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OMISSIONE DI SOCCORSO DEL MEDICO LIBERO PROFESSIONISTA (art. 593 c.p. 2° comma). Problemi legali e medico legali del Giudice di Pace

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OMISSIONE DI SOCCORSO DEL MEDICO LIBERO

PROFESSIONISTA (art. 593 c.p. 2° comma). Problemi legali e medico legali del Giudice di Pace

Dott. Davide Santovito

Parole chiave: omissione di soccorso – libera professione – medico – responsabilità penale – Giudice di pace

Key words: failure to assist – professional exercise – physician – criminal liability - justice of the peace.

ABSTRACT

The assistance omission ex art. 593 c.p. is a common crime. Everyone can commit it, in particular the physician who works for the health.

Jurisprudential doctrine has changed the trend about the interpretation of the word “trovando” contained in the rule in the course of the years, so it raises a doubt about the obligatorines of professional physician’s intervention. The present work wants to point out this doubt considering judgments and the role of the justice of the peace.

RIASSUNTO

L’omissione di soccorso ex art. 593 c.p. è un reato comune, che chiunque può commettere, anche il medico libero professionista, che è l’esercente di un servizio di pubblica necessità. Dottrina e giurisprudenza hanno mutato negli anni l’interpretazione del termine “trovando” contenuto nella norma, creando dubbi sull’obbligatorietà dell’intervento del sanitario libero professionista. Il presente lavoro evidenzia tali dubbi e li porta all’attenzione del medico, alla luce delle sentenze della giurisprudenza e della competenza del Giudice di pace in materia, nuovo interlocutore che gli pone specifici quesiti peritali.

INTRODUZIONE

È opportuno premettere alcune nozioni, già in possesso del magistrato, ma fondamentali per il medico legale incaricato di accertamento peritale.

L’omissione di soccorso è un reato previsto dal Codice Penale ed una grave mancanza deontologica. L’intervento medico nei casi di urgenza vede in due articoli il proprio fondamento giuridico: l’art. 593 c.p. e l’art. 7 del Codice Deontologico medico.

Sezione Medicina legale – Dipartimento di Anatomia, Farmacologia e Medicina Legale – Università di Torino.

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L’art. 593 c.p. (Omissione di soccorso) recita: ”Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore di anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila.

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità.

Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata.”

L’art. 7 del Codice Deontologico, avente titolo “Obbligo di intervento”, afferma che: “il medico, indipendentemente dalla sua abituale attività, non può mai rifiutare di prestare soccorso o cure d’urgenza e deve tempestivamente attivarsi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza”.

La dottrina fa discendere tale doverosità dall’art. 593 c.p., che regola l’istituto dell’omissione di soccorso e dall’art. 43 c.p., che descrive il delitto colposo per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Quest’ultimo articolo del Codice Penale si articola e trova il suo richiamo all’art. 7 del Codice di deontologia medica1.

Tratteremo in particolare del secondo comma dell’art. 593 c.p.

Il bene “salute” ed il diritto alla salute sono tutelati dall’art. 32 della Costituzione, quale interessi della collettività, e lo Stato, attraverso le sue amministrazioni e nelle forme sancite dalla Legge, garantisce l’assistenza sanitaria.

Questo non esonera però il cittadino a non farsi carico di una parte di responsabilità nel caso in cui un consociato versi in stato di pericolo. L’art. 2 della Costituzione, infatti, dichiara espressamente che la

“Repubblica…richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

La tutela verso un bene non disponibile quale la vita è quindi un dovere non solo dello Stato, ma anche del singolo, e sebbene possa ritenersi un obbligo morale, trova il suo fondamento giuridico nel precetto ex art. 593 c.p.

In esso si ha la concretizzazione sul terreno penalistico della norma costituzionale2. È così sancito un vero e proprio obbligo giuridico, la cui inosservanza deve essere penalmente repressa, in quanto la norma prevede la punizione, già contemplata nei lavori preparatori del Codice Penale, della violazione di quei doveri sociali e morali di mutua assistenza.

Lo Stato vuole quindi tutelare la sicurezza della persona fisica o la sua salvezza, quando si trovi in stato di presunto o accertato pericolo, imponendo al singolo cittadino di non omettere l’assistenza privata diretta od indiretta, sì da garantire al pericolante quella possibilità di “salvezza” tutelata dalla Costituzione3.

La legge penale impone a tutti, o meglio a “chiunque”, il dovere di solidarietà di cui prima si è detto: indistintamente ogni cittadino,

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indipendentemente dal rapporto particolare con il pericolante, è chiamato ad attivarsi per prestare soccorso.

Nell’ordinamento penale vi sono delle figure che non possono commettere tale delitto, in quanto altri vincoli penali sanciscono i loro obblighi verso il pericolante: così si verifica per il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, e per chi assume la qualità di genitore, figlio, tutore, coniuge, adottante ed adottato. Nel primo caso, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio omettendo la denuncia o l’assistenza che deve prestare, rispondere del reato più grave di omissione di atti d’ufficio e dell’evento dannoso che ne deriva4. Nel secondo caso, il vincolo esistente tra soggetto e soccorritore fa rientrare il delitto nell’art. 591 c.p., che punisce chi abbandona “…una persona incapace, per malattia di mente o di corpo…della quale abbia la custodia o debba avere cura…”.

L’omissione di soccorso ricadrebbe tra i reati comuni, ma alcuni Autori, ritenendo che il delitto in esame possa essere commesso solo da chi si trovi in una posizione di contiguità temporo-spaziale rispetto alla persona che versa in pericolo, lo qualificano come reato proprio.

L’elemento materiale del reato ha il suo fondamento al primo comma nella noncuranza verso incapaci abbandonati o smarriti e al secondo comma verso i pericolanti.

La prima parte della norma è rivolta a tutelare la vita e l’incolumità fisica o psicofisica del soggetto, ne segue che deve sussistere almeno la possibilità di un pericolo per tali beni, per configurare il delitto, in caso contrario non si riconoscerebbe né l’abbandono né lo smarrimento. Le persone tutelate sono i fanciulli minori degli anni dieci, gli incapaci per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o altra causa, che si trovino in situazione di abbandono o smarrimento, senza alcun conto per il luogo ove si è verificato l’uno o l’altro.

L’obbligo che ne deriva è l’avviso all’Autorità, che incombe su tutti i ritrovatori, che si devono accertare che almeno uno di loro ha dato l’avvertimento in qualsiasi forma, ma immediato.

Il secondo comma precisa che soggiace alla stessa pena chi omette di prestare l’assistenza occorrente, a chi sia o sembri inanimato, ovvero ad una persona ferita o altrimenti in pericolo. L’obbligo dell’assistenza occorrente, che il legislatore richiede, deve essere prestato nei casi in cui il soggetto, che ne abbisogna, sia inanimato, ossia vivo ma senza segni di vita, o esamine, o svenuto. La norma impone lo stesso dovere anche quando il soggetto passivo sia ferito, senza specificare l’entità della ferita, o altrimenti in pericolo.

La persona, incapace di provvedere a se stessa, deve trovarsi ferita in modo pericoloso, ogni ferita deve o determinare un danno ulteriore per l’incolumità fisica o un pericolo per la vita, infatti il bene giuridico tutelato è la vita o l’incolumità.

L’elemento soggettivo del reato risiede nel dolo generico, ossia nell’intenzionalità dell’omissione, nella consapevolezza che il bisognevole necessitava del soccorso omesso. Il delitto si consuma al momento dell’omissione, ha carattere istantaneo, ed è aggravato se dalla condotta del

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colpevole ne deriva una lesione personale o la morte5. GIURISPRUDENZA

I casi di omissione di soccorso perpetrati da medici hanno portato alla luce i problemi interpretativi ex art. 593 c.p..

Nel caso in cui il medico abbia con il pericolante un particolare dovere derivante da una sua posizione giuridica che lo obbliga a prestare soccorso, come accade per il pubblico ufficiale od incaricato di un pubblico servizio, l’omissione realizza il ben più grave reato normato dall’art. 328 c.p.

L’obbligo può altresì derivare da un contratto stipulato tra la persona, che si troverà poi in situazione di pericolo, e l’agente (medico) che dovrà soccorrerla. Il tal caso l’obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p.

deriva da una norma imposta dal diritto privato, valevole per quel dato individuo6.

Il medico libero professionista, non qualificato per commettere il reato ex art. 328 c.p. e non vincolato da alcun contratto con il pericolante, è la figura sociale che più ha creato e crea problemi interpretativi della norma in questione.

I concetti che maggiormente sollevano dubbi e perplessità in dottrina e nella giurisprudenza sono l’interpretazione del termine “trovando”, che nella norma è usato sia al primo che al secondo comma, e successivamente, ma ad esso ancorato, la fonte del diritto che obbliga il medico libero professionista a prestare soccorso al pericolante.

Le soluzioni proposte sono state spesso contrastanti e di carattere diametralmente opposto. Il dibattito ha coinvolto anche la Suprema Corte, che solo ultimamente ha cambiato opinione, assumendo una posizione in netto contrasto con le sentenze pronunciate in precedenza.

La norma impone a chiunque il dovere di solidarietà ed in quest’ottica la Cassazione ha incluso nell’espressione “trovando” dell’art. 593 c.p. anche la situazione in cui taluno si trovi di essere informato dello stato in cui la persona versa, a breve distanza, e ne abbia richiesta, infatti l’informazione può venire da altri, ma ben può venire anche da circostanze obiettive, come dal prolungato lamento del ferito, che chiama aiuto, e che il colpevole, secondo l’art. 593 c.p., percepisce a breve distanza (nella fattispecie un soggetto omise l’assistenza avendo udito invocazioni di soccorso da parte di un ferito)7. Il reato trova dunque applicazione nei confronti di chiunque sia stato informato che nelle immediate vicinanze vi sia una persona in pericolo, nella quale non è necessario imbattersi materialmente8.

La Suprema Corte ha esteso questo principio anche al medico libero professionista, che come qualsiasi altro cittadino può commettere il reato in questione.

In una prima applicazione del codice vigente, quando il delitto di omissione di soccorso era rubricato all’art. 389 c.p., ma la sua formula in pratica corrispondeva a quella attuale, la Corte di Cassazione con la

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sentenza del 5 agosto 1903 ravvisò nella condotta del medico, che non aveva vincoli di servizio né obbligazioni di natura contrattuale, l’ipotesi di omissione di soccorso prevista dal codice, per essersi egli rifiutato di prestare assistenza per un caso urgente a cui era stato chiamato9.

L’obbligo si estende anche quando, chiamato d’urgenza per soccorrere un uomo colpito da malore, sebbene si sia reso conto della gravità del male e della necessità di prestare d’urgenza presidi terapeutici, si rifiuta di prestare soccorso all’ammalato (nella fattispecie un medico informato che nelle immediate vicinanze si trovava un ammalato in pericolo rifiutava di prestare soccorso). Tale sentenza della Suprema Corte sottolinea che l’espressione

“trovando” non deve essere limitata all’interpretazione materiale dell’imbattersi, perché questa restringerebbe eccessivamente il campo di applicazione della norma, in contrasto con lo scopo della norma stessa, che ha voluto con l’obbligo dell’assistenza, rafforzare il dovere della solidarietà umana.

La necessità di imporre a tutti i consociati gli obblighi di mutua assistenza ai pericolanti e l’aspetto disdicevole del rifiuto di assistenza in caso urgente da parte di un medico è stato affrontato dalla Corte d’Appello di Venezia (sentenza 14 marzo 1957), in un processo a carico di alcuni medici dove la punibilità discendeva, se non per il rifiuto di assistenza in sé, per le conseguenze di danno che ne derivavano, anche per il medico libero professionista.

Nell’affrontare il tema delicato dell’assistenza sanitaria nei casi d’urgenza la Corte veneziana ha focalizzato la propria attenzione su alcuni principi, in linea con l’opinione della Suprema Corte: “il Servizio Sanitario è esercitato con un regime monopolistico, di conseguenza il cittadino ha l’obbligo di avvalersi esclusivamente delle prestazioni sanitarie dei professionisti medici iscritti all’albo…Il servizio sanitario di pubblica necessità, che non è praticamente impedito dalla legittima libertà dei medici di accettare o di rifiutare le varie richieste, data la pluralità dei titolari, sarà sempre assicurato.

Tuttavia quando si verificano casi particolari di assoluta urgenza del soccorso sanitario è l’impossibilità o anche la difficoltà che tale soccorso venga sollecitamente prestato dal medico curante o di guardia medica, diviene manifesto l’obbligo di immediata prestazione da parte di qualunque medico chiamato. Così la realizzazione del servizio, per la particolare contingenza, deve considerarsi individualizzata in lui…poiché la vita e la incolumità della persona umana vanno tutelate. Varie fonti concorrono a conferire natura giuridica all’obbligo del medico libero professionista di prestare la propria opera nei casi di assoluta urgenza. Tali fonti sono la consuetudine, le norme deontologiche emanate dagli Ordini Professionali, la qualifica di persone esercenti un servizio di pubblica necessità data dalla legge, agli effetti penali, ai medici liberi professionisti, le altre norme penali dirette ad assicurare la regolarità e la continuità dei servizi di necessità pubblica…Ma è senza dubbio negligente anche il medico che non porta immediatamente ad una persona in pericolo di vita quel soccorso sanitario che, sul momento, non sia stato o non

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sia possibile ottenere altrove…E’ infatti una disciplina il complesso delle norme etiche e consuetudinarie che formano la Deontologia Professionale…Dunque si verifica pure l’ipotesi di colpa specifica costituita dalla inosservanza della disciplina professionale…Naturalmente, poiché l’obbligo, per il medico libero professionista, sussiste soltanto in caso di assoluta urgenza e quando sia impossibile o difficoltoso assicurare altrimenti il soccorso alla persona in pericolo, è necessario, per poter affermare la responsabilità penale del sanitario omittente, che la prova della sussistenza di siffatte condizioni sia pienamente raggiunta sotto il duplice aspetto oggettivo e soggettivo…Ma se quel medico, per la sua specifica competenza, si accorge che un più immediato soccorso egli medesimo sarebbe in condizione di dare sul posto e che tale soccorso probabilmente salverebbe la vita del pericolante, sembra allora evidente che, rimanendo inerte o limitandosi a condurre il ferito in un lontano ospedale non del delitto di cui all’art. 593 egli debba rispondere ove consegua la morte, sebbene di omicidio colposo. Infatti il suo obbligo, nel caso esemplificato, non è soltanto quello imposto a chiunque, ma è il dovere specifico di prestare una determinata attività che, per essere di ordine tecnico, egli soltanto può sul momento, prestare…Ma quando la prestazione debba avere un contenuto specifico e tecnico, che è realizzabile solo da una ristretta e ben individuata categoria di persone, si esce dai limiti dell’art. 593 e la omissione sarà punibile secondo le norme che prevedono e puniscono l’evento che dalla omissione sia derivato…”10.

In tempi relativamente recenti la Suprema Corte11 ha mutato opinione, restringendo l’applicazione della norma e adottando una posizione diametralmente opposta. Questo cambio di direzione è infatti scaturito dall’annullamento di una sentenza del Tribunale di Alessandria12, che in appello confermò la condanna nei confronti del medico di pronto soccorso, che, sostenendo di aver terminato il suo orario di lavoro, negò la propria assistenza ad un passeggero colpito da serio malore, dopo la richiesta urgente di presentarsi alla stazione del treno.

Secondo la Corte di Cassazione “il termine “trovando” deve essere inteso come imbattersi, venire in presenza di, ed implica un contatto materiale diretto, attraverso gli organi sensoriali…deve escludersi che la semplice notizia che taluno sia in pericolo altrove, cioè in luogo così lontano che non sia possibile la percezione diretta, basti ad impegnare penalmente l’agente al soccorso…poiché il ritrovamento deve essere un atto del soggetto attivo del reato e non di un altro soggetto che resti al di fuori dell’imputabilità ex art. 593 c.p.”13

L’osservazione della Corte si è focalizzata sulla distanza tra agente e soccorrendo, che se esclusa da ogni rilevanza, fa ricadere in un’ipotesi di interpretazione analogica della norma, vietata in quanto in malam partem.

Sottolinea inoltre che la semplice notizia non impegna penalmente l’agente al soccorso, in quanto è assolutamente estranea alla comune nozione di ritrovamento e non esiste il benché minimo appiglio ermeneutico14.

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In particolare la Suprema Corte evidenzia che “l’estensione dell’ambito della norma oltre il limite di cui si è detto costituirebbe aperta violazione del divieto sancito dall’art. 14 preleggi e, conseguentemente, dello stesso principio nullum crimen sine lege sancito dall’art. 1 c.p. e recepito dall’art. 25, 2° comma, Cost.”

Con questa sentenza è mutata la nozione del ritrovamento, che non può valicare il senso di una situazione di contatto sensoriale, anche mediato, tra il soggetto cui è imposto il dovere di solidarietà e soccorso e la persona bisognevole nelle tre distinte fattispecie descritte dall’art. 593 c.p.; deve pertanto escludersi che nel concetto di ritrovamento rientri una situazione di fatto costituita, non già dal contatto sensoriale con chi necessita soccorso, ma dal semplice venire a conoscenza attraverso la moderna tecnologia che altri versa in stato di pericolo15.

La controtendenza si è ulteriormente rafforzata nella limitazione della fattispecie ex art. 593 c.p. La Corte di Cassazione16 per l’esistenza del reato di omissione di soccorso ha ammesso che non è sufficiente il ferimento o una generica condizione di pericolo, ma è necessario che la ferita o le altre condizioni soggettive siano tali da privare il soggetto della capacità di provvedere a se stesso. L’incapacità di autodeterminazione è presunta nell’ipotesi di persona che non dia segni di vita, o che sembri inanimata, e va accertata caso per caso nell’ipotesi di persona ferita o altrimenti in pericolo.

OMISSIONE DEL MEDICO LIBERO PROFESSIONISTA

La giurisprudenza di merito ha in primo momento esteso la norma anche al caso in cui taluno sia chiamato a prestare assistenza, dando rilevanza all’informazione fornita da terzi.

Questa permetterebbe di non restringere l’interpretazione della norma, a salvaguardia del bene tutelato dalla stessa. A chiunque sarebbe quindi imposto l’obbligo di soccorrere nel momento in cui ne abbia notizia7, , ,8 9 10.

A tale obbligo non si sottrarrebbe certamente il medico, il cui ruolo sociale costituzionalmente riconosciuto è volto a tutelare la salute di ogni singolo individuo, diritto protetto dalla norma in questione. Oltretutto, il codice deontologico all’art. 7 gli impone, quale dovere, di “…non rifiutare mai di prestare soccorso o cure d’urgenza…”.

Parte della giurisprudenza ha in precedenza fondato la propria sentenza di condanna proprio su tale obbligo, incardinando il dovere deontologico all’interno della norma penale ex art. 593, elevandolo a fonte in grado di

“conferire natura giuridica all’obbligo del medico libero professionista di prestare la propria opera nei casi di assoluta urgenza”.

L’art 593 c.p. è volto a tutelare un danno ulteriore ad ogni consociato che versi in situazione di pericolo, ponendo ad ogni singolo cittadino l’obbligo giuridico di impedirne l’evoluzione in peius.

Se la norma è valida per chiunque, in quanto “La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello

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Stato…”, è pur vero che (ex art 40 c.p.) il verificarsi di un evento dannoso può essere riferito al comportamento omissivo di un soggetto tutte le volte in cui sia individuabile un obbligo giuridico di impedire l’evento, il quale obbligo trovi referenti in una norma di legge o di regolamento e persino in una disposizione negoziale in forza della quale al soggetto si impone l’obbligo di attivarsi17. Solo l’esistenza di un dovere giuridico di attivarsi per impedire l’evento sta a fondamento della responsabilità, le cui componenti essenziali sono costituite da un lato, una fonte normativa di diritto privato o pubblico, anche non scritta, o una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca il dovere di intervenire; dall’altro lato, l’esistenza di un potere (giuridico, ma anche di fatto) attraverso il corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi di impedire l’evento18.

La Corte d’Appello di Venezia ha fatto leva sulle norme deontologiche degli Ordini Professionali e sulla qualifica di persone esercenti un servizio di pubblica necessità data dalla legge, ma contemporaneamente ha espressamente evidenziato che l’obbligo di un’immediata prestazione da parte di qualunque medico chiamato discende se, nell’assoluta urgenza, il soccorso sanitario è impossibile o difficoltoso a prestarsi da parte delle autorità mediche preposte.

La lettura in chiave penale del Codice Deontologico, in virtù dell’art. 43 c.p., se priva di alcune delimitazioni, crea sicuramente non pochi problemi al medico, che dovrebbe adottare delle condotte del tutto particolari rispetto ai consociati, vincolate al solo fatto di appartenere ad una categoria sociale, il cui comportamento è regolamentato da una serie di doveri morali ed etici previsti dal Codice. Ad ogni singolo medico si richiederebbe, nella vita privata o libero professionale, un impegno maggiore rispetto agli altri cittadini per ottemperare alla disposizione ex art. 593 c.p. La dottrina e la giurisprudenza al riguardo non è univoca nella propria interpretazione in quanto accanto a chi sostiene che la violazione delle norme del Codice Deontologico Medico non configuri di per sé violazione di regole doverose di condotta di rilevanza penale, vi è chi si colloca in una posizione diversa19,20.

Tuttavia rimane nella dottrina e nella giurisprudenza, e forse anche nella coscienza umana, il fatto di dover riconoscere una mancanza legislativa, che non è in grado di porre una soluzione chiara di fronte al caso drammatico di una assistenza medica necessaria ed urgente che veniva rifiutata.21

Il fulcro per il medico libero professionista, per la realizzazione della fattispecie ex art. 593 c.p., si trova infatti sull’espressione “trovando”, estesa al caso in cui è chiamato a prestare assistenza, dando rilevanza all’informazione fornita da terzi. Questa ampia lettura del termine fu poi respinta, sia perché si avvertiva una forzatura eccessiva nell’interpretazione, sia per il suo cozzare contro la necessità della presenza immediata e diretta del soggetto che compie il delitto secondo l’art. 593 c.p.

Un’interpretazione legge un significato comune equivalente a “essersi imbattuto casualmente”, negando la possibilità che il medico sia venuto a conoscenza del caso per interposta persona22,23. Il reato non si può

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concretizzare al di fuori della presenza del medico, la chiamata a prestare soccorso non configura il delitto de quo, nel caso in cui il libero professionista si rifiuti di prestarlo24, anche in quanto nessuna norma di diritto positivo lo obbliga generalmente a portarlo25 ed il diniego non trova nel nostro ordinamento giuridico una precisa sanzione penale. L’espressione “trovando”

comprende anche il caso in cui la persona bisognevole di assistenza sanitaria venga portata alla presenza del medico, nel qual caso egli sarebbe nella situazione prevista dall’art. 593 c.p. e se si rifiutasse di prestare soccorso verrebbe punito o multato come prevede la norma26.

La dottrina comprende nel termine non solo i casi di percezione visiva diretta, ma anche uditiva, purché percepibile dal medico e considera omissiva anche il mancato soccorso di quei soggetti attivi che si siano trovati presenti prima che si verificasse l’evento, oppure che abbiano assistito al fatto.

L’interpretazione che estende il significato del termine “trovando” al concetto di venire a conoscenza per via indiretta, mediante informazione altrui, non è accolta in dottrina5,27 in quanto travalica nell’interpretazione estensiva, sconfinando nella vietata analogia in malam partem; perché quando il legislatore ha voluto ha inserito il concetto di venire a conoscenza e poiché vi è una lacuna che è colmabile soltanto de jure condendo.

Vi è poi il requisito dell’urgenza: situazione di estrema gravità, che richiede soluzioni ed interventi immediati, privi di indugi pregiudizievoli per la vita del paziente, improcrastinabili nel tempo.

La prima condotta è l’avviso immediato delle Autorità, come richiesto al primo e al secondo comma, successivamente prestare l’assistenza occorrente, come richiesto dal secondo comma.

A grandi linee si può descrivere quale comportamento è richiesto dalla legge penale al libero professionista.

Nel caso in cui il medico si imbatta, ossia venga direttamente a contatto, attraverso i propri organi sensoriali, della necessità di prestare assistenza urgente con la propria opera sanitaria, ha l’obbligo di intervenire tecnicamente, adottando quei provvedimenti medici di cui è capace e che in quel momento è in grado di prestare. Per assistenza si intende quel soccorso che è necessario portare, tenuto conto del modo, del luogo, dei mezzi e del tempo per evitare il danno che si profila.

In questo caso il libero professionista, ove se ne astenga o rifiuti la prestazione medica urgente, incorre nel reato di omissione di soccorso.

La Suprema Corte di Cassazione ha infatti affermato che “il reato di omissione di soccorso si realizza con la condotta omissiva da parte dell’agente, il quale non pone in essere quell’attività assistenziale diretta a portare le occorrenti, utili ed adeguate forme di aiuto e soccorso a favore del soggetto in pericolo”, (nelle fattispecie ha ravvisato la sussistenza del reato nel comportamento del medico che, inviato da un agente di pubblica sicurezza a prestare i soccorsi necessari ad una donna rinvenuta priva di sensi nella sua abitazione, si rifiutò di recarsi sul posto, limitandosi a consigliare di chiamare una autoambulanza e di far ricoverare la donna in

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ospedale)28.

Il carattere di urgenza deve essere valutato caso per caso, sulla base dell’esperienza professionale e sull’autenticità del pericolo, valutata dal medico21,23. E’ lecito di conseguenza considerare che nel caso in cui la prestazione medica sia effettuata in condizioni di particolari difficoltà di carattere tecnico, la condotta del sanitario non sarà imputabile, in quanto egli pur potendo prevedere la propria inadeguatezza di fronte al caso specifico, non può in ogni caso astenersi dall’intervenire29. È la mancata valutazione, per astensione dall’agire come richiede la norma, che fa ricadere nel reato ex art. 593 c.p., a meno che il medico non dimostri una causa legittima di impedimento, che non gli abbia consentito di portare con la dovuta sollecitudine il soccorso necessario, non avendo però valore liberatorio l’accampare la mancanza di strumentario adatto o l’incompetenza specialistica.

Nel caso in cui sia riferita o riportata al medico libero professionista una richiesta di soccorso, sebbene la norma deontologica vuole che si intervenga, la più recente giurisprudenza e dottrina fanno venir meno l’obbligo di assistenza, per mancanza del requisito del ritrovamento, e di conseguenza la punibilità, in quanto deve essere un atto del soggetto attivo del reato (il medico che omette), la situazione di pericolo deve essere apprezzata dal medico stesso e non basata sulle notizie di terzi, magari allarmati ed in preda a sollecitazioni psico-emotive. Il vincolo all’assistenza è quindi stabilito dall’esposizione al pericolo del soggetto passivo, ossia alla probabilità del verificarsi di un evento. Essa va commisurata non astrattamente, ma con riferimento al patrimonio personale di scienza ed esperienza del singolo obbligato, sì da scegliere di volta in volta gli strumenti ritenuti idonei per fronteggiare la situazione di pericolo3,27. Il limite della condotta punibile è segnato dall’art. 54 c.p., che esclude la punibilità ogni qualvolta l’omittente non abbia compiuto l’azione richiesta in quanto “costretto dalla necessità di salvare sé… dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile…”5,27.

In condizioni normali quindi il rifiuto è del tutto legittimo, dato che il libero professionista, nella qualità di incaricato di un servizio di pubblica necessità, non ha sempre l’obbligo incondizionato di intervenire personalmente. Tutto sta nella ratio del rifiuto, che permane legittimo fino a quando non supera il confine sfuggente tra urgenza o non. Là dove egli abbia dimostrazione convincente del reale pericolo della persona cui necessita il soccorso e che al momento non vi siano altre soluzioni più confacenti al concreto interesse della persona stessa, ha l’obbligo di intervenire. Questa doverosità discende per l’appunto dalla dimensione pubblica dell’esercizio della medicina, il cui mancato rispetto vanificherebbe l’attività stessa garantita dallo Stato30.

GIUDICE DI PACE

Con l’emanazione del Decreto Legislativo 28 agosto 2000 n. 274

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(disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), il reato de quo primo e secondo comma è, ex art. 4 comma 1 lettera a) ,di competenza del giudice di pace, mentre le ipotesi di cui al terzo comma rientrano nella competenza del tribunale in composizione monocratica31.

La sanzione è stabilita ex art. 52 comma 2 lettera a): “quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell'arresto alternativa a quella della multa o dell'ammenda, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire cinquecentomila a cinque milioni; se la pena detentiva è superiore nel massimo a sei mesi, si applica la predetta pena pecuniaria o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità per un periodo da dieci giorni a tre mesi”. La pena erogabile dal Giudice di Pace è la multa da lire cinquecentomila a lire cinque milioni.

Per l’imputazione del reato ex art 593 c.p., il Giudice di pace può ricorrere al perito medico legale.

Affinché possa realizzarsi l’omissione di soccorso, devono realizzarsi alcune condizioni oggettive che solo il medico legale può chiarire. I quesiti da porre sono rivolti soprattutto ad accertare l’elemento materiale del reato descritto dalla norma. La stessa infatti, come ampiamente discusso in precedenza, tutela la vita e l’incolumità fisica, oggetto di studio della dottrina medico legale.

Affinché si configuri la violazione della norma deve sussistere un pericolo per questi beni.

Al primo comma si incontra immediatamente un elemento squisitamente di carattere medico legale: la malattia di mente o di corpo.

Nella formulazione dei quesiti peritali, la prima domanda da rivolgere al perito è:

“se era presente, al momento della commissione del reato, una malattia di corpo o di mente in grado di causare nel soggetto passivo uno stato di incapacità a provvedere a se stesso”.

Il medico legale ha il compito di accertare se una eventuale patologia era di rilevanza tale da impossibilitare il soggetto non solo all’autodeterminazione ma anche a convogliare le proprie energie fisiche e mentali per scongiurare un pericolo per la propria vita o incolumità fisica, non quindi una qualsivoglia alterazione organica o fisica, ma solo quella capace di impedire la possibilità di ricercare coscientemente e con forza assistenza alla propria condizione di pericolo.

Il secondo comma è particolarmente ricco di tematiche medico legali.

Innanzitutto è necessario che il perito stabilisca:

“se il corpo umano era o sembrava inanimato, ossia vivo ma senza segni di vita, o esamine o svenuto”.

Caratteristica essenziale è quindi l’elemento vitale del corpo. Il reato infatti è rivolto a tutelare il bene vita e solo il soggetto passivo del reato che la possiede può essere oggetto di tutela da parte della norma in esame. Fattore

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essenziale è la mancata apparente manifestazione di segni di vita.

Un altro aspetto della norma è:

la presenza di ferite.

La norma non specifica l’entità della ferita, ma devono essere tali da determinare un danno ulteriore per l’incolumità fisica o un pericolo per la vita.

Vi è poi:

l’omissione dell’assistenza occorrente.

È necessario che il Giudice acquisisca dal medico legale le informazioni specifiche del caso, riguardanti il soccorso sanitario, ossia quelle cure occorrenti utili ed adeguate, che potevano portarsi tenuto conto del modo, del luogo, dei mezzi e del tempo per evitare il danno che si profilava.

Un ultimo quesito può interessare il soggetto attivo del reato. Al medico legale dovrebbe essere posto l’interrogativo riguardante:

il carattere dell’urgenza.

Si deve valutarla caso per caso, sulla base dell’esperienza professionale e sull’autenticità del pericolo valutata dal soggetto attivo del reato, cioè se la situazione emergenziale poteva essere desunta come tale da parte del soggetto attivo e quindi necessitava di assistenza.

Il Giudice di pace con le risposte acquisite può, unitamente alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato, stabilire se, verificate tutte le condizioni richieste dall’art. 593 c.p., si sia commesso il delitto di omissione di soccorso.

CONCLUSIONI

Alcuni Autori, alla luce dei nuovi orientamenti giurisprudenziali, ritengono superata la tesi secondo cui risponde del reato ex art. 593 c.p. il medico libero professionista che, informato dell’urgenza di soccorrere un uomo colpito da malore, si rifiuta di prestare soccorso.

Sebbene l’omissione di soccorso sia deplorevole deontologicamente, nel diritto penale l’attuale dottrina e giurisprudenza pongono dei limiti all’obbligatorietà dell’intervento del medico. Alcuni Autori sottolineano infatti che l’imperativo morale di intervenire rischia di indurre ancora l’antico equivoco interpretativo per la Medicina, fra una professione giuridicamente regolamentata da norme ed una missione umanitaria ed altruistica, ancora connotata da troppe contraddizioni ed incongruità32.

Il sottile confine tra l’intervento ed il diritto al rifiuto non può essere valutato in astratto, ma analizzando il fatto obiettivo nella sua concretezza, per comprendere se l’omissione del medico si sia realizzata negli aspetti materiali e soggettivi del reato.

Il medico libero professionista, o meglio l’esercente un servizio di pubblica necessità, è vincolato dall’unico obbligo giuridico, nei confronti del pericolante, dettato dall’art 593 c.p. con le limitazione prima esposte, dettate dalla recente giurisprudenza, sempre che non abbia con lo stesso un rapporto contrattuale derivante dal diritto privato. Come già affermato, è la

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ratio del rifiuto che discrimina il limite sfuggente tra urgenza e no, obbligo di attivarsi e no.

L’art. 593 c.p. all’ultimo capoverso fissa l’aggravante per tale delitto:

”…Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata”. Appare chiaro come la sua applicabilità sia legata strettamente all’accertamento del nesso di causa tra la condotta omissiva e la lesione o la morte che ne è derivata. Al medico libero professionista omittente sarebbe accollata l’aggravante solo nel caso in cui si dimostrasse che la lesione o la morte non si sarebbero verificate se avesse adempiuto al suo dovere.

Può sorgere il dubbio che il reato di omissione di soccorso possa concorrere con i delitti di omicidio doloso o preterintenzionale ovvero di lesioni volontarie. Questa perplessità è stata dipanata dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto il reato ex art. 593 c.p. non configurabile con il concorso dei delitti prima citati. In maniera analoga l’art. 593 c.p. non concorre con l’art. 586 c.p. (omicidio quale conseguenza di altro delitto), in quanto non si può porre a carico di un’agente un reato di danno e contemporaneamente addebitargli lo stesso quale conseguenza di un reato di pericolo (Cass. 1984; Cass. 1988).

Tale orientamento è stato ultimamente espresso anche dal tribunale di Ivrea in una recente sentenza del giugno 2001, in cui il giudice ha affermato che non può configurarsi il concorso tra i delitti di lesioni volontarie e l’omissione di soccorso33.

L’omissione di soccorso ex art. 593 c.p. è un reato anche per il codice della strada ex art. 189. Il concorso tra i due articoli dei codici è stato affrontato dalla Suprema Corte, che ha affermato che “per il principio di specialità sancito dall’art. 15 cod. pen., non può configurarsi il concorso formale tra il reato di cui all’art. 133, terzo comma, del codice stradale (ora art. 189) e il delitto di omissione di soccorso di cui all’art. 593, secondo comma, cod. pen., con la conseguenza che potrà ravvisarsi o l’una o l’altra delle due ipotesi criminose a seconda della situazione nella quale l’autore del reato è venuto a trovarsi tra le due norme incriminatrici esiste invero un rapporto da genus ad speciem, in quanto la prima contiene tutti gli estremi della seconda, ai quali si aggiungono altri elementi attinenti alla qualità di conducente e alla circostanza dell’investimento stradale.”34

In maniera differente si è invece espressa la stessa Corte nel caso in cui sia interessato del delitto il passeggero di un veicolo da altri guidato:

“risponde del delitto di cui al secondo comma dell’art. 593 cod. pen. il passeggero di un veicolo da altri guidato, che sia stato causa di un incidente, il quale, avendo la consapevolezza dell’investimento di persona, senza partecipare al reato di fuga del conducente, ometta di dare avviso all’autorità dell’avvenuto incidente, appena ciò gli sia possibile, oppure, tornato sul posto, ometta di prestare alla vittima il necessario soccorso. Il reato è escluso in caso di morte istantanea dell’investito.”35

Se nell’eventualità che il medico si “imbatta” nel soccorrendo appare

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pacifica l’obbligatorietà dell’intervento medico, in quella in cui venga a conoscenza dello stato di bisogno permangono ancora dubbi per il giudice di merito, mentre non sussistono in ambito disciplinare ordinistico in quanto l’omissione di soccorso è un’azione moralmente deplorevole per chiunque ed in particolar modo per il medico, figura costituzionale incaricata di tutelare, per quanto è consentito dalla scienza medica, la salute della persona.

L’art. 593 c.p. ricade tra le competenze del Giudice di pace. L’aiuto fornito da parte del medico legale riveste un ruolo di primaria importanza per inquadrare il delitto di omissione di soccorso. Al perito vanno rivolti quesiti specifici così da mettere il Giudice di pace in condizioni di giudicare l’evento e metterlo in relazione causale con il danno, sì da poter affermane che vi è stata la violazione dell’art. 593 c.p.

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17 Cass Sez V del 12-7-1994. In: Giust. pen., 1995; II: 388 18 Cass., Sez. IV, 21-05-1998. In: Ced Cass., rv. 212144 (m) 19 Iadecola G. Il medico e la legge penale. CEDAM, 1993, Padova.

20 Bilancetti M. La responsabilità penale e civile del medico. CEDAM, III Ed, 1998, Padova.

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28 Cass Sez V, sent. N. 9135 del 19-12-1973 (ud 23-10-1973). In: CED, rv 88421.

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34 Cass. Sez. IV del 9.4.1969 n. 62 (ud. 15.1.1969). In: CED rv 110984.

35 Cass. Sez. IV del 9.4.1969 n. 62 (ud. 15-1-1969). In : CED rv. 110985.

Riferimenti

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