprimere i tempi processuali.

17 Cfr. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in questa Rivista, 2009, 780; MONTANARI, Tutela del contraddittorio in sede di consulenza tecnica, cit., 698. Secondo COMOGLIO, La consulenza tecnica, cit,, 873, la previsione dei termini anche per le osservazioni non soddisfa solo un’esigenza di tipo acceleratorio, ma dimostra una specifica sensibilità nei confronti delle esigenze di tempestiva ed efficace difesa delle parti.

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come si può argomentare dall’art. 185 c.p.c. – ed allora il c.t.u. vi provvederà, verosimilmente in esito ai suoi accertamenti. A sua volta, il consulente è evidentemente libero di elaborare da sé ipotesi transattive e di discuterne con le parti: questo però non può andare a scapito dei termini fissati dal giudice, che neppure in tal caso possono essere prorogati.

La Corte Europea di Strasburgo è in proposito tassativa ed anche l’interpretazione che la Suprema Corte di Cassazione ha dato della legge Pinto, come si diceva poc’anzi, non consente alcuna deroga rispetto ai rigidi tempi processuali scanditi dalla CEDU. Infatti, l'arco temporale assorbito da una consulenza tecnica, che il giudice abbia ritenuto doveroso od opportuno disporre, non può essere puramente e semplicemente sommato, quale ne sia l'entità, alla durata normalmente ragionevole del processo stesso, restando al più rilevante sotto il diverso profilo di un'eventuale dilatazione di detta durata normale per effetto di un argomentato apprezzamento circa la complessità del caso18.

E’ sempre possibile la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del c.t.u.

(art. 196 c.p.c.): la valutazione delle ragioni che giustificano un provvedimento di tal genere è rimessa esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente e logicamente motivata19. Il consulente può essere chiamato anche in camera di consiglio, in presenza delle parti, a fornire i chiarimenti che il giudice ed i difensori gli richiedano (artt. 62 e 197 c.p.c.): si tratta di una disposizione trascurata, nella pratica giudiziaria, ma molto utile quando si voglia favorire l’approfondimento del thema probandum20, evitando contemporaneamente la rimessione della causa in istruttoria e dunque l’immancabile prolungamento dei tempi del giudizio.

Una volta depositato l’elaborato peritale, le conclusioni ivi espresse non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, possono essere legittimamente disattese soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo egli indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si era a sua volta basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. 21

4. La scelta del c.t.u. deve essere normalmente fatta fra le persone iscritte negli albi speciali (art. 61 c.p.c.), istituiti presso ciascun tribunale: questa disposizione ha però propriamente natura e finalità direttive, tanto che la nomina di tale ausiliario è riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice e non è sindacabile in sede di legittimità22.

18 Cass. 9 gennaio 2004, n. 119; Cass. 8 giugno 2007, n. 13428. È opportuno ribadire che l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio – essendo quest’ultima un normale mezzo istruttorio che non riveste alcun carattere di straordinarietà - può costituire elemento per ritenere la complessità della causa solo quando richieda attività di particolare difficoltà e tali da dover essere svolte in un rilevante lasso di tempo(Cass. 11 agosto 2009, n. 18222).

19 Cass. 17 febbraio 2004, n. 3105, in Giust. civ. 2004, I, 1732.

20 Cfr. DITTRICH, La ricerca della verità nel processo civile, cit,, 119.

21 Giurisprudenza pacifica. Da ultime, cfr. Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063.

22 Così Cass. 30 marzo 2010, n. 7622, nel filone di una giurisprudenza ormai consolidata. In questa materia, la discrezionalità è tale che, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza del consulente e la competenza del medesimo a svolgere le indagini richieste, la scelta resta riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ad esempio si è stabilito che la decisione di affidare l'incarico ad un professionista (nella specie, geometra) iscritto ad un altro diverso da quello competente per la materia al quale si riferisce la consulenza (nella specie, ingegneri), ovvero non iscritto in alcun albo professionale, non è censurabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione (Cass. 12 marzo 2010, n. 6050). In dottrina, MORLINI, La

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A loro volta, possono ottenere l’iscrizione in tali albi “coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia” e che “sono iscritti nelle rispettive associazioni professionali” (art. 15 disp. att.). Si tratta di requisiti ormai tralatizi, generici e che non garantiscono la professionalità del consulente, laddove proprio l’oggettiva competenza degli iscritti dovrebbe fare da contrappeso all’enorme discrezionalità del giudice23. E, invece, le conoscenze tecnico-giuridiche vengono presunte iuris et de iure in chi sia laureato o diplomato, sicché, nella pratica, accade che, superato l’esame di Stato, il neolaureato o neodiplomato – all’atto dell’iscrizione al relativo ordine o collegio professionale – si senta suggerire l’iscrizione anche all’albo dei consulenti del tribunale.

Di fronte a questa situazione, soprattutto in un momento connotato da difficoltà occupazionali e carenza di lavoro, una selezione dovrebbe essere fatta ed occorrerebbe almeno pretendere una formazione giuridica appropriata da parte del consulente, se non altro con riguardo alle nozioni procedurali contenute nel codice di rito.

La scelta è dunque attualmente lasciata alla totale facoltà del giudice, che la esercita normalmente sulla base di un rapporto fiduciario, attingendo alle proprie conoscenze personali o a quelle dei colleghi.

In realtà, il sistema della distribuzione degli incarichi, regolato dall’art. 22 disp. att. c.p.c., impegna i giudici a una designazione normalmente limitata agli iscritti del proprio circondario:

spetta al presidente vigilare affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo (art. 23 disp. att.). Tuttavia, il diffondersi di prassi differenti ha indotto la legge di riforma del 2009 a disporre, in proposito, che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al dieci per cento di quelli affidati dall’ufficio, con la conseguenza che compete, sempre al presidente del tribunale, garantire che sia assicurata “l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici”.

E’ stato così ribadito il tendenziale obiettivo della rotazione, che deve però conciliarsi con l’assenza di danno per la giustizia, il che consente di giustificare, anche su un piano tecnico- giuridico, la prevalenza in concreto del criterio fiduciario: il giudice può sempre sostenere che solo un consulente conosciuto e di cui sia stata già accertata la competenza è in grado di assicurare professionalità e rispetto dei tempi.

Molto si è detto intorno a quest’affermazione così generica (“senza danno per l’amministrazione della giustizia”) e foriera di polemiche, soprattutto da parte di coloro che si lamentano per non aver assunto incarichi – nonostante anni di iscrizione all’albo - che sarebbero invece prerogativa di una ristretta cerchia di professionisti. Gli incarichi giudiziari infatti, è inutile negarlo, costituiscono un’ottima opportunità di lavoro e, in certi casi, di guadagno. Chi li porta a termine, oltre al compenso, ha la prospettiva di essere nominato di nuovo da quel giudice (che ne ha apprezzato la competenza) e di ottenere la fama di buon tecnico fra gli avvocati e le parti. Per

consulenza tecnica, cit,, 4, nonché COMOGLIO, La consulenza tecnica, cit,, 861, con ampi richiami giurisprudenziali.

23 Giustamente, TEDOLDI, La consulenza tecnica preventiva, cit., 806, richiama l’attenzione sul fatto che il consulente viene “scelto casualmente ed a rotazione da albi od elenchi mai aggiornati e che non contemplano alcuna verifica preventiva né periodica sull’adeguata preparazione del consulente”. Cfr. anche ANSANELLI, Riforme in tema di conoscenze esperte nel processo civile – Brevi rilievi critici, in questa Rivista, 2009, 924 ss. e CUOMO ULLOA, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Dig., disc. priv., sez. civ., Agg., I, Torino, 2007, 280, che rimarcano l’inadeguatezza dell’attuale sistema degli albi e la necessità di una riforma della disciplina della consulenza tecnica.

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queste ragioni, più che per il limitato compenso stabilito dalla tariffa giudiziaria24, tanti professionisti aspirano a diventare consulenti tecnici del giudice. Ma una consulenza (ben fatta) serve anche al giudice, perché, come detto in precedenza, può costituire fonte oggettiva di prova – qualora l’accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede – e gli consente di decidere la causa senza ulteriore attività istruttoria, semplicemente richiamandosi alle conclusioni del c.t.u. 25, purché ovviamente quest’ultimo nella relazione abbia tenuto conto dei rilievi dei consulenti di parte, replicandovi congruamente26. In tal modo, l'obbligo della motivazione si esaurisce con l'indicazione delle fonti del convincimento (ossia con l’adesione agli argomenti della consulenza) e non è dunque necessario che il giudice si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte le quali, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte.

In questo modo si spiega l’esigenza del giudice, anche in nome dell’autonomia riconosciutagli dai principi costituzionali – autonomia che, però, si pone in potenziale conflitto con il principio della rotazione, poc’anzi ricordato – di nominare un professionista di sua fiducia:

l’errore di una scelta al buio finisce infatti per ricadere su chi deve istruire la causa o su chi deve riconsiderare il quadro probatorio, nei successivi gradi di giudizio. Si potrebbe però replicare che, a tale stregua, finiscono per essere salvaguardate le rendite di posizione: coloro i quali non siano già conosciuti non potranno mai dimostrare quanto valgono. A questa obiezione è possibile controreplicare efficacemente che il giudice non può fare da chioccia ai consulenti e non può rischiare di trovarsi di fronte ad un c.t.u. incapace, non solo perché il tempo è prezioso, ma anche perché egli risponde in prima persona del proprio operato27.

Insomma, la regola aurea nei rapporti fra il giudice ed il c.t.u. è che il consulente deve risolvere i problemi del giudice, non creargliene di ulteriori.

E invece, nell’esperienza giudiziaria, non è raro imbattersi in professionisti che, anziché semplificare il lavoro del giudice, lo complicano.

In questa sede non si vuole discutere il merito di ciò che il consulente dichiara di fare in scienza e coscienza, perché il giudice non è normalmente in grado di cogliere l’intrinseca competenza dell’elaborato, benché le aule giudiziarie conoscano anche consulenze manifestamente

24 La normativa di riferimento, per i c.t.u., è il d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, i cui artt. 49 ss.

richiamano altresì le tabelle di cui alla legge 23 agosto 1988, n. 400. Per gli opportuni approfondimenti, cfr. M. VELLANI, Il testo unico in materia di spese di giustizia e la liquidazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, in Riv. trim., 2004, 649; SCOTTI, Il compenso al consulente tecnico d’ufficio, in Giur. merito, 2005, 11, 4, 2545. Ovviamente, i c.t.p. devono invece essere retribuiti dalle parti secondo le loro tariffe professionali..

25 In dottrina, cfr COMOGLIO, La consulenza tecnica, cit., 855; DI CAPUA, La prova nei giudizi di responsabilità, in particolare la CTU e la prova scientifica, Relazione all’incontro del CSM Le prove civili: l’onere della prova e la valutazione da parte del giudice, Roma, 15 – 17 febbraio 2010;

MORLINI, La consulenza tecnica, cit,; DE TILLA, Il consulente tecnico nell’elaborazione giurisprudenziale, in Giust. civ., 1993, II, 61. Giova altresì segnalare la posizione fortemente critica di ANSANELLI, Problemi di corretta utilizzazione della “prova scientifica”, in Riv. trim., 2002, 1337.

26 Cfr. Cass. 9 gennaio 2009, n. 282. Solo ove ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, allorquando questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e discutere i rilievi di parte.

27 Correttamente MANDRIOLI, Diritto processuale civile, cit,, II, 205, ricorda come sia comunque responsabile sempre e soltanto il giudice, rispetto alle conclusioni del consulente che egli intenda avallare.

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abnormi. Interessa, piuttosto, fissare taluni atteggiamenti. Il consulente tecnico che non risponde ad una parte del quesito e che poi ignora i giusti rilievi dei c.t.p., il consulente tecnico petulante – quello che non conosce la procedura (la quale impone l’informativa al giudice solo per questioni riguardanti i poteri del consulente o i limiti dell’incarico) e pretende di assillare continuamente il magistrato che l’ha nominato, chiedendo conforto per ogni passaggio in cui si articola la fase precedente la stesura della relazione – il consulente tecnico che si dedica alle operazioni peritali nei ritagli di tempo (quasi che l’incarico affidatogli dal giudice non avesse la stessa dignità delle altre prestazioni professionali) e deposita la relazione in ritardo e dopo numerosi solleciti, il consulente tecnico che sbaglia la nota spese (applicando la tariffa professionale anziché quella giudiziaria, prevista dalla legge) e costringe il giudice a rifarla da capo, sono tutte figure che non possono realisticamente aspirare a collaborare con l’amministrazione della giustizia. E così, il rapporto fiduciario finisce, alla lunga, per prevalere sull’alternanza delle nomine, anche in coloro che siano animati dalle migliori intenzioni in tema di trasparenza.

Già prima della riforma, del resto, senza mai pervenirsi alla nullità della consulenza28, la violazione dell’alternanza fra gli iscritti agli albi avrebbe potuto, al più, determinare conseguenze disciplinari per il giudice. Tuttavia, anche con riguardo a tale profilo, la lettura dei provvedimenti in proposito emessi dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura mostra come la scelta discrezionale possa essere sindacata solo quando dia luogo a gravi e rilevanti distorsioni, ossia quando la sistematica violazione della rotazione fra gli iscritti sia sintomatica dell'indebito privilegio riservato solo ad alcuni dei potenziali nominati e tale nomina non trovi giustificazioni di natura tecnica nella specificità o particolarità dell’incarico29. Viene, in proposito, richiamato il contenuto del d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, che ha tipizzato gli illeciti disciplinari dei magistrati:

in genere, le violazioni contestate si riferiscono all’art. 2, 1° comma, lett. a) e d), e fanno leva sull’obbligo per il giudice, in ogni manifestazione della sua attività, di prevenire qualunque sospetto di favoritismo, che possa pregiudicare anche solo l’apparenza di una corretta ed imparziale amministrazione della giustizia. Tuttavia, la ripetitività degli incarichi in capo ad un medesimo professionista non è, di per sé sola, sufficiente a sostenere un’incolpazione, se non sia data la prova che la scelta è dovuta a motivi non istituzionali. Il che si traduce in una probatio diabolica. Di fatto, pertanto, l’irrogazione delle sanzioni è stata sempre legata alla presenza di elementi ulteriori, quali l’assenza di motivazioni o motivazioni di mero stile, il numero esorbitante di consulenze senza interlocuzione col presidente del tribunale, la liquidazione di spese e compensi non contemplati nelle tariffe giudiziarie30.

Si tratta, dunque, di casi rari ed eclatanti, mentre, nella gran parte delle ipotesi, la funzione rivestita in concreto dal giudice non comporta una particolare esigenza di ripetere con frequenza

28 Sul punto, CATALDI, La nomina del C.T.U., cit,, 2804. La nullità della consulenza tecnica viene sempre ricondotta ad una violazione, in concreto, dei diritti della difesa, per non essere state poste le parti in grado di intervenire alle operazioni o perché si è verificato un effettivo pregiudizio. Tale nullità, in ogni caso, ha carattere assolutamente relativo e, pertanto, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito della consulenza. Sul problema della nullità della c.t.u. in generale, anche Cass. Sez. I 7 luglio 2008 n°18598; Cass. Sez. II 8 giugno 2007 n°13428. In dottrina, Potetti, Novità e vecchie questioni, cit, 35.

29 Cfr. Cons. sup. mag., sez. disc., 5 luglio 2010 n. 109, che richiama l’obbligo non solo del presidente del tribunale ma anche dei singoli giudici al rispetto dell’equa ripartizione degli incarichi conferiti, nonché Cons. sup. mag., sez. disc., 9 febbraio 2010 n. 94 e 8 gennaio 2010 n. 14.

30 Cons. sup. mag., sez. disc., 21 aprile 2011 n. 79; 8 marzo 2011 n. 44; 15 marzo 2010 n. 43. Conf. Cass. s.u. 25 novembre 2008, n. 28046.

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l’espletamento di c.t.u. e dunque sfugge ad una qualche evidenza che palesi l’eventuale violazione in ordine alla nomina dei consulenti31.

A sua volta, ha tutto il sapore di una grida manzoniana la disposizione che consente al presidente del tribunale - il quale ha la vigilanza sui consulenti tecnici – d’ufficio o su istanza del procuratore della repubblica, di promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che non abbiano tenuto una condotta morale specchiata o non abbiano ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti (art. 19 disp. att.): i predetti interventi costituiscono un’ipotesi di scuola e certamente non sono tali da creare remore nei giudici o negli stessi professionisti.

D’altronde, la norma integrativa contenuta nella novella del 2009 è di non agevole comprensione e di ancor più dubbia realizzazione pratica. Da un lato – considerata l’impossibilità di un controllo preventivo – sembra ragionevole pensare che la vigilanza si debba attuare ex post, senza però mai pervenire al divieto di una nomina: in altri termini, il presidente potrà esclusivamente segnalare al singolo giudice il superamento del limite32. Dall’altro, non poche questioni restano insolute: si deve tener conto di tutte le consulenze distribuite all’interno dell’ufficio o di quelle conferite dal singolo giudice? Si devono considerare unitariamente tutti i professionisti officiati o procedere per singole qualificazioni professionali?

Un discorso a parte merita l’accenno alla trasparenza delle nomine, di cui all’ultima parte del 1° comma riformato dell’art. 23 disp. att. c.p.c. Il legislatore suggerisce (anche) l’ausilio di strumenti informatici: nulla di nuovo, considerato che, già prima della riforma, gli uffici giudiziari tecnologicamente più avanzati avevano una versione informatica del registro sul quale si devono annotare gli incarichi conferiti ed i compensi liquidati da ciascun giudice. Tutt’al più, adesso, potranno essere incrociati i dati al fine di non oltrepassare la soglia del dieci per cento, sempre che si chiarisca, una volta per tutte, in che modo operare il calcolo.

Si tratta, in definitiva, di una norma velleitaria, che intende porre giustamente in discussione le scelte del giudice, senza però offrire un’alternativa credibile e praticabile.

La constatazione dello stato attuale delle cose non significa che la situazione non debba essere modificata.

In realtà, infatti, il principio della rotazione risponde ad un’esigenza di “permeabilità” del mondo della giustizia, sicuramente avvertita da tutti, ma non si può imporre dall’alto un criterio astratto, come quello preteso dal legislatore. Il rapporto di fiducia fra magistrato e consulente può essere ragionevolmente sacrificato, quando una scelta, pur imposta secondo criteri oggettivi o automatici, sia comunque destinata a cadere su una persona certamente competente e preparata anche sulle nozioni procedurali che deve applicare.

Insomma, per uscire dalla logica di una scelta, stretta fra l’esigenza di un’equa distribuzione degli incarichi e la necessità di salvaguardare il rapporto fiduciario col giudice, è opportuno valorizzare adeguatamente il profilo della specializzazione. Anche se la legge (ancora) non lo richiede, dovrebbe spettare agli ordini professionali, magari di concerto con gli organismi della formazione dei magistrati e con i capi degli uffici giudiziari, oltre che con le università, plasmare una figura peculiare di consulente tecnico, promuovendo iniziative volte a far conoscere ai candidati sia le modalità di svolgimento di una causa, sia le norme che regolano l’attività dell’ausiliario e che dovrebbero evitare o almeno limitare le contestazioni (quanto meno formali) delle parti. Un professionista idoneo, evidentemente, a ricoprire tanto il ruolo di c.t.u. quanto quello, parallelo, di c.t.p.: è interesse di tutti i protagonisti del processo confrontarsi con un perito di parte consapevole della sua funzione, in grado di impostare una dialettica tecnica congrua e di muovere rilievi

31 La Suprema Corte nota come le nomine dei consulenti costituiscano determinazioni che, riservando al giudice un inevitabile margine di discrezionalità e rivestendo un notevole rilievo economico, devono rispettare regole certe, atte a dimostrare la assoluta estraneità delle scelte compiute a qualunque interesse che non sia quello di compiere nel miglior modo possibile l'accertamento tecnico necessario nel processo (Cass. s.u. 25 novembre 2008, n. 28046).

32 Cosi POTETTI, Novità e vecchie questioni, cit,, 31.

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appropriati, solo quando siano davvero pregnanti per la difesa del cliente e non creino inutili intralci alle operazioni in atto. Un impegno istituzionale di ordini e collegi, fra l’altro, eviterebbe che l’iniziativa possa essere lasciata a privati, potenzialmente in grado di speculare sulla giusta aspirazione ad avere incarichi da parte di professionisti spesso alle prime armi.

5. L’occasione persa dal legislatore – cui si accennava al principio - è ancor più evidente, se si considera quanto il recente passato avesse fornito spunti di modifica di questa situazione, rimasti però a livello embrionale, almeno rispetto allo sviluppo qui auspicato. Il d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha ampliato la norma sull’accertamento tecnico preventivo (art. 696 c.p.c.), aggiungendo altresì al codice l’art. 696 bis (“Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”), può essere infatti letto anche come una nuova consapevolezza legislativa circa il rilievo raggiunto dalla c.t.u. nella decisione delle cause33.

In tal modo, per un verso, l’accertamento tecnico preventivo ha cessato di essere soltanto un modo per “fotografare” lo stato dei luoghi, prima che essi potessero essere irreversibilmente modificati, al momento dell’instaurazione del giudizio34. Il secondo comma, aggiunto all’art. 696 c.p.c, autorizza infatti l’estensione del quesito anche ad un’indagine volta a valutazioni “in ordine alle cause ed ai danni relativi all’oggetto della verifica”. Il presupposto per l’applicabilità della norma resta però sempre quello dell’urgenza, tipico di tutti i procedimenti di istruzione preventiva.

Per altro verso, il legislatore ha immaginato anche l’ipotesi in cui manchi la necessità di un pronto accertamento e l’indagine tecnica sia piuttosto finalizzata a prevenire una lite. Così, l’art.

696 bis c.p.c. rende possibile chiedere una consulenza tecnica “ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito” 35. In questa ipotesi, coerentemente con la ratio della norma, è previsto che il consulente, ove possibile, tenti la conciliazione: se non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito36. Anche al suddetto mezzo si applicano le norme procedurali stabilite dagli artt. 191 ss., in quanto compatibili. Sicuramente, fra di esse vi è anche l’obbligo di tener conto delle osservazioni e delle istanze delle parti e quindi il dovere per il giudice di fissare, nel quesito, i termini di cui all’art.

195, 3° comma, c.p.c. ed il dovere, per il consulente, di rispettarli.

Si possono però prospettare due questioni.

La consulenza così effettuata può essere allegata nella fase di conciliazione obbligatoria precedente il giudizio? Inoltre, se una parte è stata pretermessa all’atto del conferimento

33 In proposito, cfr. BONATTI, Un modello dottor Jekyll: la consulenza tecnica conciliativa” in Riv. trim., 2007, 247, che arriva a paventare rischi di confusione tra poteri del giudice e poteri del consulente, e ANSANELLI, Esperti e risoluzione anticipata delle controversie civili nei nuovi artt.

696 e 696 bis c.p.c., ivi, 2006, 1245.

34 E’ chiaro, in ogni caso, che, in virtù del principio del libero convincimento, al giudice è riconosciuta la facoltà di apprezzare in piena autonomia tutti gli elementi presi in esame dal consulente tecnico e le considerazioni da lui espresse che ritenga utili ai fini della decisione.

Pertanto, anche a fronte di un consulente che, in tesi, avesse ecceduto i limiti del mandato conferito, nell’ambito di una consulenza tecnica espletata in sede di accertamento preventivo, sarebbe stato possibile trarre materia di convincimento, una volta che la relazione fosse stata ritualmente acquisita agli atti (Cass. 9 marzo 2010, n. 5658; Cass. 9 novembre 2009, n. 23693).

35 TEDOLDI, La consulenza tecnica preventiva, cit,, 807, parla icasticamente di consulenza tecnica “anfibia”, per evidenziarne la duplice funzione probatoria e conciliativa.

36 TASSONE, Note minime in tema di nuovo accertamento tecnico preventivo e di consulenza preventiva ex art. 669 bis c.p.c., in Giur. merito, 2008, 1, 2, 139.

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dell’incarico (e dunque non ha potuto partecipare al relativo giudizio), che rilievo ha tale consulenza nei suoi confronti?

Al primo quesito pare più logico dare una risposta positiva, per un duplice ordine di ragioni.

Da un lato, la consulenza può giustificare la posizione della parte davanti al mediatore. Dall’altro, lo stesso mediatore può trarre dall’elaborato spunti per la formulazione della sua proposta, magari senza doverla, a sua volta, disporre37. Inoltre, il divieto di utilizzabilità nell’eventuale procedimento giudiziale che – ai sensi dell’art. 10, 1° comma, d.lgs 28/2010 - colpisce le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite, non può ovviamente riguardare la consulenza tecnica, di cui all’art. 696 bis c.p.c., che è un elemento estrinseco e precedente rispetto alla fase della mediazione.

Il secondo quesito pone, invece, maggiori problemi. L’evoluzione della giurisprudenza in tema di utilizzo delle consulenze tecniche espletate in altri giudizi (anche penali) farebbe ritenere la possibilità di trarre elementi di prova anche nei confronti della parte, che non abbia conosciuto della procedura preventiva38. Se, peraltro, consideriamo quale rilevanza abbia assunto il principio del rispetto del contraddittorio, a seguito dell’introduzione del 2° comma dell’art. 101 c.p.c., dobbiamo pensare che ad analogo regime probatorio debbano corrispondere analoghi diritti della difesa. In altri termini, se la consulenza tecnica preventiva acquisita agli atti ha, in definitiva, lo stesso valore della consulenza tecnica svolta in corso di causa, non è ragionevole che la parte, in tesi privata della partecipazione alla fase sommaria, debba soggiacere ad un formidabile “mezzo di valutazione della prova”, senza poter nominare il proprio consulente di parte. Sembra, quindi, preferibile reputare che, in un’eventualità di tal genere, la consulenza debba essere rifatta o integrata, magari a mezzo dello stesso consulente officiato in precedenza.

6. Le norme che regolano la formazione degli albi e la nomina del consulente tecnico d’ufficio, nonostante le timide e contraddittorie integrazioni della novella del 2009, mostrano tutta la loro inadeguatezza. Nella situazione attuale, è presumibile che la scelta personale del giudice continui a prevalere sui limiti posti dal legislatore.

Tuttavia, il superamento della fase “iscrizione indiscriminata – scelta discrezionale” ed il passaggio all’altra “selezione – rotazione” risponde, oltre che alla lettera della legge, anche ad elementari esigenze di trasparenza. E, a determinate condizioni, può divenire una strada obbligata per dimostrare la terzietà di chi è chiamato a scegliere. Una volta che il consulente abbia acquisito anche un’oggettiva competenza sulla procedura, non avranno più ragion d’essere le resistenze del giudice (anche di carattere psicologico) ad attuare un pieno, od almeno maggiore, avvicendamento negli incarichi, trincerandosi dietro l’altrui carenza delle conoscenze tecnico-giuridiche39.

Così, se davvero si vuole realizzare compiutamente il principio dell’alternanza senza creare un danno per la giustizia, un primo passo può essere quello di insistere sulla specializzazione. In questo senso, un ruolo fondamentale compete alle istituzioni ed, in particolare, agli ordini e collegi

37 Sul punto cfr. MANIORI, L’accertamento tecnico nella mediazione e… dintorni (perizia contrattuale e consulenza tecnica preventiva in funzione conciliativa, in Assicurazioni 2011, 1, 1, 53 e ss., nonché SCALAMOGNA, Alcune questioni controverse in tema di consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa, in Riv. trim., 2010, 957 ss.

38 Ad esempio Cass. 2 luglio 2010, n. 15714 ha ritenuto la legittimità dell’acquisizione di una consulenza svolta in un processo celebrato tra altre parti, atteso che “se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa”.

39 Considerata la situazione odierna del nostro sistema, pare perfino utopistico immaginare, in Italia, quello che prevede il codice processuale spagnolo – ley de enjuiciamiento civil - riformato nell’anno 2000 (artt. 335 e ss. “Del dictamen de peritos”), secondo cui sono le parti a introdurre la loro perizia con valore di prova e, solo su specifica richiesta (a parte la materia familiare e quella di stato personale), il giudice può nominare il perito: in tal caso, le parti possono accordarsi sul nome, oppure il giudice sceglie la categoria e dispone che il segretario giudiziario proceda alla designazione del primo (estratto a sorte) e poi dei successivi – in rigoroso ordine alfabetico – tra gli iscritti negli elenchi, a cui si accede dopo un esame sui fondamenti della procedura.

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professionali, i quali dovrebbero farsi carico di formare – fra gli iscritti che desiderano proporsi per l’incarico di consulente nei processi – la peculiare figura del consulente tecnico “giudiziario”, offrendo strumenti ed opportunità volti a sensibilizzare gli aspiranti sulla natura dell’attività, sui doveri del c.t.u. e del c.t.p., sulla procedura da seguire, sui tempi da rispettare, sul modo col quale compilare correttamente la parcella.

Nella lotta senza quartiere intrapresa dal sistema-giustizia italiano non solo per abbattere l’arretrato e rendere i tempi processuali compatibili con quelli di un paese civile, ma anche per migliorare se stesso, a tutti è richiesto un impegno adeguato, magari partendo dalle piccole cose. La scelta appropriata di un consulente tecnico – oggettiva e quindi non clientelare, ma, al contempo ragionata, e quindi rivolta ad un professionista competente – costituisce anch’essa un contributo utile per scrivere una pagina nuova nell‘attuazione del giusto processo garantito dalla Carta costituzionale.

Riferimenti

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