I nostri colleghi europei hanno da tempo optato per la difesa dei soli danni di rilievo patrimoniale
Dr. Lino Schepis*
Anche quest’anno il nostro dott. Cannavò è riuscito a proporre per il Convegno un titolo con il giusto mix di sintesi, efficace e di misurata provocazione.
Per dare un ordine a questo mio intervento, mi è parso opportuno partire proprio dal titolo, ed enuclearne alcuni spunti:
• “de minimis ”: prima provocazione; è ancora corretto (ma lo è mai stato?) considerare la materia delle micro (o pseudo) invalidità una questione minimale, un argomento di secondaria importanza?
• “curat praetor”: seconda provocazione; l’avere deliberatamente omesso il tradizionale “non” è sottolineatura assai efficace di un secondo basilare problema; il “praetor” (attualmente il giudice di pace) si cura oggi moltissimo delle micro lesioni, anzi , ne è divenuto l’arbitro istituzionale pressoché esclusivo; nel contempo, per molti giudici non togati le cause per micro lesioni costituiscono gran parte del lavoro quotidiano; l’avvento dei giudici di pace costituisce certamente ulteriore fonte di criticità, come vedremo in seguito.
• “moralmente necessari”: terza provocazione, che chiama in causa la nostra concezione della funzione risarcitoria dei danni a contenuto non economico, concezione che ci rende così “peculiari”
(altra espressione non vorrei usare) rispetto ai nostri partners europei.
• “necessariamente immorali?”: quarta ed ultima provocazione; vi è immoralità nel fenomeno così come oggi è vissuto nel nostro Paese? Quali leve - economiche, politiche, opportunistiche - agiscono sul fenomeno, lo alimentano, ne dilatano costantemente l’ampiezza? E’ senza dubbio il fulcro dell’intero problema.
Ma andiamo con ordine.
1) “DE MINIMIS”
Come è noto, i sinistri con danni alle persone assorbono oggi oltre il 50% degli esborsi di comparto, a fronte di una numerosità pari al 15% circa (grosso modo 900.000 sinistri nel 1996).
Secondo i dati ufficiali, riferiti all’esercizio 1996, il business RCA è salito a 18.300 miliardi di lire, quasi per intero spesi per sinistri pagati e riservati: 18.035 miliardi di lire, con un catastrofico rapporto sinistri a premi (98.4%, al netto dei costi gestionali e dei caricamenti).
E’ altrettanto noto che il settore ha espresso perdite per oltre 1.690 miliardi di lire (l’8.9% dei premi), nonostante i non lievi incrementi tariffari applicati dopo la liberalizzazione.
Sono dunque andati ai danni fisici oltre 9.000 miliardi di lire.
Secondo stime effettuate dalle maggiori imprese, le micro lesioni assorbono oltre l’85%
dei sinistri con lesioni, ed oltre il 70% degli esborsi.
RCA - Mercato Esercizio 1996
Premi 18.337 miliardi di lire
Danni 18.035 miliardi di lire
D/P 98.4
* Presidente Commissione danni fisici ANIA, Milano
Perdita di esercizio 1.690 miliardi di lire
% su premi 8.9
Sinistri RCA Esercizio 1996
Numerosità Importi
N° 6.028.742 Danni globali 18.035 miliardi di lire
Con lesioni 907.000 Danni fisici 9.190 miliardi di lire
% 15.05 % 50.95
Con lesioni < 10% IP 771.000 Con lesioni < 10% IP 6.620 miliardi di lire
% 85.0 % 72.03
La dimensione economica del problema è dunque attestata su valori superiori a 6.500 miliardi di lire per anno, con tendenza all’aumento (le prime anticipazioni per l’esercizio 1997 portano il dato ad oltre 7.000 miliardi di lire, a fronte di un fatturato RCA arrivato a 20.600 miliardi di lire).
Non si tratta dunque di questioni minimali, ma di importanti risorse del Paese, pari al 36% della totalità dei premi annui pagati dai cittadini.
Come lo stesso ISVAP ha evidenziato anche di recente, l’escalation di tale fenomeno è impressionante:
Gli incidenti stradali con danno alla persona
1990 1993 1996
Incidenza
su sinistri 9.90% 12.40% 15.0%
RC Auto Importo medio
dei risarcimenti 8.200.000 11.700.000 15.000.000 (lire)
(Fonte: ANIA e ISVAP)
R.C. obbligatoria
Premi 14.117.520 14.404.380 15.828.207 17.459.902 18.337.000 Sinistri 13.164.705 13.550.960 14.968.683 16.894.902 18.035.400
Rapporto S/P 93.3 94.1 94.6 96.8 98.4
Nel preparare questa mia relazione mi sono andato a rivedere gli atti di un Convegno tenutosi quasi 10 anni fa a Tirrenia (Pisa).
Anche allora si usò un titolo ... “hard”: niente meno che “Punto zero e dintorni”, sintomo di un disagio già allora avvertito dagli organizzatori, medici legali e avvocati della città di Livorno (non fu un convegno voluto o promosso dagli assicuratori).
Ad esso sono seguite innumerevoli iniziative di sensibilizzazione ed analisi critica: per citarne solo alcune, i due Convegni della Melchiorre Gioia del 1992 (“L’etica professionale nella medicina
legale e nella pratica forense”) e del 1993 (“Il risarcimento delle micro permanenti nel dubbio di rapporto causale”), gli 11 Incontri Regionali promossi dall’ANIA negli anni 1991-1993 con i fiduciari medici, e le reti di liquidazione dei sinistri. Più di recente, le pubblicazioni curate dal gruppo CNR di Pisa (“La valutazione del danno alla salute”, e il “Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute”, rispettivamente del 1995 e 1996).
A giudicare dalla veemenza e dalla frequenza con cui l’argomento viene trattato persino dagli organi istituzionali (ISVAP, Governo, Magistratura, ecc.) e dalle rappresentanze dei Consumatori, credo si possa affermare che le micro (pseudo) lesioni abbiano guadagnato nel nostro Paese un elevato grado di “disapprovazione sociale”.
Vi è chi, non senza ragione, ricollega il fenomeno a quello delle illegittime pensioni di invalidità elargite per tanti anni da INPS e INAIL, entrambi messi all’indice di recente dall’acquisita consapevolezza dell’incompatibilità tra Stato assistenziale e condizioni per l’ingresso in Europa.
La sensibilità verso il problema è tale da indurre un magistrato veneto a promuovere azioni penali (per calunnia, simulazione di reato, ecc.) contro soggetti che abbiano fatto ricorso ad azioni penali e civili per far valere danni fisici inesistenti o amplificati maliziosamente.
Il fatto sorprendente sta proprio in questo: nonostante i forti inequivoci segnali di pubblico biasimo, la frequenza dei sinistri con lesioni ha tranquillamente continuato ad aumentare, anzi ha addirittura subito un’accelerazione, fino ad assumere, in pochi anni, valori raddoppiati, sia in termini di numerosità che di costi (nel 1988 i sinistri con lesioni furono circa 470.000, contro gli oltre 900.000 attuali).
Ricordo che ancora negli anni 1992 - 1993 il prof. Farneti, citando l’assoluta abnormità dei casi di lesioni minori al rachide cervicale esitate in postumi permanenti (in Italia il 90%, contro il 10-20%
del resto dell’Europa), poneva forti interrogativi sulla fragilità dell’italico collo.
Che dire ora, di fronte a casi raddoppiati nel numero e nei costi?
Non vi è dubbio quindi che il fenomeno, con tutte le sue pieghe patologiche, ha importanti riflessi di tipo economico, ed è mosso da interessi diffusi ed articolati, ormai saldamente radicati nei comportamenti di tutti gli operatori.
Evidentemente la disapprovazione non basta. Occorre individuare concreti ed efficaci strumenti di contrasto, se si vuole rovesciare un trend che sta progressivamente portando fuori controllo il settore RCA, con tutte le prevedibili ricadute sia per le imprese, sia per la collettività.
2) “CURAT PRAETOR”
Ho detto prima che l’omissione di quel rituale “non” appare particolarmente significativa.
La riforma del processo civile, e l’introduzione dei giudici di pace, ai quali è stato in pratica assegnato il monopolio delle cause in materia di risarcimenti RCA (nel limite dei 30 milioni rimane la quasi totalità delle vertenze assicurative), costituisce, ad avviso di molti operatori del settore, una circostanza che ha certamente aggravato il fenomeno.
Dopo una prima fase di perplessità e diffidenza, ricordiamo tutti la flessione fatta registrare nel 1995 dal contenzioso auto, e le pesanti critiche mosse dagli avvocati ai giudici di pace, è nato un robusto “feeling” tra legali e magistrati non togati (forse perché un po’ snobbati dai colleghi togati).
Tant’è che attualmente, nonostante gli sforzi compiuti da tutte le imprese per accelerare le liquidazioni e deflazionare il contenzioso, si registra un progressivo aumento del ricorso agli atti di citazione.
D’altronde, oggi una causa davanti al giudice di pace offre all’avvocato tre interessanti prospettive:
- una sentenza veloce (5/6 mesi in media) - una sentenza vittoriosa
- la liquidazione di onorari rotondi.
Il primo punto non richiede commenti, ed è valutabile da ognuno positivamente.
Il secondo è più delicato.
E’ molto difficile oggi che un giudice di pace trovi in sé le condizioni tecniche, la forza e la determinazione per negare un nesso causale o smentire la valutazione (a volte generosa) di un CTU.
Anche quando tali questioni erano rimesse ai magistrati ordinari, sicuramente dotati di ben diversa autorevolezza e competenza, le sentenze di rigetto non erano certo frequenti (tanto che si possono ricordare facilmente a memoria i casi di Roma, di Genova, di La Spezia).
E’ dunque comprensibile, ancorché non accettabile, che questa marea montante di casi di “colpi di frusta” finisca coll’essere decisa sul piano della routine, della rassegnazione, magari condita con una punta di disgusto, se lo stesso consulente d’Ufficio, per definizione più esperto e competente in materia, ha accettato l’esistenza di un danno risarcibile ancorché con l’ormai usuale criterio della “impossibilità di essere escluso”, ed anche se gli elementi di giudizio utilizzati sono stati in gran parte o in tutto ricavati dalle dichiarazioni del danneggiato con buona pace delle regole in materia di onere della prova.
Così come è ragionevole che il giudice si preoccupi di dover fare sistematico ricorso a complesse e costose ricostruzioni cinematiche e biodinamiche del sinistro, per dirimere controversie di modesto valore individuale.
Terzo, ma non ultimo per importanza, l’aspetto degli onorari, liquidati notoriamente con ben maggiore generosità (non necessariamente per compiacenza) agli avvocati di quanto non facessero e facciano i giudici ordinari.
Realmente occorre credere ai nostri liquidatori sinistri che denunciano la crescente difficoltà di negoziare onorevoli transazioni e lo scarso interesse di molti legali verso soluzioni stragiudiziali.
E’ un aspetto apparentemente secondario, sul quale tuttavia occorre riflettere.
Francamente, non so fino a che punto la quasi totale assenza di appelli, esibita dai giudici di pace come una medaglia, in raffronto ad un costante fisiologico tasso di gravame avverso le sentenze dei colleghi togati, debba realmente avere una lettura di segno positivo.
3) “MORALMENTE NECESSARI”
Come mi è capitato più volte di affermare pubblicamente, la quasi maniacale difesa e valorizzazione del danno alla salute è sorella (o figlia) del generale approccio tipicamente latino di noi italiani verso i danni privi di contenuto economico.
Non vi è dubbio che qualsiasi danno, piccolo o grande, debba essere risarcito.
L’essenziale è non perdere di vista da un lato un indispensabile senso della misura, dall’altro la reale entità delle risorse disponibili.
I nostri colleghi europei hanno da tempo optato per la difesa dei soli danni di rilievo patrimoniale.
E non sono certo meno civili di noi, che abbiamo ostentato le nostre scelte liquidative come emblema della nostra superiore cultura giuridica e sociale.
In realtà, tedeschi, olandesi, inglesi, hanno da molto tempo realizzato il convincimento che concetti come “valore uomo” e “turbamenti psichici e morali” sono situazioni soggettive ed astratte, non suscettibili di esatta misurazione monetaria, o comunque monetizzabili solo attraverso criteri convenzionali.
E’ ugualmente riconosciuto dagli stessi che, nella determinazione di un valore economico convenzionale, non si può prescindere dalla consapevolezza delle risorse disponibili.
Mi ha colpito, non certo in positivo, l’affermazione di un avvocato olandese contenuta in un’intervista rilasciata qualche tempo fa alla redazione di RAI 3 per il programma “Report”:
questi, riferendo in merito ad una recente legge del proprio Paese che ha regolato la materia dei risarcimenti di danni da uccisione, escludendo la liquidabilità di quelli non patrimoniali, ha tenuto
a precisare che l’Olanda, a differenza dell’Italia, “è un Paese “sobrio”, che non ha la “cultura della pietà”.
Quando mi capitò, qualche anno fa, di leggere una sentenza che ha liquidato danni morali per morte del gatto di casa, pensavo si trattasse di un’occasionale fuga in avanti di qualche isolato giudice in cerca di notorietà.
Mi sbagliavo, la ricerca di frontiere sempre più ardue di danno risarcibile prosegue incessante, a dispetto e nell’indifferenza per le conseguenti ricadute economiche, posto che di recente ho ricevuto notizia di un Convegno di Studi, promosso da un rispettabilissimo istituto universitario, dove si dibatterà di nuove figure di danno esistenziale, quali:
- la morte di animale di affezione
- la rilevanza esistenziale dei beni contenuti nelle cassette di sicurezza - il danno da vacanza rovinata
- il danno ambientale
Ha ragione quell’avvocato olandese a sottolineare l’assenza di sobrietà del nostro Paese!
Ritengo abbia, come sempre, ben rappresentato il suo pensiero in merito il compianto Avv.
Giannini nell’ultima sua nota a sentenza, pubblicata nel marzo scorso: egli ha affermato che
“l’unico strumento di contenimento del fenomeno delle micropermanenti consiste nell’attribuire un risarcimento modesto”, posto che, citando Tacito, “la bontà eccessiva svilisce l’autorità, e ciò vale anche per le liquidazioni delle micropermanenti”.
4) “NECESSARIAMENTE IMMORALI?”
E’ difficile sostenere che un problema di tale natura ed ampiezza non sia alimentato e sorretto da immoralità in varie forme ed a vari livelli.
• E’ immorale che alcuni professionisti qualificati (avvocati) favoriscano, o addirittura promuovano, tali atteggiamenti speculativi, le cui conseguenze economiche ricadono sulla collettività e sottraggono risorse a situazioni di danno ben più serie e significative.
Esistono, non lontano da qui, solide “industrie” specializzate nella costruzione di improbabili danni da lesioni, apparati nei quali si entra con un primo, sommario, certificato ospedaliero (a volte manca anche quello), e dai quali si esce con esami radiografici, certificazioni del medico di famiglia, relazioni medico-legali e quant’altro occorra per rendere credibile una lesione quanto meno discutibile.
Meno organizzata, ma certamente più diffusa, è la presenza di sedicenti “esperti” o “consiglieri”
(infermieri di ospedale, carrozzieri, ecc.), che non fanno mai mancare il suggerimento ed il nominativo “giusto”.
• E’ immorale che altri professionisti (medici) si prestino ad un mercato di reciproche concessioni, violando precise e cogenti regole deontologiche.
Fiumi di parole sono stati spesi sul problema dei “tre cappelli”, sulla logica del compromesso (do ut des), sulla mediazione ad ogni costo, persino in sede di consulenza tecnica d’ufficio.
L’impressione è che se qualche risultato si è ottenuto con anni di sollecitazioni, ciò ha riguardato piuttosto un contenimento dei punti di invalidità mediamente concessi (siamo passati dal 3-5% al 2- 3%), che non un maggior numero di danni negati.
• E’ disdicevole, se non proprio immorale, che enti (le imprese assicuratrici) istituzionalmente preposti all’equa distribuzione di risorse della collettività, subiscano la logica del compromesso,
cedendo alla rassegnazione e rinunciando a far valere , nell’esigenza almeno di contenere i costi di gestione, adeguate azioni di contrasto.
E d’altra parte è vero che la maggior parte delle valutazioni medico-legali è affidata a fiduciari più giovani, meno esperti ed autorevoli, a volte persino non specialisti (e certamente meno costosi).
Analogamente, la trattazione e la liquidazione di tali danni è normalmente assegnata ai liquidatori di minore spessore ed esperienza professionale.
Bisognerebbe rivoluzionare in toto l’approccio al problema, nella consapevolezza che è ben più difficile, e richiede maggior impegno, autorità e determinazione, la negazione di un danno anche piccolo, piuttosto che l’esatta valutazione di un danno, anche grave, ma non contestabile.
Occorrerebbe in pratica affidare ai tecnici più affidabili la gestione diretta del problema microlesioni.
• E’ ugualmente disdicevole che la nostra magistratura, pur conoscendo l’ampiezza e la gravità del fenomeno in generale, affronti i singoli casi con sufficienza e superficialità.
La materia della biodinamica è sicuramente complessa, e non ha raggiunto ancora solidi punti fermi.
E’ anche vero peraltro che vi sono precisi interessi a mantenere il più possibile ampio il margine di incertezza anche oltre i limiti del buon senso.
Il sostenere che, in teoria, da qualsiasi urto, di qualsiasi intensità, anche particolarmente lieve, possano conseguire lesioni anche importanti, significa solo voler elevare, maliziosamente, a regola situazioni assolutamente eccezionali.
Il buon senso e la comune esperienza ci dicono che casi normali possono essere trattati nella loro normalità, e dunque ragionevolmente ammessi o ragionevolmente esclusi, mentre la situazione eccezionale merita ben altro trattamento, approfondimento, istruzione e prova.
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
Molte speranze sono riposte da una crescente parte di addetti ai lavori in un intervento di riordino del legislatore.
E’ nota la recente iniziativa dell’ISVAP, che ha riunito un comitato di esperti con il compito di predisporre un disegno di legge per la riforma dell’intera materia della responsabilità aquiliana. Tale comitato, articolato su due commissioni multidisciplinari, ha già elaborato alcuni importanti proposte innovative, ed ha predisposto una serie di criteri per la valutazione dei danni alla persona destinati al legislatore come griglia di riferimento per la costruzione di tabelle pre definite.
A parte ovvie perplessità sui tempi tecnici necessari, sarebbe del tutto illusorio attendersi che una legge sia in grado di contrastare efficacemente la numerosità dei danni pretestati. Tutt’al più potrà servire come deterrente per le speculazioni se ed in quanto potrà tenere particolarmente basso il livello delle liquidazioni dei primi punti di invalidità (ma dovremo sempre fare i conti con l’irrinunciabile potere discrezionale dei magistrati).
A mio avviso occorre ben altro.
Soluzioni operative potrebbero essere:
- il ricorso alla liquidazione in regime convenzionale (in sede ANIA si studia l’allargamento della Convenzione CID alle lesioni, ed una diversa regolazione nella gestione dei danni riportati dai terzi incolpevoli);
- l’utilizzo di forme di giurisdizione alternativa (il ricorso alle soluzioni per arbitri già sperimentato da qualche impresa sul mercato, od anche allo stesso giudice di pace in sede non contenziosa, dando attuazione all’istituto di cui all’art. 322 cpc, oggi totalmente disapplicato).
Lo spostamento della trattazione di una significativa parte dei casi con lesioni in ambito extra processuale gioverebbe senz’altro ad una più rapida soluzione degli stessi, in ambiente meno conflittuale.
Nel contempo, si impone un intervento di riorganizzazione dell’attività medico - legale, sorretto da un forte senso di autodisciplina e di autocontrollo.
E’ necessario che i professionisti più seri ed affidabili mettano fuori gioco chi non intende operare all’interno delle basilari regole di deontologia della professione, pena un definitivo scadimento dei valori della professione stessa.
Un contributo importante, un’occasione da non perdere, potrebbe essere rappresentata proprio dall’istituzione del Registro dei Medici Esperti, di cui si parlerà diffusamente più tardi.
Occorre infine che lo studio da tempo avviato per l’individuazione della soglia di “vis lesiva”, attraverso credibili riferimenti appunto di scienza ed esperienza, trovi il necessario impulso, e fornisca finalmente, anche in Italia come è già avvenuto in altri Paesi, elementi di chiarezza e di indirizzo sollecitati ormai da tutti gli operatori.