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NOI E L'ISLAM - dall’accoglienza al dialogo

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Academic year: 2022

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NOI E L'ISLAM - dall’accoglienza al dialogo

Discorso di S.Em. Card. Carlo Maria Martini alla Chiesa ed alla Città di Milano, nella vigilia della festa di sant’Ambrogio, il 6 di- cembre 1990.

Indice

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Dal Libro della Genesi (21, 13-20) 1. Premessa

2. Chi siamo "noi" e chi è "l'islam"

3. I valori storici dell'islam 4. L’islam in Europa

5. L’atteggiamento della Chiesa e il dialogo 6. Annunciare il Vangelo di Gesù

7. Conclusione

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Dal Libro della Genesi (21, 13-20): In quel tempo Dio disse ad Abramo: "Io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole". Abramo si alzò di buon mat- tino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora essa depo- se il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché di- ceva: "Non voglio veder morire il fanciullo!".

Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo e un an- gelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: "Che hai Agar? Non temere, perché Dio ha udito la vo- ce del fanciullo là dove di trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione". Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e fece bere il fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco.

1. PREMESSA Il racconto che abbiamo ascol- tato, tratto dal più antico libro della Scrittura, il libro della Genesi, ci parla di un figlio di Abramo che non fu capostipite del popolo ebraico, come lo sarebbe stato Isacco, ma a cui ugualmente sono state riservate alcune benedizioni di Dio.

"Io farò diventare una grande nazione anche il fi- glio della schiava, perché è tua prole" promette Dio ad Abramo. E infine nel racconto si dice: "Dio fu con il fanciullo".

Le reali vicende di questo Ismaele e dei suoi fi- gli rimangono oscure nella storia del secondo e primo millennio avanti Cristo, ma è chiaro che il riferimento biblico va ad alcune tribù beduine abitanti intorno alla Penisola Arabica. Da tali tribù doveva nascere molti secoli dopo Maometto, il profeta dell’islam.

Oggi, in un momento in cui il mondo arabo ha assunto una straordinaria rilevanza sulla scena internazionale e in parte anche nel nostro paese, non possiamo dimenticare questa antica benedi- zione che mostra la paterna provvidenza di Dio per tutti i suoi figli. Ed è di questo che vorrei par- larvi oggi, festa di sant’Ambrogio, in quello spirito di attenzione agli eventi della città che hanno ca- ratterizzato la vita del nostro patrono.

Esprimerò qualche riflessione non sul fenome- no dell’islam in generale, ma su quanto ci tocca oggi a Milano e nel contesto europeo, a seguito delle nuove forme di presenza dell’islam tra noi.

Ho scelto come titolo preciso di questa conversa- zione Noi e l’islam.

2. CHI SIAMO "NOI" E CHI E’ "L’ISALM".

Per noi intendo anzitutto il noi della comunità ec- clesiale, della diocesi di Milano e, in seconda istanza, anche il noi della comunità civile cittadi- na, provinciale e regionale. Certamente il proble- ma posto dall’islam in Europa è molto più vasto.

Abbiamo avuto occasione di dirlo l’anno scorso, in questa stessa sede, parlando dell’accoglienza ai terzomondiali.

La presenza di numerosi gruppi etnici di fede musulmana nei nostri paesi europei comporta an- zitutto una serie di problemi riguardanti la prima accoglienza e assistenza, la casa, il lavoro. Uno sforzo che impegna tutti; e le comunità cristiane della nostra diocesi hanno dato prova questo an- no di grande spirito di solidarietà. Tale compito di prima sistemazione in accordo con le leggi vigenti riguarda in primo luogo la comunità civile, sia pure in collaborazione con le forze di volontariato.

Ma è evidente che tutti noi, comunità civile ed ec- clesiale, non potremo limitarci in avvenire ai prov- vedimenti sopraindicati. Nasceranno via via nuovi problemi riguardanti la riunione delle famiglie, la situazione sociale e giuridica dei nuovi immigrati, la loro integrazione sociale mediante una cono-

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scenza più approfondita della lingua, il problema scolastico dei figli, i problemi dei diritti civili, etc.

Non entro direttamente in tali temi perché ho avuto modo di parlarne in diverse occasioni. Vor- rei solo richiamare qui, prima di abbordare il tema più specifico, un punto che mi è sembrato finora poco atteso e cioè la necessità di insistere su un processo di "integrazione", che è ben diverso da una semplice accoglienza e da una qualunque si- stemazione. Integrazione comporta l’educazione dei nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettare le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati che tenderebbero di fatto a ghettizzarli e a farne potenziali focolai di tensioni e violenze.

Finora l’emergenza ha un po’ chiuso gli occhi su questo grave problema. In proposito, il recente documento della Commissione Giustizia e Pace della CEI dice: "Non va dimenticata la necessità di regole e tempi adeguati per l’assimilazione di que- sta nuova forma di convivenza, perché l’accoglienza senza regole non si trasformi in do- lorosi conflitti" (Uomini di culture diverse, dal con- flitto alla solidarietà, 25 marzo 1990, n. 33). E’

necessario in particolare far comprendere a quei nuovi immigrati che provenissero da paesi dove le norme civili sono regolate dalla sola religione e dove religione e stato formano un’unità indissolu- bile, che nei nostri paesi i rapporti tra lo stato e le organizzazioni religiose sono profondamente di- versi. Se le minoranze religiose hanno tra noi quelle libertà e diritti che spettano a tutti i cittadi- ni, senza eccezione, non ci si può invece appella- re, ad esempio, ai principi della legge islamica (sciariaa) per esigere spazi e prerogative giuridi- che specifiche.

Occorre perciò elaborare un cammino verso l’integrazione multirazziale che tenga conto di una reale integrabilità di diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicu- rare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di almeno un nucleo minimo di valori che costitui- scono la base di una cultura, come ad esempio i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Ci sono infatti popoli ed etnie che hanno una storia e una cultura molto diverse dalle nostre e di cui ci si può domandare se intendano nello stesso senso i diritti umani e anche la nozione di legge. Ciò vale a fortiori dove si verificano fenomeni che genericamente chia- miamo col nome di integralismi o fondamentalis- mi, che tendono a creare comunità separate e che si ritengono superiori alle altre. Ma questo è un

problema che nel suo insieme riguarda la comu- nità civile e la causa della pacifica convivenza tra le etnie ed io mi limito a richiamarlo. Connesso a questo è però il problema della possibilità anche di un dialogo interreligioso senza il quale sembra difficile assicurare una tranquillità sociale. Ora questo dialogo è possibile? Vi sono pronti i mu- sulmani? Vi siamo pronti noi cristiani?

Come vedete, si passa a poco a poco dai pro- blemi che toccano la comunità civile nel suo in- sieme a quelli più propriamente religiosi, che con- sistono sostanzialmente, per noi cristiani, nella necessità di valutare e capire a fondo l’islam oggi e nel disporci al massimo di accoglienza e di dia- logo possibile, senza per questo rinunciare ad al- cun valore autentico, anzi approfondendo il senso del Vangelo. Si tratta in sostanza di rispondere a domande come queste:

a. Che cosa dobbiamo pensare oggi noi cristia- ni dell’islam come religione?

b. L’islam in Europa sarà anch’esso secolariz- zato, entrando quindi in una nuova fase della sua acculturazione europea?

c. Quale dialogo e in genere quale rapporto sul piano religioso è possibile oggi in Europa tra cri- stianesimo e islam?

d. La Chiesa dovrà rinunciare a offrire il Van- gelo ai seguaci dell’islam?

Islam significa etimologicamente "sottomissio- ne" e in special modo sottomissione a Dio e a quella rivelazione che egli ha fatto di sé. Noi in- tendiamo qui per islam l’insieme di tutte le cre- denze e pratiche che si richiamano a Maometto e al Corano, ben consci della complessità di un si- mile macrocosmo e delle sue molteplici ramifica- zioni nei secoli. In generale possiamo dire che i

"pilastri" dell’islam, accettati da tutti i musulmani, sono: il riconoscere un Dio solo, creatore, miseri- cordioso e giudice universale, e Maometto come suo profeta definitivo; la preghiera cinque volte al giorno; il digiuno di ramadàn; l’imposta per i po- veri; il pellegrinaggio alla Mecca una volta in vita;

il gihàd interiore, cioè lo sforzo e il combattimento per Dio, da intendersi anzitutto come mobilitazio- ne contro le proprie passioni per una vita giusta e la lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia;

l’impegno a conformarsi nel privato e nel pubblico a quel modo di vivere chiamato sciariaa, basato sul Corano, seguendo il quale è possibile fare la volontà di Dio in ogni aspetto della vita: religioso, personale, familiare, economico, politico.

Di qui si vede come l’islam è una religione in cui l’aspetto sociale e civile ha una fondamentale im- portanza. Anche se i musulmani nel mondo sono

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oggi diversi per origine etnica e correnti religiose interne e sono cittadini di diversi stati indipenden- ti, rimane però vero che la fede musulmana è di per se stessa un universalismo che oltrepassa le frontiere e rimane sensibile a grandi appelli al ri- torno alle origini, così come avviene oggi nei mo- vimenti fondamentalisti. Se non è facile parlare di islam in generale, in conseguenza della storia molto complessa e ricca di questa religione; più difficile ancora è definire il fenomeno dell’islam tra noi, dell’islam in Europa. Troppo recente infatti è il suo nuovo tipo di presenza nell’Europa occiden- tale ed è difficile persino stabilirne le misure quantitative.

I musulmani nella grande Europa sono circa 23 milioni. Il paese che ne ha la più alta percentuale è senza dubbio l’Unione delle Repubbliche Sovieti- che. Seguono la Francia con 2 milioni e mezzo, la Germania ex Federale con 1.700.000, l’Inghilterra con 1 milione. Per l’Italia si parla di cifre, tra re- golari e clandestini, che vanno da 180.000 a 300.000 unità, ma probabilmente il numero è oggi più alto. Paesi molto più piccoli di noi rilevano una presenza proporzionalmente assai più elevata, come l’Olanda che ne ha 300.000 o il Belgio che ne ha 250.000. La presenza tra noi non è quindi numericamente molto rilevante, ma si è fatta vi- stosa negli ultimi anni, anche perché il loro arrivo in Italia ha coinciso con una ripresa delle correnti più integraliste. E’ forse la percezione di questo aspetto che sta creando tra noi un certo disagio e malessere, suscitando alcune delle domande alle quali tenterò di rispondere.

In quanto comunità cristiana, quali sono i prin- cipi a cui ci richiamiamo in questa materia? Pos- siamo rifarci per brevità a due tipi di testi. Anzi- tutto a quelli del Concilio Vaticano II, che ha par- lato dei musulmani soprattutto in due luoghi. Al n.

16 della Lumen Gentium si dice che "il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore e, tra questi, in particolare i musulmani, i quali professano di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giudizio finale". Nel de- creto Nostra Ætate sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane si dice in generale che "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" e "con- sidera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere quei precetti e quelle dottrine che non ra- ramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini". In particolare afferma di guardare con stima ai musulmani che "cercano di sottomettersi con tutto il core ai decreti di Dio an- che nascosti, come si è sottomesso anche Abra-

mo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce" (n.

2). E a proposito dei "dissensi e inimicizie che so- no sorti nel corso dei secoli tra cristiani e musul- mani", il Concilio "esorta tutti a dimenticare il pas- sato e ad esercitare sinceramente la mutua com- prensione, nonché a difendere e promuovere in- sieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà" (n. 3).

Il Concilio ha avuto dunque cura di richiamare elementi comuni a cristiani e musulmani. Per que- sto è anche significativo che esso abbia omesso altri temi importanti per l’islam. Non vengono menzionati dai testi conciliari né Maometto, né il Corano, né l’islam inteso come essenziale nesso comunitario tra i credenti, né il pellegrinaggio alla Mecca, né la sciariaa. Viene menzionata la comu- ne ascendenza abramitica, ma non Gesù, che nell’islam è presente e però è assai lontano da come lo vede il cristianesimo. Per i musulmani Gesù, il figlio di Maria Vergine - e la figura di Ma- ria è venerata presso i musulmani -, non è né profeta definitivo, né il Figlio di Dio e neppure è morto realmente sulla croce. Manca così la di- mensione vera e propria della redenzione. Ai testi conciliari che già indicano, malgrado le omissioni sopra notate, con quale rispetto, con quale aper- tura di spirito e prontezza di dialogo deve proce- dere un cristiano nel riflettere sull’islam, possiamo ancora aggiungere un testo di Giovanni Paolo II che potrà fugare anche i dubbi di quanti temono che mediante la frequentazione e il dialogo con l’islam venga meno la chiarezza della fede cattoli- ca. Dice Giovanni Paolo II nella sua prima encicli- ca Redemptor Hominis al n. 11: "Il Concilio ecu- menico [Vaticano II] ha dato un impulso fonda- mentale per formare l’autocoscienza della Chiesa, offrendoci in modo tanto adeguato e competente la visione dell’orbe terrestre come di una "mappa"

di varie religioni". Il Concilio "è pieno di profonda stima per i grandi valori spirituali, anzi, per il pri- mato di ciò che è spirituale e trova nella vita dell’umanità la sua espressione nella religione e, inoltre, nella moralità, con diretti riflessi su tutta la cultura . Per l’apertura data dal Concilio Vaticano II, la Chiesa e tutti i cristiani hanno potuto rag- giungere una coscienza più completa del mistero di Cristo, "mistero nascosto da secoli" in Dio, per essere rivelato nel tempo, nell’uomo Gesù Cristo e per rivelarsi continuamente in ogni tempo". Gio- vanni Paolo II non vede dunque opposizione, anzi convergenza, tra l’attenzione al dialogo interreli- gioso e l’accresciuta coscienza della propria fede.

E’ con questo spirito e con questa fiducia che cerchiamo di rispondere alle domande che ci sia- mo posti all’inizio.

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3. I VALORI STORICI DELL’ISLAM Che co- sa pensare dell’islam in quanto cristiani? Che cosa significa esso per un cristiano dal punto di vista della storia della salvezza e dell’adempimento del disegno divino nel mondo? Perché Dio ha permes- so che l’islam, unica tra le grandi religioni stori- che, sorgesse sei secoli dopo l’evento cristiano, tanto che alcuni tra i primi testimoni lo ritennero un’eresia cristiana, un ramo staccato dall’unico e identico albero? Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione in certo modo così vicina al cristianesimo come mai nessun’altra religione storica e insieme così combattiva, così capace di conquista, tanto che alcuni temono che essa possa, con la forza della sua testimonianza, fare molti proseliti in un’Europa infiacchita e senza valori?

A questa domanda così complessa non è facile dare una risposta semplice che, tuttavia, è in parte anticipata da quanto abbiamo riferito del Vaticano II. Si tratta di una fede che, avendo grandi valori religiosi e morali, ha certamente aiutato centinaia di milioni di uomini a rendere a Dio un culto onesto e sincero e, insieme, a prati- care la giustizia. Quello della giustizia è infatti uno dei valori più fortemente affermati dall’islam: "O voi che credete, praticate la giustizia – dice il Co- rano nella Sura IV – praticatela con costanza, in testimonianza di fedeltà a Dio, anche a scapito vostro, o di vostro padre, o di vostra madre, o dei vostri parenti, sia che si tratti di un ricco o di un povero perché Dio ha priorità su ambedue" (ver- setto 135). In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti e non riesce più in parti- colare ad agganciarli a un Dio Signore di tutto, la testimonianza del primato di Dio su ogni cosa e della sua esigenza di giustizia ci fa comprendere i valori storici che l’islam ha portato con sé e che ancora può testimoniare nella nostra società.

4. L’ISLAM IN EUROPA Una seconda doman- da: ci sarà una secolarizzazione per l’islam in Eu- ropa? La domanda è legittima se si pensa al diffi- cile percorso del cristianesimo nell’alveo della mo- dernità negli ultimi tre secoli. Il confronto tra pen- siero moderno razionale, scientifico e tecnico, tendente all’analisi e alla distinzione dei ruoli e delle competenze e la tradizione cristiana uscita dal mondo unitario medievale, ha segnato un cammino faticoso di cui solo il Concilio Vaticano II ha potuto consacrare alcuni risultati armonica- mente raggiunti, pur se non ancora del tutto re- cepiti. Va emergendo però sempre più chiara- mente che la fede in un Dio fatto uomo ed entrato nelle vicende umane è una forza che permette di cogliere anche nel divenire economico, sociale e

culturale, i segni della presenza di Dio e quindi il senso positivo di un cammino di fede nell’ambito della modernità. Non è pensabile che l’islam in Europa non si trovi prima o poi ad affrontare una simile sfida. Sappiamo anzi che, dalla fine della prima guerra mondiale fino ad oggi, vi sono state molte proposte, tendenze, partiti, soluzioni secon- do le quali il mondo musulmano, nelle sue diverse ramificazioni, etnie e territori, ha preso coscienza dell’avvento dell’era della tecnica e delle esigenze di razionalità che essa comporta. Bisogna dire però che fino ad ora la fede nei grandi "pilastri"

dell’islam non sembra aver avvertito in maniera preoccupante la scossa derivante dai principi della modernità. Prevalgono in questo momento le ten- denze fondamentaliste, che cercano di appropriar- si dei risultati tecnici, ma staccandoli dalle loro premesse culturali occidentali con la volontà di ri- solvere, nella linea della tradizione antica, tutti i problemi politici e sociali per mezzo della religio- ne.

Non si ammette quindi separazione tra religione e stato, tra religione e politica, e nell’interpretazione letterale del Corano vengono cercati tutti i principî per la risposta agli interro- gativi contemporanei, anche sociali ed economici.

E’ difficile prevedere che cosa potrà avvenire in un futuro più remoto e non è il caso di indulgere a ipotesi azzardate. Sembra corretto, nel quadro dell’atteggiamento di rispetto che prima abbiamo richiamato, auspicare e aiutare affinché il trapasso necessario ad una assunzione non puramente materiale delle agevolazioni tecniche che vengono dall’occidente sia accompagnato da uno sforzo serio di riflessione storico-critica sulle proprie fonti religiose e teologiche cercando "quell’armonia tra la visione filosofica del mondo e la legge rivelata"

(cf. L. Gardet, L’islam e i cristiani, Roma 1988, p.

114), che era già presente in alcuni dei filosofi arabi conosciuti e utilizzati da san Tommaso.

Dobbiamo adoperarci affinché i musulmani riesca- no a chiarire e a cogliere il significato e il valore della distinzione tra religione e società, fede e ci- viltà, islam politico e fede musulmana, mostrando che si possano vivere le esigenze di una religiosità personale e comunitaria in una società democrati- ca e laica dove il pluralismo religioso viene ri- spettato e dove si stabilisce un clima di mutuo ri- spetto, di accoglienza e di dialogo.

5. L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA E IL DIALOGO Alla luce di quanto fin qui detto, quale dialogo è possibile oggi e quale deve essere l’atteggiamento della nostra Chiesa a questo pro- posito?

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Mi pare opportuna una distinzione tra dialogo interreligioso in generale e dialogo tra singoli cre- denti. Il primo è quello che si svolge a livelli più ufficiali, tra rappresentanti religiosi di ambo le parti. Esso ha le sue regole indicate nel Vaticano II e poi in documenti come le norme edite dal Se- gretariato per il Dialogo Interreligioso (in partico- lare L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai se- guaci di altre religioni, 1984). Da noi a Milano esi- ste la Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo; in questo senso lavora anche la Se- greteria per gli Esteri ed è stato creato recente- mente un Centro Ambrosiano di Documentazione per le Religioni, con attenzione speciale per il mondo musulmano. Sono pure da menzionare le presenze di istituti missionari come il PIME che hanno ormai una lunga tradizione di conoscenza e di dialogo con queste realtà. Tale dialogo è riser- vato piuttosto ai competenti. Vorrei spendere una parola per quel dialogo che si svolge a livello quo- tidiano a contatto con i musulmani che incontria- mo oggi sempre più frequentemente. Va tenuto presente il fatto che non sempre la singola perso- na incarna e rappresenta tutte le caratteristiche che astrattamente designano un credente di quella religione. Come avviene per i cristiani, così anche per i musulmani non tutti aderiscono in pratica e con piena coscienza ai precetti e alle dottrine prescritte e ciò probabilmente anche a causa dello scarso retroterra culturale di molti immigrati di recente. Il problema non è tanto di fare grandi discussioni teologiche, ma anzitutto di cercare di capire quali sono i valori che realmente una persona incarna nel suo vissuto per conside- rarli con attenzione e rispetto. Si potranno trova- re, non di rado, molte più consonanze pratiche di quanto non avvenga in una disputa teologica. Ciò vale soprattutto per i valori vissuti della giustizia e della solidarietà. Tuttavia questa considerazione individuale deve sempre tener conto delle dinami- che di gruppo. Infatti l’islam non è solo fede per- sonale, bensì realtà comunitaria molto compatta e una parola d’ordine lanciata da qualche voce au- torevole al momento opportuno può ricompattare e ricondurre a unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi religiosi vissuti da un singolo indivi- duo. Per quanto riguarda più in generale l’atteggiamento della nostra Chiesa e le attitudini che si raccomandano a tutti i nostri cristiani, vor- rei richiamare brevemente l’attenzione su alcuni punti che derivano dai principi sopra esposti:

1.Occorre accogliere motivando cristianamente il perché della nostra accoglienza, dicendolo in una lingua "comprensibile", che è più spesso quella dei fatti e della carità, dando ai musulmani

il senso dello spessore religioso che pervade la nostra accoglienza.

2.Occorre ricercare insieme un obiettivo comu- ne di tolleranza e di mutua accettazione. Non mancano per questo testi anche nel Corano. Dob- biamo sfatare a poco a poco il pregiudizio in essi radicato che i non musulmani sono di fatto non credenti. Solo quando ci riconosceremo nel comu- ne solco della fede di Abramo potremo parlarci con più distensione, superando i pregiudizi.

3.Dobbiamo far cogliere loro che anche noi cri- stiani siamo critici verso il consumismo europeo, l’indifferentismo e il degrado morale che c’è tra noi; far vedere che prendiamo le distanze da tutto ciò. Data la loro abitudine a veder legate religione e società e anche in forza delle esperienze stori- che delle crociate, essi tendono a identificare l’occidente col cristianesimo e a comprendere sotto una sola condanna i vizi dell’occidente e le colpe dei cristiani. Bisogna far comprendere che siamo solidali con loro nella proclamazione di un Dio Signore dell’universo, nella condanna del male e nella promozione della giustizia.

4.Il dialogo con i musulmani sarà in particolare per noi un’occasione per riflettere sulla loro forte esperienza religiosa che tutto finalizza alla ricon- segna a Dio di un mondo a lui sottomesso. In questo, il nostro giusto senso della laicità dovrà guardarsi dall’essere vissuto come una separazio- ne o addirittura opposizione tra il cammino dell’uomo e quello del cristiano.

Vi sarebbe da dire una parola più specifica per le nostre comunità e in particolare per i presbiteri che le presiedono. Vi sono due posizioni errate da evitare e una posizione corretta da promuovere.

Prima posizione errata: la noncuranza del feno- meno. Il limitarsi a pensare all’islam come a una costellazione remota che ci sfiora soltanto di pas- saggio o che ci tocca per problemi di assistenza, ma che non avrà impatto culturale e religioso nelle nostre comunità. Da tale posizione si scivola facilmente a sentimenti di disagio e quasi di rifiuto o di intolleranza.

Seconda posizione errata: lo zelo disinformato.

Si fa di ogni erba un fascio, si propugna l’uguaglianza di tutte le fedi senza rispettarle nella loro specificità, si offrono indiscriminatamente spazi di preghiera o addirittura luoghi di culto senza aver prima ponderato che cosa significhi questo per un corretto rapporto interreligioso. Al riguardo saranno necessarie norme precise e ri- gorose, anche per evitare di essere fraintesi.

La posizione corretta è lo sforzo serio di cono- scenza, la ricerca di strumenti e l’interrogazione di persone competenti. Penso, in particolare, ai casi

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molto difficili e spesso fallimentari dei matrimoni misti. Esistono ormai nell’ambito della diocesi per- sone di riferimento, corsi e specialisti che sono a disposizione. Un supplemento di cultura e di co- noscenza in questo campo sarà necessario in av- venire, in particolare per i preti.

Come è chiaro in quanto abbiamo detto, pensia- mo fermamente che il tempo delle lotte di conqui- sta da una parte e delle crociate dall’altra debba considerarsi come finito. Noi auspichiamo rapporti di uguaglianza e fraternità e insistiamo e insiste- remo perché a tali rapporti si conformi anche il costume e il diritto vigente nei paesi musulmani riguardo ai cristiani, perché si abbia una giusta re- ciprocità. Conosciamo i problemi giuridici e teolo- gici che i nostri fratelli dell’islam hanno nei loro paesi per riconoscere alle comunità cristiane mi- noritarie i diritti che da noi sono riconosciuti alle minoranze, ma non possiamo pensare che tali problemi non possano essere risolti affidandosi a quella conduzione divina della storia che è vanto dell’islam aver sempre accettato in mezzo a tante dolorose vicissitudini. Il nostro atteggiamento vuole in ogni caso ispirarsi a quello di san France- sco d’Assisi che scriveva nella sua Regola, al ca- pitolo XVI: Di coloro che vanno tra i saraceni: "I frati che vanno tra i saraceni col permesso del loro ministro e servo possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e con- fessino di essere cristiani. L’altro è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la Pa- rola di Dio e tutti i frati, ovunque sono, si ricordi- no che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo e che per suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che in- visibili". Nessuna contesa dunque, nessun uso della forza; esposizione sincera e a tempo oppor- tuno di ciò che credono; accettazione anche di di- sagi e sofferenze per amore di Cristo.

6. ANNUNCIARE IL VANGELO DI GESU’

Una quarta e ultima domanda: può la Chiesa ri- nunciare ad annunciare il Vangelo ai musulmani?

Occorre fare anzitutto una distinzione. Altro è in- fatti l’annuncio, altro è il dialogo. Il dialogo parte dai punti comuni, si sforza di allargarli cercando ulteriori consonanze, tende all’azione comune sui campi in cui è possibile subito una collaborazione, come sui temi della pace, della solidarietà e della giustizia. L’annuncio è la proposta semplice e di- sarmata di ciò che appare più caro ai propri occhi, di ciò che non si può imporre né barattare con al- cunché, di ciò che costituisce il tesoro a cui si vorrebbe che tutti attingessero per la loro gioia.

Per il cristiano il tesoro più caro è la croce, è il mi- stero di un Dio che si dona nel suo Figlio fino ad assumere su di sé il nostro male e quello del mondo perché noi ne usciamo fuori. Non sempre questo annuncio può essere fatto in modo espli- cito, soprattutto nelle società chiuse e intolleranti.

E’ un caso oggi non infrequente in alcuni paesi.

Ma pure nei paesi cosiddetti liberi ci si scontra ta- lora con chiusure mentali così forti da costituire quasi una barriera. Allora la proposta assume la forma della testimonianza quotidiana, semplice e spontanea, e quella della carità e anche del dono della vita, fino al martirio. E’ il principio sopra ri- cordato di san Francesco. Con questa distinzione riprendiamo dunque la nostra ultima domanda:

può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede?

Certamente no, come ai musulmani non viene chiesto di rinunciare al loro desiderio di allargare la umma, la comunità dei credenti. Ciò che con- terà sarà lo stile, il modo, cioè quelle caratteristi- che di rispetto e di amore, quello stile di attenzio- ne e di desiderio di comunicare la gioia nella pace che è proprio di chi accetta le Beatitudini. Questo stile non è senza riscontri anche nel mondo del- l'islam. Si legge infatti nel Corano: "Chiama gli uomini alla Via del Signore, con saggi ammoni- menti e buoni, e discuti con loro nel modo mi- gliore... pazienta e sappi che il tuo pazientare è solo possibile in Dio... perciocché Dio è con coloro che lo temono, con coloro che fanno del bene"

(XVI, 125-127).

Raggiungeremo così tutti anche quell’atteggiamento missionario che ha caratteriz- zato il ministero di Ambrogio in mezzo ai pagani del suo tempo.

7. CONCLUSIONE Maometto nasce due secoli dopo il tempo di sant’Ambrogio e non vi è quindi nell’opera del santo nulla che si riferisca diretta- mente al nostro tema, ma è interessante notare che la comunità di Ambrogio era una comunità re- ligiosamente minoritaria. Due terzi della popola- zione che in quel tempo abitava nella zona di Mi- lano non era cristiana. Eppure "sembra che a Mi- lano non esistesse un ministero organizzato per l’evangelizzazione dei pagani. Nel De officiis mini- strorum Ambrogio non dà alcuna istruzione ai chierici per il lavoro di conversione dei pagani"

(cf. V. Monachino, S. Ambrogio e la cura pastorale a Milano nel secolo IV, Milano 1973, p. 48). La via ordinaria per la quale essi venivano a conoscenza del cristianesimo era la frequenza libera alla pre- dicazione, aperta a tutti, i colloqui con il vescovo, come nel caso di Agostino, e specialmente il con- tatto con i cristiani e la loro condotta esemplare.

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Ambrogio poneva la sua cura nel far progredire la comunità cristiana come tale; per mezzo di essa, e non con un ministero organizzato, avveniva l’influsso sui pagani.

Non dunque un proselitismo invadente, bensì l’immagine di una comunità plasmata dal Vangelo e dall’Eucaristia, zelante nella carità, libera e se- rena nel suo impegno civile quotidiano, coraggio-

sa nelle prove, sempre piena di speranza. E’ que- sta la nostra forza principale oggi, in un mondo secolarizzato, e questa forza è quella delle origini, quella della Chiesa di sant’Ambrogio e della Chie- sa dei giorni nostri.

Card. Carlo Maria Martini Milano - 6 dicembre 1990

Questo testo del Card. Carlo Maria Martini - Arcivescovo di Milano - è stato tratto da INTERNET, nel sito di “RETEBLU” con indirizzo:

http://www.reteblu.org/dialogo.html

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Dio Onnipotente, tu solo puoi riportare all’ordine la volontà che è fuori dalle leggi, e i mali dei peccatori: concedi alla tua gente la grazia di amare ciò che tu comandi e

Dio altissimo ed eterno, che nel mistero Pasquale hai stabilito il nuovo patto di riconciliazione, concedi che tutti coloro che sono rinati nell’unione con il corpo di Cristo

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Come si apprende dalla storia della Genesi, questa soluzione non porta alla pace, ma al conflitto tra Sara e Agar, e di conse- guenza all'espulsione di Agar e Ismaele dalla famiglia

Voi non dovreste dipendere interamente da ciò che vi viene insegnato in aula; dovete comprendere la natura del vostro corpo, della mente, dei sensi e dell'intelletto per esser capaci