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Il regolamento n. 2201 del 2003relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioniin materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale - Judicium

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www.judicium.it MICHELE ANGELO LUPOI

Il regolamento n. 2201 del 2003

relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Ambito di applicazione. - 3. Struttura del regolamento e suoi rapporti con altri strumenti normativi europei. - 4. Le norme sulla competenza giurisdizionale. - 5.

(Segue) La giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale. - 6. (Segue) La competenza in caso di trasferimento illecito di minori all’estero. - 7. Le norme comuni in materia di competenza giurisdizionale. - 8. (Segue) Litispendenza e connessione tra cause. - 9. (Segue) I provvedimenti provvisori ed urgenti. - 10. Il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni. - 11. (Segue) I motivi di diniego del riconoscimento e dell’esecuzione. - 12. Regole procedimentali. - 13. - L’esecuzione immediata di alcune decisioni in materia di responsabilità genitoriale. - 14. L’esecuzione forzata della decisione straniera. - 15. La cooperazione giudiziaria nell’ambito di applicazione del regolamento n. 2201. - 16. Rapporti tra regolamento ed altri strumenti normativi internazionali.

1. - A lungo, nello spazio di giustizia europeo, è mancata una normativa uniforme nel campo del diritto processuale della famiglia. Com’è noto, infatti, la materia dello stato delle persone era stata lasciata fuori dall’ambito di applicazione della convenzione di Bruxelles del 1968, sulla giurisdizione e la circolazione delle decisioni tra gli Stati membri in materia civile e commerciale (oggi, “convertita” nel reg. 44 del 2001). Per il primo intervento in questo ambito si dovette, dunque, aspettare la convenzione di Bruxelles del 28 maggio 1998 (c.d. convenzione di Bruxelles II), in materia di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, peraltro mai entrata in vigore per mancanza di ratifiche.

Lo scenario cambiò a seguito del Trattato di Amsterdam, che permise di inserire, tra gli obiettivi del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, anche interventi in materia di diritto di famiglia, per ridurre gli ostacoli alla libera circolazione delle decisioni, ad esempio in materia di diritto di visita alla prole. Contestualmente, i frutti della convenzione di Bruxelles II vennero recuperati dal legislatore comunitario con il regolamento n. 1347 del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi. Tale regolamento (soprannominato Bruxelles II) era peraltro il frutto di un delicato compromesso politico, che ne aveva limitato l’ambito applicativo (in sostanza, esso riguardava i solo procedimenti sul vincolo coniugale e quelli

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www.judicium.it relativi alla potestà dei genitori sui figli comuni, instaurati in occasione dei primi, con una lunga

serie di questioni escluse).

Esso entrò in vigore il primo marzo 2001 ma ebbe vita breve. Già nel luglio 2000, sulla scia di proposte della Francia e della Commissione, il Consiglio europeo di Laeken del 14-15 dicembre 2001, dando atto dei progressi registrati nel campo dell’armonizzazione del diritto di famiglia, gettava le basi per un superamento di tale primo regolamento. Il 27 novembre 2003 si giunse così all’approvazione del regolamento n. 2201 (c.d. Bruxelles II bis), che si sostituiva, abrogandolo, al regolamento n. 1347, introducendo nuove regole comuni in materia di competenza, riconoscimento e esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale.

Tale nuovo strumento normativo è entrato in vigore il primo agosto 2004 (anche se, in sostanza, ha iniziato ad essere utilizzato solo dal primo marzo 2005) e, come regola generale, si applica alle azioni proposte, agli atti pubblici formati e agli accordi tra le parti conclusi alla data di sua entrata in vigore.

Anche le decisioni pronunciate dopo l'entrata in applicazione del regolamento in azioni proposte prima di tale termine ma dopo l'entrata in vigore del regolamento n. 1347, peraltro, sono riconosciute ed eseguite in base alle disposizioni di Bruxelles II bis se il giudice a quo ha esercitato la propria competenza in base a regole conformi a quelle ivi contenute, ovvero nel regolamento n.

1347, o, ancora, in una convenzione in vigore tra lo Stato membro d'origine e lo Stato membro richiesto al momento della proposizione dell'azione (art. 64). Al medesimo regime sono sottoposte anche le decisioni pronunciate prima dell'entrata in applicazione del nuovo regolamento in azioni proposte dopo l'entrata in vigore di Bruxelles II, purché si tratti di decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimoniali, nonché i provvedimenti pronunciati prima dell'entrata in applicazione del nuovo regolamento ma dopo l'entrata in vigore del regolamento n. 1347 in azioni proposte prima dell'entrata in vigore di quest’ultimo, purché siano decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, ovvero relative alla responsabilità dei genitori sui figli avuti in comune, emesse in occasione di quei procedimenti matrimoniali. La giurisprudenza europea ha chiarito che tutte le tre condizioni cumulative di volta in volta previste dall’art. 64 devono risultare soddisfatte (1). In particolare, si è affermato che, per compiere le verifiche previste dalla norma in esame, il giudice dello Stato membro ad quem ha il compito di verificare se il giudice a quo potesse ritenersi

1) Corte giust., 27 novembre 2007, c. 435\06, C.

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www.judicium.it competente in base ad una norma del regolamento n. 2201, a prescindere dalle regole sulla

competenza concretamente applicate (2).

2. - Sul piano territoriale, il regolamento n. 2201 si applica negli Stati membri dell’Unione, ad eccezione della Danimarca, come espressamente previsto dall’art. 2, n. 3.

A livello oggettivo, l’ambito di applicazione del regolamento ricalca quello del regolamento che lo ha preceduto. Esso, infatti, riguarda i procedimenti e le decisioni in materia matrimoniale e quelli che riguardano la responsabilità genitoriale.

Sotto il primo profilo, si occupa a sua volta esclusivamente dei procedimenti di divorzio, separazione ed annullamento in senso stretto, con riferimento, cioè, alle sole pronunce sul vincolo coniugale. Come chiarisce il considerando n. 8, infatti, in questo ambito il regolamento “dovrebbe”

applicarsi solo allo scioglimento del vincolo matrimoniale, senza estendersi a questioni quali quelle relative alle cause del divorzio, agli effetti del matrimonio sui rapporti patrimoniali o ad “altri provvedimenti accessori ed eventuali”. Comparando, quindi, l’ambito applicativo dei regolamenti Bruxelles I e II bis, si constata che ampia parte del contenzioso matrimoniale, allo stato, non sia

“coperta” da normative comuni europee, come nel caso delle questioni sulla responsabilità per la crisi matrimoniale e sulle conseguenze economiche della stessa, in particolare per quanto attiene i regimi patrimoniali tra i coniugi. Il regolamento n. 2201, inoltre, non riguarda i procedimenti volti a modificare le condizioni di una separazione o di un divorzio, che restano integralmente soggetti alla lex fori. Le controversie sugli obblighi di mantenimento del coniuge o dei figli sono coperte, invece, dal regolamento n. 44 del 2001 (in particolare, v. art. 5, n. 2) e, dopo la sua entrata in vigore, dal nuovo regolamento n. 4 del 2009.

Bruxelles II bis è invece particolarmente innovativo per quanto attiene alle “controversie sui minori”. Il regolamento n. 1347, infatti, si occupava solo dei procedimenti relativi alla potestà dei genitori instaurati in occasione di procedimenti in materia matrimoniale. Da subito, peraltro (v.

paragrafo I), si ritenne necessario ampliare tale limitato angolo prospettico, per garantire parità di condizioni a tutti i minori e per dettare una disciplina generale della materia, a prescindere da qualsiasi nesso tra questione relativa alla potestà genitoriale ed un procedimento matrimoniale (v.

considerando n. 5).

In base all’attuale formulazione dell’art. 1, n. 1, lett. b), infatti, il regolamento qui in esame si applica all'attribuzione, all'esercizio, alla delega ed alla revoca totale o parziale della responsabilità

2) Corte giust., 16 luglio 2009, c. 168/08, Hadadi c. Mesko in Hadadi.

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www.judicium.it genitoriale. In sostanza, sono ricompresi tutti i procedimenti relativi, in senso lato, alla

responsabilità sulla prole minorenne, a prescindere dalla pendenza di un giudizio sul vincolo matrimoniale e con riferimento ad ogni tipo di situazione, compresa, dunque, la filiazione c.d.

“naturale”.

Il concetto di “responsabilità genitoriale” in questo contesto va inteso con riferimento ai diritti e ai doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore (art. 2, n. 7). Per

“titolare della responsabilità genitoriale”, inoltre, si deve intendere qualsiasi persona che eserciti la responsabilità di genitore su un minore (art. 2, n. 8).

Rispetto a Bruxelles II, inoltre, l’art. 1 del regolamento n. 2201 specifica, per quanto a titolo esemplificativo (3), che all’interno della responsabilità genitoriale rientrano, in particolare, i procedimenti relativi al diritto di affidamento e a quello di visita, alla tutela, alla curatela e ad altri istituti analoghi, alla designazione ed alle funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano, alla collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto, alle misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore.

Il regolamento detta anche una nozione autonoma di “diritto di affidamento” (da intendersi in relazione ai diritti ed ai doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza: art. 2, n. 9) e di “diritto di visita” (da interpretare come il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo).

Il legislatore europeo, in effetti, si è sforzato di prevenire dubbi interpretativi, riempiendo di contenuti le principali nozioni autonome utilizzate dal regolamento. La prima esperienza applicativa, peraltro, sta evidenziando l’esistenza di ampie zone “grigie” in cui i giudici europei già più volte sono stati chiamati ad intervenire in via pregiudiziale. In particolare, la Corte di giustizia ha avuto occasione di chiarire che rientra nella nozione di responsabilità genitoriale la decisione di presa in carico di un minore, precisando che l’ambito di applicazione del regolamento copre tutte le decisioni in materia di responsabilità genitoriale, a prescindere dal fatto che a incidere su tale responsabilità sia una misura di protezione statale o una decisione assunta su iniziativa di uno o più titolari del diritto di affidamento (4).

3) Corte giust., c. C., cit.

4) Corte giust., c. C., cit.

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www.judicium.it Il comma 3 dell’art. 1, peraltro, elenca le materie escluse dalla nozione “europea” di responsabilità

genitoriale. Il regolamento n. 2201, in particolare, non si applica alla determinazione o all'impugnazione della filiazione, alla decisione relativa all'adozione, alle misure che la preparano o all'annullamento o alla revoca dell'adozione, ai nomi e ai cognomi del minore, all'emancipazione, alle obbligazioni alimentari, ai trust e alle successioni, ai provvedimenti derivanti da illeciti penali commessi da minori. Il considerando n. 10, inoltre, precisa che il regolamento non è inteso ad applicarsi a materie come quelle relative alla sicurezza sociale, alle misure pubbliche di carattere generale in materia di istruzione e di sanità o a decisioni sul diritto d'asilo e nel settore dell'immigrazione.

Il regolamento si applica indipendentemente dal tipo di autorità giurisdizionale adita: con la precisazione che il legislatore europeo non ha inteso riferirsi esclusivamente a procedimenti di tipo giudiziario. L’art. 2, n. 1, infatti, mette in evidenza che il concetto di autorità giurisdizionale si riferisce a tutte le autorità degli Stati membri competenti per le materie rientranti nel campo di applicazione del regolamento. In altre parole, le norme qui in esame si estendono anche ai procedimenti di natura amministrativa eventualmente previsti dalle leggi nazionali nelle materie che ci riguardano qui. La circostanza è ulteriormente chiarita dall’art. 2, n. 2, il quale specifica che, con il termine “giudice”, si designa anche il titolare di competenze equivalenti a quelle del giudice nelle materie rientranti nel campo di applicazione del regolamento.

Il regolamento, inoltre, si applica alle “materie civili”. Anche a questo riguardo, d’altro canto, si segnala la volontà di inglobare nell’ambito della normativa comune europea il più ampio novero di situazioni, di là dalle differenze normative e qualificatorie degli Stati membri. Per la Corte di giustizia, infatti, la nozione di “materie civili” va interpretata in modo autonomo, alla luce degli obiettivi del regolamento. In materia di responsabilità genitoriale, dunque, si è affermato che tale nozione può comprendere anche misure che, dal punto di vista del diritto di uno Stato membro, rientrano nel diritto pubblico (5).

I procedimenti cui si applica la normativa qui in esame presuppongono la presenza di un elemento di estraneità. Nessuna norma, peraltro, limita l’operatività del regolamento al contenzioso transfrontaliero. In particolare, la disciplina relativa al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni si applica a prescindere dalla natura “transnazionale” dei casi ivi decisi, purchè sussista l’interesse attuale di una parte a fare riconoscere o ad eseguire la decisione in un altro Stato membro.

5) Corte giust., c. C., cit.

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www.judicium.it L’ambito di applicazione del regolamento ratione personarum, infine, è tutt’altro che ovvio. In

particolare, a differenza da Bruxelles I, i criteri di collegamento qui previsti non si applicano solo ai convenuti fisicamente presenti in uno Stato membro. Piuttosto, l’ambito soggettivo di applicazione del regolamento nelle cause matrimoniali si desume dal combinato disposto degli artt. 6 e 7, come messo in evidenza dalla Corte di giustizia nel caso Sundelind (6). Ai sensi dell’art. 6, infatti, il coniuge che risieda abitualmente nel territorio di uno Stato membro o abbia la cittadinanza di uno Stato membro può essere convenuto in giudizio davanti alle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro soltanto in forza degli art. 3, 4 e 5. Per i convenuti “infra-comunitari”, in sostanza, la norma attribuisce carattere esclusivo ai criteri di collegamento previsti dal regolamento: con la precisazione che i criteri in questione sono invocabili a prescindere dalla nazionalità extra- comunitaria di coniugi abitualmente residenti in uno Stato membro (7).

Quanto precede, peraltro, non esclude che anche convenuti residenti in uno Stato terzo possano essere citati in giudizio in uno Stato membro in forza degli artt. 3, 4 e 5. E’ vero che l’art. 7 del regolamento prevede che, qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi di tali articoli, la competenza, in ciascuno Stato membro, vada determinata dalla lex fori (per l’Italia, le norme della legge n. 281 del 1995, in particolare, il suo art. 32). Per la Corte di giustizia, però, tale disposizione va interpretata nel senso che il ricorso alla legge nazionale è ammesso solo qualora nessuno dei criteri di collegamento stabiliti dagli artt. 3, 4 e 5 sia applicabile nel caso concreto, a prescindere dalla attuale residenza abituale del coniuge convenuto: nella fattispecie decisa, in particolare, la Corte ha affermato che un convenuto cubano, che aveva risieduto abitualmente in Francia con la moglie svedese, dovesse essere citato in giudizio appunto in Francia (ove la moglie continuava a vivere), e non in Svezia, in applicazione della legge svedese (8).

Per trarre una regola generale da tale pronuncia, si deve affermare che i criteri stabiliti dal regolamento vanno applicati anche nei confronti di convenuti privi di residenza abituale in uno Stato membro all’epoca della proposizione della domanda, qualora i coniugi abbiano avuto la loro ultima residenza abituale comune in uno Stato membro e uno di essi vi risieda ancora o qualora il coniuge attore sia residente abituale in uno Stato membro da almeno 6 o 12 mesi, a seconda della sua nazionalità (v. infra).

6) Corte giust., 29 novembre 2007, c. 68\07, Sundelind Lopez c. Lopez Lizazo.

7) Trib. Belluno, 6 marzo 2009, n. 106, in Fam. dir., 2010, p. 179; Trib. Belluno, 5 novembre 2010, n. 221, in Fam. min., 2011, fasc. 1, n. 45.

8) Corte giust., c. Sundelind Lopez c. Lopez Lizazo, cit.

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www.judicium.it A fortiori, il regolamento si applica qualora l’attore abbia la nazionalità di uno Stato terzo (9).

Più semplice la regola per le cause sulla responsabilità genitoriale, ove, come principio generale, il regolamento si applica qualora il minore sia residente abituale in uno Stato membro, a prescindere dalla sua nazionalità. Ove sia impossibile determinare la residenza abituale di un minore, peraltro, anche la sua mera presenza in uno Stato può fare scattare l’operatività delle norme comuni europee qui in esame.

3. - Il regolamento, seguendo il modello introdotto dalla convenzione di Bruxelles del 1968, opera su due livelli, l’uno complementare all’altro: una prima parte, infatti, è dedicata alla questione della giurisdizione ed una seconda alla circolazione delle decisioni. Anche qui, l’adozione di norme comuni sulla competenza giurisdizionale, improntate ai principi dello stretto collegamento, della certezza e della prevedibilità, è funzionale alla semplificazione dei controlli sul prodotto giurisdizionale straniero.

Innovando rispetto a Bruxelles II, inoltre, il regolamento qui in esame contiene un articolo espressamente dedicato alle “definizioni” di alcuni dei termini più frequentemente usati. In questo modo, il legislatore cerca di prevenire contrasti e dubbi interpretativi che potrebbero ostacolare l’uniforme applicazione del regolamento in tutti gli Stati membri.

Sul piano interpretativo, poi, un fondamentale punto di riferimento è rappresentato da Bruxelles I e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi con riferimento alla normativa comune europea sulla giurisdizione e la circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale. In particolare, come regola generale, quando il regolamento n. 2201 utilizza termini identici a quelli di Bruxelles I, deve essere loro attribuito il medesimo significato.

4. – Innovando rispetto a Bruxelles II, il regolamento qui in esame dedica alle norme sulla giurisdizione due sezioni diverse, una per le controversie matrimoniali (capo II, sez. 1) e l’altra per quelle sulla responsabilità genitoriale (capo II, sez. 2).

In entrambi i casi, la formulazione delle norme fa escludere che i criteri del regolamento possano essere utilizzati, oltre che per individuare lo Stato dotato di giurisdizione, anche per l’attribuzione in via diretta della competenza territoriale all’interno di quel medesimo Stato.

Nelle controversie matrimoniali, l’art. 3 propone un’articolata serie di criteri di collegamento tra loro alternativi, senza alcuna gerarchia reciproca. In effetti, il regolamento non mira ad escludere

9) Trib. Belluno, 23 dicembre 2009, in Giur. it., 2010, p. 1889.

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www.judicium.it competenze giurisdizionali multiple ma, anzi, prevede espressamente la coesistenza di più giudici

competenti di pari rango (10). La necessità di bilanciare gli interessi contrapposti delle parti e le considerazioni di ordine pubblico degli Stati membri, dunque, lasciano un certo margine al forum shopping, tollerato nella misura in cui, alla base di ogni criterio utilizzato, vi è uno stretto collegamento tra parti, giudice e controversia.

L’approccio alla giurisdizione, nel contesto in esame, è ben diverso da quello di Bruxelles I.

Laddove, infatti, nel regolamento n. 44, si ripudia il criterio della nazionalità e si riducono al minimo le ipotesi di forum actoris, qui il legislatore europeo non ha potuto ignorare la rilevanza della cittadinanza nei procedimenti relativi allo stato delle persone né la tendenza degli ordinamenti nazionali, nell’ambito del contenzioso matrimoniale, a permettere ai propri cittadini di agire nel foro domestico.

L’art. 3, dunque, rappresenta un compromesso tra un’impostazione più tradizionale ed una più attenta allo stretto collegamento territoriale tra giudice, parti e controversia, anche alla luce della notevole “mobilità” che caratterizza le crisi dei matrimoni transnazionali, spesso con finalità di forum shopping.

Alla lettera a), si attribuisce competenza al giudice dello Stato nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi, o l'ultima residenza abituale degli stessi se uno di loro vi risiede ancora, o la residenza abituale del convenuto, o, in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o la residenza abituale dell'attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o per sei mesi qualora sia un cittadino dello Stato membro di residenza.

Rispetto al criterio dell’ultima residenza abituale dei coniugi, se uno di loro vi risiede ancora al momento in cui viene proposta la domanda, il coniuge che continua a vivere in tale luogo può essere sia l’attore che il convenuto. L’eventuale forum actoris si giustifica alla luce della stretta connessione tra le corti locali e la vita matrimoniale delle parti. Tale criterio, d’altro canto, attribuisce al coniuge che sia rimasto nella casa coniugale un vantaggio giurisdizionale, rispetto a quello che si sia trasferito altrove, il quale, per un periodo di sei\dodici mesi, potrà agire esclusivamente nel foro dell’ultima residenza comune (e, dunque, nel foro del convenuto).

Quanto al foro della residenza abituale dell’attore, nell’ottica del compromesso cui si faceva riferimento in precedenza, il termine “dilatorio” di un anno impedisce al coniuge che abbia lasciato l’abitazione coniugale di agire immediatamente nello Stato in cui si sia trasferito. D’altro canto, il

10) Corte giust., c. Hadadi c. Mesko in Hadadi, cit.

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www.judicium.it termine dimezzato per la proposizione dell’azione nello Stato di cui l’attore abbia la nazionalità,

valorizza il legame tra gli ordinamenti ed i propri cittadini.

Tale forum actoris, d’altro canto, si applica a prescindere dalla nazionalità delle parti (11) e dal luogo in cui risiede abitualmente il coniuge convenuto: il Tribunale di prima istanza di Liegi, in una decisione del 24 novembre 2009, ad esempio, ha affermato la propria giurisdizione a pronunciare il divorzio tra due coniugi pakistani, a fronte della residenza del marito ricorrente in Belgio da oltre un anno, nonostante risultasse sconosciuta la residenza della moglie convenuta.

L’esercizio di questo criterio di collegamento, peraltro, può “costringere” i giudici nazionali ad individuare il foro territorialmente competente anche in mancanza di esplicite disposizioni nella lex fori. Nella fattispecie sopra menzionata, ad esempio, il Tribunale di Liegi ha ritenuto che, poiché la giurisdizione derivava dalla residenza in Belgio del ricorrente, tale criterio potesse essere adottato anche per determinare la competenza territoriale.

La giurisprudenza italiana ha chiarito (ove ve ne fosse stato bisogno) che il foro della residenza

“ultra annuale” del ricorrente può essere invocato anche qualora la domanda non sia proposta congiuntamente da entrambi i coniugi (12).

La nozione autonoma (13) di residenza abituale utilizzata dal regolamento implica un accertamento del giudice nazionale in merito al fatto che la parte abbia fissato, con carattere di stabilità, il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni in un certo luogo (14), sulla base delle peculiarità della fattispecie, senza vincoli da parte delle nozioni di residenza abituale utilizzate in altri settori del diritto europeo (15). In particolare, tale nozione fa riferimento non alla residenza anagrafica, ma al centro della condotta di vita e al fulcro dei legami sociali e affettivi del soggetto interessato e va intesa come il luogo in cui quest’ultimo ha fissato con carattere di stabilità il centro permanente o abituale dei propri interessi (16). Oltre alla presenza fisica di un soggetto in uno Stato

11) Ad esempio, Trib. Belluno, 5 novembre 2010, cit., applica il criterio di collegamento in esame in un’azione proposta dalla moglie Ucraina, residente da oltre un anno nella città veneta.

12) Cass., sez. un., 17 febbraio 2010, n. 3680, ord., , in Dir. fam., 2010, I, p. 1195.

13) V. Trib. Belluno, 5 novembre 2010, cit.

14) Così Trib. Belluno, 5 novembre 2010, cit., che localizza la residenza abituale dell’attrice nella città veneta, considerata “luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e lavorativa” della stessa.

15) Corte giust., 2 aprile 2009, c. 523\07, A.

16) Cass., sez. un., 17 febbraio 2010, n. 3680, cit.

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www.judicium.it membro, si devono considerare altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non sia in alcun

modo temporanea o occasionale e che la residenza del soggetto denoti una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare (17). Con riferimento ai minori, secondo i giudici del Lussemburgo, si deve, in particolare, tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. Sempre secondo la Corte di giustizia, l’intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso determinate circostanze esterne, come l’acquisto o l’affitto di un alloggio nello Stato membro ospitante, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale.

Un ulteriore indizio può essere la presentazione di una domanda per ottenere un alloggio sociale presso i relativi servizi del detto Stato. Per contro, la circostanza che i minori soggiornino in uno Stato membro in cui, per un breve periodo, non hanno fissa dimora può essere un indizio che la residenza abituale di tali minori non si trovi in questo Stato (18).

Rispetto al criterio in esame non rileva che alcuna autorità giudiziaria abbia stabilito formalmente la residenza abituale di un minore (19). Per quanto riguarda l’Italia, si è affermato che il concetto di residenza abituale corrisponde a fatti accertabili dal solo giudice di merito, la cui decisione non è censurabile per cassazione se motivatamente accertata (20).

La lettera b) dell’art. 3, d’altro canto, prevede come criterio di collegamento la nazionalità comune delle parti dello Stato membro del foro. In via alternativa ai fori basati sulla residenza abituale di una delle parti, dunque, questa disposizione attribuisce una sorta di giurisdizione universale (ma non esclusive) allo Stato di cui entrambi i coniugi sono cittadini. Al riguardo, si è chiarito che, in

17) Per una fattispecie in cui si discute se la residenza di un minore fosse in Germania o in Italia, v. Trib. min.

Firenze, 12 aprile 2005, in Foro tosc., 2005, p. 315.

18) Corte giust., c. A., cit. Per Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, in www.affidamentocondiviso.it, ad esempio,

il fatto che la madre avesse trasferito il figlio in Germania nel corso dell’anno scolastico “e con connotati di repentinità (e quindi senza una sicura programmazione che prefigurasse quantomeno il proposito del suo radicarsi” non poteva fare ritenere “stabile” la nuova residenza del minore stesso (in una fattispecie in cui il ricorso avanti al giudice italiano era stato proposto “dopo poco più di due mesi dal trasferimento”).

19) Trib. min. Emilia Romagna, 14 gennaio 2010, decr., in www.giuraemilia.it.

20) Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Fam. dir., 2010, p. 67.

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www.judicium.it caso di coniugi con doppia cittadinanza comune, sussiste la giurisdizione “paritetica” di entrambi

gli Stati interessati, senza che una nazionalità possa prevalere sull’altra (21).

Il giudice competente sulla domanda principale, ai sensi dell’art. 4, può pure conoscere di eventuali domande riconvenzionali proposte dal convenuto e rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento. Non si richiede, peraltro, che sussista una connessione oggettiva tra domanda principale e riconvenzionale: nulla esclude, dunque, almeno in via teorica, che si possa introdurre una domanda riconvenzionale di divorzio in un procedimento di separazione (o vice versa).

Nel capo del regolamento dedicato alla giurisdizione sulla responsabilità genitoriale, d’altronde, non è prevista una norma equivalente a quella dell’art. 4. Non si può peraltro ritenere che il legislatore europeo abbia voluto escludere tout court l’ammissibilità delle domande riconvenzionali nelle controversie relative ai minori. Piuttosto, si deve pensare che non possano sorgere problemi di giurisdizione rispetto alla riconvenzionale che riguardi il medesimo minore cui si riferisce la domanda principale.

Un ulteriore criterio di collegamento “speciale”, in aggiunta a quelli dell’art. 3, è previsto dall’art.

5, con riferimento alla possibilità, per l'autorità giurisdizionale dello Stato membro che si è pronunciato sulla separazione personale, di convertirla in una decisione di divorzio, qualora ciò sia previsto dalla legislazione dello Stato in questione (la norma appare dunque inapplicabile in Italia).

5. – In materia di giurisdizione sulla responsabilità genitoriale, la regola generale è invero piuttosto semplice. Ai sensi dell’art. 8, infatti, sussiste la competenza “generale” delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di proposizione della domanda, salvo quanto previsto dai successivi artt. 9, 10 e 12. Il presupposto di tale norma è che il criterio della residenza abituale del minore garantisca la prossimità tra il minore stesso e il giudice che deve decidere sulle sue modalità di vita (22).

Le deroghe previste a tale criterio generale sono, peraltro, articolate e per certi versi complesse.

In primo luogo, l’art. 9 prevede un’ipotesi di ultrattività della competenza in capo al giudice della precedente residenza abituale del minore. La situazione si prospetta in caso di lecito trasferimento di un minore da uno Stato membro ad un altro: in questa ipotesi, il giudice dello Stato a quo conserva la propria competenza, in deroga all'art. 8, per un periodo di 3 mesi dalla data del trasferimento, per quanto attiene la modifica di una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato

21) Corte giust., c. Hadadi c. Mesko in Hadadi, cit.

22) Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, cit.

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www.judicium.it prima del trasferimento del minore (23), quando il titolare del diritto di visita in virtù della decisione

sul diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato in questione, salvo che tale titolare non abbia accettato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato in cui si trova la nuova residenza abituale del minore, partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza contestarla. In sostanza, la norma considera che, in caso di trasferimento (lecito) di un minore, lo Stato “di partenza” conservi, per un periodo limitato, un interesse ad intervenire sul diritto di visita a tale minore. Tale previsione mira ad agevolare sul piano giurisdizionale il genitore che rimane nello Stato di provenienza e può avere interesse a modificare i provvedimenti esistenti per tenere conto della nuova situazione venutasi a creare a seguito del trasferimento. Proprio per questo, tale proroga viene meno in caso di accettazione della giurisdizione da parte del titolare del diritto di visita rimasto nello Stato di partenza e, a fortiori, qualora quest’ultimo abbia presentato un’istanza relativa a tale diritto nello Stato ove si trova la nuova residenza del figlio.

La Cassazione italiana ha affermato che il termine di tre mesi previsto dalla norma in esame inizi a decorrere dall’intervenuta comunicazione effettuata da un genitore all’altro in merito al trasferimento all’estero del figlio minore (24).

L’art. 12, ricalcando il “vecchio” art. 3 del regolamento n. 1347, prevede una forma di proroga della giurisdizione dell’autorità adita, ai sensi dell'articolo 5, con una domanda di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio: quel giudice, infatti, sarà competente anche per le domande relative alla responsabilità dei genitori che si ricollegano a tali domande se almeno uno dei coniugi esercita la responsabilità genitoriale sul figlio e la competenza di tali autorità giurisdizionali è stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco dai coniugi e dai titolari della responsabilità genitoriale alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite, ed è conforme all'interesse superiore del minore (25). Al riguardo, si è affermato che l’accettazione delle parti non debba riguardare soltanto la giurisdizione sulla causa matrimoniale

23) Il principio stabilito dall’art. 9 in esame nel testo ha una portata limitata al caso previsto nella stessa

norma: App. Bologna, 6 maggio 2008, n. 686, in www.giuraemilia.it. V. pure Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in Fam. min., 2008, fasc. 11, p. 89.

24) Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, cit., in una fattispecie in cui, peraltro, non si discuteva di una modifica di provvedimenti esistenti.

25) Per una fattispecie, v. Trib. Brindisi, 1 agosto 2006, decr., in Riv. dir. int. priv. proc., 2007, p. 438.

(13)

www.judicium.it ma anche quella sulla responsabilità genitoriale e che essa non debba essere desunta con leggerezza

(26).

La competenza “prorogata” qui in esame presuppone che il giudice della causa matrimoniale non sia anche quello della residenza abituale del minore e si fonda sulla connessione tra la domanda sul vincolo coniugale e quella sulla responsabilità genitoriale. Essa, peraltro, è solo provvisoria e cessa con il passaggio in giudicato della decisione che accoglie o respinge la domanda sul vincolo o, nei casi in cui il procedimento relativo alla responsabilità genitoriale è ancora pendente a tale data, quando la decisione relativa a tale procedimento sia passata in giudicato ovvero nell’ipotesi in cui il procedimento sul vincolo matrimoniale o sulla responsabilità genitoriale sia terminato per un'altra ragione.

Il para. 3 dell’art. 12 stabilisce un’ulteriore deroga alla competenza dello Stato della residenza abituale del minore, a favore delle autorità giurisdizionali di uno Stato membro in cui non penda un procedimento sul vincolo matrimoniale qualora il minore abbia un legame sostanziale con quello Stato membro. Tale legame, in particolare, sussista allorchè uno dei titolari della responsabilità genitoriale risiede abitualmente nello Stato del foro o perché è cittadino di quello Stato e la competenza della corte sia stata accettata espressamente o in qualsiasi altro modo univoco da tutte le parti al procedimento alla data in cui le autorità giurisdizionali sono adite ed è conforme all'interesse superiore del minore. Si tratta di una forma di forum conveniens inedita per lo spazio europeo di giustizia ma i cui margini applicativi non sembrano troppo ampi, se non altro perché l’accettazione di tale competenza “prorogata” da parte di tutte le parti interessate non si verificherà sovente. La norma, peraltro, attribuisce una potere discrezionale al giudice che dovrà valutare l’appropriatezza della propria competenza alla luce del legame tra Stato e minore, in conformità all’interesse prevalente di quest’ultimo.

Il para. 4 dell’art. 12 chiarisce che, qualora il minore abbia la residenza abituale nel territorio di uno Stato che non è parte della convenzione dell'Aia del 19 ottobre 1996, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di potestà genitoriale e di misure di protezione dei minori, si presume che la competenza fondata sull’art. 12 stesso sia nell'interesse del minore, in particolare quando un procedimento si rivela impossibile nel paese terzo interessato. In questa ipotesi, dunque, il forum conveniens assume connotazioni di forum necessitatis, per offrire tutela a situazioni che altrimenti ne resterebbero prive.

26) Collins LJ, in Court of appeal, 24 luglio 2008, c. Bush v. Bush, in EWCA Civ, 2008, p. 865.

(14)

www.judicium.it Anche l’art. 13 (un’altra novità del regolamento n. 2201) prevede un forum necessitatis, per

l’ipotesi in cui non sia possibile stabilire la residenza abituale del minore né determinare la competenza ai sensi dell'art. 12: in tal caso, dunque, si attribuisce, eccezionalmente, competenza ai giudici dello Stato membro in cui si trova il minore (27). La presenza del minore costituisce criteri di collegamento anche rispetto ai minori rifugiati o sfollati a livello internazionale a causa di disordini nei loro paesi.

Ancora in materia di giurisdizione sulla responsabilità genitoriale, l’art. 14 chiarisce che, ove nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13, la competenza, in ciascuno Stato membro, va determinata dalla legge di tale Stato. La norma in esame, in sostanza, conferma quanto si è visto nel secondo paragrafo in merito all’ambito soggettivo di applicazione del regolamento in ambito minorile. Come regola generale, infatti, alla lex fori si farà riferimento rispetto ai minori abitualmente residenti in uno Stato terzo, purchè non sia possibile invocare nei loro confronti uno dei molteplici criteri di collegamento appena passati in rassegna.

L’art. 15 chiude la sezione sulla giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale. Esso appare applicabile in ogni ipotesi in cui un giudice di uno Stato membro eserciti la propria competenza (e dunque anche in base alla lex fori, ai sensi dell’art. 14) e prevede che, in via eccezionale, le autorità giurisdizionali di uno Stato membro competenti a conoscere del merito, qualora ritengano che l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare sia più adatto a trattare il caso o una sua parte specifica e ove ciò corrisponda all'interesse superiore del minore, possano interrompere l'esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentare domanda all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato membro oppure chiedere all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato membro di assumere la competenza ai sensi del para. 5.

Si tratta della prima forma di dismissione discrezionale della competenza accolta da un regolamento comunitario, sulla scia della dottrina anglo-sassone del forum non conveniens. Essa, infatti, richiede una valutazione circa l’esistenza di un foro alternativo “più adatto” a pronunciarsi, in ragione dello stretto legame con il minore, in applicazione del principio di prossimità, che trova il suo fondamento nella tutela prevalente dell’interesse del minore (28). Tale dismissione può avvenire su istanza di parte o anche d’ufficio e addirittura su iniziativa dell’autorità giurisdizionale

27) Corte giust., c. A., cit.

28) V. App. Caltanissetta, 4 maggio 2009, in Fam. min., 2009, fasc. 6, p. 54.

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www.judicium.it di un altro Stato membro con cui il minore abbia un legame particolare. In caso di iniziativa

officiosa, peraltro, il trasferimento della causa può essere effettuato soltanto se esso è accettato da almeno una delle parti.

Il para. 3, nell’ottica di “incanalare” la discrezione del giudice adito, individua alcuni fattori da cui si possa desumere un legame particolare tra il minore ed il foro concorrente: si fa riferimento, in particolare, al fatto che tale Stato sia divenuto la residenza abituale del minore dopo l’inizio del processo avanti all'autorità inizialmente adita, o che esso sia la precedente residenza abituale del minore, o, ancora, che sia il paese di cui il minore è cittadino, o in cui sia abitualmente residente uno dei titolari della responsabilità genitoriale, o, infine, al fatto che la causa riguardi le misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei beni del minore situati sul territorio di questo Stato membro (29).

Per evitare vuoti di tutela, la norma si preoccupa di disciplinare le modalità di quella che può definirsi una forma di translatio iudicii internazionale. In particolare, il giudice originariamente adito deve fissare un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell'altro Stato membro devono essere chiamate in causa. Qualora, però, tale termine decorra inutilmente, la competenza continua ad essere esercitata dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita. A seguito dell’eventuale “riassunzione”, il giudice ad quem, entro sei settimane (termine peraltro ritenuto non perentorio in caso di accordo tra i genitori che individui il luogo di soggiorno del minore nello Stato del legame particolare e, comunque, se ciò sia conforme all’interesse del minore stesso) (30) può accettare la competenza, ove ciò corrisponda, alla luce delle particolari circostanze del caso, all'interesse superiore del minore. Ove tale competenza sia accettata, l'autorità preventivamente adita declinerà la propria competenza. In caso contrario, la competenza continuerà ad essere esercitata dal giudice preventivamente adito. In questo contesto, le autorità collaborano direttamente ovvero attraverso le autorità centrali nominate a norma dell'art. 53 (art. 15, para. 6).

Si tratta, in definitiva, di un trasferimento di competenza abbastanza macchinoso, rispetto al cui utilizzo le corti nazionali potrebbero avere qualche riserva. L’obiettivo di individuare, nel caso

29) Per una fattispecie, v. App. Caltanissetta, 4 maggio 2009, in Fam. min., 2009, fasc. 6, p. 54, che ritiene

sussistere un legame particolare del minore con il foro straniero alternativo dalla residenza in tale Stato della madre e dal trasferimento nello stesso Stato del minore dopo l’instaurazione della causa avanti al giudice italiano. La corte siciliana dispone il trasferimento della causa sul rilievo che il giudice straniero, “in quanto giudice di prossimità, è a conoscenza degli stili di vita nonché dei ritmi giornalieri imposti in quel Paese, a ragazzi dell’età di (C) e (D), dagli impegni scolastici ed extrascolastici”.

30) Trib. min. Genova, 11 dicembre 2009, decr., in Fam. min., 2010, fasc. 9, p. 61.

(16)

www.judicium.it concreto, il giudice più appropriato per la decisione, appare peraltro particolarmente rilevante

rispetto a pronunce destinate a regolare rapporti tanto delicati.

6. - Il ruolo del regolamento n. 2201 rispetto alla problematica della sottrazione internazionale di minori è particolarmente innovativo. Dove Bruxelles II, all’art. 4, si limitava a richiamare le disposizioni della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, il nuovo art. 10 detta una disciplina specifica ad hoc sulla competenza giurisdizionale in tale ambito, in deroga alle norme della abduction convention.

La regola base è che, in caso di trasferimento illecito o di mancato rientro del minore, lo Stato, da cui il minore proveniva o in cui doveva tornare, conserva la propria competenza, con la finalità di eludere comportamenti di sottrazione illecita di minori: in effetti, accade di frequente che il genitore che porta illecitamente un minore all’estero ne chieda poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, onde ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato (31).

Tale competenza, peraltro, viene meno al concorrere di un’articolata serie di condizioni ed in primo luogo quando ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia accettato il trasferimento od il mancato rientro (anche se la norma non spiega quali forme dovrebbe prendere tale accettazione). In alternativa, il minore deve avere soggiornato nello Stato membro in cui sia stato illecitamente trasferito o trasferito almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente. In sostanza, si riconosce che, decorso un certo lasso di tempo, il minore può comunque creare un collegamento significativo sul piano giurisdizionale con lo Stato in cui sia stato trasferito.

La norma, peraltro, richiede, in questa ipotesi, il sussistere di almeno una delle seguenti condizioni:

i) entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava, non deve essere stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro;

ii) una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento deve essere stata ritirata e non deve essere stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i);

31) Trib. min. Emilia Romagna, 14 gennaio 2010, cit.

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www.judicium.it

iii) un procedimento dinanzi all'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro deve essere stato definito a norma dell'art. 11, para. 7;

iv) l'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno deve avere emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore. I giudici comunitari hanno spiegato che tale disposizione deve essere intesa in senso restrittivo, con riferimento solo ad una decisione definitiva, adottata sulla scorta di una disamina completa dell’insieme degli elementi pertinenti, con la quale il giudice competente si pronuncia sulla disciplina della questione dell’affidamento del minore, ancorchè passibile di revisione o riesame periodico entro un certo periodo (32).

In sostanza, in caso di trasferimento illecito, la competenza si sposta nel luogo in cui il minore è stato portato o trattenuto solo in caso di inerzia dell’altro genitore o comunque di decisione giudiziaria dello Stato di origine che abbia escluso il ritorno.

Il regolamento si preoccupa anche di dare una definizione del concetto di “trasferimento illecito o mancato ritorno del minore”: tale deve considerarsi, infatti, il trasferimento o il mancato rientro di un minore che avvenga in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi (art. 2, n. 11) (33). Si specifica anche che l'affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non possa, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell'altro titolare della responsabilità genitoriale.

La Corte di giustizia, peraltro, ha affermato che la norma qui esame, pur facendo riferimento ad una nozione da interpretare in modo autonomo, rinvia, quanto al concetto di “diritto di

32) Corte giust., 1 luglio 2010, c. 211/10, Povse c. Alpago.

33) Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in Fam. min., 2008, fasc. 11, p. 89 ritiene non illecito il

trasferimento disposto dalla madre, sola convivente con la figlia (naturale), in conformità a quanto previsto dall’art. 317-bis c. c. Trib. min. Cagliari, 26 novembre 2007, n. 590, in Fam. min., 2008, fasc. 2, p. 16, invece, ritiene illecito il trasferimento della prole in Italia operato unilateralmente dal padre, alla luce della normativa slovacca applicabile alla fattispecie.

(18)

www.judicium.it affidamento” alla legge nazionale applicabile (nella fattispecie, con riferimento alla posizione di un

padre nei confronti del figlio naturale) (34).

Sempre in materia di abduction, l’art. 11, introdotto ex novo nel regolamento n. 2201, detta alcune regole procedurali uniformi (destinate ad essere applicate dai giudici nazionali ad integrazione - e pure in deroga - a disposizioni della lex fori), per l’ipotesi in cui una persona, un’ istituzione o un altro ente titolare del diritto di affidamento adisca il giudice di uno Stato membro affinché emani un provvedimento in base alla convenzione dell'Aia del 1980 per ottenere il ritorno di un minore illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso da quello nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno. In particolare, si prevede che, nell'applicare gli art. 12 e 13 della convenzione dell'Aia, si debba assicurare che il minore possa essere ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. Inoltre, il giudice adito deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale. La norma, anzi, si spinge sino a prevedere che, salve circostanze eccezionali, il provvedimento debba essere emanato al più tardi sei settimane dopo la proposizione della domanda.

Nel merito, si stabilisce che un'autorità giurisdizionale non possa rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all'art. 13, lett. b), della convenzione dell'Aia qualora sia dimostrato che sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno ovvero senza avere dato la possibilità di essere ascoltata alla persona che abbia chiesto il ritorno del minore (35).

Qualora, poi, un giudice respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all'art. 13 della convenzione dell'Aia, essa deve immediatamente trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua autorità centrale) una copia del provvedimento giudiziario contro il ritorno e dei pertinenti documenti (in particolare una trascrizione delle audizioni dinanzi al giudice) all'autorità giurisdizionale competente o all'autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. La comunicazione di tali documenti deve avvenire entro un mese dall'emanazione del provvedimento contro il ritorno. A questo punto, salvo che il giudice dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento o del mancato ritorno non sia già stato adito da una delle parti, l'autorità

34) Corte giust., 5 ottobre 2010, c. 400/10, J. McB. c. L. E.

35) Per una fattispecie, v. Trib. min. Cagliari, 26 novembre 2007, n. 590, in Fam. min., 2008, fasc. 2, p. 16.

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www.judicium.it giurisdizionale o l'autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve informarne

le parti e invitarle a presentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell'affidamento del minore. Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l'autorità giurisdizionale archivia il procedimento.

Le disposizioni appena esaminate hanno la funzione di assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva, ma anche di mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non-rientro (36). Al riguardo, si è affermato che l’esame delle motivazioni addotte dal giudice straniero possa avvenire anche qualora, nella decisione, non si faccia espressamente riferimento all’art. 13 della convenzione dell’Aja, che disciplina, appunto, i casi in cui si può disporre il non-ritorno di un minore nello Stato di origine (37).

Infine, si stabilisce che l'emanazione di un provvedimento contro il ritorno in base all'art. 13 della convenzione dell'Aia non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che prescriva il ritorno del minore emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento qui in esame, conformemente alla sez. 4 del capo III, allo scopo di assicurare il ritorno del minore stesso (art. 11, para. 8). La pronuncia del giudice d’origine sul ritorno del minore, peraltro, non è subordinata all’esistenza di una decisione definitiva dello stesso giudice in merito al diritto di affidamento (38).

Inoltre, si ritiene che il giudice di merito possa emettere la decisione di cui all’art. 11 anche in assenza di una formale trasmissione del provvedimento straniero e degli atti relativi (39).

7. - La sezione 3 del regolamento contiene una miscellanea di norme con diversa natura e funzione.

Innanzi tutto, l’art. 16 dà la definizione di pendenza della lite. La norma corrisponde all’art. 30 del regolamento 44 del 2201, la quale detta le regole per stabilire la prevenzione temporale, nel contesto della litispendenza e della connessione internazionale tra cause. In Bruxelles II bis, però, l’art. 16 non è collegato a tali istituti e, dunque, stabilisce una regola generale, cui fare riferimento ogni volta che si debba determinare il momento in cui un’autorità giurisdizionale sia stata adita. In

36) Corte giust., 11 luglio 2008, c. 195\08, Inga Rinau.

37) Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, in Fam. dir., 2010, p. 38.

38) Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

39) Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, cit.

(20)

www.judicium.it particolare, tale momento coincide con il deposito della domanda giudiziale o di un atto

equivalente presso l'autorità giurisdizionale, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione al convenuto;

ovvero, se l'atto deve essere notificato prima di essere depositato presso l'autorità giurisdizionale, con la consegna dell’atto all'autorità competente ai fini della notificazione, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l'atto fosse depositato presso il giudice. In sostanza, ai fini della pendenza della lite, assumono rilievo esclusivamente comportamenti “istantanei” posti in essere dalla parte istante, la quale, dunque, è in grado di controllare il momento di instaurazione della lite.

Nell’art. 17, invece, si stabilisce che il giudice adito debba sempre verificare d’ufficio la propria competenza, a prescindere dal comportamento eventualmente acquiescente del convenuto. Come si è visto, peraltro, in tale verifica non si deve solo accertare la sussistenza di un criterio di collegamento con il foro, ma ci si può spingere sino a disporre il trasferimento della causa avanti ad un giudice “più appropriato”. Nel silenzio della norma, sulla falsariga dell’art. 11 della legge n. 218 del 1995, il giudice italiano potrà rilevare il proprio difetto di competenza giurisdizionale in ogni stato e grado del procedimento.

Tra le verifiche che il giudice deve compiere, inoltre, l’art. 18 (che ricalca l’art. 26 di Bruxelles I) stabilisce che, in caso di mancata “comparizione” in giudizio del convenuto abitualmente residente in un altro Stato membro, il giudice debba sospendere il procedimento fin quando non si accerti che al convenuto stesso sia stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile per poter presentare le proprie difese, ovvero che sia stato fatto tutto il possibile a tal fine. Si tutela così il diritto di difesa del convenuto, con una verifica che riguarda non solo la regolarità della notifica ma anche la concessione di un tempo utile per svolgere la propria attività difensiva. La norma in esame chiarisce che, qualora sia stato necessario trasmettere la domanda giudiziale o un atto equivalente da uno Stato membro a un altro a norma del regolamento n. 1348 del 2000, il giudice debba applicare, piuttosto che le disposizioni appena esaminate, quelle dell’art. 19 del regolamento sulle notifiche (rubricato “Mancata comparsa del convenuto”) ovvero quelle dell’art. 15 della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965 (relativa alla notificazione e alla comunicazione all'estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale), qualora alla notifica all’estero della domanda introduttiva sia stata applicata quest’ultima normativa.

Nell’ipotesi in cui il giudice di uno Stato membro dichiari d’ufficio la propria incompetenza, il regolamento non prevede che il caso sia deferito al giudice di un altro Stato membro. Tuttavia, per

(21)

www.judicium.it la Corte di giustizia, se lo rende necessario la tutela dell’interesse superiore del minore, di tale

provvedimento il giudice deve informare, direttamente o tramite l’autorità centrale designata ai sensi dell’art. 53 del regolamento, il giudice competente di un altro Stato membro (40).

8. - Anche nel regolamento n. 2201, la litispendenza e la connessione tra cause mirano, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia nell’ambito dell’Unione, ad evitare procedimenti paralleli dinanzi ai giudici di diversi Stati membri e il contrasto di decisioni che potrebbe conseguirne (41), tanto più grave in questa materia così strettamente collegata allo stato degli individui e alla vita della prole minorenne.

L’art. 19, anzi, disciplina questi istituti in modo particolarmente innovativo. Nel primo paragrafo, si prevede che, in caso di proposizione tra le stesse parti di domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio dinanzi a corti di Stati membri diversi, il giudice adito per secondo (in base alle regole poste dall’art. 16: v. para. settimo) debba sospendere d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita. Una vola che il primo giudice abbia accertato la propria competenza, poi, l'autorità giurisdizionale successivamente adita deve dichiararsi incompetente. In tal caso, però, la parte che ha proposto la domanda davanti all'autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l'azione dinanzi all'autorità giurisdizionale preventivamente adita.

Il meccanismo, quindi, è solo apparentemente quello “collaudato” della litispendenza comunitaria di cui all’art. 27 del regolamento n. 44. Come in Bruxelles I, anche qui la parte che agisce per prima si trova avvantaggiata sotto il profilo procedurale, In più, in questo contesto vengono sottoposte al medesimo trattamento situazioni sia di litispendenza in senso proprio (con riferimento alla contemporanea pendenza in Stati diversi di due procedimenti omogenei sullo stesso vincolo coniugale) sia di connessione (rispetto alla pendenza di due procedimenti non omogenei: ad esempio, di separazione nello Stato A e di divorzio nello Stato B) (la relazione Borras alla convenzione del 1998 chiamava questa situazione “falsa litispendenza”). Proprio per questo, la norma non si limita a prevedere la dismissione della causa instaurata per seconda ma si spinge sino a prevedere che, a seguito della declaratoria di incompetenza del giudice “prevenuto”, la parte attrice possa promuovere l’azione dinanzi al giudice adito per primo. Si configura qui un’inedita forma di translatio iudicii internazionale, di cui, peraltro, il regolamento non si preoccupa di

40) Corte giust., c. A., cit.

41) Corte giust., 9 novembre 2010, c. 296\10, Purrucker c. Vallés Pérez (II).

(22)

www.judicium.it disciplinare il funzionamento. La norma, in sostanza, prevede un trasferimento di competenza sulla

seconda azione, dal giudice prevenuto a quello adito preventivamente: in effetti, la promozione dell’azione davanti a quest’ultimo è rimessa ad una scelta discrezionale dell’attore, senza ulteriori requisiti.

Più tradizionale, invece, l’approccio alla contemporanea pendenza, in Stati membri diversi, di procedimenti sulla responsabilità genitoriale. Perché il giudice adito per secondo si spogli della competenza (senza peraltro possibilità di translatio iudicii avanti alla prima autorità), infatti, le cause devono riguardare lo stesso minore ed avere il medesimo oggetto ed il medesimo titolo. Non è però necessario che le azioni siano presentate dalle medesime parti (42). In questo contesto, la Corte ha confermato che, nell’ambito di una nozione autonoma del termine “litispendenza”, il concetto di “medesimo oggetto” e quello di “medesimo titolo” devono essere determinati tenendo conto dell’obiettivo di prevenire decisioni che si contraddicono (43). Da questo punto di vista, dunque, occorre tenere conto delle pretese fatte valere nei due procedimenti concorrenti, con la precisazione che non può sussistere litispendenza tra un procedimento di merito ed uno volto meramente ad ottenere dei provvedimenti provvisori (44).

I giudici comunitari hanno anche chiarito che ai sensi del n. 2 dell’art. 19, la litispendenza può sussistere solo tra procedimenti entrambi pendenti avanti a giudici competenti per la pronuncia di un provvedimento di merito. Da questo punto di vista, diviene cruciale accertare quale tipo di provvedimento intenda ottenere l’attore nel procedimento iniziato per primo. Dall’oggetto delle domanda e dalle circostanze di fatto allegate, quindi, dovrebbero emergere elementi idonei a giustificare un’eventuale competenza di merito del giudice adito, a prescindere dal fatto che l’istanza sia stata proposta per ottenere provvedimenti provvisori. Ove però non sia possibile trarre conclusioni circa la natura del procedimento straniero, l’eventuale pronuncia di provvedimenti provvisori non è ritenuta prova dell’esistenza di una domanda di merito. Il giudice adito per secondo, dunque, dovrà verificare, d’ufficio, la natura del primo procedimento, chiedendo informazioni alla parte che abbia sollevato l’eccezione di litispendenza o anche al giudice straniero preventivamente adito. Ove poi, nonostante questi sforzi, il giudice adito per secondo non riesca ad ottenere (entro un termine ragionevole, tenuto conto in particolare dell’interesse del minore) i

42) Corte giust., c. Purrucker c. Vallés Pérez (II), cit.

43) Corte giust., c. Purrucker c. Vallés Pérez (II), cit.

44) Corte giust., c. Purrucker c. Vallés Pérez (II), cit.

(23)

www.judicium.it necessari chiarimenti in merito all’oggetto e al titolo della prima domanda o alla natura della

competenza esercitata in tale sede, ben potrà proseguire l’esame della domanda presentatagli (45).

9. - L’art. 20, significativamente collocato fuori dal capo del regolamento dedicato alla competenza giurisdizionale, fa riferimento alla pronuncia di provvedimenti provvisori e cautelari. In particolare, in casi d'urgenza correlata alla situazione in cui si trova il minore e all’impossibilità pratica di presentare la domanda relativa alla responsabilità genitoriale dinanzi al giudice competente per il merito (46), si stabilisce che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro possano adottare i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti nello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del regolamento, nel merito sia competente a conoscere l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

La Corte di giustizia, anche in base alla collocazione dell’art. 20 tra le “disposizioni comuni” e non tra le norme sulla competenza, ha affermato che esso non può essere considerato una disposizione che attribuisce competenza di merito ai sensi del regolamento e che esso, anzi, copre solo provvedimenti adottati da giudici che non fondino la loro competenza su uno dei criteri ivi previsti (47).

La Corte di giustizia condiziona l’applicazione della norma in esame alla sussistenza di tutte e tre le condizioni ivi indicate, e cioè l’urgenza, la presenza della persona o del bene nello Stato e la provvisorietà del provvedimento (48).

Considerato l’ambito applicativo del regolamento, la norma in esame può venire in rilievo solo rispetto alla responsabilità genitoriale. Secondo la Corte, in effetti, i provvedimenti cui la norma si riferisce sono applicabili ai minori che hanno la loro residenza abituale in uno Stato membro, ma soggiornano temporaneamente o occasionalmente in un altro Stato membro e si trovano in una situazione atta a nuocere gravemente al loro benessere, inclusi la loro salute o il loro sviluppo, la quale giustifica pertanto l’adozione immediata di provvedimenti di tutela (49).

45) Corte giust., c. Purrucker c. Vallés Pérez (II), cit.

46) Corte giust., 15 luglio 202010, c. 256\09, Purrucker c. Vallés Pérez.

47) Corte giust., c. Purrucker c. Vallés Pérez, cit.

48) Corte giust., c. A., cit.

49) Corte giust., c. A., cit.

Riferimenti

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