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Appunti sulla determinazione del valore delle azioni non quotate in caso di recesso - Judicium

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MASSIMO ROSSI

Appunti sulla determinazione del valore delle azioni non quotate in caso di recesso

SOMMARIO:1.La valutazione delle azioni prima della riforma del 2003 e i principi ispiratori della nuova disciplina – 2. I criteri di valutazione vigenti. – 3. Segue: sconto di minoranza.

1. All’esito della riforma delle società del 2003, l’istituto del diritto di recesso dalla società per azioni è stato profondamente innovato sia per quel che riguarda le fattispecie legittimanti, che risultano adesso significativamente ampliate, sia per quel che concerne il sistema di valutazione delle azioni (non quotate) oggetto di recesso, la cui previgente disciplina rappresentava l’ostacolo più rilevante all’esercizio di tale diritto1: infatti, a norma del “vecchio” art. 2437, comma 1, c.c., il valore delle azioni si sarebbe dovuto determinare in base a quello del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, impiegando un sistema che notoriamente sconta criteri di valutazione prudenziali, tali da comprimere il valore del patrimonio rispetto a quanto verosimilmente ritraibile sul mercato2.

La nuova disciplina3, lasciando sostanzialmente invariato il sistema di valutazione delle azioni quotate, ha invece inciso profondamente quello delle azioni non quotate, sganciandolo dalle risultanze del bilancio di esercizio e disponendo che il valore di liquidazione della azioni sia determinato «tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni», e consentendo parimenti che lo statuto possa «stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione» (art. 2437-ter, commi 2 e 4, c.c.).

È fondata, pertanto, l’idea che, nel nuovo sistema, il valore di rimborso delle azioni per cui è esercitato il recesso debba esprimere il loro valore effettivo4,

1 Cfr. G. PRESTI,Questioni in tema di diritto di recesso nelle società di capitali, in Giur. comm., 1982, I, p. 100 ss., spec. p. 112 ss.

2 Cfr. M.ROSSI,Il diritto di recesso dalla società per azioni prima della riforma del diritto societario (art. 2437, c.c.), in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 549 ss.

3 Cfr. L.DELLI PRISCOLI,L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005, e ID.,Delle modificazioni dello statuto. Diritto di recesso, in Il Codice Civile. Commentario fondato da P.

Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2013; V.DI CATALDO,Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P.

Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2006, p. 219 ss.

4 Cfr. V. CALANDRA BUONAURA,Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, p.

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approssimandosi quanto più possibile al valore reale5 o di mercato6, della porzione del patrimonio netto rappresentato dalle partecipazioni del recedente7; la dottrina più attenta, però, ha segnalato i problemi del nuovo dettato: non tanto, in vero, sul disegno di politica del diritto sottostante, reso palese, fra l’altro, dalla legge delega 3 ottobre 2011, n. 366, che all’art. 4, comma 9, lett. d), disponeva che fossero individuati criteri

«di calcolo del valore di rimborso adeguati alla tutela del recedente, salvaguardando in ogni caso l’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali», e dalla Relazione ministeriale8, bensì sulla concreta applicazione del meccanismo normativo, in considerazione dell’assoluta varietà di significati e di esiti che tale valutazione può assumere, come dimostrano anche le diverse aggettivazioni9 del valore delle azioni che si sono appena indicate.

Il quadro si è poi ulteriormente complicato per il richiamo che l’art. 2437-ter, comma 2, c.c. opera ai più diffusi sistemi di valutazione delle aziende delineati dalla letteratura aziendalistica10 – vale a dire, il metodo patrimoniale11, quello reddituale12 e,

291 ss., spec. p. 304; P.PISCITELLO,Recesso del socio, in RDS, 2008, p. 42 ss., spec. p. 46; M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi giuridici in tema di valutazione delle azioni del socio recedente: un confronto tra diritto tedesco e diritto italiano, in Riv. soc., 2013, p. 78 ss., spec. p. 81.

5 Cfr. P. PISCITELLO,Riflessioni sulla nuova disciplina del recesso nelle società di capitali, in Riv. soc., 2005, p. 518 ss., spec. p. 524; V. DI CATALDO,Il recesso cit., p. 222; M.CIAN,La liquidazione della quota del socio recedente al valore nominale (in margine ad una clausola statutaria in deroga ai criteri legali di valutazione delle azioni), in RDS, 2010, p. 301 ss., spec. p. 303.

6 Cfr. G.MARASÀ,sub art. 2437 ss., nel Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F.

d’Alessandro, II, 2, Padova, 2010, p. 777 ss., spec. p. 796, e L.DELLI PRISCOLI,Delle modificazioni cit., p. 150 s. Di valore “oggettivo” della partecipazione discute C. ANGELICI,La società per azioni, I. Principi e problemi, nel Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2012, p. 74.

7 Cfr. L.DE ANGELIS,I bilanci da redigere per la liquidazione della quota del socio recedente e per la determinazione del soprapprezzo e del rapporto di conversione, in C. MONTAGNANI (a cura di), Ibilanci straordinari, Milano, 2013, p. 37 ss., spec. p. 45 s.

8 Pubblicata, fra l’altro, in La riforma delle società. Commentario al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, tomo II, Torino, 2003, spec. p. 872 ss.

9 Cfr. M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 87 s.

10 Cfr., fra gli aziendalisti, M.REBOA,Criteri di stima delle azioni in caso di recesso del socio: alcune riflessioni sull’articolo 2437-ter cod. civ., in M.NOTARI (a cura di), Dialoghi tra giuristi e aziendalisti in tema di operazioni straordinarie, Milano, 2008, p. 399 ss., spec. p. 401, e fra i giuristi, V.DI CATALDO,Il recesso cit., p. 234; M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 89 ss.; cfr., tuttavia, M.CIAN,La liquidazione cit., p. 303 s., secondo il quale, sebbene il riferimento «alla “consistenza patrimoniale” della società risulta per la verità in sé anodino, giacché non scioglie in alcun modo il dubbio relativo ai criteri di valorizzazione dei cespiti componenti detto patrimonio», il richiamo «alle “prospettive reddituali”, come quello al “valore di mercato” eventuale dei titoli non lascia incertezze in merito alla volontà normativa di allineamento della quota di liquidazione alla misura reale del valore della partecipazione».

11 Il metodo patrimoniale, secondo la prospettiva della dottrina aziendalistica, si caratterizzerebbe per la considerazione del valore corrente delle attività e delle passività aziendali (dunque, rettificando le singole componenti risultanti dal bilancio), prescindendo dalle prospettive reddituali, ma considerando tuttavia (almeno nella sua versione “complessa”) gli intangibles asset, anche se non iscritti nei bilanci d’esercizio;

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infine, quello fondato sul valore di mercato delle azioni13 – che ha indotto a concentrare l’attenzione sulle peculiarità di tali profili, perdendo talora di vista l’orizzonte funzionale dell’istituto del recesso14, che sembra invece essenziale per la più adeguata applicazione della disciplina novellata.

2. In ordine all’operatività di tali criteri, è opinione diffusa che la legge non fisserebbe alcun “rapporto gerarchico”, rimettendo al soggetto preposto alla valutazione la scelta delle modalità con le quali debbano ponderarsi tra loro i diversi metodi richiamati, secondo una adeguata considerazione delle caratteristiche dell’impresa coinvolta nella valutazione e, in generale, delle specificità del caso concreto15.

In effetti, in questo senso sembra indurre l’art. 2437-ter, comma 2, c.c., che impiega un’espressione tutt’altro che perspicua per precisare i criteri che devono guidare la determinazione del valore delle azioni, in particolare sul versante della loro cogenza e interazione reciproca16: ne è riprova, del resto, l’estrema varietà di soluzioni

il tutto, al netto del potenziale effetto delle discipline fiscali: cfr. P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. soc., 2005, p. 459 ss., spec. p. 466 ss.; M. CARATOZZOLO,Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (I parte), in Società, 2005, p. 1209 ss.; M.REBOA, Criteri cit., p. 402, M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 90.

12 Il metodo reddituale è quello basato sui flussi di risultato: esso, infatti, fa «discendere il valore del capitale economico dall’analisi dei flussi di ritorno attesi – siano essi di reddito o di cassa – stabilmente producibili in futuro dall’azienda considerata» (così M.REBOA,Criteri cit., p. 404); in altre parole, il patrimonio aziendale è qui considerato non come «mero aggregato di elementi autonomi e isolati, bensì come complesso economico in funzionamento (going concern entity)» (così M. MAUGERI e H.

FLEISCHER,Problemi cit., p. 90); cfr. inoltre M. CARATOZZOLO,Criteri (I parte) cit., p. 1209 ss.

13 Il metodo della valutazione dell’azienda secondo il valore di mercato delle azioni è quello che sconta margini d’incertezza maggiori (cfr. P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 472 ss.) in considerazione della diversità degli approcci suggeriti dalla letteratura aziendalistica. Esso, infatti, si fonda sia sulla considerazione dell’andamento effettivo del mercato dei titoli della società considerata, sia sulle c.d.

“valutazioni relative”, basate cioè sull’applicazione di multipli o moltiplicatori di mercato che traducono in valori del capitale economico le performance dell’azienda. Tale approccio stima il valore della società

«sulla base di osservazioni di mercato omogenee e confrontabili con la realtà considerata: omogeneità e confrontabilità delle imprese campione, che, alla prova dei fatti, rappresentano sovente l’aspetto critico per un’efficace adozione» di tale metodo: così M.REBOA,Criteri cit., p. 407 s.; sul metodo si veda, inoltre, M. CARATOZZOLO,Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (II parte), in Società, 2005, p. 1340 ss.

14 E cfr. D.GALLETTI,sub artt. 2437 ss., in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, II, Padova, 2005, p. 1472 ss., spec. p. 1568, che osserva come, nel mondo dei concetti giuridici, non vi sia né

“realtà” né “effettività”, se non relativamente alla funzione attribuita dall’ordinamento a un istituto.

15 Cfr. M. REBOA,Criteri cit., p. 401; P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 476 ss.; M. CIAN,La liquidazione cit., p. 306; M. MAUGERI,Partecipazione sociale e attività d’impresa, Milano, 2010, p. 210 s.; similmente già M. CALLEGARI,sub art. 2437-ter, in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, t. II, Bologna, 2004, p. 1420 ss., spec. p. 1427 s., e G.MARASÀ, sub artt. 2437 e ss. cit., p. 796.

16 Cfr. P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 466; F. CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., 2005, p. 487 ss., spec. p. 508; M.

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che la dottrina giuridica ha indicato, sul solco del dibattito tuttora vivace fra gli aziendalisti17.

In vero, la relazione ministeriale sembra precisare meglio il senso della disposizione in parola, circoscrivendo a una funzione semplicemente correttiva il metodo reddituale18: si è talora suggerito che con esso sarebbe consentito di dare rilievo alla componente dell’avviamento, che altrimenti normalmente non rileva fra le poste, pur rettificate, del bilancio d’esercizio19. Tuttavia, il quadro si presenta più articolato, giacché è diffuso il convincimento che già la valutazione patrimoniale consenta di considerate voci solitamente escluse dal bilancio d’esercizio, come gli intangibles asset20: con l’esito non soltanto di correre il rischio di duplicare e sovrapporre le medesime determinanti del valore dell’azienda, ma anche di ridimensionare significativamente, per differenza, «il “peso” in precedenza tradizionalmente attribuito all’avviamento»21. D’altra parte, poi, se anche si condividesse l’interpretazione sopra indicata dei due predetti sistemi di valutazione, resta impregiudicata la verifica della loro interazione. Si consideri, infatti, ad esempio, che è pacifico fra gli aziendalisti che il valore dell’avviamento possa assumere un segno negativo e, dunque, possa finire per comprimere il valore del complesso patrimoniale, quale risulta per effetto della somma delle sue voci, atomisticamente considerate22: ma è tutt’altro che condivisibile che, in caso di recesso, tale compressione sia consentita, come si cercherà di dimostrare nel prosieguo.

A cosa faccia riferimento, poi, il codice quando invita a tener conto

MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 91.

17 Cfr. M.REBOA,Criteri cit., p. 402.

18 Si legge, infatti, nel § 9 della Relazione cit. che «per l’ipotesi che nulla lo statuto preveda si è fatto riferimento alla “consistenza patrimoniale”, volendo così indicare la non vincolatività dei dati contabili, ed alle “prospettive reddituali” come elemento correttivo della situazione patrimoniale».

19 Cfr. A.PACIELLO,sub artt. 2437 e ss., in Società di capitali. Commentario a cura di G. Niccolini e A.

Stagno d’Alcontres, II, Napoli, 2004, p. 1105 ss., spec. p. 1128 ss.; M. CARATOZZOLO,Criteri (I parte), p.

1210.

20 Cfr. M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 90.

21 Per la citazione e per le considerazioni immediatamente precedenti nel testo cfr. M.REBOA,Criteri cit., p. 402 s.

22 Si tratterebbe, in particolare, dei c.d. metodi misti patrimoniali-reddituali (cfr. P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 477 s.; M. CARATOZZOLO,Criteri (I parte) cit., p. 1213 s.; M.REBOA,Criteri cit., p. 408 s.), in forza dei quali il valore delle aziende discende dalla valutazione analitica degli elementi dell’attivo e dalla stima autonoma dell’avviamento (positivo o negativo), destinato poi a essere, rispettivamente, sommato o sottratto al valore corrente del patrimonio. Si tratta di un metodo che consente di esprimere unitariamente sia la consistenza patrimoniale, sia quella reddituale della società, come rilevano da ultimo M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 91, a nota 55. Si mostra orientato all’applicazione di tale metodo, oltre a M.CARATTOZZOLO,loc. ult. cit., V.CALANDRA BUONAURA,Il recesso cit., p. 314.

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«dell’eventuale valore di mercato delle azioni» è un tema tanto dibattuto23 quanto rilevante nel processo di valutazione delle azioni: del resto, è diffuso sia l’orientamento che segnala come proprio il rinvio alla “eventualità” della rilevabilità di tale valore induca a ritenere che in tanto esso possa essere considerato, in quanto in effetti sia rilevabile (in quanto, cioè, vi sia effettivamente un mercato delle partecipazioni)24; sia l’opposta impostazione, secondo la quale se anche non si registri, in concreto, un mercato delle azioni della società dalla quale s’intende recedere, si può fare riferimento al valore di mercato delle partecipazioni di società consimili25, o, più ampiamente, addirittura, ai caratteri del mercato delle partecipazioni societarie: inferenza dalla quale, sul piano operativo, molti giudicano appropriata l’applicazione al valore della partecipazione di uno sconto di minoranza.

La preferenza per una o un’altra fra le soluzioni interpretative che sono state suggerite conduce a esiti fra loro anche molto diversi26, che finiscono per alterare i rapporti fra i soci: ciò perché una valutazione più prudente o più ottimistica del patrimonio sociale, determina l’arricchimento del socio che recede o, alternativamente, dei soci superstiti27; il che, trattandosi di una vicenda estimativa e, dunque, di per sé discrezionale28, è fisiologico che avvenga in un momento nel quale la valutazione non prelude all’effettiva liquidazione del patrimonio e alla successiva ripartizione proporzionale del ricavato, al netto dei debiti sociali, a tutti gli azionisti.

Si tratta di verificare, allora, se sussistano principi generali in grado di guidare l’interprete.

Al riguardo, si segnala talora che la valorizzazione dell’elemento reddituale s’impone ove si consideri che la società da cui si recede è normalmente attiva e operante e non, invece, un patrimonio aziendale in liquidazione29.

23 Cfr. M. CALLEGARI,sub art. 2437-ter cit., p. 1424 s.; P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 472 ss.;

M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 90 s.

24 Cfr. M. CARATOZZOLO,Criteri (II parte) cit., p. 1342; F.CHIAPPETTA,Nuova disciplina cit., p. 508; G.

MARASÀ,sub art. 2437 ss. cit., p. 796. Per l’idea che sia sufficiente anche un unico prezzo di vendita cfr., invece, M.VENTORUZZO,I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. soc., 2005, p. 309 ss., spec. p. 382, che ha confermato questa impostazione anche nel più recedente Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, p. 88. Per un’ampia rassegna di possibili valori di mercato, cfr., infine P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 473 s.

25 Cfr. L.GUATRI e M.BINI,La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 441; per un’impostazione critica cfr. M.REBOA,Criteri cit., p. 405 s. e p. 407 s.

26 In questo senso cfr. P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 462 s., e V.DI CATALDO,Il recesso cit., p.

235.

27 Cfr. G.FERRI jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001, p. 169.

28 Cfr. G.MARASÀ,sub art. 2437 ss. cit., p. 796.

29 Cfr., in tal senso, Trib. Roma, 5 marzo 2003, in Riv. dir. comm., 2013, II, p. 343 ss., con nota di A.

PACIELLO,Recesso da s.p.a., premio di maggioranza e sconto di minoranza. Nella dottrina aziendalistica,

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Sono due, a ben vedere, gli esiti di questa impostazione: il primo è che tale orientamento appare muovere dal convincimento che la valutazione del patrimonio, o di alcune sue componenti, possa essere operata impiegando anche soltanto uno fra i criteri indicati nell’art. 2437-ter, comma 2, c.c., e, in particolare, quello reddituale: dunque, che la funzione “correttiva” di quest’ultimo possa spingersi sino a disapplicare integralmente il metodo analitico-patrimoniale; il secondo è che così s’imposta il problema della scelta fra i diversi criteri sul rapporto fra l’interesse del socio che recede alla massimizzazione del valore della quota di liquidazione, e quello dell’impresa alla conservazione del valore del patrimonio, in funzione della prosecuzione dell’attività, manifestando una preferenza per la rafforzata tutela del secondo.

Lasciando da parte il primo degli esiti indicati – che potrebbe non incontrare soverchi ostacoli testuali – il secondo solleva numerose perplessità: esso, infatti, sembra riproporre un’impostazione comune alla dottrina e alla giurisprudenza sviluppatesi nel vigore del codice del ’42, che è senz’altro contraddetta dalla disciplina vigente. Si ricorderà, infatti, che i precedenti e penalizzanti criteri di valutazione della quota di liquidazione del recedente erano dai più spiegati sia per l’esigenza di protezione dei creditori sociali, sia per la volontà del legislatore di non comprimere il patrimonio a detrimento della produttività dell’azienda sociale: contrapponendosi, in tal modo, l’interesse del socio a recedere con quello della società a proseguire l’attività30.

A parte, però, il rilievo che già in quel quadro normativo si poteva dubitare dell’assunto31, nel nuovo sistema l’esistenza di un tale interesse sembra contraddetta da vari indici normativi, a cominciare dalla perdurante possibilità della liquidazione volontaria della società32.

Nella disciplina del recesso dalla s.p.a., indicativa di questa impostazione è una norma che non sempre riceve adeguata considerazione nel quadro dei problemi sollevati dalla valutazione delle azioni del recedente: si tratta dell’ultimo comma dell’art. 2437- quater c.c., a mente del quale, se le azioni per cui è esercitato il recesso non siano state

in questo senso, cfr. fra gli altri M.CARATOZZOLO,Criteri (I parte) cit., p. 1211.

30 Cfr. V. DI CATALDO,Il recesso cit., p. 224 s., e L. DE ANGELIS,I bilanci cit., p. 44; per il dibattito precedente alla riforma del 2003, cfr. M.ROSSI, Il diritto di recesso cit., p. 593 ss.

31 Cfr. G. FERRI jr, Investimento cit., p. 154 ss.

32 Cfr. F. D’ALESSANDRO,La provincia del diritto societario inderogabile (ri)determinata. Ovvero: esiste ancora il diritto societario?, in Riv. soc., 2003, p. 34 ss., spec. p. 42. Per l’affermazione, invece, di tale principio, tutelato tuttavia in forma soltanto indiretta, cfr. G.MARASÀ,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 777, il quale tuttavia mostra di ascrivere tale interesse alla maggioranza che ha adottato la deliberazione (ivi, p.

793); nel medesimo senso già M.CIAN,La liquidazione cit., p. 305 e p. 308. Cfr. anche V.DI CATALDO, Il recesso cit., p. 225, secondo il quale la probabilità che i valori disinvestiti siano indirizzati verso altre iniziative imprenditoriali offre adeguata tutela all’interesse generale alla produzione.

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collocate presso gli altri soci o sul mercato e non sia stato possibile rimborsarle con utili o riserve disponibili, né l’assemblea abbia deliberato lo scioglimento della società, la liquidazione deve avvenire mediante deliberazione di riduzione del capitale, alla quale trova applicazione l’art. 2445, commi 2, 3 e 4, c.c. e, dunque, l’istituto dell’opposizione dei creditori. Ebbene, l’art. 2437, ultimo comma, c.c. dispone che, ove l’opposizione sia accolta la società si scioglie.

Questa disposizione ha sollevato numerosi dubbi33, specie da parte di chi presupponga l’esistenza di un principio generale di conservazione dell’impresa: e, in questo senso, si è talora segnalato come sarebbe stato preferibile prevedere, nell’ipotesi dell’accoglimento dell’opposizione dei creditori, la caducazione della deliberazione (o del fatto34) legittimante il recesso. Di là, però, dal rilievo che tale soluzione potrebbe non essere sempre possibile o, comunque, conveniente, la società potrebbe revocare la decisione che ha dato luogo al recesso o decidere autonomamente lo scioglimento della società, in entrambi i casi privando di efficacia il recesso, a norma dell’art. 2437-bis, comma 3, c.c.

Piuttosto, ciò che vale la pena considerare è quello che la norma non consente:

cioè, che il socio che non ha contribuito alla deliberazione debba conservare l’investimento quando la sua parziale liquidazione possa ledere la conservazione della garanzia patrimoniale dei creditori, giacché proprio l’esito dello scioglimento della società indica la prevalenza dell’interesse di tale azionista a disinvestire35 rispetto a quello degli altri soci e, più ampiamente, del sistema economico, alla conservazione dell’impresa.

Emerge, dunque, chiaramente che l’alternativa alla liquidazione individuale della

33 Cfr. A.PACIELLO,sub artt. 2437 e ss., p. 1137 ss., che denuncia la contraddittorietà di questa previsione con «uno dei punti qualificanti la legge-delega: favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese (art. 2, co. 1, lett. a, l. 3.10.2001, n. 366); similmente, cfr. V.CALANDRA BUONAURA,Il recesso cit., p. 307 s. Si veda però C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, II ed., Padova, 2006, p. 90, secondo il quale il mancato acquisto delle azioni da parte dei soci o sul mercato, insieme con il loro mancato rimborso attraverso mezzi propri della società, segnalerebbe «un giudizio di inefficienza riguardo all’impresa societaria ed all’operazione che s’intende compiere» che rende adeguato il rimedio dello scioglimento.

34 In dottrina, peraltro, si discute se la società, al pari di quanto previsto per la deliberazione legittimante (art. 2437-bis, ultimo comma, c.c.) possa privare il recesso di efficacia rimuovendo il fatto che lo legittima: in senso favorevole v. V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso cit., p. 305, e M. BIONE, Informazione cit., p. 213 s.; contra, D.GALLETTI,sub artt. 2437 ss. cit., p. 1555.

35 Contra A. PACIELLO, sub artt. 2437 e ss. cit., p. 1138, a giudizio del quale lo scioglimento penalizzerebbe anche il socio recedente «che vede paralizzata la propria pretesa e dovrà attendere gli esiti della liquidazione per soddisfarsi pro quota sul residuo attivo», e anche quello che «abbia esercitato parzialmente il recesso, perché in questa scelta è implicito l’interesse a proseguire l’iniziativa economica comune».

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partecipazione è lo scioglimento della società, cioè il disinvestimento collettivo: una vicenda al temine della quale ciascuno dei soci riceverà il valore proporzionale della relativa quota, ritratto all’esito della liquidazione del patrimonio e del pagamento delle pretese creditorie. Questo valore verosimilmente non corrisponderà né a quello risultante dalla determinazione degli amministratori ai sensi dell’art. 2437-ter, comma 2, c.c. – giacché quest’ultimo, per un verso, non sconta le vicende successive al momento al quale quella valutazione si riferisce, e, per altro verso, è solo teorico e non il frutto della effettiva liquidazione del patrimonio –, né tantomeno a quello riveniente dal bilancio di esercizio. È certo, però, che esso sarà il risultato di un’attività, promossa dai liquidatori, funzionale alla massimizzazione del valore del patrimonio sociale, sia che essa discenda dalla cessione unitaria dell’azienda o, anche, dei singoli rami, sia che derivi dalla liquidazione individuale di singoli beni, o dalla combinazione di queste modalità36.

Ciò perché, quando si tratta di definire integralmente e collettivamente il risultato dell’investimento, i liquidatori devono operare nell’interesse di tutti i soci a ritrarre un valore quanto più elevato possibile: il che, in principio, non è detto che derivi dall’uno o dall’altro modo di liquidazione (a cui, in teoria, corrispondono i diversi sistemi di valutazione delle aziende), ma da quello che in concreto consenta di ottenere sul mercato il risultato maggiore37; è, questa, una conclusione nota al sistema: infatti, il legislatore, nel contesto della liquidazione fallimentare, pur avendo presente che normalmente38 la «vendita dell’intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco» consente di realizzare un plusvalore, tradizionalmente identificato nell’avviamento – e quindi segnalando tale criterio come da privilegiare nella realizzazione dell’attivo –, nondimeno dispone la liquidazione dei singoli beni se ciò consenta una maggiore soddisfazione dei creditori (art. 105 l.fall.).

Ne discende che, almeno nella liquidazione – volontaria o fallimentare che sia – il patrimonio incorporerà l’avviamento (o sarà ceduto secondo la valutazione reddituale solo se ciò realizzi un valore maggiore o corrispondente a quello analitico-

36 Cfr. B.LIBONATI,Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, p. 549.

37 E, infatti, con riguardo alla determinazione, come detto solo teorica, del valore di liquidazione delle azioni per cui è esercitato il recesso, si veda quanto rilevano M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 91 s., secondo i quali, giacché tale procedimento è funzionale alla «determinazione del valore “reale”

delle azioni del socio recedente – e cioè, più precisamente, del risultato dell’operazione societaria di sua pertinenza […] – non vi è ragione di negare che gli amministratori siano abilitati ad adottare il metodo reputato più coerente ad esprimere quel risultato, nell’esercizio della discrezionalità tecnica e in ragione delle caratteristiche operative della società».

38 E vedi già B. LIBONATI,I bilanci straordinari, in Giur. comm., 1982, I, p. 824 ss., ora in ID.,Scritti giuridici, I, Milano, 2013, p. 1343 ss., spec. p. 1355 s.

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patrimoniale39: laddove, invece, l’avviamento assuma un segno negativo o, il che è lo stesso, il metodo reddituale conduca a un risultato minore di quello analitico- patrimoniale, la scelta dovrà necessariamente orientarsi per la vendita dei singoli beni, ove possibile40.

Di là dalla possibilità che i soci revochino, nei termini previsti dalla legge, la decisione che ha legittimato al recesso, così privandolo di efficacia, l’unica alternativa alla liquidazione della quota del recedente è il disinvestimento collettivo, volontario (artt. 2437-bis, comma 3, e 2437-quater, comma 6, c.c.) o discendente dall’accoglimento delle opposizioni dei creditori (art. 2437-quater, comma 7, c.c.).

Questa constatazione, imposta dal tenore legislativo, chiarisce sotto il profilo funzionale l’istituto del recesso41: esso, infatti, sebbene sia spesso riguardato come strumentale a consentire una negoziazione delle partecipazioni42 – in particolare là dove non vi sia un relativo mercato – o, addirittura, una negoziazione, fra maggioranza e minoranza, sulla gestione dell’operazione societaria43, ponendosi finanche a presidio contro gli abusi della prima44, è, sopratutto, un mezzo di disinvestimento individuale.

È vero, infatti, com’è stato anche di recente osservato45, che le tesi appena indicate colgono senz’altro alcuni aspetti dell’istituto e, forse, anche alcune intenzioni

39 Ma si veda, in una prospettiva contraria a ritenere che la valutazione della quota possa determinare un valore «equivalente a quello realizzabile in caso di dismissione complessiva del patrimonio», A.

PACIELLO,sub art. 2437-ter cit., p. 1228, motivando dal «richiamo alle prospettive reddituali, e quindi a un bilancio di funzionamento».

40 La quale, semmai, potrà scontare una valutazione prudenziale, giacché, come rileva B. LIBONATI,I bilanci cit., p. 1355 s., il «bilancio iniziale di liquidazione è funzionale, com’è evidente, alla liquidazione della società. I valori riportati devono corrispondere, pertanto, al valore di mercato dei beni. Tali valori, a loro volta, dipendono da come i beni potranno essere alienati. La cessione di un’azienda, ad es., renderà più di una vendita al dettaglio. Sembra ovvia l’applicazione, anche in questo caso, del principio della prudenza. Illazioni circa possibili operazioni fortunate sono fuori luogo. Risultati felici della liquidazione potranno essere congruamente esposti in sede di bilancio finale». L’analogia fra la liquidazione e il recesso è suggerita, in vero, dallo stesso A. (ID.,Il bilancio d’esercizio nelle società per azioni, ed.

provv., Milano, 1968, p. 40, seguito, sul punto, da G.FERRI jr, Investimento cit., p. 176, a nota 106), che, già nel vigore del sistema precedente segnalava come sembrasse più logico calcolare la quota del socio recedente «sulla base di un bilancio straordinario redatto con criteri simili al bilancio di liquidazione, indipendentemente dal futuro dell’impresa, posto che per il socio redente l’attività di impresa cessa, come è ovvio, al momento del recesso».

41 Cfr. C.FRIGENI, Partecipazione in società di capitali e diritto al disinvestimento, Milano, 2009, p. 105 ss.

42 Cfr. C. ANGELICI,La riforma cit., p. 87, nonché, più di recente, ID.,La società per azioni cit., p. 62 s. e p. 476.

43 Cfr. ancora C. ANGELICI,La riforma cit., p. 87 ss., e ID., La società cit., p. 477, a nota 73, nonché M.

STELLA RICHTER jr, Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 389 ss., spec.

p. 403; V.CALANDRA BUONAURA,Il recesso cit., p. 307; F.CHIAPPETTA,Nuova disciplina cit., p. 488.

44 Cfr.D.GALLETTI,sub artt. 2437 ss. cit., p. 1483 ss.; contra A. PACIELLO,Il diritto di recesso nella s.p.a.: primi rilievi, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 417 ss., spec. p. 419 ss.

45 M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 84.

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che hanno ispirato il legislatore storico, ma resta il fatto, scolpito con chiarezza dalla disciplina, che il recesso è funzionale a consentire ai soci di rimodulare il proprio investimento46 dinanzi a una operazione societaria che si modifica in modo rilevante sul piano organizzativo o economico47.

Come si osserva in dottrina48, storicamente il recesso accompagna l’affermazione del principio maggioritario in ordine alle modificazioni statutarie e, dunque, esprime un bilanciamento fra l’interesse della maggioranza a modificare l’originaria operazione societaria, senza transitare per lo scioglimento della società e una nuova iniziativa imprenditoriale, e quello della minoranza dissenziente a “tirarsene fuori”: ma sul presupposto, per un verso, che si tratti di una vicenda integralmente interna alla compagine sociale, e, per altro verso, che la possibilità di modificare l’investimento uno actu non possa andare a detrimento del diritto al valore della partecipazione sociale.

Sicché non vengono in considerazione, al fondo, né l’esigenza di creare un mercato delle partecipazioni49, né quella di tutelare i soci di minoranza dagli abusi della maggioranza50: ché, anzi, sebbene i due aspetti occupino piani giuridicamente distinti, il

46 Cfr. M.MAUGERI,Partecipazione cit., p. 207 s. e p. 209, che rintraccia nel recesso un’espressione potestativa, comune a una vicenda di gestione dell’altrui interesse, funzionale al «conseguimento del risultato dell’operazione societaria». V. DI CATALDO, Il recesso cit., p. 223, pur segnalando il

«multiforme» ruolo complessivo del recesso, individua nel «disinvestimento del socio in ipotesi nelle quali le condizioni di rischio della società vengono a modificarsi in termini significativi» la «prima ragione d’essere delle nuove regole».

47 Cfr. G. FERRI jr, Investimento cit., p. 158 s., e M.MAUGERI,Partecipazione cit., p. 190 s.

48 Cfr. G. GRIPPO,Il recesso del socio, in Tratt. soc. per az., diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 6*, Torino, 1993, p. 133 ss.

49 La stessa ipotesi di recesso ad nutum, prevista nelle società non quotate costituite a tempo indeterminato, sebbene a prima vista tragga la propria ragion d’essere dall’assenza di un mercato delle partecipazioni di tali società e, dunque, dalla obiettiva difficoltà del socio di smobilizzare le azioni (cfr. C.

ANGELICI, La riforma cit., p. 88), risultando funzionale ad agevolare proprio il disinvestimento (e, dunque, specularmente, la propensione all’investimento), non rintraccia in tale situazione di fatto la propria condizione necessaria e sufficiente. È significativo notare, infatti, che tale fattispecie discende, oltre che dalla circostanza che la società non sia quotata, da una precisa scelta dei soci di non prevedere un termine per la società; del resto, sebbene sovente tale fattispecie di recesso venga spiegata richiamando il principio di inammissibilità di vincoli perpetui (cfr., ex multis, ID.,ibid.), l’osservazione che, quando previsti, i termini sono normalmente molto distanti e quasi sempre superiori alle prospettive di vita degli azionisti persone fisiche, rende quella spiegazione insoddisfacente: non è un caso, infatti, che nelle società di persone, il recesso è esercitabile ad nutum quando la società è contratta a tempo indeterminato, o per tutta la vita di uno dei soci (art. 2285 c.c.). Si vuol dire, in altre parole, che se il problema fosse effettivamente quello di supplire all’assenza di un mercato delle partecipazioni, il recesso dovrebbe essere ammesso anche quando il termine sia così lontano da essere, di fatto, indeterminato. Così, invece, non è, sì che sembra fondata l’idea che la mancata fissazione di un termine o, all’opposto, la sua fissazione, quale che sia, denotino l’intenzione dei soci di consentire più o meno ampiamente a ciascun azionista di disinvestire.

50 A parte, forse, il caso contemplato nell’art. 2497-quater, comma 1, lett. b, c.c., a mente del quale il socio a favore del quale sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, la condanna di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c., può recedere per l’intera partecipazione:

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presupposto del recesso è la validità e l’efficacia della deliberazione sociale, all’esito del legittimo dispiegarsi del potere della maggioranza51; il quale, proprio perché esercitato «in conformità della legge e dell’atto costitutivo», vincola «tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti» (art. 2377, comma 1, c.c.), al punto che, per evitare quella soggezione, ma solo per i limitati casi in cui è previsto, l’unica strada è il disinvestimento.

Proprio l’alternativa, impostata dalla legge, fra disinvestimento individuale e collettivo induce a non enfatizzare quella, pure emergente dalla disciplina, fra liquidazione della quota a spese della società, con contestuale riduzione del capitale sociale se necessario, e alienazione delle azioni per cui è esercitato il recesso agli altri soci o sul mercato; si tratta, infatti, di vicende solo apparentemente contigue.

In vero, la circostanza che la liquidazione della quota assuma, peraltro in via privilegiata secondo la scansione procedimentale dell’art. 2437-quater c.c., le forme del pagamento del prezzo per l’acquisto delle azioni del recedente, induce talora a ritenere che tale vicenda incida anche sulla determinazione del valore di liquidazione: che tale valore, cioè, debba coincidere con quel prezzo o, meglio, con i criteri della sua formazione52. Ciò, però, è vero solo per le azioni quotate nei mercati regolamentati – ancorché si tratti comunque, anche in quel caso, di un prezzo imposto e calmierato53 – e, solo in parte, forse, per società con titoli diffusi fra il pubblico (alle quali, verosimilmente, fa riferimento l’art. 2437-ter c.c. con il rinvio all’eventuale prezzo di mercato) 54, non anche per le società chiuse, ove le azioni rilevano piuttosto, almeno in questa fase, come strumenti d’investimento55. E, in questo senso, non sembra secondario segnalare che, anche sul piano terminologico, il legislatore, nell’art. 2437-

e cfr., sul punto, M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 85.

51 Cfr. C.ANGELICI,La società cit., p. 74 s.

52 Cfr. C. ANGELICI,La società cit., p. 476, a nota 72, rileva che «per il ruolo del diritto di recesso al fine di provocare una negoziazione endosocietaria, si spiega l’esigenza di criteri di determinazione del valore delle azioni del recedente che il più possibile simulino gli esiti cui si perverrebbe in una libera contrattazione» (enfasi aggiunta). Nel medesimo senso G.MARASÀ, sub artt. 2437 e ss. cit., p. 796.

53 Di prezzo “amministrato” dalla legge tratta P.SPADA,C’era una volta la società …, in Riv. not., 2003, p. 1 ss., spec. p. 11.

54 E cfr. A.PACIELLO,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 1126, a nota 4, ove si rileva che, con tutta probabilità, il

«sintagma “nonché dell’eventuale valore di mercato” vuol tener conto delle società c.d. “chiuse”, dove non sempre è possibile individuare il valore di mercato», e a conferma l’A. confronta la previsione dell’art. 2473, comma 3, c.c., dettato in tema di valutazione della quota del socio recedente di s.r.l., ove il rinvio alla considerazione in ogni caso del valore di mercato (non della quota, ovviamente, ma) del patrimonio tout court. Nel medesimo senso v. G.MARASÀ,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 796.

55 Per la distinzione fra azioni come strumento d’investimento e come bene di scambio cfr. G.FERRI jr, Investimento cit., p. 183 ss.

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ter, comma 3, c.c. impiega il termine di valore di liquidazione56 e non, invece, quello di prezzo57.

Vale la pena di osservare, infatti, che se sul piano economico anche la cessione delle azioni realizza un disinvestimento (come, specularmente, l’acquisto realizza un investimento), sul piano giuridico le vicende sono distinte: nello scambio, infatti, la partecipazione sociale e, paradigmaticamente, le azioni, rilevano come oggetti, al pari di qualsiasi altro bene, e la modalità di investimento è, in definitiva, realizzata solo in fatto, in considerazione della necessaria duplicità degli scambi e dell’eventuale differenza fra i prezzi di acquisto e di vendita58, presentandosi solo in via eventuale; al contrario, là dove si riguardi la partecipazione sociale come strumento di investimento, vale a dire come forma giuridica assunta dalla destinazione di ricchezza all’operazione societaria, la funzione di investimento è realizzata immediatamente dalla titolarità della partecipazione stessa, che consente di prendere parte alle ripartizioni periodiche degli utili e all’eventuale valore finale di liquidazione, del tutto indipendentemente dalla circostanza che essa sia coinvolta in vicende di scambio59.

In vero, l’ordinamento mostra di prestare attenzione alla partecipazione sociale sia come strumento d’investimento, sia come oggetto di scambio: la stessa disciplina del recesso segnala questa duplicità di piani nella parte in cui dispone che la valutazione delle azioni quotate avvenga attingendo alla media dei prezzi di chiusura dei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso (art. 2437, comma 3, c.c.);

tuttavia, proprio il confronto con quest’ultima previsione 60 , insieme con le considerazioni che precedono, convincono che nel caso di titoli non quotati il recesso esprima una vicenda tutta interna alla società e, dunque, alla partecipazione sociale nella sua dimensione di strumenti di investimento61.

La preferenza per la cessione dei titoli, allora, sembra funzionale a consentire esclusivamente di non smobilizzare la ricchezza investita; ma il rilievo che, in ultima istanza, la strada è quella della liquidazione della società, segnala che tale interesse alla prosecuzione dell’attività – comune ai soli soci superstiti – è in definitiva subordinato a quello, proprio di chi recede, di interrompere o limitare il proprio investimento e,

56 In questo senso, la Relazione ministeriale cit., nel § 9, chiarisce che la vicenda, dalla parte del recedente, deve essere considerata come «un atto, ed un intento, liquidatorio».

57 Lo segnala P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 464.

58 Cfr. G. FERRI jr, Investimento cit., p. 54 ss.

59 Ancora G. FERRI jr, Investimento cit., p. 183 ss.

60 E cfr., infatti, M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 94 ss.

61 M.MAUGERI eH.FLEISCHER,Problemi cit., p. 96.

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soprattutto, di ottenerne il valore finale.

Se è vero, infatti, che, sul piano operativo, c’è senz’altro più vicinanza, quanto ai valori, fra il prezzo eventuale delle azioni e il valore unitario effettivo delle stesse (ottenuto vuoi mediante la rettifica dei valori del patrimonio sociale, vuoi, alternativamente, attraverso la sua valutazione secondo il metodo reddituale), rispetto a quanta ve ne sia fra quest’ultimo e quello discendente dal bilancio d’esercizio, nondimeno il valore di liquidazione, ancorché solo teoricamente determinato, tenderà verosimilmente a distinguersi dal prezzo delle azioni: il primo, infatti, non reca alcun riferimento al complesso dei poteri organizzativi normalmente associati alla partecipazione sociale, giacché la liquidazione implica per definizione la “dissoluzione”

dell’organizzazione62, mentre il secondo si determina, fra l’altro, sul presupposto della continuazione dell’impresa e, dunque, incorpora i valori positivo o, rispettivamente, negativo dell’avviamento; aspetto, quest’ultimo, che, come si è chiarito, sembra dover valere per la liquidazione solo in presenza di un valore positivo.

Sembrano condivisibili, allora, quelle impostazioni secondo le quali, in caso di recesso, la liquidazione delle azioni dovrebbe assegnare al socio un valore almeno pari a quello che gli spetterebbe per l’ipotesi di liquidazione della società63: il che vale, a ben vedere, anche per l’ipotesi in cui i soci, a norma dell’art. 2437-ter, comma 4, c.c., abbiano stabilito criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione64; il

62 E non vale rilevare, in contrario, che i soci, a maggioranza, possono comunque revocare lo stato di liquidazione, giacché si verserebbe, in tale ipotesi, in una fattispecie inderogabile di recesso dalla s.p.a.

(art. 2437, comma 1, lett. d, c.c.).

63 Contra M. CARATOZZOLO,Criteri (I parte) cit., p. 1211, e D.GALLETTI,sub artt. 2437 ss. cit., p. 1570 ss.

64 Sul significato e sui contenuti dell’apertura all’autonomia statutaria, in punto di criteri di determinazione del valore delle azioni, cfr. in senso critico M.REBOA,Criteri cit., p. 409, secondo il quale, in definitiva, di là dalla possibilità di estendere questa previsione anche alla valutazione delle azioni quotate (contra, sul punto, S. CARMIGNANI,sub art. 2437-ter, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2/II, Torino, 2003, p. 889 ss., spec. p. 892; A.PACIELLO,sub artt. 2437 ss. cit., p. 1132, secondo il quale il criterio legale sarebbe inderogabile «e pertanto è inammissibile una qualsiasi modifica, sia che risulti più vantaggiosa, sia che vada nell’opposta direzione», nonché M. STELLA RICHTER jr, Diritto cit., p. 399, G. MARASÀ, sub artt. 2437 e ss. cit., p. 797, e M. MAUGERI e H.

FLEISCHER,Problemi cit., p. 96 s.), «le specificazioni indicate al 4° comma potrebbero essere interpretate come più stringenti “guidelines” da seguire nel processo valutativo per circoscrivere la discrezionalità della stima e garantire che il procedimento disciplinato dalla norma valorizzi adeguatamente e in via autonoma, in forza di una norma statutaria, determinati elementi del patrimonio tangibile e intangibile […] adottando, in questa prospettiva, criteri noti in partenza», in un orizzonte di accresciuta «tutela dei soci che desiderano esercitare il diritto di recesso»; in termini non dissimili cfr. M.CIAN,La liquidazione cit., p. 306. In una prospettiva diversa, cfr. A.PACIELLO,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 1129, coerentemente con la sua impostazione volta a dimostrare che i criteri legali non consentano di liquidare il valore effettivo della quota, «potendo al più ridurne lo scarto»; egli, infatti, mostra di interpretare la norma sui criteri legali, alla luce della possibilità di derogarvi per via statutaria: «il rapporto tra regola dispositiva e autonomia negoziale lascia presumere che i valori risultanti dall’applicazione del criterio legale non siano

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contrario, infatti, violerebbe non soltanto – come comunemente si osserva65 – l’ultimo comma dell’art. 2437 c.c., a mente del quale «è nullo ogni patto volto a escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso» nei casi in cui esso è fissato imperativamente dal codice, ma, più profondamente, un principio tipologico, in forza del quale i soci non possono essere privati del valore della loro quota66; da cui origina, peraltro, il dubbio che le norme concernenti la determinazione del valore della quota di liquidazione non possano derogare in pejus67 al criterio di legge neppure nei casi di

idonei a determinare il valore effettivo, e che invece esso possa essere determinato con l’adozione di criteri alternativi o, comunque, diversi […] Altrimenti non avrebbe alcun senso la facoltà di stabilire criteri diversi»; in una prospettiva simile V.DI CATALDO,Il recesso cit., p. 236 s., secondo il quale i criteri statutari varrebbero proprio «a consentire una migliore acquisizione del valore reale» delle azioni.

Cfr., infine, P.M. IOVENITTI,Il nuovo diritto cit., p. 474 s., secondo cui la portata della norma in esame è stata «probabilmente sopravalutata dai primi commentatori, nel senso che le sono stati attribuiti spazi normativi in eccesso rispetto a quanto più realisticamente si possa considerare».

65 E cfr., ex multis, M.STELLA RICHTER jr, Diritto cit., p. 400; P. PISCITELLO,Riflessioni cit., p. 525; V.

CALANDRA BUONAURA,Il recesso cit., p. 314; M. CIAN,La liquidazione cit., p. 305.

66 Il che, d’altra parte, a protezione dei soci non recedenti, potrebbe essere declinato nel senso che il valore di liquidazione non potrà in ogni caso superare quello di mercato del patrimonio sociale: in una prospettiva consimile cfr. A.PACIELLO,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 1126, il quale, trattando del valore derivante dall’applicazione di eventuali criteri statutari, conclude che esso «mai potrà portare a liquidare un corrispettivo superiore a “quel valore di mercato”, che assume logicamente il significato di limite invalicabile, e conferma il divieto di restituire al socio più di quanto ha investito e realizzato per effetto dell’attività comune e di corrispondergli un valore superiore al valore “reale”, rapportato al valore di mercato delle “entità che compongono il patrimonio sociale”». Il tema dei rapporti fra soci recedenti e superstiti affiora anche nell’indagine di M.CIAN,La liquidazione cit., p. 308, che in effetti, discorrendo della legittimità di criteri statutari di liquidazione delle azioni potenzialmente penalizzanti per coloro che recedono, segnala come da tale vicenda possa discendere «un arricchimento (indiretto) a beneficio di quanti acquisiscano tale partecipazione o dei soci superstiti (a seconda delle modalità con cui avviene l’uscita del recedente […]) di apparente difficile giustificazione»: problema che, tuttavia, l’A. mostra di superare riguardando la vicenda sul piano dei rapporti fra socio recedente e società; infatti, in tal modo «il

“costo” così introdotto viene a rappresentare un minor aggravio per la seconda, sotto il profilo finanziario, che può più facilmente ricondursi a quel (variabile, almeno in parte) schema di bilanciamento degli interessi del singolo e, rispettivamente, dell’impresa, sul filo del quale si muove tutto l’istituto del recesso». Si tratta, però, come si è cercato di esprimere nel testo, di una prospettiva che non sembra condivisibile.

Sulla necessità di riconoscere al recedente il valore reale delle azioni – ferma la discrezionalità tecnica della sua determinazione, e ferma la posizione dell’A. in ordine alla legittimità di premi e sconti – cfr. V.

DI CATALDO,Il recesso cit., p. 237 s., che osserva come «lo spostamento di ricchezza (in un senso o nell’altro) non avrebbe alcuna “causa”»; sul tema si veda anche P.PISCITELLO,Riflessioni cit., p. 525.

67 Per la conclusione secondo la quale i criteri statutari debbono individuare gli elementi dell’attivo

«suscettibili di una diversa, e più elevata, valutazione» cfr. A. PACIELLO,sub artt. 2437 e ss. cit., p. 1126;

l’A., tuttavia, sembra riferirsi ai soli casi inderogabili di recesso, giacché più avanti ammette la possibilità che nello statuto, nelle ipotesi diverse, possano essere introdotte «previsioni pattizie volte a comprimere il valore di liquidazione». Suggeriscono di distinguere fra cause inderogabili e derogabili o di natura pattizia, anche P.PISCITELLO,Recesso cit., p. 47; M. CIAN,La liquidazione cit., p. 307 s., e M.MAUGERI e H.FLEISCHER,Problemi cit., p. 83 ss., nonché p. 104, gli ultimi Aa. in particolare aprendo alla possibilità di convenzioni che comprimano il valore della partecipazione, imponendo al socio recedente un “prezzo”

per l’accresciuta mobilità dell’investimento e, se del caso, che prevedano “sconti” di minoranza o “premi”

di maggioranza: col limite, però, in vero coerente a quanto si rileva nel testo, «della “ragionevolezza” del

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