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DENTRO IL WELFARE CHE CAMBIA. 50 ANNI DI CARITAS, AL SERVIZIO DEI POVERI E DELLA CHIESA

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50 ANNI DI CARITAS, AL SERVIZIO DEI POVERI E DELLA CHIESA

a cura di:

Massimo Campedelli Giorgio Marcello Renato Marinaro Francesco Marsico Sergio Tanzarella

“Non solo servizi”.

Il welfare religioso cattolico come prospettiva di ricerca

CARITAS1971-2021

VOLUME 1

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Roberto Bazzoni, 37 anni, tecnico ortopedico, e Antonio Sircana, 44 anni, ortopedico, entrambi di Olbia, deceduti il 12 novembre 1999 in un incidente aereo durante una missione umanitaria in Kosovo che aveva l’obiettivo di realizzare un centro di riabilitazione per bambini che avevano subito lesioni agli arti e per la quale si erano resi disponibili come volontari per conto della Delegazione regionale Caritas della Sardegna.

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VOLUME 1

“NON SOLO SERVIZI”

IL WELFARE RELIGIOSO CATTOLICO COME PROSPETTIVA DI RICERCA

P

RE FAZI O NE

“La Caritas Italiana come l’ha concepita Paolo VI e come l’ha recepita la C.E.I entra nel cuore della Chiesa come mistero, anche se opera nella istituzione e ne costituisce struttura.

Perciò non farò la storia della Caritas come si farebbe la storia dell’Italia negli ultimi trent’anni, ma cercherò di cogliere i segni che hanno guidato la vita della Caritas nell’im- pegno di attuazione del Concilio” (Mons. Giovanni Nervo1)

Fare memoria dei 50 anni di cammino ecclesiale e civile di Caritas italiana non può essere un atto celebrativo. Un organismo che è stato istituito dalla Conferenza Episcopale Italiana come inve- ramento della stagione conciliare, non può che lasciarsi interrogare dalla Scrittura e dalle parole dei suoi iniziatori, per fare memoria del tempo che ha attraversato lungo il suo cammino di servizio nella e per la Chiesa italiana.

E la Parola di Dio ci educa a considerare la memoria innanzitutto come ringraziamento per quanto il Signore ha consentito di operare, del bene innanzitutto ricevuto, della possibilità di an- nunciare il Vangelo della Carità e dell’amore di Dio lungo ormai una non più breve teoria di anni, ad una moltitudine di donne e uomini concreti, in migliaia di luoghi del nostro paese e del mondo, ove l’esercizio del suo mandato ecclesiale ha condotto Caritas italiana.

Memoria anche del male incontrato, nei volti e nelle storie delle persone segnate da vio- lenze, ingiustizie ed esclusioni e memoria anche dei limiti che hanno rischiato di rendere opaca la testimonianza al Dio della storia, che asciugherà ogni lacrima, che accoglierà ogni sofferenza.

Anni e decenni che hanno cambiato il volto delle nostre comunità, le cui culture tradizionali si sono via via affievolite nelle transizioni economiche e sociali, che l’hanno trasformato da paese agricolo, a industriale a post-industriale, modificandone l'aspetto, le dinamiche, perfino i suoi valori.

E Caritas italiana ha osservato tutto questo dalla prospettiva dei volti di quanti rimanevano indietro o fuori da questi processi, da frammenti di comunità territoriali intrappolate in meccanismi di man- cato sviluppo, da storie di povertà, di disagio e di marginalità, nonostante l’alto riconoscimento dei diritti sociali presente nella nostra Carta costituzionale.

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La memoria cristiana non dovrebbe indulgere nell’autocompiacimento, né ha l’obbligo del successo umano, ma quello di testimoniare “una umile risolutezza”, in ogni tempo e in ogni luogo, senza lasciarsi condizionare dalla convenienza e dal consenso.

Caritas italiana ha ricevuto il mandato di perseverare nel proprio compito pedagogico verso le comunità cristiane e sollecitando tutti, comprese le istituzioni - anche se inascoltati o, peggio, contrastati - a non dare “per carità ciò che è dovuto per giustizia”2.

Una umile risolutezza innanzitutto generatrice di accoglienza di quanti vivono condizioni di difficoltà siano essi vittime di un evento naturale, di una violenza, di una ingiustizia, di una condi- zione di esclusione senza cedere mai alle tentazioni della indifferenza e del senso comune. Ma anche di denuncia delle condizioni di iniquità o di mancata tutela, nella prospettiva di indicare soluzioni possibili - in termini di norme, politiche e azioni - senza mai sottrarsi a segni concreti ispirati ad una idea di sussidiarietà fattiva e responsabile.

In questa cornice si colloca questo lavoro dedicato a “Dentro il welfare che cambia. 50 anni di Caritas, al servizio dei poveri e della chiesa”, che nella sua impostazione multidisciplinare e co- rale, cerca di ricostruire il percorso e il senso di quanto fatto, per illuminare il cammino futuro.

Appare evidente che Caritas italiana non può raccontarsi se non narrandosi come parte di un tutto che è la comunità cristiana e le sue opere. Caritas, in quanto organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana, ha svolto una funzione eminentemente pedagogica, facendosi com- pagna e non maestra, di quanti volevano porsi la domanda di come rispondere in maniera consona

“ai tempi e ai bisogni”3 dei propri territori.

Caritas ha quindi camminato con le Diocesi e con le realtà socio-assistenziali italiane attra- verso le grandi transizioni che, dal dopoguerra ad oggi, hanno mutato il volto del nostro paese. Cer- cando le strade perché, contestualmente, la Chiesa si facesse prossima ai bisogni vecchi e nuovi che i processi socio-economici in atto producevano o non sanavano, e ricordando ai decisori pubblici - quale che fosse il loro orientamento politico - che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedi- scono il pieno sviluppo della persona umana”4.

Negli anni del secondo dopoguerra la rilevanza delle opere assistenziali cattoliche era straor- dinaria e tale è rimasta fino ad oggi, a fronte di significative evoluzioni operative e transizioni di modelli organizzativi. Oggi la discussione - in ambito scientifico, tra i policy maker e tra gli addetti ai lavori - sulla situazione attuale e sui possibili scenari evolutivi del modello di welfare italiano, tende

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a non dare sufficiente evidenza a quanto dello stesso è promosso e gestito dalla Chiesa italiana nelle sue diverse articolazioni.

Sembra altresì poco considerato il contributo di elaborazione di policy e, più in generale, culturale che tale complesso mondo esprime e propone al decisore politico e ai diversi stakeholders in merito alle problematiche, generali o specifiche, del sociale.

Per le ragioni sopra esposte ci sembra utile approfondire contestualmente la dimensione del contributo del welfare di ispirazione ecclesiale e le ragioni di una sua sottorapresentazione pubblica, non per una ricerca di riconoscimento, ma per fare il punto riguardo a questa presenza, in un mutato quadro istituzionale e sociale. Non solo in termini di memoria, ma anche in vista di una ripresa si- gnificativa di intervento pubblico, così come illustrato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza elaborato dal Governo italiano.

Al contempo, all’interno della comunità cristiana, l’impegno teologico e pastorale, risulta oc- cupare una parte non secondaria della vita ecclesiale italiana. A livello diocesano o di Conferenza episcopale, tra gli Istituti religiosi di vita attiva, nelle forme aggregative diversamente organizzate di area cattolica, ecc. rilevante è l’impegno profuso per iniziative connesse, direttamente o indiretta- mente, con l’organizzazione delle risposte di welfare, la tutela e promozione dei diritti sociali, l’af- fermazione di una cittadinanza piena, dove diritti e doveri trovano un bilanciamento, a partire dal riconoscimento della dignità della persona.

Tenendo presente la crisi del Paese, che ha preceduto la drammatica emergenza Covid-19 in atto - certamente economica ma anche sociopolitica, dove la progressiva messa in discussione dei principi espressi nella Costituzione repubblicana - di cui il mondo cattolico è stato protagonista nella formazione della norma, nella dottrina e nella giurisprudenza - si accompagna a diverse degenera- zioni sul piano comunicativo, istituzionale e della rappresentanza politica.

Tutto ciò sollecita una lettura approfondita - sincronica e diacronica - del contributo della Chiesa italiana alla costruzione, implementazione, promozione del welfare nazionale e, al con- tempo, alla ricerca teologico-pastorale che è andata di pari passo con esse.

È di tutta evidenza che il contributo dei cattolici nell’ambito socio-assistenziale, rappresenta un valore non solo per l’ambito specifico, ma in termini di modello di cittadinanza e di inveramento del principio sussidiario, patrimonio non solo del Magistero ecclesiale, ma anche della Carta Costi- tuzionale. E in questo senso questo contributo ha rappresentato una scuola di partecipazione, di impegno e di democrazia per migliaia di giovani impegnati prima nel servizio civile alternativo a

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quello militare, oggi con il Servizio civile universale. Non solo: soprattutto la rete Caritas ha offerto e offre - attraverso i Rapporti sulla povertà nazionali, regionali e diocesani - un presidio informativo che integra la statistica ufficiale, fornendo dati tempestivi rispetto alla evoluzione dei fenomeni e focalizzati sul tema del disagio territoriale.

Il rapporto, risultato di quasi un anno e mezzo di lavoro, mette a disposizione una notevole quantità di materiale analitico, documentale, narrativo, statistico.

Il rapporto raccoglie tutto ciò in quattro sezioni/ambiti di ricerca:

1) socioculturale - sui fondamentali del welfare religioso e sulle categorie analitiche per comprendere i fenomeni più rilevanti implicati;

2) ricostruttiva e analitica - su ruolo, funzioni e attività svolte dalla Caritas italiana;

3) narrativa - in cui si dà voce alle testimonianze di alcuni attori a diverso titolo prota- gonisti;

4) teologico pastorale - secondo la lettura di un pool di studiosi e le conclusioni della Caritas stessa.

I quattro ambiti vengono editi in quattro diversi volumi, per una maggiore fruibilità da parte di lettori, potenzialmente con diversi interessi o competenze.

Alcuni volumi - che saranno messi a disposizione on-line - rappresenteranno la base di par- tenza per consentire ulteriori approfondimenti e ricerche.

Senza entrare nel merito dei singoli lavori, è possibile fare alcune considerazioni generali sullo stile prevalente di questa area di servizi alla persona di ispirazione ecclesiale.

Innanzitutto la ricerca nel corso di questi anni di annunciare - attraverso l’accoglienza e la prossimità ai bisogni - il Vangelo della Carità, nella fedeltà ai principi della Carta costituzionale. Don Giovanni Nervo è esemplare nella sua capacità di fare continuo riferimento alla Parola di Dio, al Magistero e ai principi costituzionali, come in uno scritto del 1995, Carità politica vuol dire… ove - dopo aver citato il Vangelo di Matteo5 e il Prologo della Gaudium et spes, afferma: “Ma lo Stato sociale non significa assistenzialismo: è piuttosto costruzione di una convivenza civile basata sull’adempimento ”degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale” sanciti dalla Costituzione”6.

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La duplice cittadinanza cristiana, spoglia di qualsiasi rivendicazione di primazia o di privilegio, è la cifra che deve accompagnare il servizio delle migliaia di opere ecclesiali nel nostro paese.

D’altro canto la volontà di essere presenti sui bisogni emergenti nel paese, con una capacità di intervento tempestiva e diffusa, capace di intercettare aree nuove di fragilità e di povertà. Dal dramma delle dipendenze a quello della diffusione dell’Aids, dal tema della immigrazione all’emer- gere delle ludopatie, dalle marginalità gravi ai neet, i servizi di ispirazione ecclesiale hanno cercato in questi anni di dare una risposta a quanti non trovavano nella rete dei servizi territoriali una tem- pestiva possibilità di aiuto.

E in questo la capacità di innovare, sperimentare forme nuove di intervento, interrogandosi su quali modalità fossero le più efficaci, le più adeguate ai bisogni, le più rispettose della dignità della persona. Inventando, imparando e inverando un lessico che potesse esprimere correttamente il valore e i valori delle nuove forme di accoglienza. Riduzione del danno, servizi a bassa soglia, em- pori solidali, housing first, accoglienza diffusa, mediazione culturale, educare e non punire non sono solo slogan e definizioni efficaci e nuove di approcci dei professionisti del sociale. Sono stati il ter- reno di un lavoro culturale non solo a beneficio della evoluzione dei servizi sociali, ma delle nostre comunità territoriali e del nostro paese.

In questi anni è cresciuta insieme alla tecnicalità degli operatori e la capacità di presa in ca- rico del disagio - pur in un percorso non lineare e non privo di arretramenti - la cultura sociale del paese. E in questo anche Caritas italiana ha contribuito ad una pedagogia civile dell’accoglienza.

È chiaro che tutto questo ha progressivamente concorso a rafforzare i dispositivi normativi sulle materie sociali. Dopo le grandi riforme degli anni 70, relative al decentramento, alla riforma sanitaria e al superamento del modello manicomiale, negli anni successivi questa area culturale ha continuato a sviluppare un lavoro di adovcacy - insieme ad altri soggetti della società civile - tale da migliorare e promuovere normative in tema di migrazioni, tratta, caporalato, povertà, disagio.

Non sempre questo servizio di promozione della giustizia ha avuto un esito positivo, non sempre le normative di settore hanno avuto una evoluzione lineare e condivisa. Ne sono purtroppo testimonianza la mancata riforma della cittadinanza, le involuzioni normative in tema di migrazioni e di dipendenze, rispetto alle quali numerosi sono stati gli interventi anche pubblici di Caritas ita- liana.

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Ma una maggiore capacità di presidio dei soggetti sociali rispetto alla legislazione è ormai un patrimonio acquisito, che non può essere valutato solo in termini di efficacia, ma di capacità e qua- lità della partecipazione.

Tutto questo è stato possibile grazie anche ad un presidio conoscitivo, che a nome della Chiesa italiana e con la collaborazione della Consulta nazionale degli Organismi socio-assistenziali - Caritas italiana ha condotto ogni decennio attraverso il Censimento delle opere socio-assistenziali di ispirazione ecclesiale.

Questa volontà di verificare l’evoluzione di questo sistema attraverso lo strumento del Cen- simento nazionale, finalizzato a conoscere e approfondire meglio la propria presenza socio-assisten- ziale, sta ad indicare una evidente volontà di autovalutazione e di propensione al cambiamento.

Dall’esame dei rapporti di ricerca dei censimenti, emergono almeno otto dimensioni di ana- lisi, trasversali ai diversi settori di intervento, che evidenziano bene la trasformazione nel tempo del sistema delle opere, la progressiva modernizzazione e soprattutto il tipo di rapporto intessuto tra i servizi e la società civile, il quadro normativo di riferimento, il sistema dei poteri pubblici.

Deistituzionalizzazione: è la dimensione nella quale si sono osservate le trasformazioni più rilevanti nel corso degli anni, anche a seguito di una spinta legislativa orientata ad un ridimensiona- mento delle strutture residenziali, a favore di servizi più simili al modello familiare di accoglienza.

L’area dei minori e degli anziani è quella dove maggiormente spicca tale attenzione.

Assetto organizzativo, struttura e risorse umane: è indubbia l’evoluzione del modello orga- nizzativo delle strutture, all’interno del quale si indebolisce man mano il peso della componente religiosa a favore di personale professionalizzato, del volontariato organizzato, degli obiettori di co- scienza e dei giovani del servizio civile, tutte presenze molto rilevanti nei servizi più avanzati e inno- vativi. Si tratta di un volontariato connotato da «multifunzionalità» (capacità di adeguarsi a diversi tipi di attività), e «pendolarismo» (veloce passaggio del volontario da un servizio all'altro). Un volon- tariato ampio e popolare, connotato al tempo stesso da un potenziale limite: il rischio di fornire un’assistenza non continuativa e la presenza di una componente di personale fortemente motivato ma non professionale.

Attenzione alle povertà dimenticate, emergenti e di grave entità: è uno degli aspetti trasver- sali più consistenti, presente in modo evidente sin dalla prima rilevazione, e all’interno del quale si osservano le sperimentazioni più evidenti, si pensi allo sviluppo delle cosiddette «strutture leggere»,

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dei segretariati sociali, dei servizi che “vanno incontro all’utenza”, superando il tradizionale approc- cio di help-desk. Spicca tuttavia un doppio standard: le opere ecclesiali si adattano per fornire nuovi tipi di prestazioni alle povertà emergenti, ma non appaiono sempre in grado di trasformare in senso più innovativo i servizi tradizionali, rivolti ai «vecchi problemi».

Inserimento nella pastorale della Chiesa locale e nazionale: sin dal primo censimento spicca la presenza di una quota di servizi che, pur riconoscendosi nel modello valoriale cristiano, mantiene di fatto una tendenziale autonomia rispetto alle strutture ecclesiali. E da tale distanza provengono spesso le punte più avanzate di sperimentazione, soprattutto laddove il livello di contaminazione con il sistema delle responsabilità pubbliche appare debole e incerto e laddove i bisogni di riferi- mento spiazzano l’operatore e spiccano per la loro componente di innovazione sociale.

Apertura e sinergia con la società civile: i dati dimostrano il progressivo avvicinamento dei due mondi, soprattutto in riferimento alla capacità dei servizi di mettersi in rete tra di loro e di coordinare le istanze di partecipazione provenienti dal territorio. In alcuni casi, è stata proprio la necessità di contrapporsi ad approcci valoriali laicizzanti a spingere verso nuovi modelli di intervento (si pensi alla dicotomia consultori familiari cattolici vs. consultori laici).

Nuova cultura della prevenzione e della promozione umana: l’approccio preventivo dei ser- vizi appare sempre ridotto e sofferto, non sempre in grado di contrapporsi alle spinte più marcata- mente interventiste delle opere tradizionali. Ne risulta una situazione di transizione, in cui si trovano giustapposti spezzoni di cultura sociale tradizionale, ancora prevalente, a elementi innovativi ancora non del tutto sviluppati, e che riguardano la dimensione politica e preventiva.

Propensione alla territorialità: rispetto all’isolamento autarchico del passato, emerge negli anni un crescente radicamento delle opere all’interno della dimensione locale, aspetto che si carat- terizza anche per l’elevato numero di utenti e anche di volontari inviati dalle parrocchie. Ma il fattore catalizzante di tale processo sono state le varie riforme legislative che hanno progressivamente in- trodotto la programmazione dei servizi su base locale, imponendo ai servizi la necessità di raccor- darsi con la dimensione territoriale.

La collaborazione con le istituzioni pubbliche: nel corso degli anni è innegabile la presenza di legami sempre più forti, anche di carattere finanziario. Esaminando i dati sulla collaborazione con gli enti pubblici in funzione del tipo di attività erogata, si scopre che i servizi dove l’attività è erogata quasi esclusivamente dal volontariato sono anche quelli che vantano un minor livello di collabora- zione con i comuni, evidenziando quindi un certo livello di isolamento. Si conferma il forte grado di

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isolamento dei servizi più tipici del volontariato cattolico, mentre più si va nella direzione dell’inno- vazione e maggiore è il livello di relazione esterna. Un aspetto critico risiede nel fatto che tali forme di collaborazione non si traducono quasi mai nella capacità di influenzare in maniera sempre signi- ficativa l’amministrazione pubblica. L’esistenza di una pluralità di forme di collaborazione stabili e codificate rappresenta senza dubbio un segnale di maturazione del sistema, ma che lascia in ombra la quota non trascurabile di servizi ecclesiali che lavorano per il bene comune, al di fuori di una cornice di reciproco riconoscimento con l’ente pubblico.

Appare evidente, come detto in premessa, che rinunciando ad una dimensione autocelebra- tiva, questo lavoro è soprattutto un ricco materiale per un esercizio di autoriflessività non soltanto a livello nazionale e non solo per Caritas italiana.

Se questo lavoro certamente offre la possibilità di evidenziare la traiettoria sin qui percorsa nel tentativo di offrire un contributo alla costruzione di un welfare avanzato e sussidiario, certa- mente consente di osservare i percorsi ancora non realizzati e alcune mete per i prossimi anni.

I soggetti del welfare di ispirazione ecclesiale hanno sicuramente di fronte due grandi sfide:

contribuire allo sforzo di ripartenza del paese nonostante il dramma pandemico, nella prospettiva della riduzione delle disuguaglianze territoriali, di generazioni e di genere, attraverso il completa- mento delle riforme in ambito sociale e costruendo forme di governance partecipata. Offrire al per- corso del Sinodo della Chiesa italiana, richiesto più volte da papa Francesco ai Vescovi italiani, lo

“sguardo dal basso” maturato nella compagnia alla fatica e al disagio di tanti, e una ortoprassia fatta di gesti, pratiche, strumenti di carità che rappresentano un patrimonio che sempre più consapevol- mente deve essere di tutta la comunità ecclesiale.

1 Sac. Giovanni Nervo, Introduzione storica, 30° Caritas italiana, 23 novembre 2001, ciclostilato

2 Decreto Conciliare, Apostolicam actuositatem, n. 8

3 Statuto di Caritas Italiana, art. 1

4 Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3, c2

5 Mt 23, 37-38 “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”

6 Don Giovanni Nervo Carità “politica” vuol dire… in, L’Alfabeto della Carità, a cura di Salvatore Ferdinandi, EDB, 2013, p. 359

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I

N DI CE G E NERAL E VOLUME 1

“NON SOLO SERVIZI”

IL WELFARE RELIGIOSO CATTOLICO COME PROSPETTIVA DI RICERCA

a) Prefazione b) Indice generale c) Introduzione al volume

1) “I poveri li avete sempre con voi” (Mt. 26,11) - Un inquadramento concettuale e metodo- logico del welfare religioso cattolico (WRC)

(Massimo Campedelli) 1.1 Sul welfare

1.2 La cittadinanza sussidiaria e il rischio della sua implosione 1.3 Il welfare nel pensiero sociale della Chiesa: un’istruttoria

1.4 Un altro mondo “sembrava” impossibile: note su welfare e pandemia da Covid-19 1.5 La scelta preferenziale dei poveri

1.6 Per una sociologia del “Buon Samaritano”: carità, giustizia ed economia 1.7 Misericordioso, radicale, dirompente: il magistero di papa Francesco 1.8 Il welfare religioso cattolico: non proprio una conclusione

2) Il divario civile, i vuoti di cittadinanza, le implicazioni per la comunità (Giorgio Marcello)

2.1 Introduzione

2.2 Come leggere le disuguaglianze

2.3 Le disuguaglianze su base territoriale: il divario civile 2.4 Le nuove mappe del divario civile

2.5 Per concludere: ripartire dai margini

3. Prossimità e territorialità: identità e rilevanza delle opere socio-caritative collegate alla chiesa italiana

(Walter Nanni) 3.1 Introduzione

3.2 La situazione di partenza: il primo censimento delle opere ecclesiali del 1978 3.3 Dal primo al secondo censimento

3.4 Il terzo censimento 3.5 Il quarto censimento

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VOLUME 2

LA CARITAS ITALIANA

STORIA, PRESENZA, RICERCA E ADVOCACY

a) Prefazione b) Indice generale c) Introduzione al volume

1) La Caritas, tra sfide educative, promozione del volontariato e interventi di welfare (Federica De Lauso)

1.1 La Caritas: compiti, mandato e metodo

1.2 La concretezza della carità. I servizi della Caritas dal 1999 al 2020 2) Attività di ricerca e azione di advocacy, funzioni dell’essere Caritas

(a cura di Federica De Lauso, Nunzia De Capite, Francesco Marsico) 2.1 Introduzione (Nunzia De Capite, Federica De Lauso, Walter Nanni)

2.2 Scheda CONTRASTO ALLA POVERTÀ (Nunzia De Capite, Federica De Lauso, Walter Nanni) 2.3 Scheda IMMIGRAZIONE (Manuela De Marco)

2.4 Focus tematico SALUTE MENTALE (Cinzia Neglia) 2.5 Focus tematico AIDS (Laura Rancilio)

2.6 Focus tematico ADVOCACY INTERNAZIONALE: IL PROGETTO CONFLITTI DIMENTICATI (Paolo Beccegato) 3) Temi, tappe e processi nella storia della Caritas Italiana: una cronologia

(a cura di Renato Marinaro e Sergio Tanzarella)

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VOLUME 3 + APPENDICE

CARITAS: PARLANO I TESTIMONI

MEMORIE E PROPOSTE PER GUARDARE AL FUTURO

a) Prefazione b) Indice generale c) Introduzione al volume

1) Fonti orali per una storia della Caritas Italiana (Sergio Tanzarella)

1.1 Ricchezza delle fonti orali 1.2 Il forte legame con le origini

1.3 I nodi della questione sociale e il ruolo della Caritas 1.4 La questione dell’obiezione di coscienza

1.5 Il possibile/necessario contributo della Caritas alla formazione teologica 1.6 Il tema delle risorse

1.7 Verso il futuro

2) Le interviste ai direttori diocesani. Guida alla lettura (Giorgio Marcello)

2.1 Premessa

2.2 Il ruolo delle Caritas diocesane nel disegno pastorale delle chiese particolari 2.3 Il modello organizzativo

2.4 Le iniziative Caritas nella rete dei servizi territoriali 2.5 Per continuare la ricerca

3) Note biografiche degli intervistati (a cura di Renato Marinaro) 3.1 Interviste “nazionali”

3.2 Interviste “diocesane”

4) Appendice con interviste

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VOLUME 4

PROSPETTIVE TEOLOGICO PASTORIALI DEL MINISTERO DELLA CARITÀ

a) Prefazione b) Indice generale c) Introduzione al volume

1) Il nesso tra la via di Gesù di Nazareth, la via della Chiesa e il “mistero” dei poveri:

note per una possibile rilettura (Fabrizio Mandreoli)

2) Il processo di un disegno provvidenziale.

Fondamento e sviluppo del pensiero e dell’impegno pastorale nell’ambito della carità di mons. Giovanni Nervo e mons. Giuseppe Pasini

(Salvatore Ferdinandi)

3) Dentro i contesti sociali ed ecclesiali delle Caritas diocesane.

Spunti pastorali nel “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo (intervista a Giacomo Costa sj)

4) Generare la società civile, il contributo della Caritas (Carlo Borgomeo)

5) Conclusioni: una riflessione sul percorso compiuto e sulle sfide che attendono la Caritas

(Marco Pagniello e Renato Marinaro)

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VOLUME 1

“NON SOLO SERVIZI”

IL WELFARE RELIGIOSO CATTOLICO COME PROSPETTIVA DI RICERCA

I

NT RO D UZI O N E AL VO LU ME

Il rapporto tra welfare e religioni ha radici profonde, costitutive, almeno per quanto riguarda quelle abramitiche (ebraica, cristiana e mussulmana). Aspetti di natura teologica e morale, in parti- colare quelli inerenti alle diverse condizioni di povertà e alle relative modalità di risposta adottate, nel corso della storia si incrociano con le forme societarie (di regolazione sociale) complessive, con il ruolo che le organizzazioni religiose assumono nell’arena pubblica - politica, culturale, operativa - , con i rapporti che intercorrono con le istituzioni civili e le altre componenti sociali (vedi contributi di Giorgio Marcello e Sergio Tanzarella - volume 3).

In un tempo in cui le religioni stanno assumendo un nuovo, e per certi aspetti inedito, ruolo pubblico su temi di particolare rilevanza politica, nazionale e internazionale, quali quelli riconducibili alla questione sociale, sempre più strettamente connessa con quella ambientale e delle tante guerre più o meno prossime, con questo lavoro si vuole contribuire alla discussione sui possibili scenari evolutivi del modello di welfare italiano, dando evidenza a quanto, nello stesso, è stato promosso dalla Chiesa italiana e, in particolare, dalle Caritas nazionale e diocesane (vedi contributi di Federica De Lauso, Nunzia De Capite, Francesco Marsico - volume 2).

A livello diocesano, tra gli istituti religiosi di vita attiva, nelle forme aggregative diversamente organizzate di area cattolica, ecc. i dati qui appositamente rielaborati e aggiornati dimostrano il ri- levante impegno profuso per iniziative aventi a che fare, direttamente o indirettamente, con l’orga- nizzazione delle risposte a bisogni e domande sociali, la tutela e promozione dei diritti sociali, l’af- fermazione di una cittadinanza piena, dove diritti e doveri trovano “piena cittadinanza”.

Nel presente volume, il primo della serie, viene approfondito il tema del welfare religioso cattolico come prospettiva di ricerca attraverso tre contributi.

Il secondo, di Giorgio Marcello, affronta e approfondisce il tema del divario civile e delle cre- scenti disuguaglianze, dei vuoti di cittadinanza e le implicazioni per la comunità, a partire dalle mi- sure di ristrutturazione del welfare realizzate in questi ultimi decenni dalle politiche neoliberiste che

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hanno colpito severamente i servizi alla persona, con significative conseguenze sui servizi di cura, in particolare su quelli finalizzati all’integrazione delle persone più fragili. Il progressivo disimpegno dello Stato, con la riduzione della fornitura diretta di servizi, ha indebolito i sistemi di welfare euro- pei, soprattutto quelli dei Paesi mediterranei, strutturalmente più fragili, provocando un sovracca- rico di compiti di cura in capo alla famiglia, una frammentazione dell’offerta e, complessivamente, una crescita dei meccanismi di mercato. Contemporaneamente, la ricchezza si è sempre più con- centrata a vantaggio di una minoranza sempre più ristretta, con il conseguente aumento delle disu- guaglianze. A tutto questo si è poi aggiunta la pandemia, con effetti devastanti sui sistemi sanitari di tutti i paesi colpiti e con gravi conseguenze economiche e sociali, in particolare sulle persone e sulle famiglie più vulnerabili. Il contributo approfondisce i riflessi sociali nel nostro Paese, eviden- ziando come i divari di cittadinanza possono produrre conseguenze più dannose del divario econo- mico e produttivo, senza dimenticare di tenere presente la connessione tra fragilità sociali e criticità ambientali. E nella parte finale vengono richiamate alcune ricerche che mostrano come i contesti in cui è più garantito l’esercizio dei diritti di cittadinanza e quelli in cui tali possibilità sono più ridotte sono disseminati su tutto il territorio nazionale, sottolineando la necessità di ridefinire la mappa del divario civile, in modo da poter individuare i contesti più svantaggiati, da cui partire «per riabitare l’Italia in maniera più consapevole e responsabile».

Il terzo contributo di questo volume, di Walter Nanni, illustra il tipo di presenza e di apporto offerto al sistema di welfare nazionale dai servizi socio-assistenziali ecclesiali o collegati con la Chiesa cattolica attraverso l’analisi dei dati dei quattro censimenti di tali realtà realizzati a cadenza decennale da Caritas Italiana, in coordinamento con la Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali, a partire dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso. Particolare attenzione è stata posta al tentativo di comprendere se e in quale misura tale presenza sia stata in grado di influenzare il dibattito e il pensiero pubblico su alcuni temi (contesto socio-economico, soprattutto in riferi- mento a povertà ed esclusione sociale; provvedimenti legislativi; documenti e orientamenti pasto- rali; società civile e partecipazione, con uno sguardo privilegiato al volontariato), anticipando istanze e attenzioni successivamente recepite nel sistema di welfare, oppure - al contrario - recependo sol- lecitazioni provenienti da attori di diversa natura, sia in ambito cattolico che in quello laico-istituzio- nale, e traducendole in opere e prestazioni socio-assistenziali.

Tutto questo è parte del welfare religioso cattolico (WRC) approfondito nel primo contributo, di Massimo Campedelli, il cui scopo è quello di fornirne un inquadramento concettuale e metodo- logico. Data la consistenza della ricostruzione teorica e storica, esso viene introdotto da apposite

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“note alla lettura” (v. cap. 1).Tale concetto permette di qualificare l’insieme delle attività (rifles- sione, ricerca e progettazione, istituzione, regolazione, gestione, finanziamento, valutazione, for- mazione, policy making, advocacy, institutional building) di enti e/o organismi riconducibili alla re- sponsabilità giuridica in capo alla Chiesa Cattolica nelle sue diverse articolazioni, dal punto di vista del Diritto Canonico (diocesi, parrocchie, congregazioni religiose) come da quello Civile/Codice Terzo settore, ovvero di ispirazione ecclesiale cristiana, quindi formalmente indipendenti ma legate al suo Magistero, inerenti i principali settori della protezione sociale. Corollario indispensabile dell’insieme delle attività di WRC, quelle riguardanti la promozione della cittadinanza attiva, attra- verso il Servizio civile, il volontariato organizzato e il supporto alla realizzazione di altri Enti di Terzo settore così come recentemente riformati, ecc.

Sul piano strettamente teorico, l’idea di WRC deve necessariamente misurarsi con il fatto che la discussione scientifica e pubblica, limitandosi alla consistenza quanti-qualitativa dei fenomeni considerati, tenda a non darne sufficiente evidenza. Così come sembri poco considerato il contri- buto “pluralistico”, ovvero “democratico”, di elaborazione delle singole policy, che tale complesso mondo esprime/propone, come ben riportato in questo secondo volume, spesso insieme ad altri attori della società civile nazionale e internazionale. Nonché, nonostante da esso sia scaturita una elaborazione teologica e pastorale non secondaria per la vita della Chiesa italiana, questa non sia ancora parte integrante del sistema della formazione ecclesiale (seminari, facoltà teologiche, scuole per laici, ecc.) (vedi contributi di Giorgio Marcello, Sergio Tanzarella, Fabrizio Mandreoli, Salvatore Ferdinandi - volumi 3 e 4).

I materiali prodotti dalla ricerca permettono, in ogni caso, di affermare che il WRC abbia una sua consistenza e rilevanza, empiricamente e teoricamente fondate. Dalla ricostruzione della sua morfologia emergono una pluralità di forme, dimensioni, settori e modalità di intervento, a cui si correlano la pluralità delle rappresentazioni che assume rispetto al ruolo/funzione svolta. In parti- colare, per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni pubbliche (secondo le diverse declinazioni del principio di sussidiarietà) e con la società nel suo insieme (secondo le diverse declinazioni dell’idea di ecclesialità e, di conseguenza, di laicità). In tale pluralismo delle rappresentazioni è poi possibile riscontrare l’influenza di processi storico-culturali, sia socio-politici (relativi al rapporto Chiesa Stato Società) che teologico-ecclesiologici (idea di Chiesa), che trovano nell’evoluzione delle forme della carità la loro concretizzazione. Entro tale quadro, infine, emerge l’originalità del pro- getto e del contributo della Caritas Italiana, la particolarità della sua storia cinquantennale, i tratti di attualità e i punti di aggiornamento (vedi il contributo di Renato Marinaro e don Marco Pagniello - volume 4).

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Un riconoscimento particolare è rivolto a chi si è reso disponibile a condividere la propria testimonianza e le proprie riflessioni in merito a questo complesso percorso. Nell’Appendice al vo- lume 3 sono raccolte, corrette e riviste dai diretti interessati (i cui profili sono illustrati nel vedi con- tributo di Renato Marinaro - volume 3). Si tratta di due panel organizzati per ricostruire nel primo le dinamiche sociali ed ecclesiali nazionali, mentre con il secondo per offrire dei “carotaggi” significativi tra alcune Caritas diocesane, assunte come prima serie di casi di studio finalizzati per evidenziare le differenze così come le comuni sfide con cui si debbono misurare. Come si può leggere nello stesso volume 3 (vedi i contributi di Giorgio Marcello e Sergio Tanzarella), da esse emerge una ricchezza personale, ecclesiale e sociopolitica di grandissimo valore.

Una storia comune e personale che fa intravvedere quanto importante sia continuare a dare voce a chi ha contribuito e continua oggi a contribuire, in un tempo sinodale per la Chiesa italiana, a rispondere al mandato ricevuto da papa Paolo VI cinquant’anni fa.

Tutto questo lavoro è stato possibile grazie al fondamentale contributo “dietro le quinte” di Carolina Morelli per la sbobinatura e la prima revisione di tutte le interviste realizzate, di Danilo Angelelli per la grafica delle copertine e di Ferruccio Ferrante per la pubblicazione nel sito istituzio- nale di Caritas Italiana, ai quali vanno i più sentiti ringraziamenti.

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VOLUME 1

“NON SOLO SERVIZI”

IL WELFARE RELIGIOSO CATTOLICO COME PROSPETTIVA DI RICERCA

1. “I

POVERI LI AVETE SEMPRE CON VOI

(M

T

. 26,11)

U

N INQUADRAMENTO CONCETTUALE E METODOLOGICO DEL WELFARE RELIGIOSO CATTOLICO

(WRC)

Massimo Campedelli

“Anche la teoria è pane” (A. Rizzi, 1986)1

Note per la lettura

L’insieme degli otto capitoli in cui si articola il presente contributo, più che una introduzione al rap- porto, è parte dello stesso. La sua funzione è quella di offrire un primo inquadramento di temi, di ele- menti storici, nonché di categorie concettuali utili per sviluppare i primi ed interpretare i secondi, per delineare una cornice teorica e metodologica al con- tributo fondativo dato dalle religioni alla formazione del welfare contemporaneo. Inquadramento che, necessariamente, non può che risultare in progress, soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti solo accennati come: l’apporto dato dall’Ebraismo, dall’Islam e dalle Chiese riformate; o l’approfondi- mento sistematico del legame, oggetto di non pochi classici del pensiero contemporaneo, tra religioni, forme societarie, culture. In una battuta, se e come la teologia generi sociologia.

Il dibattito pubblico sul rapporto tra religioni e sistemi di welfare si limita, spesso, alle quantità e ti- pologie di attività che le organizzazioni religiose, o a diverso titolo collegate, realizzano. Quando si riesce ad andare oltre la sola esplicitazione del numero di prestazioni-servizi erogati, si arriva a considerare le funzioni, certamente importanti, quali quella antici- patrice, complementare, di supplenza, di advocacy, o mix articolati tra di esse. Raramente si approfondi- sce il contributo costitutivo che le fedi e le forme con

cui queste si sono socialmente tradotte hanno dato e continuano dare alla (ri)generazione dei nostri mo- delli di welfare. Una s-vista con conseguenze impor- tanti per la sottovalutazione che determina. Tanto più in un tempo di transizione, come l’attuale, in cui le religioni stanno vivendo un nuovo, e per certi aspetti inedito, ruolo pubblico su temi di particolare rilevanza politica, nazionale e internazionale, quali quelli riconducibili alla cosiddetta questione sociale, sempre più strettamente connessa alla questione ambientale e a quella dei conflitti più o meno a bassa intensità.

Il saggio, pensato come componente socio-sto- rico-culturale della ricerca intervento promossa dalla Caritas italiana per il suo 50esimo, è quindi da consi- derare a tutti gli effetti uno degli esiti della stessa. I capitoli che lo compongono possono essere letti, an- che indipendentemente gli uni dagli altri, come caro- taggi di un disegno di ricerca che sollecita ulteriori e più articolati sviluppi, a partire dai diversi argomenti affrontati: il welfare come cifra di civiltà e le tensioni che da almeno cinquant’anni lo attraversano; la cit- tadinanza delle formazioni sociali, in primis il Terzo settore, e i rischi connessi; il welfare nel pensiero so- ciale della Chiesa; l’impatto della pandemia da Covid- 19; i poveri e i loro profili nell’Antico Testamento, nel Nuovo Testamento e nel Corano; il rapporto tra ca- rità, giustizia ed economia e la parabola del buon

“Buon Samaritano” come paradigma sociologico; il magistero di papa Francesco, primo pontificato della post-cristianità consapevole, e la reinterpretazione

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data del pensiero sociale della Chiesa. Nelle conclu- sioni, oltre che sintetizzare i risultati dei vari capitoli, si sottolineano le possibili correlazioni che questi ma- teriali possono avere con il programma sinodale della Chiesa italiana.

Si intende così offrire una cornice in cui ricom- prendere l’importante contributo dato dalla Caritas italiana e dalle Caritas diocesane alla definizione, im- plementazione e consolidamento del welfare ita- liano. Impegno questo, come risulta chiaramente ne- gli altri volumi del rapporto, ricco di articolazioni:

dalle opere segno alla funzione di ascolto e orienta- mento; alla ricerca come strumento di advocacy; alla attenzione formativa delle comunità cristiane; alla interlocuzione progettuale con i diversi livelli istitu- zionali; alla dimensione internazionale, in cui si river- sano molte delle linee di azione nazionali, in un’ot- tica di interdipendenza e fratellanza; alla matura- zione teologica interna alle diverse articolazioni ec- clesiali; alle sfide attuali come il rapporto con le nuove generazioni, il ripensamento dei modelli orga- nizzativi e la stessa ricerca teologica.

Questo composito insieme di iniziative è qui pro- posto come parte del più complessivo welfare reli- gioso cattolico (WRC). Con esso si intende qualificare l’insieme delle attività (riflessione, ricerca e proget- tazione, istituzionalizzazione, regolazione, gestione, finanziamento, valutazione, formazione, policy ma- king, advocacy, ecc.) di enti e/o organismi:

- riconducibili alla responsabilità giuridica in capo alla Chiesa Cattolica nelle sue diverse ar- ticolazioni, dal punto di vista del Diritto Cano- nico (Diocesi, Parrocchie, Congregazioni reli- giose) come da quello del Codice Civile e del Codice del Terzo settore;

- di ispirazione ecclesiale cristiana, quindi for- malmente indipendenti ma legate al suo ma- gistero; inerenti ai principali settori della pro- tezione sociale.

Corollario indispensabile, per entrambe, le atti- vità riguardanti la promozione della cittadinanza at- tiva, attraverso il Servizio civile, il volontariato orga- nizzato e il supporto alla realizzazione di altri Enti di Terzo settore così come recentemente riformati, ecc.

Il titolo dato ricalca quello che papa Francesco ha proposto per la V Giornata Mondiale dei Poveri (2021).

Nel messaggio del pontefice ci sono alcuni passaggi che ci pare possano rappresentare in modo efficace il senso del percorso di analisi qui ricostruito e le prospettive che ne discendono. Afferma Bergoglio:

“si impone un differente approccio alla po- vertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di an- dare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in ma- niera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpe- voli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni po- litica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle stati- stiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, do- vrebbe provocare ad una progettualità crea- tiva, che consenta di accrescere la libertà ef- fettiva di poter realizzare l’esistenza con le ca- pacità proprie di ogni persona”

Un augurio per i prossimi 50anni della Caritas Italiana, delle Caritas diocesane e dell’articolato mondo che trova in esse riferimento, ascolto e spazio di ricerca.

1 Il 17 agosto del 2020, dopo alcuni anni di malattia, Armido Rizzi ci ha lasciato. Essa aveva progressivamente ridotto il suo ministero di teologo “povero al servizio di chi è al servizio dei poveri”. Armido ha insegnato a leggere la storia con la Parola di Dio e a praticare entrambe con la passione di un maestro. Da maestro ha testimoniato nel suo quotidiano l'insegnamento che offriva, con umiltà e rigore unici. A lui, con riconoscenza, è dedicato questo saggio. Frutto di un confronto molto intenso intercorso con alcuni amici di lunga data, e con altri incontrati per questa occasione, per chi scrive è stata una fondamentale opportunità per approfondire o creare legami basati sulla convinzione della necessità di una ricerca aperta, interdisciplinare e trasfrontaliera. Tra questi, un rin- graziamento particolare per la disponibilità a leggere, commentare e suggerire integrazioni e modifiche va a padre Angelo Cupini, don Fabrizio Mandreoli, Giorgio Marcello, Renato Marinaro, Francesco Marsico, don Matteo Prodi, Giordano Remondi, Sergio Tanzarella e Gianni Tognoni. Rimane che la responsabilità di quanto qui sostenuto sia in ogni caso personale.

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1.1. SUL WELFARE

“So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri” (Salmo 140, 13)

1.1.1. Introduzione

Quello che comunemente chiamiamo sistema di welfare1 ha assunto nel corso della storia moderna un ruolo centrale, caratterizzante le società che lo hanno adottato, implementato e fatto evolvere. Ov- vio, di conseguenza, che le discipline che si sono ci- mentate, e continuano a cimentarsi, siano moltepli- ci2, e tra queste anche la teologia morale (cap. 1.3) e pastorale (Pasini 2005); gli approcci teorici e meto- dologici per analizzarlo, in generale o per settori spe- cifici, altrettanto3; e che la letteratura sul tema sia praticamente sterminata.

La visione che guida questo primo carotaggio prende spunto da alcune considerazioni formulate da un economista italiano, particolarmente apprez- zato per quanto fece e scrisse, per l’impegno profuso nella ricostruzione post bellica e nella formazione democratica del Paese, per la scuola di pensiero che ha creato4. Ci riferiamo a Federico Caffè5, riformista laico, il quale nelle prime pagine di “In difesa del wel- fare state - saggi di politica economica” - titolo quanto mai emblematico della tesi di fondo sostenu- ta6, esprimeva una sintesi efficace di cosa possa si- gnificare affrontare le tematiche inerenti il welfare.

Così scriveva:

“L’insistere su una politica economica che non escluda, tra gli strumenti da essa utilizzabili, i controlli condizionatori delle scelte indivi- duali; che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza che si riassu- mono abitualmente nell’espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all’intervento pubblico una funzione fonda- mentale nella condotta economica; può dare l’impressione di qualcosa di datato e di una in- clinazione al ripetitivo e al predicatorio, tolle- rabile per sopportazione più che per convinci- mento. Tuttavia non è improbabile che questi

«punti fermi» di una concezione economico- sociale progressista, anche se oggi sembrino essere eco sbiadita di un pensiero attardato, si

ripresentino - in realtà si stiano già ripresen- tando - sotto aspetti diversi: come critica ad un profitto considerato avulso da preoccupa- zioni di indole sociale; come attività di volon- tariato, ispirata da un’etica radicata nei va- lori della trascendenza; come rifiuto di un in- dividualismo spinto a tal punto da perdere ogni contatto con una economia «al servizio dell’uomo». Non ho alcuna difficoltà ad am- mettere che, quando questa mutazione si rea- lizzasse (come tutto sembra indicare) non sa- rebbero di certo le differenze nelle ispirazioni di fondo a impedirmi di ritenermene appa- gato. Le condizioni di chi è privo di lavoro, di assistenza, di prospettive di elevarsi sono troppo gravi per poter astenersi dal riconosci- mento dovuto a chi si faccia carico dei loro problemi, anche se secondo linee di pensiero che siano diverse da quelle dei principi ispira- tori del riformismo laico” (Caffè 1986, 7).

Nelle righe successive prosegue richiamando la politica economica, lo Stato e i suoi compiti, i fini da perseguire, l’amarezza per un dibattito pubblico ina- deguato7. Al contempo, riscontra che vi sono compo- nenti della società che, divergenti nelle ispirazioni ma accomunate da istanze valoriali e consapevolezza critica tenaci e condivise (Habermas 2016), perse- guono processi di emancipazione per e con chi è in stato di bisogno, secondo una visione che, allora come oggi, qualcuno vorrebbe considerare antropo- logicamente irrilevante, economicamente e istituzio- nalmente superata, moralmente sbagliata (Cei - Commissione Giustizia e Pace 1995). Con una sotto- lineatura. La riconoscenza e l’apprezzamento verso persone e gruppi che, nonostante si rifacciano a vi- sioni del mondo diverse, rendono effettive quelle istanze.

Non vi sono, in questo breve brano, tutti gli ele- menti per ragionare compiutamente di welfare at- tuale. Nel tempo trascorso da quando fu scritto sono emersi importanti cambiamenti strutturali che hanno incamminato le società contemporanee verso trasformazioni epocali, come ama dire papa France- sco (cap. 1.7). Mentre scriviamo, inoltre, siamo an- cora vincolati alla pandemia da Covid-19 (cap. 1.4),

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fenomeno che sta incidendo profondamente sugli assetti socioeconomici mondiali e dei singoli paesi, tra cui anche il nostro, con segnali rilevanti per le conseguenze sui sistemi di welfare, sulla condizione di vita della popolazione, sui modelli gestionali, sulla sostenibilità economica complessiva. Quelli citati da Caffè riteniamo siano comunque elementi da tenere ben presente. Sia per quanto indicano in sé, sia per la complessità che rappresentano, ovvero per la im- probabilità che si possano realizzare compiutamente tutti insieme e per la strutturale impossibilità che ciò avvenga una volta per tutte.

Da questo punto di vista, il sistema di welfare, in quanto

“insieme di politiche pubbliche connesse al processo di modernizzazione; tramite le quali lo Stato fornisce ai propri cittadini protezione contro rischi e bisogni prestabiliti, sotto forma di assistenza, assicurazione o sicurezza so- ciale; introducendo, tra l’altro, specifici diritti sociali nonché specifici doveri di contribu- zione finanziaria” (Ferrera 2006, 17).

così come regola e/o incentiva e/o collabora con altri attori pubblici o privati alla realizzazione di tali finalità (Campedelli 2018), può quindi essere consi- derato un prodotto e al contempo un determinante di un modello di civiltà (Sachs 1978, 107). In partico- lare, la cifra della civiltà democratica formatasi dopo la II Guerra mondiale8.

Un prodotto/determinante da sempre sottopo- sto, ed oggi in modo particolare, a tensioni, rischi e sfide (cap. 1.4) che possono mettere in discussione gli elementi caratteristici del progetto socio-antro- pologico di cui è espressione. Ne indichiamo tre:

- il riconoscere il diritto/dovere di risposte col- lettive e al contempo progressivamente per- sonalizzate, con particolare riferimento a chi è in condizione di maggiore difficoltà (Cei - Commissione Giustizia e Pace 1995), a bisogni fondamentali e a rischi della vita considerati come meritori di responsabilità pubbliche (Ferrera 2006);

- la riduzione dello scarto/il contenere la ten- sione tra libertà formale e libertà sostanziale,

ovvero tra promozione della uguaglianza e ri- spetto delle differenze (Barcellona 2003);

- il contribuire al benessere, economico e non solo, della società (Caffè 1986).

Assumendo il concetto di civiltà quale espres- sione di un insieme di combinazioni date storica- mente, di visioni cosmologiche, di assetti istituzionali e modi di agire coerenti con esse9, possiamo inter- pretare le tensioni che analizzeremo di seguito anche come segnali profondi di rischio di cortocircuiti, so- spensioni, fallimenti, o finanche crolli10, di quella par- ticolare civiltà assiale, la modernità occidentale, a cui appartiene il welfare. Basti pensare a tre tra i possi- bili paradigmi con cui si possono definire i suoi fon- damentali: quello della cura11, quello della paura12, e quello del tempo13. In uno scenario in cui a fronte di un bisogno di maggiore cura e prevedibilità, dob- biamo confrontarci con (l’esperienza e/o la perce- zione) di un loro gap crescente e, di conseguenza, con un aumento della paura.

Il capitolo inizia con un sintetico inquadramento storico e di alcune delle principali problematiche che interessano attualmente i sistemi di welfare. Passa a focalizzare come, nella arena politica e nell’orienta- mento/posizionamento dell’opinione pubblica con- temporanea, esso sia diventato uno dei temi più scottanti. Prosegue mettendo a fuoco tre tensioni in- terne - il paradosso della cittadinanza come disposi- tivo escludente; il trasloco identitario dal lavoro al consumo; le disuguaglianze crescenti e la (in)capa- cità della cittadinanza a tollerarle/contenerle - a cui, negli ultimi decenni, è sempre più sottoposto. I para- grafi successivi offrono due brevi inquadramenti re- lativi al welfare italiano: i tratti che lo distinguono e, in parte, lo accomunano ad altri sistemi europei; il nodo, particolare, del rapporto tra monetizzazione e consenso. E chiude, infine, sul nesso tra cittadinanza sociale, protezione sociale e assistenza sociale. Al- cune delle tematiche qui solo accennate - pluralismo istituzionale, sussidiarietà e ruolo del Terzo settore;

il contributo del pensiero sociale della Chiesa nella coeva evoluzione del welfare moderno - verranno poi approfondite nei due capitoli successivi.

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1.1.2. Si è partiti da lontano

Per comprenderne fino in fondo la sua rilevanza è necessario tenere conto del lungo cammino per- corso, nonché delle criticità in cui è oggi coinvolto.

La sua storia, cominciata da lontano (capp. 1.5 e 1.6) e non certo conclusa, ha un legame profondo con la storia delle religioni, quantomeno quella cri- stiana e, più in generale, quelle abramitiche14.

Per iniziare a inquadrare, e poi successivamente sviluppare compiutamente, tale legame dobbiamo considerare alcuni momenti riconducibili al periodo che intercorre tra il formarsi della statualità moder- na15 (Eisenstadt 1990, 227 e ssgg.; Sale 2015, 208) e la attuale crisi di sovranità e rappresentanza (Poggi 1992; Carrozza 1995; Portinaro 1999).

Già nel ‘500 si ritrovano funzioni di assistenza pubblica nei confronti dei poveri mescolate, come la storiografia ha ampiamente dimostrato (Geremek 1986, 148 e ssgg.; Sgritta 1991, 2 e ssgg.; Bressan 2010), a forme di controllo sociale più o meno coer- citive.

Per portare un paio di esempi16, basti pensare che nell’Inghilterra di Enrico VIII

“luogo in cui la Riforma portò ad una più ra- dicale ridefinizione del rapporto chiesa/po- veri… Le riforme di Enrico VIII, sopprimendo i monasteri, avevano eliminato la sia pur insuf- ficiente rapsodica forma di assistenza ai po- veri fino a quel momento esistente. D’altra parte l’alienazione dei beni ecclesiastici era stata fatta in modo da evitare che essi fossero destinati alla creazione di un nuovo sistema caritativo. Contemporaneamente il processo di recinzione delle terre determinava un au- mento del numero dei poveri. In questa situa- zione il re cominciò a promulgare una legisla- zione che, ulteriormente elaborata nel pe- riodo elisabettiano, doveva fare scuola. Enrico VIII obbliga nel 1536 ogni parrocchia ad isti- tuire degli “overseers of the poor” col compito di raccogliere le questue durante le funzioni religiose dei giorni festivi e di distribuirle ai poveri. Col trascorrere del tempo la questua tende ad assumere il carattere di una vera e propria tassa, cui, in diversa misura, tutti i parrocchiani sono tenuti. Nel 1598 il sistema

assume la sua configurazione definitiva. In ogni parrocchia i giudici di pace fissano la tassa che gli abitanti sono tenuti a pagare - in caso di rifiuto possono disporre il pignora- mento dei beni e persino la prigione; con le somme così raccolte gli “overseers of the poor”

provvedono a soccorrere i poveri incapaci al lavoro, ad organizzare il lavoro ai capaci, a istituire scuole di formazione professionale per i bambini poveri; la mendicità e il vaga- bondaggio vengono vietati e colpiti con la pri- gionia” (Menozzi 1980, 25-26)

o che nella Germania, sempre

“Nel tardo medioevo e nel XVI secolo, con il grande esodo della popolazione, la fuga dalle campagne, la maggiore divisione del lavoro e la riduzione dei salari reali, aumentò il nu- mero delle persone che, non più tutelate dalla famiglia, dai comuni, dai proprietari terrieri o dalle corporazioni, non erano più in grado di fare economia per i momenti di bisogno e di disoccupazione e che, insieme ai malati cro- nici, inabili al lavoro ed indolenti, formarono quelle schiere di mendicanti girovaghi consi- derate, da fonti del XV e del XVI secolo, una vera e propria calamità, un pericolo sociale, un problema di ordine e di sicurezza…. Fu inoltre operata una distinzione più netta tra i diversi casi di povertà. Si differenziarono i po- veri «immeritevoli» abili al lavoro, considerati per lo più fannulloni e vagabondi, da biso- gnosi «meritevoli» finiti in miseria: anziani, invalidi, malati, storpi, vedove con bambini. Il soccorso si concentrò inoltre sui bisognosi del luogo, scoraggiando i forestieri” (Ritter 1996, 36)

Sul versante del riconoscimento di quelli che chiamiamo oggi i diritti sociali, non può inoltre non colpire che già nella Costituzione della Rivoluzione francese del 24 giugno 1793 si potesse leggere che

“la società è responsabile del mantenimento dei suoi cittadini sfortunati, ai quali deve pro- curare lavoro, ovvero concedere mezzi di sus- sistenza se inabili” (Alber 1986, 29)17.

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Però solo tra la seconda metà dell’800 e il primo ventennio del secolo scorso che comincia a formarsi, attraverso l’introduzione delle assicurazioni obbliga- torie e delle prime forme di copertura universalisti- ca18, quella che viene considerata la moderna strut- tura del welfare state. Una struttura che, sempre sulla scorta di quanto originato tra il 1500 e il 1600, si implementerà per via:

- giuridica; al punto di arrivare alla costituzio- nalizzazione dei diritti sociali, soprattutto con le Costituzioni del secondo dopo guerra; è solo allora infatti che esse iniziano a dotarsi di ampi cataloghi di diritti riconosciuti fonda- mentali al pari dei diritti di libertà (Holmes e Sunstein 2000; Carrozza, Campedelli e Pepino 2010; Rodotà 2012);

- amministrativa; con un rimbalzo ciclico tra competenze in capo alle amministrazioni lo- cali e quelle in capo allo stato centrale, nel quadro della progressiva edificazione degli apparati pubblici (Mayntz 1982, 27 e ssgg.);

- conseguentemente fiscale e contributiva (Bosi 1996); diversamente bilanciate nel tempo tra tassazione generale e contribuzione dei da- tori di lavoro e/o degli assicurati (Patroni Griffi 2018);

- nonché organizzativa e professionale; dall’as- sistenza/controllo sociale tendenzialmente indifferenziati nei confronti delle diverse forme di povertà/bisogno/marginalità, alla differenziazione/specializzazione degli inter- venti e delle prestazioni erogate per settori, popolazioni target e condizioni di bisogno e domanda: assistenza sociale, sanità, forma- zione professionale, educazione di base e per- manente, interventi abitativi, politiche attive del lavoro, istituzionalizzazione/riabilita- zione/rieducazione sociale, ecc. (Menozzi 1980; Geremek 1986; Cosmacini 1987; Vecchi 2011).

Per arrivare, infine, ad un suo temporaneo con- solidamento19 durante le due guerre mondiali, pre- ludio di una nuova imponente fase espansiva nel suc- cessivo secondo dopoguerra, e ad una sua entrata in crisi20 nella prima metà degli anni ’70 (Ardigò 1980;

Ferrera 1993).

Sintetizzando, possiamo dire che a seconda delle fasi e dello stadio evolutivo che caratterizza i diversi paesi interessati, durante questo plurisecolare per- corso si dipanano, ovvero con il welfare “in pro- gress”, si intrecciano:

- lo sviluppo industriale e scientifico;

- l’evoluzione del ruolo degli attori collettivi che si confrontano nell’arena pubblica (dalle corporazioni, ai sindacati, ai partiti di massa, alle Chiese, ecc.), anche grazie alla difesa delle posizioni svolte conseguenti alla promozione e gestione di interventi di welfare (dalle isti- tuzioni caritative alle varie forme mutualisti- che e cooperativistiche);

- lo stadio evolutivo delle forme statali (monar- chia, stato liberale, dittature, stato democra- tico, ecc.) e degli apparati burocratici che le gestiscono;

- il retaggio culturale che informa la società e le istituzioni;

- l’internazionalizzazione dell’economia, dei movimenti politici e sindacali, e delle istitu- zioni di rappresentanza e regolazione, in par- ticolare delle monete e del lavoro;

- la produzione culturale e le posizioni degli opinion makers;

e che, dentro i sistemi di welfare, via via emer- gono:

- sia le istanze assistenziali e di sicurezza pub- blica già accennate;

- che quelle propriamente politiche - visto la funzione nella rappresentanza degli interessi che le diverse misure di welfare possono svol- gere per il contenimento della protesta so- ciale, ovvero per l’aumento del consenso e, più in generale, per il governo della società da parte del potere politico;

- che quelle economiche - come fattore di mi- glioramento della produttività-clima organiz- zativo-senso di appartenenza delle mae- stranze alle strutture produttive, della capa- cità di spesa delle famiglie e del migliora- mento del tenore di vita (Ferrera 1996, 103 e ssgg.).

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Negli ultimi quattro decenni, le crescenti qualifi- cazioni (Campedelli 2014; Merlo 2016) utilizzate per descrivere le diverse prospettive/ valutazioni/ solu- zioni di politica sociale pubblica danno bene l’idea di quanto esso sia ancora una componente basilare della nostra vita sociale e politica, ma anche della convulsa ricerca di nuove soluzioni a fronte di pro- blemi vecchi e nuovi, con strumenti e visioni non sempre all’altezza delle trasformazioni in atto.

Le correlazioni, se non implicazioni, sono molteplici. A proposito del mondo della ricerca sociale riassume effica- cemente G. Esping Andersen, per il quale:

“Le scienze sociali, oramai da alcuni anni, hanno stentato di afferrare la logica che guida questo nuovo ordine sociale. Troppo spesso i nostri sforzi sono arrivati a produrre poco più che etichette… Tre sono le ragioni per cui abbiamo tante difficoltà a cogliere la natura delle società che attraversano pro- fonde trasformazioni. La prima è lo scettico ri- chiamo alla prudenza tipico degli studiosi uni- versitari… La seconda ragione ha a che fare con la maggior frammentazione degli studi sociologici… La terza nasce, paradossalmente, dal fatto che quei pochi che si avventurano in analisi olistiche sono piuttosto reticenti quando si tratta di offrire spiegazioni empiri- che concise” (Esping Andersen 2011, 12-13).

Non meno rilevante è la situazione in cui versa il potere politico che, con l’avvenuta globalizzazione dell’economia21, si è venuto a trovare in una posi- zione di sostanziale subalternità/condizionalità (Crouch 2009), in quanto sottoposto alla perdita di sovranità economica (Carrozza 2006; Stiglitz 2013)22, e conseguentemente degli spazi effettivi di decisione in tema di politiche di welfare.

Senza poi pensare ai processi di ridefinizione della statualità (Cassese 2009), con un contradditto- rio trasferimento verso il basso (regionalizzazione, decentramento) e/o verso l’alto (Unione Europea, organismi internazionali) dei centri decisionali e delle relative competenze, la cosiddetta governance mul- tilivello (Carrozza 2009; Rossi e Casamassima 2013).

In ogni caso, tali crisi sono interpretate in modo alquanto diversificato dalle varie discipline e scuole

di pensiero. Da anni si parla di crisi fiscale, o di legit- timazione, o del primato del politico, o di transizione verso nuove transazioni tra sistema e mondi vitali, o di deficit di teorizzazione, o di ridimensionamento, o di ristrutturazione, o di ricalibratura, o di razionaliz- zazione, o di retrenchment, o di (mancato) social in- vestment, ecc. (Ardigò 1978, 1980; Alber 1986; Luh- mann 1986; Ferrera 2006; Ascoli 2011; Ascoli, Ranci e Sgritta 2015).

1.1.3. Tra inclusione, discriminazione e solidarietà corte

Nel quadro della crisi delle forme di rappresen- tanza democratica (Il Regno 200323; Urbinati 2014), europee24 e non solo, e della affermazione di posi- zioni culturali e istanze populiste25 (Courau, Abra- ham e Babic 2019; Feltri 2018; Bonomi 2018; Davis 2018; Francesco 2020), il welfare è altresì diventato uno dei temi rilevanti nella polemica politica e nell’orientamento/posizionamento dell’opinione pubblica.

Ritenuto proprietà di una componente, al punto dal considerarlo indisponibile o razionabile nei con- fronti di altre componenti, risulta sempre più sotto- posto ad un processo di logoramento simbolico e operativo che comporta la sua trasformazione da si- stema inclusivo a dispositivo discriminante26.

Questo atteggiamento, maggiormente evidente per quella fascia di popolazione che più si aspetta/ha bisogno di/dipende dalle varie provvidenze previste, e/o che ha voice per rivendicarle/pretenderle27, è al- quanto diffuso (Transsol 2017) ed impatta sugli ele- menti fondativi dei legami sociali impersonali e dei giudizi morali sulla base dei quali le persone mettono in atto le proprie azioni.

In continuità con la lunga storia del dibattito pubblico (Geremek 1986) sulle implicazioni valoriali relative alle politiche sociali, C. Offe ha sviluppato al- cune considerazioni sui vincoli morali contro cui si scontra un moderno programma di tali politiche, che, nonostante siano passati quasi trent’anni da quando le ha espresse, presentano ancora tratti di particolare attualità. A che condizioni, si chiedeva, le persone sono disponibili a condividere risorse pro- prie con altri?28

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