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LA MADRE DELLA MADRE. GENEALOGIA DELLE CURE MATERNE

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Academic year: 2022

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M A SS IM I LI A N O ST RA M A GL IA U N A M A D R E I N P I Ù . L A N O N N A

M A T E R N A , L ’ E D U C A Z I O N E E L A C U R A D E I N I P O T I , F R A N C O A N G E L I ,

M I L A N O , 2 0 1 3

LA MADRE DELLA MADRE.

GENEALOGIA DELLE CURE MATERNE

(2)

L’IDENTITÀ NARRATIVA/GRUPPALE

L’Indagine Multiscopo: Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia in Italia (2002) approfondisce alcuni aspetti del rapporto nonni-nipoti, ponendo in rilievo come la frequenza delle interazioni verbali fra le due generazioni estreme sia un indice proficuo della significatività del “dire” della nonna materna accanto al “dire” del nonno materno. Un dato interessante riguarda infatti l’esistenza di maggiori contatti, sia in presenza che telefonici, fra i nonni e i “figli delle figlie”

piuttosto che fra i primi e i “figli dei figli” (cfr. ibidem), e ciò in ragione del fatto che i rapporti fra i nonni e i genitori si rivelano “intensi in presenza di figlie femmine” (ibidem).

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In sintesi, la comunicazione verbale fra nonni e nipoti è mediata dalla madre, che avalla gli scambi fra i propri genitori e i propri figli connotandoli di maggiori frequenza e intensità rispetto al “dire-udire” che si staglia nell’incontro fra nipoti e nonni paterni.

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Se la nonna materna “non muore del tutto” (Gecchele, 2010) nella mente del nipote, questi scopre pian piano i significati, sempre diversi, della propria esistenza, attraverso il “dire”, e il “detto”, della nonna (e dei nonni, in linea di massima).

Ai bambini, ad esempio, piace moltissimo ascoltare le storie di vita dei loro genitori e dei loro nonni; essi amano soprattutto gli aneddoti relativi alla loro infanzia e ai modi di vivere del passato (cfr. Cesari Lusso, 2010;

Danza, 2010; Ferland, 2009; Martinie, 2005).

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Il “dire” di ciò che è stato conferma i bambini nella loro identità (la quale è, essenzialmente, “familiare”) e pone le basi affettive per ciò che sarà, componendo una vera e propria eziologia degli affetti mediante la quale codificare l’avvenire (pure il “dire” dei nonni è, per i nipoti, memoria del futuro).

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Una ricerca condotta da Mario Gecchele e Giovanni Danza pone in luce come “le nonne siano le custodi delle vicende della famiglia, perciò più dei nonni si dedicano al racconto dell’infanzia dei genitori dei nipoti, rivivendo, attraverso la narrazione, la propria esperienza di madri” (Gecchele, 1993). Prosegue ancora Gecchele: “In generale, si può affermare che i nipoti amano discutere con i loro nonni, soprattutto materni”

(ibidem).

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Una volta in più, la nonna materna si rivela colei che, fra i quattro nonni, incide in misura maggiore sulla costruzione delle memorie familiari da parte del nipote.

E, dunque, sulla “costituzione dell’identità personale”

del nipote stesso (Bellingreri, 2010), la “quale, di fatto, è una ‘gruppalità’” (Amadini, 2007) che è possibile comprendere solo in quanto “narrazione” che copra l’arco di almeno sei generazioni (dei trisnonni – o trisavoli, dei nonni dei nonni, dei genitori dei nonni, dei nonni, dei figli dei nonni e, infine, dei nipoti).

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FENOMENOLOGIA DELLE CURE PRIMARIE

La “fenomenologia degli affetti familiari” (che tratta di come l’essere della famiglia si sia essenziato, nel tempo, assumendo talora la forma di un fenomeno, talora quella di un altro, empiricamente documentabili) diviene, nel tempo, matrice di senso per sé.

Posare uno sguardo fenomenologico in educazione implica una presa di distanza da quanto è trascorso e in sé immutabile, e un’accettazione totale di quanto si manifesta ed è in sé autoevidente.

Ciò significa che le origini familiari non sono mai da considerarsi determinanti per l’avvenire: la persona è libera di intenzionare l’esistente “in funzione di ciò che egli è prima [o della propria essenza]” (Madrussan, 2011), o prima ancora delle relazioni familiari originarie, le quali – come ogni fatto, in ambito educativo – sono circostanziali e situazionali.

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La fenomenologia, pertanto, è un invito a progettare la propria esistenza non alla luce di ciò che è stato, ma di ciò che è, e che potrebbe essere.

La nonna materna detiene un ruolo nodale nella genealogia delle cure primarie: essa incarna, per la madre, un modello di accudimento da imitare o da ricusare, e parte delle pratiche dell’aver cura del lattante si ispira pur sempre, al di là del sapere pediatrico, alla circolarità esperienziale dell’amore materno.

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Purtroppo, è ancora scarsa l’attenzione che le scienze sociali ed educative prestano alla doppia maternità della nonna materna; la “madre della madre”, all’opposto, si sente più spesso chiamata a compiti ineludibili nei riguardi dei nuovi nati, sia in merito alla cura che all’educazione di questi ultimi.

Si tratta, per la nonna materna, di rinforzare, nei primissimi mesi di vita, la “preoccupazione materna primaria” (Capello, 2005), e di integrare, in una fase successiva, il sentimento di appartenenza del nipote a una comune radice di cure e di affetti, che si dipana, fenomenologicamente, di madre in madre.

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