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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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CRITERI D’INDAGINE E PROTOCOLLI DI VALUTAZIONE INERENTI LA PROBLEMATICA DELLA SOFFERENZA FETALE, IN RAPPORTO AL RISCHIO DI UN’EVENTUALE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA: ASPETTI CLINICI,

METODOLOGICI E APPLICATIVI. CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI Dr.ssa Maria Luisa Crisafulli

*

Dr. Angelo Porrone

**

– Dr. Gianfranco Magnelli

***

RIASSUNTO

Gli autori, prendendo spunto dall’argomento, inerente la problematica relativa alla condizione definita come “sofferenza fetale” pre - partum, ne analizzano gli aspetti clinici fondamentali ed i protocolli previsti in ostetricia, partendo, soprattutto dalla definizione ipotizzabile della stessa, che non trova univoca applicazione in rapporto ai dati della letteratura specifica del settore, nonché gli approcci squisitamente di tipo preventivo, terapeutico e, più in generale, metodologico – applicativi, utilizzabili in

* Dirigente Medico Legale I° Livello - Coordinamento Generale Medico Legale INPS Roma – Specialista in Ostetricia e Ginecologia – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni.

**Dirigente Medico Legale II° Livello - Centro Medico Legale INPS Frosinone - Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni - Specialista in Medicina del Lavoro - Specialista in Oncologia – Specialista in Dermatologia e Venereologia.

*** Dirigente Medico Legale I° Livello - Coordinamento Generale Medico Legale INPS Roma – Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni - Specialista in Oncologia.

ABSTRACT

The authors analyse the fundamental clinical aspects and the scheduled protocols in obstetrics for the condition defined as “pre-partum fetal suffering”, starting from the definition itself that has no univocal application in the specific literature of the sector.

Legal-medical reflections concern exploitation of signs and symptoms related to the pathological condition of fetal suffering, therapeutic remedies, evaluation of possible cerebral damage, consequences of verified omissions in the behaviour of doctors and correlated elements of guilt.

In particular, evaluations are carried out in order to fix useful parameters to distinguish cerebral results caused by an acute “intra-partum” hypoxic event from other neurological damages at birth due to other causes.

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situazioni più o meno stabili o di assoluta emergenza, in rapporto alle manifestazioni morbose in atto.

Altro argomento spinoso, in effetti, riguarda, poi, proprio la diagnosi di “sofferenza fetale”, laddove, altrettanto, non è sempre possibile, con le attuali metodiche diagnostiche disponibili, valutare con rigorosa obiettività ovvero monitorare costantemente, nella totalità dei casi, il benessere fetale, presentandosi, talora la situazione clinica ostetrica in modo alquanto subdolo e tale da non permettere sempre di formulare, criteri generali di condotta di valenza assoluta.

Entrando, quindi nello specifico, gli autori passano in rassegna proprio i parametri principali in grado di permettere di testare il grado di benessere e vitalità del feto, specie nelle ultime settimane di gravidanza, laddove, più correttamente, occorre valutare, prima del travaglio, l’apporto materno, tramite la flussimetria, la funzione placentare, con l’ecografia, capace di fornire informazioni sia sulle dimensioni della stessa che sul suo stato di eventuale senescenza, e con gli ormoni placentari:

In effetti il livello di crescita del feto può essere indagato sempre con l’ecografia, capace anche di apprezzare bene i movimenti fetali e la vitalità del feto.

Peraltro l’ecografia, è, altresì, in grado, in particolare, di valutare anche il volume del liquido amniotico, onde accertare l’esistenza di un oligoidramnios o di un polidramnios, condizioni tali già da sole in grado di creare allarme sull’esistenza di una potenziale sofferenza fetale in atto.

Vengono, poi, soprattutto esaminate le metodiche all’uopo utilizzate nelle immediate vicinanze del travaglio, per evidenziare prontamente un’eventuale condizione di sofferenza fetale in fieri, laddove, la cardiotocografia, in primis, con la descrizione delle varie anomalie del tracciato rilevabili e del significato prognostico attribuibile alle stesse, nonché la valutazione dei limiti stessi della metodica, per i falsi negativi e positivi talora accertabili, il partogramma, relativo alla dilatazione cervicale e alla discesa della testa del nascituro, ancora l’ecografia e la flussimetria, eventualmente l’elettrocardiografia indiretta del bambino, dall’addome materno, o quella diretta dalla testa del bambino, in caso di membrane rotte, o, infine il monitoraggio biochimico, sembrano rivestire un ruolo essenziale nella disamina del caso in specie, ai fini della constatazione di una sofferenza fetale.

Da ultimo, sicuramente meritevole di osservazione sembra la situazione di una gravidanza ad alto od altissimo rischio, ciò che potrebbe predisporre ampiamente ad una situazione di sofferenza fetale cronica o acuta, all’atto del travaglio, per cui una diagnosi puntuale e rigorosa in tal senso appare essenziale proprio per evitare ripercussioni gravi sul nascituro ed eventuale responsabilità professionale a carico del medico che non abbia ben valutato la situazione clinica e non abbia predisposto gli opportuni presidi terapeutici.

Le riflessioni medico legali finali, pertanto, ineriscono le varie condizioni morbose di sofferenza fetale evidenziabili, in forma acuta e cronica, le linee guida utilizzabili, in tal senso, circa i rimedi terapeutici di volta in volta attuabili, le conseguenze delle

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omissioni nell’ambito della condotta medica verificabili, specie in condizioni di acuzie come, ad esempio, una situazione ipossica dovuta ad emorragia da distacco placentare, la valutazione delle eventuali conseguenze cerebropatiche legate al danno ipossico realizzatosi, gli elementi di colpa eventualmente individuabili nell’ambito della condotta medica, in rapporto soprattutto alla valutazione di parametri utili a distinguere gli esiti cerebrali derivanti da un evento ipossico acuto intrapartum da altre forme neurologiche rilevabili alla nascita ma dovute ad altre cause.

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INTRODUZIONE

L’asfissia fetale intra partum rappresenta una causa importante di mortalità perinatale.

Negli USA, da un’indagine condotta nel 1993, risulta che si erano verificati 700 decessi di bambini alla nascita, con una percentuale di soccombenza di circa il 17,3 per 100 mila nati vivi.

Tale dato va comunque riletto alla luce del fatto che in molti casi neonati in situazioni di ipossia intrauterina necessitano di manovre rianimatorie e altri manifestano complicanze importanti, quali acidosi e convulsioni meritevoli in ogni caso di pronto intervento, per cui il problema della sofferenza fetale alla nascita appare assai più complesso di una fredda disamina dei dati di incidenza annuale della mortalità perinatale o connatale, per assumere dimensioni sicuramente più macroscopiche.

La gran parte dei feti è, in verità, in grado di sopportare una ipossia intrauterina nel corso del travaglio senza, poi, soffrire di complicanze alla nascita, ma il solo sospetto di sofferenza fetale in atto incide sensibilmente sulla probabilità di un parto cesareo ai fini dell’espletamento dello stesso.

Non è ancora del tutto nota l’esatta incidenza della sofferenza fetale intra partum.

In base ai certificati di nascita, negli USA, nel 1991, l’incidenza di tale patologia ammontava ad una cifra pari a 42,9 su 1.000 nati vivi, con picchi maggiori per le fasce di età < a 20 anni e > di 40 anni, ovvero di razza nera.

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La tecnica principale universalmente accettata per lo screening della sofferenza fetale e dell’ipossia nel corso del travaglio è, sicuramente la misurazione della frequenza cardiaca fetale.

La rilevazione delle caratteristiche della frequenza cardiaca fetale è possibile nel corso del monitoraggio sia manuale, con auscultazione, che elettronico, con la cardiotocografia.

All’incremento di probabilità dell’esistenza di una sofferenza fetale in atto legato a tali rilievi non è però attribuibile valore diagnostico assoluto, per la possibilità evidente di falsi positivi.

D’altronde frequenze cardiache normali o dubbie non escludono la possibilità della diagnosi di sofferenza fetale, onde anche l’esistenza di diversi falsi negativi.

Non esistono peraltro dati certi circa la percentuale dei falsi positivi o negativi possibili, mancando, peraltro, una definizione precisa di sofferenza fetale.

Per lungo tempo, pertanto, l’acidosi e l’ipossiemia, verificati attraverso la determinazione del pH sullo scalpo fetale, sono stati ritenuti parametri molto attendibili di sofferenza fetale in atto, sia in campo clinico che di ricerca, ma attualmente appare acclarato che nessuno dei due predetti dati possa essere ritenuto sicuro marker in senso diagnostico di sofferenza fetale.

Pur tuttavia la cardiotocografia è sicuramente in grado di identificare numerosi casi di sofferenza fetale ed è, pertanto, utilizzata per il monitoraggio di routine delle donne in travaglio.

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L’utilizzo della metodica può definirsi, al momento pressoché universale, specie nei paesi occidentali, laddove, nel 1991, negli USA è stata utilizzata in oltre il 75 % dei casi.

Esistono due fattori in grado di interferire con l’affidabilità e l’accuratezza della metodica, riguardo alla pratica clinica corrente, ed essi sono rappresentati da:

·

metodo impiegato per misurare l’attività cardiaca fetale, e

·

variabilità associata all’interpretazione del tracciato.

Riguardo al primo fattore da tenere in considerazione è da ritenersi che la massima accuratezza venga o verrebbe raggiunta quando l’elettrodo venga applicato direttamente sullo scalpo fetale, ciò che sottintende una metodica di tipo invasivo, con amniotomia ed eventuali complicanze ipotizzabili a carico del feto.

E’ questo il metodo principalmente utilizzato negli studi clinici .

Infatti rispetto a metodi più tradizionali che utilizzano, ad es., l’ecografia esterna, esiste uno scarto di circa il 20 – 25 % riguardo alla frequenza dei tracciati, con differenze valutabili, in tal senso, mediamente intorno a 5 battiti al minuto fra la rilevazione diretta sullo scalpo del feto e l’ecografia esterna.

Da ciò deriva l’assunto che l’ecografia esterna e l’auscultazione diretta del battito fetale da parte del medico rappresentano delle metodiche gravate da una certa consistente percentuale di errore in termini di attendibilità diagnostica.

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Esiste, inoltre un altro importante limite dell’impiego su larga scala della cardiotocografia che è rappresentato dalla mancanza di univocità nell’interpretazione dei risultati, legata spesso all’inesperienza dei clinici osservatori, con una quota conseguente più elevata di risultati scorretti e di interventi terapeutici non necessari, specie verificabile negli ospedali più piccoli e periferici.

In ogni caso appare chiaro che, in base a studi osservazionali svolti negli anni ‘60 e ’70, una diagnosi precoce di sofferenza fetale nel corso del travaglio, ottenuta grazie all’uso del monitoraggio elettronico fetale è in grado di prevenire e ridurre il rischio di morte intra partum, morte neonatale e deficit dello sviluppo neurologico malgrado i limiti di carattere metodologico evidenziati in precedenza.

Molti studi effettuati in precedenza, finalizzati a confrontare il monitoraggio elettronico fetale, con o senza il prelievo di sangue dallo scalpo fetale, con il monitoraggio clinico attivo, con auscultazione intermittente, ad intervalli di 15 minuti, tra il primo e il secondo stadio del travaglio, non hanno consentito di rilevare differenze significative fra i diversi gruppi, sia in termini di morte intra partum o perinatale, che di morbilità materna o neonatale che di indice di Apgar che, infine, di emogasanalisi condotta su cordone ombelicale o di necessità di ventilazione assistita o di ricoveri in terapia intensiva, malgrado che gli studi stessi, in teoria, possano essere stati gravati da qualche errore sistematico di randomizzazione.

Malgrado ciò è importante sapere che, spesso, vista la dimensione dei campioni utilizzati, gli intervalli di confidenza delle stime di rischio di morte perinatale sono tali da

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non poter escludere, a priori, possibili aumenti o diminuzioni della mortalità, statisticamente e clinicamente significativi.

La riduzione del rischio, dovuta all’uso di tecniche più raffinate o invasive, in base a studi successivi, parrebbe significativa solo in rapporto a travagli prolungati o all’uso di ossitocina per indurre il parto.

Non è, comunque, ben accertato in che misura i neonati possano davvero trarre benefico riguardo alla prevenzione delle convulsioni neonatali in rapporto all’uso del monitoraggio.

Le convulsioni rappresentano, da sé, un fattore prognostico sfavorevole ai fini dell’incidenza della morte intra partum o di sequele neurologiche a distanza.

Degli studi clinici hanno stabilito che la paralisi cerebrale ha un’incidenza media variabile da 1,5 a 1,8 casi per mille nati.

L’utilizzo della metodica del monitoraggio fetale elettronico continuo ha comportato, in base alla metanalisi, un incremento, in generale, da 1,3 a 2,7 volte del rischio di parto cesareo e un aumento da 2,0 a 4,1 volte del rischio di parto cesareo per sofferenza fetale.

Le varie associazioni di Ostetricia e Ginecologia americane consigliano un monitoraggio fetale particolarmente intensivo in caso di gravidanza ad alto rischio, sia con monitoraggio fetale elettronico che con auscultazione intermittente, a seconda delle risorse localmente disponibili.

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In particolare le Linee Guida internazionali raccomandano, per le gravidanze a basso rischio in donne sane, in travaglio di parto, una rilevazione intermittente del battito cardiaco fetale, mentre il monitoraggio continuo è raccomandato solo nelle gravidanze a rischio (rilevazione di una frequenza < 110 o > 160 battiti per minuto, presenza di qualsiasi decelerazione, presenza di eventuali altri fattori di rischio intrapartum, di carattere locale o generale).

Nonostante l’esistenza di talune incertezze circa l’accuratezza e l’affidabilità della cardiotocografia nell’identificare i casi di sofferenza fetale, tale metodica rimane un cardine della diagnostica in travaglio di parto.

Esistono, peraltro, dati confortanti nell’affermare, senza tema di smentita, che la metodica fetale elettronica sia in grado di ridurre il rischio di convulsioni neonatali, in caso di travaglio prolungato o indotto con ossitocina.

Condizioni materne più o meno stabili, come febbre, cali pressori, malattie preesistenti, digiuni prolungati, farmaci, ovvero condizioni fetali patologiche, come malattie cardiache congenite, cerebrali o di altro genere, situazioni fisiologiche, come stati di sonno e veglia, epoca gestazionale, ecc., sono tutti fattori in grado di influenzare la variabilità e le alterazioni del tracciato cardiotocografico.

Il tracciato cardiotocografico dimostra, in ogni caso, un ruolo importante nella riduzione della mortalità intrauterina in caso di gravidanza ad alto rischio.

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Importante si rivela, talvolta il ruolo della cardiotocografia nelle gravidanze post termine, poco in quelle pretermine, abbastanza nelle gravidanze multiple, apparendo dubbio il significato del tracciato in caso di diabete gestazionale.

L’incidenza della asfissia fetale intrapartum è stata calcolata nell’ordine del 20/1.000 nati, con morbilità, per asfissie più o meno severe, nell’ordine del 3-4/1.000 nati.

Altri limiti della CTG derivano da aspetti tecnici secondari, come la diversa taratura degli strumenti diagnostici, la diversa velocità di registrazione dei tracciati utilizzabile, a 1,2 o 3 cm/min., e, in particolare dalla variabilità interpretativa intra o inter osservatore.

Sono in atto dei tentativi atti ad utilizzare una CTG computerizzata rispetto a quella tradizionale, sia per superare il limite della bassa riproducibilità della CTG tradizionale che per mettere a punto dei software in grado di diagnosticare in modo oggettivo i vari tracciati, senza l’ausilio dell’osservatore.

La CTG si rivela, di fatto, un ottimo supporto all’indagine ecografica e flussimetrica, nell’ambito della sorveglianza materno – fetale, nei periodi ante partum e intra partum.

Un suo utilizzo ottimale prevede:

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una buona conoscenza delle linee guida;

·

un’analisi competente e dettagliata dei tracciati;

·

il confronto con i dati clinici disponibili;

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·

il confronto con i precedenti tracciati;

·

integrazione con altre metodiche, quali, emogasanalisi, flussimetria, ecocardiografia fetale, eventualmente, ossimetria fetale pulsata.

Andando, poi, nelle specifiche tecniche della cardiotocografia classica convenzionale, è da considerare che la metodica è atta a registrare in maniera continua e contestuale, la frequenza cardiaca fetale e l’attività contrattile uterina, in modo tale da correlarle fra loro e svelare il più precocemente possibile situazioni di rischio legate a condizioni di sofferenza fetale.

Il monitoraggio continuo mediante cardiotocografia (CTG) è finalizzato ad un pronto intervento, prevalentemente o esclusivamente con parto cesareo immediato, laddove si abbia la percezione di un insulto ipossico durante il travaglio.

Non si tratta, in ogni caso di una condizione, quella dell’ipossia intrapartum, estremamente ricorrente, in rapporto alle sequele neurologiche post partum, poiché, in base a statistiche di uso corrente, si è dimostrato che la stragrande maggioranza delle paralisi spastiche infantili e di altre complicanze neurologiche neonatali sono da attribuire a insulti che si verificano prima dell'inizio del travaglio (paralisi cerebrale).

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I parametri fondamentali che vanno ricercati e valutati in un tracciato cardiotocografico sono, essenzialmente, in rapporto alla frequenza cardiaca basale, che è rappresentata dalla frequenza media cardiaca fetale (almeno 60 sec.) misurata fra due contrazioni uterine, essendo, normalmente la frequenza cardiaca basale variabile tra 120-160 batt/min; sono, quindi da ritenersi essenzialmente i seguenti:

A. variazioni della frequenza cardiaca basale, che si definiscono:

1. Tachicardia: per frequenze maggiori di 160 batt/min.: è prevalentemente attribuibile ad iperpiressia materna, ad utilizzo di farmaci beta mimetici, ad ipossia fetale transitoria, dovuta a stimolazione sistema ortosimpatico;

2. Bradicardia: in casi di frequenza minore di 120 batt/min., distinguibile in:

·

cronica: con riduzione della frequenza del nodo seno-atriale a circa 100-110 batt/min.; prevale nelle gravidanze oltre il termine;

·

acuta: con riduzione della frequenza, accertabile per differenza con il restante tracciato, rispetto alla linea di base, della durata di almeno 5 min.: è in genere segno di insulto ipossico e, quindi di sofferenza fetale acuta da danno ipossico in atto;

B. Variabilità (intrinseca): riguarda la variazione subita dalla frequenza cardiaca basale, di breve durata (pochi secondi), di tipo più o meno continuativo e di ampiezza

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diversa a seconda dei casi: è influenzata dal sistema nervoso autonomo del cuore fetale.

Le accelerazioni sono rappresentate da variazioni della frequenza basale, rispetto alla linea di base, in cui si ha un incremento di 15 battiti per almeno 15 secondi;

possono essere sporadiche o presentarsi in corrispondenza di contrazioni o movimenti attivi fetali.

Le decelerazioni sono riduzioni della frequenza basale di durata relativamente lunga (da 20 sec a 60 sec.) che, in rapporto alle contrazioni, possono essere:

1. precoci: iniziano e terminano contemporaneamente alla contrazione, sono benigne ed indicano compressione della testa fetale con stimolazione dei centri vagali.

2. tardive: iniziano con un certo ritardo rispetto all'inizio della contrazione uterina e la loro durata supera quella della contrazione stessa. Hanno un significato prognostico sfavorevole anche quando sono di ampiezza ridotta e diventano allarmanti se associate a perdita della variabilità e a tachicardia; sono anche segno di ipotensione della donna se in posizione supina.

3. variabili: iniziano e terminano in modo variabile rispetto alla contrazione uterina.

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Da sole se non confortate da altre anomalie della Frequenza Cardiaca Fetale non sono associate ad esiti neonatali.

Riguardo, poi, alle Contrazioni uterine, ai fini diagnostici è necessario verificare l'entità, il ritmo e la durata delle contrazioni uterine per un'adeguata gestione del travaglio, in modo tale che è possibile individuare una IPOCINESIA, per contrazioni ritmiche ma di scarsa entità, una IPERCINESIA, per contrazioni subentranti e un IPERTONO, per contrazioni di durata superiore a 60-90 secondi.

Le manovre più indicate e i rimedi possibili e, nel caso dell’esistenza di elementi sospetti al tracciato cardiotocografico, atte a rimuovere la causa, sono, da reputarsi le seguenti:

1) cambiamento di posizione della gravida;

2) esplorazione vaginale per verificare l’esistenza o meno di un prolasso del funicolo;

3) sospensione dell’eventuale infusione di ossitocina;

4) somministrazione di ossigeno al 100% in maschera facciale ed idratazione;

5) eventuale trattamento tocolitico con betamimetici.

I rischi della tocolisi sono da ritenersi la tachicardia materna e fetale, la riduzione del potasso sierico, l’iperglicemia materna e l’ipoglicemia neonatale.

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I benefici della tocolisi sono legati al miglioramento della perfusione dello spazio intervilloso, al rallentamento delle contrazioni uterine, alla riduzione della compressione sul funicolo, e, infine, al miglioramento dell'ossigenazione e del pH fetale.

PH-METRIA

La pH-metria è la tecnica che consente, grazie all'effettuazione di un microprelievo di sangue dalla cute dello scalpo fetale mediante amnioscopio, di valutarne lo stato di acidemia e, indirettamente, quello di ossigenazione.

Il vantaggio principale è quello di permettere di avere un dato fedele dello stato di ossigenazione fetale.

I limiti sono legati, essenzialmente al fatto che si tratta di una manovra invasiva che può essere utilizzabile solo a travaglio avanzato, per la necessità di dilatazione in grado di consentire l'introduzione di un amnioscopio nel collo dell'utero, essendo in presenza di membrane rotte; peraltro può essere inficiata da liquido tinto e ha necessità di valutazioni seriate.

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PULSIOSSIMETRIA

La pulsiossimetria è l'ossimetria pulsata, una metodica di recente acquisizione in ambito ostetrico, che consente di monitorare il benessere fetale durante il travaglio di parto in maniera costante ("real time") e diretta mediante la misurazione della saturazione di O2 nel sangue fetale.

Questa tecnica si basa sull’uso di un saturimetro, costituito da un monitor e da una sonda, che viene applicata sulla guancia del feto.

SPETTROSCOPIA

La Spettroscopia vicino-infrarosso (NIRS) è un metodo che utilizza la luce ad infrarossi per misurare il flusso di ossigeno attraverso il cervello. Si può usare per tentare di vedere se un feto è a rischio di danno di cervello da mancanza di ossigeno durante il travaglio.

La NIRS è una metodica che prevede l’utilizzo di un cavo inserito attraverso la cervice (aprendo il collo dell'utero) e fino alla testa del bambino.

La luce vicino agli infrarossi è emessa poi attraverso il cranio e cervello. Non esistono evidenze statistiche sulla sua effettiva validità.

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Ci sono, in ogni caso, delle raccomandazioni dettate dalla varie associazioni americane, fondate su prove di efficacia attendibili e coerenti fra loro che sembrano dimostrare i seguenti asserti:

·

la frequenza dei falsi positivi legati all’uso indiscriminato del monitoraggio fetale elettronico è piuttosto elevata;

·

l’utilizzo indiscriminato della metodica è associato ad un tasso elevato di interventi operativi, quali il taglio cesareo, l’uso del forcipe, ecc.;

·

la cardiotocografia non sembra in grado di ridurre i tassi di paralisi cerebrale.

Altre raccomandazioni indicano che:

·

il travaglio di parto di donne partorienti che versano in condizioni di alto rischio andrebbe monitorato in maniera continuativa;

·

non esistono, attualmente indicazioni certe sull’utilizzo della ossimetria pulsatile fetale nella pratica clinica quotidiana.

Ai fini medico legali tali considerazioni sembrano svolgere un ruolo significativo, unite al fatto che la reinterpretazione dei tracciati cardiotocografici, specie quando è ormai noto l’esito neonatale sfavorevole, non è da ritenersi affidabile e, quindi, non appare scevro da errori.

Assai interessante, in ogni caso, appare sceverare le eventuali cause di paralisi cerebrale onde poter valutare appieno l’incidenza dell’asfissia fetale intra partum fra i

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fattori scatenanti considerabili, ai fini dell’eziopatogenesi di tale grave infermità anche avvalendosi delle moderne acquisizioni della scienza a tal proposito.

Nel 1997 è stato sviluppato un interessante lavoro di raccolta della moderna letteratura, in tal senso da parte della Società Perinatale di Australia e Nuova Zelanda.

In particolare, la ricerca, avvalendosi del contributo di vari esperti dei settori afferenti, riguardava il tempo dell’insorgenza delle affezioni neurologiche e l’epoca delle manifestazioni cliniche nel periodo perinatale.

I problemi principali di tale studio apparirono subito in relazione alla validità delle tecniche di immagine e dei radiogrammi nello stabilire, retrospettivamente, l’effettivo momento d’inizio delle varie affezioni, la natura della patologia verificata e le cause determinanti riguardanti le anomalie visionate nelle immagini radiografiche.

Andavano, soprattutto escluse le cause croniche di asfissia e andavano stabiliti criteri certi per definire una danno ipossico acuto, in corso di travaglio di parto, escludendo, altresì, eventuali altre cause che erano state in grado di provocare eventi acuti neurologici.

In effetti è stato dimostrato che esistono molte altre cause in grado di condizionare l’insorgenza di paralisi cerebrale e, fra queste, vanno annoverate, nell’ordine:

·

anomalie di sviluppo;

·

malattie metaboliche;

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·

malattie autoimmunitarie o della coagulazione;

·

malattie infettive;

·

oltre, si intende, i traumi e le asfissie o le ipossie che possono, eventualmente, colpire i feti e i neonati.

In antitesi rispetto alle convinzioni e alle conclusioni del passato più o meno recente, è stato possibile, in base agli studi epidemiologici svolti nell’occasione, che nella maggior parte dei casi gli eventi che determinano la paralisi cerebrale si verificano prevalentemente nel feto prima dell’inizio del travaglio o nel neonato dopo la nascita.

Di fatto, essendo i test clinici prenatali, atti a stabilire l’effettivo benessere fetale, basati su misurazioni indirette, essi appaiono, per necessità di cose, inadeguati a verificare la funzione cerebrale del feto.

Del resto un insulto ipossico o un’asfissia, durante il travaglio, può essere sospettato in base a molti segni clinici, nessuno dei quali appare specifico per il danno ipossico e che pertanto potrebbe essere indicativo di altri fattori o di altre condizioni morbose a carico del feto.

Invece mettendo in associazione tali segni aspecifici o correlandoli con altre indagini più oggettive è possibile accertare l’esistenza dell’ipossia in modo sicuramente molto più affidabile.

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Nell’ambito della predetta revisione e del consenso su cui sono addivenuti i gruppi di lavoro, i termini “sofferenza fetale” e “asfissia” sono stati ritenuti inadeguati nella pratica clinica corrente.

Di questo avviso appaiono l'American College of Obstetricians and Gynecologists e la Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada.

Il termine "sofferenza fetale" appare insoddisfacente e impreciso, per cui andrebbe sicuramente soppiantato con l’espressione "condizione non rassicurante del feto per…", adeguatamente corredata dalla descrizione dei segni clinici o dai test, che hanno permesso di formulare tale diagnosi, come ad esempio, un’acidosi fetale di valore patologico, determinata misurando il pH del sangue mediante prelievo nell'arteria ombelicale e riscontrato di valore inferiore a 7.0.

Il termine “asfissia” è attribuito, invece, ad un difetto di scambio gassoso respiratorio, associato allo sviluppo di acidosi metabolica conseguente.

Tale termine, invero, viene utilizzato prevalentemente o esclusivamente in condizioni sperimentali, nel corso delle quali tali variazioni possono essere effettivamente oggettivate ed accertate.

Nella pratica clinica corrente l'asfissia fetale è data dall’ipossiemia progressiva e dall’ipercapnia associate ad una significativa acidosi metabolica apparendo estremamente difficoltoso o impossibile accertare l’effettiva progressione di questi cambiamenti.

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L’unico concreto elemento di valutazione, in tal senso, appare, invece, l’effettivo momento della comparsa.

In base a tale distinzione è possibile definire fetali o prenatali quei segni e sintomi che appaiono prima dell'inizio del travaglio, intraparto quelli che intervengono nel corso del travaglio fino alla completa espulsione del bambino, e neonatali quelli che si verificano dopo la nascita.

Il termine asfissia perinatale, apparendo molto più vago, viene, di norma, utilizzato quando il momento di comparsa dei segni o dei sintomi della malattia è incerto.

In base alle caratteristiche temporali, gli elementi semeiologici indicativi di perturbamento o sfavorevolezza delle funzioni possono essere anche distinti come acuti o cronici, di carattere continuo o intermittente.

L'encefalopatia neonatale riguarda la comparsa di una sindrome clinicamente ben definita, che è rappresentata da una disfunzione neurologica presente nel bambino nato a termine o vicino al termine, non la prematurità, quindi, che si evidenzia nel corso della prima settimana successiva alla nascita con problemi respiratori legati alla difficoltà di iniziare e mantenere costantemente l’atto respiratorio, riduzione del tono muscolare e iporeflessia, alterazioni del livello basale di coscienza e, sovente convulsioni.

Peraltro, non appare del tutto chiaro quali segni clinici indichino l’insorgenza di una disfunzione neurologica in bambini nati molto prematuri.

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Ai fini diagnostici la semeiotica neurologica, classicamente intesa, riferita alle forme di encefalopatia ischemica ipossica, non è assolutamente adottabile nella fattispecie, in quanto l'ipossia e l'ischemia non sono correlabili alla presenza o assenza di determinati markers clinici, intesi in senso classico neurologico, e non sembrano rispondere assolutamente ai criteri diagnostici esercitabili in occasione di eventi ipossici o ischemici cerebrali, tanto nelle forme acute che croniche.

E’ da ricordare e considerare che in oltre il 75% dei casi di insulti o lesioni encefalopatiche cerebrali non si evidenziano segni clinici di ipossia in travaglio.

La diagnosi di paralisi cerebrale avviene, di solito alcuni mesi dopo o anno dopo la nascita, quando le varie funzioni cerebrali si sono andate via via sviluppando, consistendo, in genere, in un progressivo e anomalo controllo della motilità e della postura, non esistendo, ad oggi, alcun sistema o metodo in grado di visualizzare e monitorare, nell’ambito della pratica clinica quotidiana, lo sviluppo e il funzionamento del cervello fetale.

In effetti le complicazioni principali si verificano nel periodo prenatale e riguardano circa il 90 % delle cause di paralisi cerebrale, mentre nel restante 10 % dei casi effettivamente può essere implicato il travaglio di parto, con i danni ipossici conseguenti aventi origine antecedentemente o durante il travaglio medesimo, ciò che non sempre è facile sceverare.

Nella maggior parte dei casi, stando alle statistiche di uso corrente, e, quindi in proporzione considerevole, è possibile individuare la presenza di fattori determinanti ai

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fini dell’insorgenza della paralisi cerebrale, di tipo materno o prenatale, legati, essenzialmente alla presenza di prematurità, IUGR (difetti di crescita fetale), infezioni intrauterine, difetti della coagulazione fetale, emorragia prenatale, dovuta prevalentemente o esclusivamente a distacco placentare, anomalie cromosomiche o congenite, presentazione podalica, ecc..

Circa i segni o i sintomi indicativi di una compromissione fetale, è da ritenere che variazioni della frequenza basale fetale, al tracciato cardiotocografico, o passaggio di meconio non sono da ritenersi, in alcun modo esplicativi o indicativi di una specifica particolare causa, facilmente individuabile, e neppure, di per sé, in assoluto di un danno ipossico, contraddistinguendosi per la mancanza di sensibilità e/o specificità, in tal senso.

La sola presenza, ad es., di un’acidosi metabolica, verificata attraverso l’emogasanalisi fetale o dalla misurazione del pH fetale o neonatale di sangue arterioso prelevato dal cordone ombelicale o tramite un prelievo precoce nel neonato, o in entrambi i modi, pur apparendo di indubbio valore diagnostico nei riguardi della presenza di una ipossia, non permettono di determinare alcuna altra caratterizzazione, ovverosia, se trattasi di una forma cronica, intermittente o acuta, o, comunque, di lunga durata, al punto di poter risalire, retrospettivamente, a giorni o settimane antecedenti, e neppure, ad es., se un’ipossia acuta si è verificata nel corso del travaglio o nel corso della nascita di un feto altrimenti sano, in precedenza.

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Ciò, intuitivamente, può comportare non pochi problemi di ordine clinico o, ancor più, medico legale, nel momento in cui si pone la necessità di dover attribuire o meno una determinata responsabilità professionale in rapporto al verificarsi di un certo danno ipossico fetale o neonatale.

Un’insufficienza placentare verificatasi nel III° trimestre di gravidanza e prolungata, con un’ipossia persistente e moderata nel tempo è in grado di indurre alterazioni della mielinizzazione e di crescita del cervelletto.

Un episodio ipossico della dura di circa 12 ore, esordito nel II° trimestre di gravidanza è in grado di determinare danni irreparabili alla sostanza bianca, con morte neuronale a livello dell’ippocampo, della corteccia cerebrale e del cervelletto.

Da tutto quanto precedentemente espresso, si ribadisce il concetto che, raramente, in generale, le complicazioni legate al travaglio sono collegabili epidemiologicamente col determinismo causale della paralisi cerebrale comunque verificatasi. Peraltro le lesioni cerebrali verificatesi nel feto nel corso di una cattiva gravidanza appaiono, spesso multifocali, con possibile compromissione anche del sistema autonomo che controlla il ritmo cardiaco e la respirazione.

Esiste anche l’ipotesi non peregrina che un pronto intervento messo in atto dagli operatori, in una situazione di cronica compromissione ipossica, adeguatamente individuata e segnalata, proprio per evitare o diminuire le conseguenze ipossiche legate all’espletamento di un parto anche normale, possano essere malintese ovvero interpretate come la dimostrazione indiretta e palese dell’esistenza di un danno ipossico

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acuto, onde l’attribuzione di profili di responsabilità professionale in caso di sequele neurologiche evidenziabili a posteriori, verosimilmente dovute, magari, a situazioni di ipossia cronica pregressa e non alle modalità di esplicazione del parto medesimo, con ovvi, anomali riflessi di ordine medico legale.

Dunque un danno neurologico permanente o irreversibile, quale esito finale di una situazione pregressa di cronica ipossia, perdurata nel corso della gravidanza o di gran parte di essa, può manifestarsi e definirsi nel corso del travaglio di parto, magari in un feto fino ad allora in grado di compensare ad una situazione circolatoria deficitaria, anche nel caso che l’evolversi del parto sia stato monitorato ed espletato correttamente.

In base alla attuali conoscenze non è possibile stabilire, con certezza, se un parto anticipato sia in grado, nelle gravidanze a rischio più o meno elevato, di ridurre l’incidenza di paralisi cerebrale senza incrementare il rischio di complicazioni legate alla prematurità.

Esistono, in ogni caso, livelli di evidenza capaci di suggerire se l’ipossia nel corso del travaglio di parto sia in grado di provocare un danno neurologico permanente nel nascituro, e si distinguono, a tal proposito, in criteri essenziali e criteri che insieme ne suggeriscono l’eventualità, nel secondo caso, quindi, da correlare strettamente ai primi, ai fini diagnostici specifici.

Volendoli raccogliere è possibile, pertanto distinguere:

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3.4.1 Conclusioni della "ACOG task force on neonatal encephalopathy and cerebral palsy"

CRITERI ESSENZIALI PER DEFINIRE UN EVENTO ACUTO INTRAPARTUM SUFFICIENTE A CAUSARE PARALISI CEREBRALE (DEVONO ESSERE TUTTI PRESENTI)

·

Evidenza di acidosi metabolica sul sangue dell'arteria ombelicale ottenuto alla nascita (pH <7.00 e deficit di basi > o = 12 nmol/l)

·

Insorgenza precoce di severa o moderata encefalopatia neonatale in neonati >34 o= 34 settimane di gestazione

·

Paralisi cerebrale dei tipo tetraplegia spastíca o discinetica

·

Esclusione di altre eziologie identificabili, come traumi, disordini della coagulazione, infezioni o patologie genetiche.

CRITERI CHE ASSIEME SUGGERISCONO UN TIMING INTRAPARTUM (VICINO A TRAVAGLIO E PARTO) MA CHE NON SONO SPECIFICI DI UN INSULTO IPOSSICO

·

Evento ipossico sentinella che intervenga immediatamente prima o durante il travaglio

·

Improvvisa e prolungata bradicardia fetale o assenza di variabilità dei tracciato CTG con la contemporanea presenza di decelerazíoni tardive ripetute o di decelerazioni variabili ripetute, di norma dopo un evento ipossico sentinella, con un tracciato precedentemente normale,

·

Punteggio di Apgar di 0-3 per più di 5 minuti

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·

Comparsa precoce (entro 72 ore) di coinvolgimento multisistemico

·

Evidenza precoce alla diagnostica per immagini di un'anormalità cerebrale acuta non focale

ESEMPI DI EVENTI IPOSSICI SENTINELLA

·

Rottura d'utero

·

Distacco di placenta

·

Prolasso di funicolo

·

Embolia di liquido amniotico Anemizzazione acuta fetale (da vasa previa o da emorragia feto-materna)

La dimostrazione dell’esistenza di una causa ipossica capace di determinare una paralisi cerebrale, nel corso del travaglio di parto, passa attraverso la dimostrazione della coesistenza dei quattro criteri essenziali, altrimenti resta impossibile invocarli e qualificarli come fattori discriminanti ai fini dell’insorgenza della paralisi medesima.

L’ipossia può dedursi solo mediante l’acquisizione di dati anomali desunti dall’effettuazione dell’emogasanalisi in corso di travaglio, condizione ipossica che è impossibile verificare indirettamente attraverso altri segni da ritenersi non specifici, ed è, comunque, difficile dedurre il momento d’inizio del danno cerebrale ipossico che resta, pertanto, assai dubbioso.

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Altrettanto attesa altamente è anche un’acidosi metabolica alla nascita, in caso di evento acuto ipossico dannoso nel corso del travaglio di parto, anche se tale elemento da solo, non è dimostrativo in tal senso, riscontrandosi in circa il 2 % dei bambini alla nascita, per condizioni morbose preesistenti al travaglio.

In ogni caso, come anche detto in precedenza, è assai raro che marcate encefalopatie in bambini nati oltre la 34^ settimana di gestazione, possano essere attribuibili ad eventi ipossici acuti verificatisi in corso di travaglio.

Nei bambini nati a termine, ai fini della valutazione della gravità dell’encefalopatia alla nascita ci si avvale della gradazione di Sarnat, con criteri differenziali atti a dimostrare la diversa entità di forme moderate e gravi.

In caso di prematurità i criteri sono molto meno categorici e, quindi, stati comportamentali neonatali anomali sono difficilmente attribuibili, in tal caso, ad ipossie acute marcate in corso di travaglio.

Le varietà nosografiche sintomatologiche derivabili da eventi acuti ipossici in corso di travaglio riguardano essenzialmente la tetraplegia spastica e la paralisi cerebrale discinetica.

La tetraplegia spastica può dipendere anche da altre cause che non il travaglio di parto, verificandosi in tale ultima circostanza solo nel 24 % dei casi complessivi, pur rientrando nei criteri essenziali.

L’emiplegia, la paraplegia spastica e l’atassia sono state pure associate ad ipossie in travaglio.

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Forme di autismo, ritardo mentale o disturbi dell’apprendimento possono ancora essere associati ad eventi ipossici in travaglio, come pure le oligofrenie gravi o gravissime.

Forme progressive neurologiche di tipo motorio sono da ritenersi incompatibili con eventi ipossici acuti in corso di travaglio, rapportandosi a forme e condizioni più o meno rare, di carattere genetico.

I criteri che insieme suggeriscono l’eventualità di esiti neurologici residui, meritano, comunque un approfondimento specifico in ordine alle loro caratteristiche e alla loro importanza.

Per quanto riguarda gli eventi ipossici sentinella è da considerare che nel feto sano esistono diversi meccanismi fisiologici tali da compensare adeguatamente episodi transitori e ricorrenti di ipossia che si possono verifcare nel corso del travaglio.

Accade così che per un feto integro sotto il profilo neurologico e che non abbia sofferto in precedenza per forme di ipossia cronica è necessario un severo danno ipossico sentinella per determinare un vero dannno cerebrale ipossico.

Tali, ad es., si possono rivelare situazioni critiche come la rottura dell’utero, il distacco di placenta, il prolasso del funicolo, l’embolia di liquido amniotico, l’emorragia dovuta alla presenza anomala di vasi previ e l’emorragia feto – materna.

Un evento ipossico che si verifichi prima del parto o nel corso del travaglio può rimanere silente alla nascita e svelarsi solo nel futuro, quando si sviluppano le funzioni cerebrali in modo completo.

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Riguardo alla frequenza basale cardiaca, monitorata con il cardiotocografo, si è più volte ripetuto che essa non è in grado, da sola, di prevenire la paralisi cerebrale.

Anche in caso di decelerazioni tardive multiple o di diminuita variabilità beat to beat non è possibile formulare una diagnosi specifica di previsione della paralisi cerebrale, in quanto tali aspetti, ritenuti, apparentemente, molto peculiari e predittivi in tal senso, sono, invero, gravati da un’altissima percentuale di falsi positivi, pari a circa il 99,8 %, in base alle casistiche in tal senso.

Il vero problema è rappresentato dalla decisione inerente la scelta del parto anticipato ovvero del cesareo, scelta che sottintende, soprattutto, la mancanza di rischi per la salute o la vita della madre.

Sotto il profilo clinico e medico legale va, in particolare, ritenuto il concetto che, l’esatta cognizione dell’esito favorevole o meno dell’espletamento del parto, distorce, di fatto, il giudizio degli specialisti ostetrici chiamati a pronunciarsi sull’appropriatezza dell’assistenza.

In genere, non esiste accordo o consenso circa l’atteggiamento da tenere in rapporto alle caratteristiche rivelatesi più o meno anomale della gran parte dei tracciati.

Esistono, comunque, almeno due diverse circostanze indicative di uno stato di benessere o malessere del feto, riguardanti la presenza o l’assenza di acidosi.

Nel caso in cui la linea di base del tracciato cardiotocografico rientri nei limiti della normalità, con 110-160 battiti al minuto e con una variabilità moderata, di 6-25

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battiti al minuto, in assenza di decelerazioni, è lecito pensare che non ci sia rischio di acidosi.

Al contrario, in caso di assenza di variabilità e in presenza di decelerazioni tardive o variabili o di bradicardia, si può ritenere ipotizzabile la presenza di un’acidosi potenzialmente nociva per il feto.

Appare, peraltro assai difficile valutare il significato da attribuire ai punteggi di Apgar in rapporto alla possibilità di una ipossia dannosa.

Si tratta, come è noto, di un metodo rapido e soggettivo per valutare le condizioni del neonato.

I punteggi di Apgar, singolarmente presi, non sono in grado di identificare la causa della condizione morbosa rivelata, che può non necessariamente dipendere da un’ipossia acuta.

E’ da ritenere che nei neonati prematuri assuma un valore diagnostico molto limitato.

Una sua durata limitata può soltanto riflettere l’opera di un’efficace rianimazione senza essere in grado di predire, più di tanto, l’esito.

Teoricamente una grave ipossia può coinvolgere a vari livelli e con diverse ripercussioni gli organi più sensibili, oltre al cervello, con ad es., necrosi intestinale, insufficienza renale, danni epatici o cardiaci, ematologici, ecc., ma in caso di ipossia

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acuta, che di solito interessa i diversi organi ed apparati, è difficile, comunque, valutare l’entità delle disfunzioni a loro carico.

La diagnostica per immagini può essere in grado di suggerire la comparsa di un eventuale edema cerebrale entro le prime 6-12 ore successive ad un insulto cerebrale acuto, edema che poi scompare entro 4 giorni, ma è in grado di rilevare solo aspetti macroscopici e non già danni intracellulari eventualmente prodottisi.

Peraltro non appare in grado di svelare, per il momento l’esatta epoca dell’evento iniziale o principale, con una certa affidabilità, ma solo in modo piuttosto approssimativo.

Sono, inoltre contemplati in letteratura diversi fattori in grado di sostenere l’insorgenza di una paralisi cerebrale e, fra essi, vanno annoverati i seguenti:

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FATTORI CAUSALI DI PARALISI CEREBRALE DIVERSI DALL’IPOSSIA ACUTA

· Alterazioni metaboliche con deficit di basi inferiore a 12 mmol/l o pH maggiore di 7.00 in arteria ombelicale

· Anomalie congenite o metaboliche maggiori o multiple

· Infezioni del sistema nervoso centrale o sistemiche

· Anomalie neurologiche rivelate attraverso immagini diagnostiche precoci, già intervenute in epoche pregresse, tali, ad esempio, ventricolomegalia, porencefalia, encefalomalacia multicistica

· Segni di rallentamento di crescita intrauterina

· Tracciato CTG con ridotta variabilità del ritmo cardiaco dall’inizio del travaglio

· Microcefalia alla nascita (Circonferenza cranica < 3° percentile)

· Distacco di placenta di grave entità prima del travaglio

· Estesa infiammazione dei villi coriali e del liquido amniotico

· Difetti congeniti di coagulazione del neonato

· Altri importanti fattori di rischio in grado di causare la paralisi cerebrale come, ad esempio, parto prematuro al di sotto delle 34 settimane di gestazione, gravidanza multipla, o malattie autoimmuni

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· Severi fattori di rischio postnatali di paralisi cerebrale, come, ad esempio, encefalite postnatale, prolungati cali pressori od ipossia collegabili ad una grave malattia respiratoria concomitante

· Antecedenti anamnestici a carico di ascendenti o collaterali riferiti alla comparsa di paralisi cerebrale, in special modo se ritenuta dello stesso tenore.

Nettamente di minore valore predittivo della paralisi cerebrale appaiono altri segni quali, ad es., la comparsa di liquido amniotico tinto di meconio.

Maggiore rilevanza può invece essere associata ad alcune importanti e frequenti patologie ostetriche, fra le quali vanno sicuramente annoverate l’oligoidramnios e l’invecchiamento placentare.

Entrambi tali patologie sono in grado di mettere gravemente a rischio la vita del nascituro e sono, comunque, da ritenersi fattori precipitanti di estrema rilevanza pratica ai fini di un esito favorevole del parto e, ipoteticamente capaci di sostenere situazioni ipossiche severe con danni cerebrali conseguenti.

Importanti considerazioni investono, poi, la problematica della possibile prevenzione delle sequele neurologiche nel caso in cui non sia stato rilevato alcun tipo di evento ipossico sentinella.

Gli aspetti dirimenti della questione riguardano, in particolare il giudizio postumo alle sequele medesime, inerente la possibilità di accertare se un intervento ostetrico più

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rapido e tempestivo avrebbe potuto evitare, nelle singole fattispecie, l’instaurarsi di un danno cerebrale permamente di tipo ipossico.

Sotto tale profilo appare dirimente giudicare le condizioni e l’organizzazione disponibile al momento dell’espletamento del parto e verificare se l’entità e la durata di ogni eventuale alterazione della risposta clinica possano essere considerate di carattere critico in relazione allo sviluppo di una paralisi cerebrale.

In realtà non è nota la soglia della durata e dell’entità dell’evento ipossico che sia sperimentalmente in grado di provocare la paralisi cerebrale, in ragione dei numerosi meccanismi fisiologici esistenti in grado di prevenire il danno, della diversa risposta dei soggetti agli insulti ischemici e della possibile evenienza di ipossie fetali croniche pregresse.

In sede di indagine retrospettiva appare estremamente importante, pertanto valutare tutti i seguenti ordini di fattori:

·

ricognizione di eventuali fattori di rischio di paralisi cerebrale preesistenti al parto;

·

rilievo della presenza eventuale di un evento ipossico sentinella;

valutazione circa l’esistenza, nella fattispecie di eventuali interventi o presidi terapeutici in grado di minimizzare le possibilità di una paralisi cerebrale;

·

elementi di cognizione, ovvero segni e sintomi in grado di dimostrare la circostanza di un evento ipossico intra partum;

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·

possibilità di identificazione diagnostica dei segni di compromissione fetale eventualmente manifestatisi;

·

verifica dell’entità di un eventuale ritardo nell’espletamento del parto, tale da comportare danni ipossici importanti o maggior rischio per il feto;

·

bilancio dell’impatto eventuale dell’espletamento più rapido del parto sulla salute della madre;

·

in definitiva, giudizio sulla capacità di una maggiore tempestività dell’espletamento del parto di recitare un ruolo determinante ai fini di un miglior esito o di un esito completamente favorevole.

Una simile disamina, comunque, anche se delinea l’indirizzo generale di un’indagine retrospettiva, pecca, sicuramente, di genericità non potendosi, così come delineata, applicare a casi specifici e a situazioni particolari, ancorché standardizzate, nella prassi clinica corrente.

Può essere utile nella diagnosi differenziale tra ipossiemia cronica e acuta valutare i risultati di alcune indagini effettuate in corso di gravidanza, quali:

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·

la flussimetria che misura il flusso del sangue in un vaso, e si avvale della tecnica flussimetrica doppler, utile per lo studio dell’emodinamica fetale, feto – placentare e utero – placentare;

·

il monitoraggio ecografico che va eseguito, come noto, almeno in tre occasioni, ossia fra la 8^ e la 12^ settimana di gestazione, fra la 18^ e la 22^ e alla 32^, in quest’ultimo caso per valutare l’accrescimento del feto, ecografia biometrica, o fare diagnosi di malformazioni insorte dopo il 2° esame ecografico, per poter evidenziare eventuali difetti di crescita, di tipo simmetrico o asimmetrico, o un eventuale arresto di crescita, o anche un deficit transitorio di crescita, da addebitare a patologie ad andamento cronico

La determinazione del pH su scalpo fetale, con la conseguente valutazione della presenza di acidosi e di ipossiemia, per quanto ritenuti indicativi, insieme agli altri eventuali dati strumentali e laboratoristici o clinici, della possibile esistenza di ipossiemia fetale, da soli non sono in grado di far porre diagnosi sic et simpliciter di sofferenza fetale.

La non univocità esistente circa l’interpretazione dei tracciati CTG, specie da parte di personale non esperto o poco esperto, rappresenta un altro evidente limite della metodica.

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In ultimissima analisi lo scopo principale di una metodica come la CTG dovrebbe essere, appunto, quello di una diagnosi precoce di sofferenza fetale ipossica, ma in base a molti lavori scientifici in materia il suo utilizzo non ha comportato, apparentemente riduzione della mortalità neonatale, migliori punteggi di Apgar, migliori dati di emogasanalisi né riduzione della morbilità neonatale, per cui il ruolo nel monitoraggio elettronico pre partum e intra partum resta molto discusso.

In compenso il monitoraggio cardiotocografico sembra aver provocato un aumento dei parti cesarei.

Il monitoraggio parrebbe, invece apportare dei vantaggi nei travagli complicati, prolungati o indotti con ossitocina, laddove viene anche raccomandato il prelievo di sangue da scalpo fetale per la misura del pH sanguigno fetale.

Alla luce di tutte le predette considerazioni, appare molto interessante il discorso che riguarda la problematica inerente le Linee Guida.

Vengono, negli USA, distinti tre diversi livelli di assistenza ostetrica, in base alla disponibilità delle risorse dei Centri di cura esistenti, alla possibilità di risoluzione di problemi di differente complessità e alla qualificazione dei medici e del personale parasanitario afferente ai centri ospedalieri.

Le linee guida possono, pertanto, essere adottate o modificate in base alle circostanze.

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La circostanza dell’esistenza di centri in grado di far fronte a qualsiasi tipo di problema è da ritenersi puramente ideale.

Nelle istituzioni considerate di III° Livello la presenza costante di medici capaci di affrontare le diverse esigenze del caso, comprende le strutture e il personale riservati ai parti cesarei che è, poi da ritenersi la più importante.

Lo sforzo maggiore dovrebbe essere improntato verso un tipo di organizzazione capace di far fronte a qualsiasi tipo di emergenza, con la presenza costante degli specialisti garantita in ogni momento.

In tutti gli ospedali provvisti di reparti ostetrici la presenza dei medici dovrebbe essere rapportata alla prevedibili esigenze di ogni singolo paziente, alle strutture idonee per accogliere le donne in travaglio e al numero dei travagli prevedibili.

Esistono, poi delle indicazioni relative alla comunicazione fra i medici e le diverse strutture afferenti, atte ad ottimizzare ed armonizzare tempi e modi relativi all’assistenza alle partorienti.

L’importanza, talvolta, di cure individualizzate nei centri ostetrici è da ritenersi dirimente nei casi di emergenza.

Il primo concetto parte dalla definizione dei tre diversi livelli delle Unità Ospedaliere Ostetriche di cura e prevede, nell’ordine:

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Livello I°: un ospedale periferico che provvede alle cure delle partorienti che non presentano fattori di rischio maggiori e possono, normalmente, fare a meno del supporto degli specialisti con particolari tipi di addestramento;

Livello II°: un centro od ospedale regionale che provvede alle cure delle gravidanze sia a basso che ad alto rischio con supporto degli specialisti con particolari tipi di competenze;

Livello III°: un centro od ospedale interregionale particolarmente attrezzato che provvede alle cure delle gravidanze ad alto rischio, attrezzati con servizi idonei per l’assistenza perinatale, neonatale e di rianimazione presenti in sede.

Questa definizione è stata formulata nella edizione dell’aprile 2000 del Family- Centred Maternity e del Newborn Care, a titolo: National Guidelines.

Protocolli di emergenza per il trasferimento delle partorienti in centri adeguatamente attrezzati per i parti cesarei sono da valutarsi e adottarsi nel modo più opportuno.

Dovrebbero, altresì essere adottati nei tempi più brevi protocolli per la pronta risoluzione di problemi derivanti dalla necessità di trasferimento dei casi ad alto rischio in idonei centri di cura.

Delle regole condivise in tal senso dovrebbero essere stabilite e portate alla diretta conoscenza di medici, personale professionale specializzato, ovvero pubblicizzate fra gli addetti nel modo più giusto e corretto.

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Delle Linee Guida sono state redatte dalla SOGC Clinical Practice Obstetrics Committee, Maternal Fetal Medicine Committee, e ALARM Committee, anche con l’ausilio della Canadian Medical Protective Association.

Lo sponsor è la Società di Ostetrici e Ginecologi del Canada.

In conclusione, le raccomandazioni e i punti critici valutati dalle associazioni di ostetricia canadesi e americane possono essere applicate anche alla pratica clinica di uso corrente nel nostro paese e, in particolare gli elementi nevralgici dell’assistenza ottimale ai parti, in corso di travaglio, possono essere elencati e descritti nel modo seguente:

1. tempi adeguati di attesa di un medico, ai fini dell’assistenza;

2. conoscenza di qualsiasi fattore di rischio prenatale che dovrebbe essere accuratamente analizzato e prevenuto nel corso del travaglio; i fattori di rischio intra partum dovrebbero essere posti su un piano diverso e i problemi inerenti esistenti affrontati in un lasso di tempo ragionevole;

3. la sostituzione dei medici assenti dovrebbe avvenire con medici di eguali competenze e opportunamente informati sui fatti e aspetti importanti che riguardano il caso in specie;

4. i tempi della progressione del travaglio dovrebbero essere ben identificabili e adeguatamente annotati e misurati;

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5. il monitoraggio del cuore fetale, mediante auscultazione diretta fisica sull’addome della paziente o tramite monitoraggio elettronico cardiotocografico, dovrebbe essere attuato in accordo con i protocolli standard esistenti e interpretati nel modo più esatto;

6. le indicazioni relative ad ogni tipo di intervento attuabile nella circostanza dovrebbero essere basate su argomenti e tesi validate e competenti, documentando molto bene i tempi dei vari eventi; quando è richiesto l’ausilio di tecniche strumentali, come il forcipe o attrezzi di altro genere, la SOGC raccomanda l’aderenza a definizioni accettabili di piccolo o medio forcipe, in aderenza proprio alle linee guida promosse dalla predetta associazione;

7. gli aspetti rilevanti del travaglio e del parto dovrebbero essere chiaramente riportati contemporaneamente e concordemente da parte del personale coinvolto nell’assistenza;

8. l’emogasanalisi dovrebbe essere effettuata routinariamente; immediatamente dopo il parto il funicolo viene doppiamente clampato e così con una siringa è possibile effettuare un prelievo di sangue da inviare al laboratorio oper l’emogasanalisi;

9. non è auspicabile la dilazione dell’emogasanalisi a 24 ore dal prelievo in quanto un deterioramento improvviso delle condizioni del neonato o la sua morte si possono verificare anche dopo un parto normale; questo tipo di analisi possono consentire di attingere importanti informazioni tali da preservare la salute del neonato; la siringa

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eparinizzata con il prelievo eseguito va tenuta in ghiaccio in quanto la successiva analisi può essere effettuata fino a 60 ore dopo il parto;

10. tutti gli ospedali dovrebbero adottare queste procedure nei piani previsionali di cura ostetrica. L’emogasanalisi di routine può consentire un’assistenza appropriata del neonato;

11. il settore delle emergenze relative ai parti cesarei dovrebbe essere allertato ed equipaggiato anche quando non venga sospettata una sofferenza fetale acuta e il parto non sia imminente;

12. in casi ostetrici in cui la sofferenza fetale acuta e/o materna non è evidente ma in cui la situazione clinica del paziente o la progressione del travaglio è tale da richiederlo, occorre mettere in atto il taglio cesareo urgente, ciò che è sicuramente indicato;

13. i motivi per cui il cesareo venga eventualmente procrastinato dovrebbero essere riportati, in dettaglio, nella cartella clinica ostetrica, anestetica e del personale di nursing;

14. in caso di fallimento dell’espletamento di parto per via trans vaginale, ovvero per distocia di parto, o nell’evenienza di gravidanze multiple o per problemi che persistono malgrado l’uso del forcipe, in ogni caso, comunque in cui il parto naturale o assistito si dimostri indaginoso o impossibile, è sicuramente indicato il taglio cesareo senza ulteriori ritardi;

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15. ci potrebbe essere necessità di comunicazione di casi difficili tra la sala parto e la sala operatoria; gli addetti alla sorveglianza dovrebbero ottimizzare in modo appropriato i tempi di risposta per le necessità di cura dei pazienti;

In pratica le linee guida definiscono gli standard delle prestazioni attraverso l’applicazione e la documentazione del monitoraggio fetale in travaglio, ciò che potrebbe diminuire l’incidenza sia dell’asfissia che del tasso degli interventi ostetrici.

Vengono prese in considerazioni sia le gravidanze a basso che ad alto rischio.

Queste linee guida dovrebbero essere usate da tutte le persone impegnate all’assistenza intra partum, comprese le nurse i medici e il personale paramedico.

Ulteriori utili raccomandazioni riguardano lo standard di monitoraggio e sorveglianza in travaglio e indicano quanto segue:

1. il monitoraggio con l’auscultazione intermittente viene stabilito nel protocollo di sorveglianza e risponde al metodo elettivo della sorveglianza fetale nella fasi di travaglio di parto;

2. l’induzione del travaglio richiede il monitoraggio dell’attività uterina e della frequenza basale fetale con cardiotocografo;

3. in presenza di anomale frequenze fetali le cui caratteristiche sono svelate mediante l’auscultazione intermittente fetale e non responsive alle manovre rianimatorie, la

Riferimenti

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