CAPITOLO 1
La scuola per l’infanzia
1.1. CENNI STORICI SULL’EVOLUZIONE TIPOLOGICA IN EUROPA
La maggiore attenzione all’infanzia si registrò per lo più durante la rivoluzione industriale; all’inizio fattori economici di tipo produttivo più che pedagogici sollevarono il problema della custodia e il ricovero dei figli degli operai, solitamente abbandonati a sé stessi nel corso della giornata lavorativa dei loro genitori. Le scuole dell’infanzia erano quindi finalizzate a preparare le giovani generazioni delle classi meno abbienti a diventare gli operai delle nascenti fabbriche e seguivano gli stessi precetti in uso nell’edilizia scolastica e universitaria.
Il problema educativo sarà posto soltanto successivamente, dopo il necessario e imprescindibile periodo di maturazione e presa di coscienza sociale.
L’itinerario storico inizia dalla Francia, dove fu aperta nel 1770 a Waldersbach, in Alsazia, la prima “salle d’asile” con indirizzi assistenziali ed educativi, per iniziativa del pastore protestante Federico Oberlin (1740-1826). In tale struttura i bambini più piccoli venivano intrattenuti con giochi, mentre quelli più grandi venivano impegnati in attività guidate. Le salles d’asile si diffusero rapidamente in Francia, ma furono disattesi gli obiettivi dell’Oberlin, poiché le sale si riducevano soltanto a grandi stanzoni con carenze igienico - sanitarie che accoglievano anche fino a trecento
bambini, fatti sedere in banchi a gradinate.
Agli inizi, si affermarono tipologie distributive atte a garantire l’ordine e il controllo gerarchico sui bambini e l’aula rettangolare, dove trovava congeniale applicazione l’insegnamento frontale volto a trasmettere un messaggio ‘unico’ a classi composte anche da numerosi bambini.
In Inghilterra più fortuna ebbe invece l’iniziativa del filantropo Robert Owen (1771-1858), che in qualità di proprietario di una filanda nel New Lanark, in Scozia, fondò nel 1816 l’Istituzione per la formazione razionale del carattere giovanile. A tale istituto era annessa una scuola infantile, diretta da James Buchanan, e composta da due sezioni che ospitavano bambini dai due a sei anni (scuola primaria) e ragazzi dai sei ai dodici anni (scuola secondaria). L’iniziativa sperimentale gettò le basi per la prima “infant school” , la cui tipologia rapidamente si diffuse dapprima in Inghilterra e, successivamente in altri paesi.
In Italia la fondazione di asili infantili si deve all’abate Ferrante Aporti (1791-1858), che li denominò Scuole infantili di carità, in antitesi alle inappropriate sale di custodia a carattere locale, essendo le intenzioni dell’ Aporti la creazione un servizio di tipo territoriale.
La prima scuola venne aperta a Cremona nel 1828, ed all’inizio accoglieva a pagamento soltanto bambini di famiglie agiate; in seguito venne aperta anche a quelli di famiglie meno abbienti. Tali strutture, però, a causa del personale insegnante poco preparato e per denominazione corrente, erano chiamate soltanto “asili”, poiché la loro funzione si riduceva esclusivamente alla semplice custodia dei bambini, quasi sempre ospitati
in ambienti inappropriati e malsani di edifici preesistenti con altra destinazione d’uso.
L’asilo aportiano, che si ispirava al concetto dello sviluppo armonico delle forze fisiche, intellettuali e morali del bambino, era caratterizzato dalla separazione fra bambini e bambine e da una grande quantità di aule, a differenza della contemporanea unica aula della show room inglese o delle due aule della salle d’asile francese. L’iniziativa dell’Aporti non fu immune da critiche ed opposizioni ma, malgrado ciò, a partire dal 1833 il suo modello di scuola infantile ebbe larga diffusione in tutti gli Stati italiani. La trasformazione istituzionale degli asili infantili in strutture educative si attribuisce a Federico Froebel (1782-1852), fondatore nel 1893 dei Giardini d’infanzia (Kindergarten). L’educazione, secondo Froebel, doveva basarsi sull’attività creatrice individuale e/o collettiva e senza condizionamenti esterni sui bambini, mediante la libertà del gioco. Nelle strutture froebeliane i bambini erano posti a stretto contatto con la natura, cosa che avviene a tutt’oggi nelle scuole materne tedesche. La singolare denominazione muoveva dal fatto di considerare i bambini come piante e i maestri come giardinieri che ne dovevano avere cura; e non a caso la prima denominazione data da Froebel fu quella di vivai di bambini, che sostituì in seguito con quella di giardino d’infanzia.
In Italia i giardini d’infanzia vennero introdotti da Adolfo Pick (1829-1894) che aprì il primo a Venezia nel 1869, dove istituì nel 1871 anche la prima scuola per maestre giardiniere.
erano le scuole infantili ed i giardini d’infanzia, entrambe per iniziativa privata e per pubblica beneficenza. Infatti la prima legge sull’istruzione pubblica del 1859 non contemplava gli asili infantili, che soltanto con la legge del 17 luglio 1880 sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza verranno classificati come enti di assistenza. Successivamente con R.D. N. 5008, serie 3a, dell’ 11 novembre 1888, in applicazione alla legge dell’8 luglio 1888 n. 5516, serie 3a, sugli edifici scolastici, vengono emanate le “Istruzioni tecnico-igieniche intorno alla compilazione dei progetti di costruzione di nuovi edifici scolastici”.
In riferimento agli asili infantili si avevano le seguenti istruzioni: Art. 5 - Gli edifici per asili infantili devono comprendere:
a) un ampio atrio per spogliatoio, se non vi sia all’uopo un locale apposito; b) una stanza per lavatoio e possibilmente un bagno a pioggia;
c) ampie classi per tre sezioni di scuole miste, unite o distinte secondo il numero dei bambini accolti nell’asilo
d) grande sala per ricreazione ed esercizi in comune, distinta, se possibile, dal refettorio;
e) camera con uno o due piccoli letti per riposo di bambini indisposti; f) cortile e giardino;
g) cucina; h) latrine.
La superficie delle classi doveva essere calcolata in ragione di mq 0,80 per allievo, e nel complesso non doveva essere inferiore a mq 30.
della classe non doveva essere inferiore a m 4,50, e la sua lunghezza non superiore a 8-10 m.
Dal punto di vista della tipologia edilizia tra asili infantili e giardini d’infanzia non esisteva sostanziale differenza; comunemente i primi erano intesi come istituti di beneficenza, i secondi come asili a pagamento.
Gli edifici per asili infantili che sorgevano nelle grandi città, ed in particolare nei grandi quartieri popolosi, avevano una capacità ricettiva compresa tra 200 e 350 bambini: nei comuni rurali, invece, erano stati proposti edifici con ricettività di 100, 200 e 300 bambini da adottare a seconda dei casi.
Il Novecento segnò una fondamentale svolta per gli indirizzi educativi da adottare nella nascente scuola per l’infanzia. Si premette che già in Francia le “salles d’asile, dopo l’opera organizzatrice di Paolina Kergomard (1838-1925), con una legge del 1881 erano state denominate “ecoles maternelles” .
In Italia fondatrici di metodi pedagogici che diedero poi vita a relative strutture per la seconda infanzia furono le sorelle Agazzi, Rosa (1866-1951) e Carolina (1870-1 945), e Maria Montessori (1870-1952).
Il metodo pedagogico delle Agazzi si fondava sulla spontaneità e sulla libera iniziativa del bambino, che doveva ritrovare negli spazi scolastici la stessa atmosfera dell’ambiente domestico. Il bambino, in sintesi, doveva essere occupato in attività di vita domestica e familiare utilizzando materiale didattico fatto di piccoli ‘nonnulla’ o ‘cianfrusaglie’.
pedagogia scientifica e sperimentale, era fondato sulla conoscenza psicologica del bambino, al fine di potere eliminare tutti gli errori educativi, ed in special modo quelli limitativi delle sue esperienze, Il modello montessoriano si basava sulla libertà del bambino, senza condizionamenti esterni dell’adulto, e sull’organizzazione di spazi ed arredi appropriati ai bisogni e alle possibilità infantili. L’ambiente scolastico doveva essere a misura, psicologica e dimensionale, di bambino, in modo che egli non potesse essere ostacolato nei movimenti e nell’uso degli spazi. Gli istituti che adottavano il metodo Montessori furono chiamati case dei bambini; la prima fu aperta a Roma nel 1907.
Il belga Ovidio Decroly (1871-1932), sostenitore, come la Montessori, di un metodo pedagogico scientifico, diversamente dalla sua contemporanea nei suoi Giardini d’infanzia di matrice froebeliana offriva ai bambini un ambiente scolastico naturale e non troppo rigidamente organizzato.
Il modello educativo di Decroly si basava sui centri di interesse, che si “sviluppano nel bambino soprattutto a contatto con la natura e le cose reali, corrispondendo ai bisogni fondamentali di lui ”, e “rappresentano le principali motivazioni capaci di sollecitarne e orientarne le attività”.
Gli asili infantili e i giardini d’infanzia con i Programmi didattici del 4 gennaio 1914 furono riconosciuti prima di tutto soprattutto istituti di educazione, però con la proibizione dell’insegnamento della scrittura, della lettura e di ogni altro esercizio scolastico di carattere strumentale; tali programmi tuttavia ebbero scarsa applicazione, essendo tra l’altro anche poco conosciuti.
La Riforma Gentile deI 1923 non apportò ulteriori innovazioni didattiche, eccetto il cambiamento del nome degli asili infantili in scuole del grado preparatorio del bambino alla scuola elementare, con durata di 3 anni come oggi. L’odierna denominazione di scuola materna, già usata dalle Agazzi e dal ministro della P.I. Giovanni Gentile, venne riproposta con la Carta della scuola deI 15 febbraio 1939 che stabilì anche la sua durata biennale.
Il quadro dell’evoluzione tipologica delle scuole materne fino all’attuale normativa tecnica del 18 dicembre 1975 è chiarito dal D.M. 4 maggio 1925 “Approvazione delle norme per la compilazione dei progetti di edifici scolastici”.
Si avevano le seguenti istruzioni: XVII
Gruppi scolastici
Dove se ne riconosca l’opportunità, si possono riunire in uno stesso fabbricato le scuole elementari maschili e femminili e l’asilo infantile o alloggiare questi diversi reparti scolastici in fabbricati vicini.
La capienza di un gruppo scolastico non dovrà superare 1000 alunni. I locali spettanti ad ogni reparto dovranno essere perfettamente separati.
XVIII
Norme particolari per la compilazione dei progetti di edifici ad uso infantili. Per gli asili infantili ad un aula occorrono, oltre di questa che può servire anche da ricreatorio, i seguenti locali: spogliatoio, refettorio, una stanza
per la maestra, cucina, bagno, latrina, piazzale per giuochi.
La stanza da bagno, come ogni altro locale di soggiorno, deve essere riscaldabile.
Per gli asili d’infanzia a più di un’aula è necessario aggiungere un locale per ricreazione, una stanza per i bambini indisposti, una stanza per guardaroba, un piccolo ambiente per dispensa ed un altro per deposito degli attrezzi di pulizia.
Nei piccoli edifici ad uso asilo potranno inoltre comprendersi le abitazioni per il personale insegnante.
L’aula ed il locale di ricreazione debbono essere a pianterreno e comunicare con il piazzale dei giuochi mediante porta a vetri, col minimo numero di gradini occorrenti per avere il dislivello necessario per il vespaio.
La capienza delle aule non deve superare i 60 bambini, con una superficie non interiore metri quadrati 1 per ciascuno.
Dove sia costruito un locale per ricreazione, questo avrà una superficie di metri quadrati 1,25 per bambino, avuto presente il numero di quelli dell’aula più grande.
Le finestre siano numerose e possibilmente aperte in più parti.
Per i refettori le dimensioni minime debbono essere calcolate considerando la larghezza delle tavole di metri 0,60, la lunghezza fra gli assi di due tavole parallele vicine metri 2,20.
Fra il pavimento dei locali degli asili infantili ed il terreno debbono adottarsi gradinate con ciglio arrotondato e pedata leggermente inclinata e larga
non meno di metri 0,35: l’alzata di ogni gradino deve essere tutt’al più di metri 0,12.
Trattandosi di latrine a sciacquone, si preferisca la disposizione del vaso con apertura ovale e bordi bene arrotondati, e per la relativa pulizia si disponga una presa speciale d’acqua.
Presso il gruppo di latrine non manchi quella per il personale insegnante. Le latrine per gli asili infantili debbono avere il sedile alto da metri 0,15 a 0,20, con orifizio ovale di metri 0,15 per 0,20, ed essere divise l’una dall’altra da semplici tramezzi lunghi metri 1,20 alti metri 1,50 senza chiusura anteriore.
Ogni edificio per asilo infantile non può essere progettato per più di 200 bambini.
Le istruzioni riportate per gli edifici ad uso scuole elementari non modificate dalle norme sopra indicate si debbono osservare anche per la compilazione dei progetti di edifici per asili infantili.
Col passare degli anni, grazie allo straordinario lavoro di educatori, pedagogisti e psicologi, i bambini non furono più considerati come adulti in sedicesimo e la scuola dell’infanzia, da ‘ fabbrica per imparare ’, da edificio deputato alla custodia dei bambini e ad impartire nozioni preparatorie per accedere alle istituzioni scolastiche, divenne il luogo dello sviluppo psico-motorio, relazionale, sensoriale e affettivo del bambino. Una risposta alle nuove esigenze educative fu la creazione di scuole per l’infanzia basate su unità pedagogiche - le sezioni -caratterizzate in base all’età dei bambini ( tre, quattro e cinque anni) e dimensionate per
ospitarne una trentina.
Successivamente, la tendenza è stata quella di abbandonare la tipologia di scuola incentrata sulla sezione, intesa come sede rigida e immutabile di una didattica trasmissiva, per giungere ad una suddivisione dello spazio più articolata, in grado di consentire l’attuazione di metodi d’insegnamento basati sul coinvolgimento attivo dei bambini mediante attività da svolgere individualmente o in piccoli gruppi.
Tale approccio educativo fu alla base della Normativa tecnica sull’edilizia scolastica del 1975, ancora vigente, e si tradusse fondamentalmente: • nell’allestimento di specifici ambiti funzionali (nuclei di attività) dotati delle attrezzature necessarie (pittura, cucina, travestimenti …) ubicati all’interno (angolo di sezione) o all’esterno (centro di interesse) della sezione e comuni a più classi per consentire l’incontro di bambini di età differente;
• nella previsione di ambiti per attività ordinate ( “attività che gli scolari svolgono a tavolino o su bancone”), libere ( “di carattere motorio o ludico o di carattere complementare ecc.” ) e pratiche (“indossare o togliersi gli indumenti, piccole operazioni di toletta personale, uso dei servizi, mensa, ecc.”).
Nei Paesi germanofoni, dal 1960, si diffuse il metodo Raumteiler che consiste nell’organizzare gli spazi della scuola dell’infanzia in tre settori di apprendimento guidato: l’angolo delle costruzioni, l’angolo della ‘cucinetta’ e l’angolo dei libri illustrati.
1.2. GLI ATTUALI ORIENTAMENTI PER GLI SPAZI EDUCATIVI: MODELLI TIPOLOGICI
La tipologia a sezioni distinte
La tipologia a sezioni distinte, più o meno dotata di autosufficienza funzionale, costituisce indubbiamente per la didattica un modello rigido, poiché vengono pregiudicati sicuramente i rapporti d’intersezione, tra l’altro attuati in poche e rare occasioni, costituendo la sezione il luogo privilegiato per Io svolgimento delle attività educative.
Dal punto di vista distributivo il modello tipologico può comportare la formazione di vere e proprie microscuole localizzate all’interno di uno stesso edificio ed aventi in comune i servizi generali. Le sezioni possono essere disposte:
- in batteria con sviluppo lineare;
- attorno ad uno spazio centrale solitamente destinato ad attività collettive e di intersezione;
- a padiglioni con forma, distribuzione interna ed orientamento anche diversi.
Si fa rilevare che oggi la sezione non viene più intesa come la classica aula di forma parallelepipeda, ma come un ambiente articolato o articolabile in aree funzionali o su ambienti distinti organizzati sulla base di precisi indirizzi educativi.
L’organizzazione dello spazio-sezione
La validità dell’organizzazione spaziale e didattica per sezioni è stata ancora una volta ribadita dai Nuovi Orientamenti Educativi, perché essa “garantisce la continuità dei rapporti fra adulti e bambini e fra coetanei, evita i disagi affettivi causati da frequenti e improvvisi cambiamenti, facilita i processi di identificazione, consente progetti educativi mirati a favorire la predisposizione coerente di spazi, ambienti e materiali”. Tuttavia oggi non vengono esclusi i vantaggi educativi derivanti dalla convivenza di bambini di età diversa; obiettivi, questi, conseguibili predisponendo appositi spazi per piccoli gruppi, con il preciso scopo di porre tutti i bambini sullo stesso piano psicologico di uso e influenza dello spazio.
La sezione, nonostante sia soggetta a continue critiche, appare nel contempo rivalutata e rigenerata per il suo ruolo insostituibile per la didattica e la convivenza dei bambini. Le sue aree funzionali possono essere organizzate o secondo il modello normativo o per angoli o fuochi di attività. Lo spazio solitamente è variamente articolato sia in senso planimetrico che altimetrico: dislivelli di pavimento, variazioni di altezza dei soffitti, dinamismo delle pareti, diversità nei materiali e colori, etc.
Per garantire una migliore funzionalità della sezione, gli educatori chiedono che essa sia dotata di propri locali igienici comprendenti le seguenti zone funzionali o ambienti distinti:
- spogliatoi;
- lavabi e fontanelle; - servizi igienici.
La localizzazione dei servizi igienici all’esterno della sezione, ovvero la loro concentrazione in un unico nucleo, comporterebbe sicuramente difficoltà per il controllo dei bambini, ma nello stesso tempo costituirebbe pretesto di socializzazione per quelli delle diverse sezioni, così come l’uso degli spazi di connessione sia come percorsi che come luoghi di socializzazione.
Lo spazio per le attività libere
Sullo spazio per le attività libere, indispensabile per la socializzazione dei bambini, si hanno i seguenti orientamenti educativo-progettuali limiti:
- spazio esterno alle sezioni e di ampiezza tale da potere ospitare tutti i bambini della scuola;
- spazio da prevedere all’interno delle sezioni.
Nel primo caso, essendo note le negatività educative e funzionali dei grandi ambienti, è consigliabile la loro articolazione in spazi minori e meno dispersivi.
Nel secondo caso si conseguirebbe la totale autonomia funzionale e didattica delle sezioni.
Altre proposte, intermedie tra quelle limiti, auspicano uno spazio per attività libere costituito da ambienti minori di forma e dimensioni variabili, intercomunicanti, in modo da formare un percorso-ambiente meglio rispondente alle aggregazioni dei gruppi.
Lo spazio per la mensa
spesso lontano dalle sezioni si hanno diversi orientamenti educativo-progettuaIi, che si concretizzano nelle
seguenti proposte:
- il pranzo è un’attività che deve svolgersi in un unico grande ambiente, al fine di evitare doppi turni e con la prospettiva della sua utilizzazione per altri scopi;
- il pranzo è da considerarsi come un’attività da svolgersi nella sezione. Nel primo caso la presenza di molte persone può generare nel bambino reazioni ansiogene e sociofughe derivanti dalla confusione e soprattutto dalle dimensioni sproporzionate dell’ambiente rispetto alla sua scala psicologica. Tuttavia, secondo alcuni educatori, è importante che il bambino, per la sua formazione psicofisica, sì abitui a pranzare in ambienti specifici.
Nel secondo caso, il pranzo nella casa-sezione assume per il bambino un preciso significato educativo (soprattutto le fasi preparatorie dell’allestimento dei tavoli, etc.).
Nel caso in cui il pranzo si svolga all’interno delle sezioni possono recuperarsi le superfici in precedenza destinate alla mensa, sia a vantaggio delle stesse sezioni che di altri ambienti.
La tipologia a piano aperto
La tipologia a piano aperto (open plan), sfruttando i vantaggi derivanti dal trascurabile ingombro degli elementi strutturali puntiformi, consente di avere a disposizione vaste superfici coperte che possono essere
distribuite liberamente.
Essa si adatta a modelli educativi che, a differenza della suddivisione classica in sezioni, prevedono gruppi misti e non fissi, realizzando così un efficace interscambio tra gli insegnanti e una collaborazione tra i bambini, liberi anche di svolgere attività individuali. L’attuazione di tali modelli educativi necessita di una approfondita programmazione di base.
Nelle scuole a piano libero le zone destinata ai bambini sono costituite da spazi di dimensioni e forma differenziate che sostituiscono le aule, con il vantaggio soprattutto dell’eliminazione di tutti gli spazi sottoutilizzati. Tra gli spazi attività non esistono più distinzioni tra aree strettamente didattiche e aree per gioco puro, in quanto tutta la superficie della scuola è didatticamente coinvolta. Le aree solitamente vengono definite con tramezzi leggeri non necessariamente a tutta altezza, arredi mobili facilmente smontabili e rimontabili.
Sostanziali inconvenienti in questo tipo di scuole, possono aversi in merito allo svolgimento delle attività rumorose e per il mantenimento artificiale delle condizioni climatiche interne, sicuramente dannoso per la salute dei bambini. Spazi così altamente flessibili, inoltre, comportano difficoltà di orientamento a causa della non totale definibilità, fondamentale ai fini della concretizzazione dell’insieme di esperienze fatte proprie dal bambino. La tipologia a piano aperto può ritenersi più efficace qualora venga attuata a livello di sezione e non per tutto l’edificio.
Secondo alcuni educatori il piano libero si presterebbe meglio ad indirizzi pedagogici che non prevedano alcuna forma esterna d’insegnamento,
essendo apprendimento conseguente al contatto con la particolare strutturazione di spazi ed arredi, aventi funzione stimolatrice.
La tipologia per centri d’interesse
La tipologia per centri d’interesse (o degli spazi a laboratorio) consiste nella distribuzione dello spazio interno secondo ambienti con forme e dimensioni differenziate, in sostituzione delle aule-sezioni, per lo svolgimento di attività specializzate verso cui saranno indirizzati i bambini. La funzione degli spazi-laboratorio è quella di consentire l’apprendimento mediante la sperimentazione e la produzione da parte del bambino, in sintonia con i suoi tempi di elaborazione e senza condizionamenti esterni da parte dell’adulto. Ciascun laboratorio solitamente viene affidato ad un insegnante specializzato per “guidare” i bambini.
Nelle scuole a laboratorio è prevista la libera circolazione dei bambini, al fine di favorire concretamente le comunicazioni interpersonali e, quindi, la socializzazione. Nelle strutture tradizionali il modello didattico può attuarsi utilizzando, per l’allestimento di angoli di attività, anche i cosiddetti spazi extra-sezione (corridoi, disimpegni, atri, mensa, etc).
L’attuazione di questo modello tipologico, richiede un approfondito studio e conoscenza dei programmi didattici, e non a caso attualmente esso riveste ancora un ruolo sperimentale e di tipo extra-scolastico.
lI modello tipologico intermedio
distinte e per centri d’interesse, finalizzata soprattutto al recupero degli spazi sottoutilizzati, può conseguirsi attuando un modello tipologico-didattico intermedio, quello per “sezioni e centri d’intersezione” per l’acquisizione di esperienze educative di tipo montessoriano e/o agazziano.
Secondo il modello tipologico intermedio, lo spazio destinato alle attività d’intersezione dovrebbe essere opportunamente distribuito in ambienti minori, più rispondenti ed idonei all’allestimento di laboratori per attività individuali e/o di gruppo; il collegamento di questi ambienti, inoltre, potrebbe essere molto utile per favorire I’interscambio delle esperienze tra i bambini. Lo spazio per la mensa, nel caso in cui il pranzo si svolga nelle sezioni, potrebbe allora essere recuperato a vantaggio degli spazi didattici.
1.3. L’INNOVAZIONE TIPOLOGICA NEL PROGETTO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
La scuola dell’infanzia come piccola città
Oggi, le esperienze più avanzate tendono al superamento del ruolo direttivo svolto dagli educatori e dell’approccio funzionalista nella concezione spaziale: la scuola dell’infanzia, da insieme strutturato di spazi e di tempi concepiti e gestiti dagli adulti diviene un luogo in cui il bambino impara a sperimentare se stesso in rapporto agli altri e all’ambiente; diviene un laboratorio creativo in cui impara ad esprimere le proprie vocazioni artistiche e a svolgere autonomamente le attività che desidera in funzione delle attitudini, dello stato d’animo, dell’età, della cultura. Agire liberamente, avere accesso a tutti i giochi, gli strumenti didattici e i luoghi, intervenire sugli assetti per modificarli in base alle proprie esigenze, è possibile solo a condizione che gli spazi siano pedagogicamente e ar-chitettonicamente predisposti; in particolare lo spazio articolato offre ai bambini opportunità differenziate per lavorare e giocare in piccoli gruppi e svariate situazioni che invitano all’azione e alla esplorazione.
Così, gli ambienti della nuova scuola dell’infanzia, devono farsi carico di svolgere un ruolo compensativo di tutti gli scenari di socializzazione e di appropriazione sensoriale che sono loro negati, evidenziano l’inaccettabile condizione di segregazione in cui i bambini sono costretti a crescere. La necessità di prevedere, attraverso il progetto della scuola dell’infanzia, ciò che nel passato l’habitat offriva spontaneamente può essere una risposta
alla limitatezza di opportunità che oggi il bambino, in particolare se abita in un appartamento di città, ha a disposizione per manifestare le proprie tensioni creative ed esplorative.
La polivalenza degli ambienti come risorsa organica della scuola dell’infanzia
Nella nuova scuola dell’infanzia tutti gli ambienti, anche quelli considerati tradizionalmente di servizio, dovrebbero assumere una valenza formativa. Se una stessa attività formativa può esplicarsi in luoghi diversi, finanche esterni all’edificio scolastico (aula decentrata), allora occorre superare l’approccio funzionalista al progetto, basato sulla reciprocità tra attività elementari ed unità spaziali.
D’altra parte, l’attitudine dei luoghi della scuola ad adattarsi al mutare delle istanze sociali, delle esigenze individuali e delle più specifiche innovazioni di carattere pedagogico, diviene un requisito essenziale alla luce della maggiore inerzia alle trasformazioni del costruito rispetto a quella dei metodi d’insegnamento.
Realizzare edifici in grado di mantenere nel tempo la propria efficacia formativa significa assumere il cambiamento, l’imprevedibilità, l’evoluzione, come paradigmi progettuali; significa garantire accanto ad una flessibilità a medio e lungo termine, anche la versatilità d’uso degli ambienti, cioè la possibilità di garantire, modifiche degli assetti nell’arco della giornata. attraverso spostamenti e riconfigurazioni degli arredi o l’uso di pareti scorrevoli.
Ovviamente, la disponibilità al cambiamento delle configurazioni può essere considerata una qualità dell’edificio scolastico nella misura in cui sono evidenti i vantaggi che essa apporta allo svolgimento dei programmi didattici e ai processi formativi.
Lo spazio è vissuto dai bambini in maniera ambivalente: è guscio protettivo e terreno di conquista. E questa ambivalenza assume connotazioni diverse anche in rapporto alla loro età. I bambini più piccoli hanno un maggiore bisogno di riconoscersi nel proprio territorio, di avere punti di riferimento fissi e sicuri, di frequentare luoghi conosciuti e con caratteri costanti. Per i bambini più grandi, il carattere di indeterminatezza e variabilità degli ambienti può, viceversa, rivelarsi gradevole e stimolare la loro immaginazione.
In ogni caso, accettare la sfida della flessibilità non deve condurre alla progettazione di ambienti neutrali in cui l’attitudine ad accogliere successive e non prevedibili esigenze che potrebbero manifestarsi in futuro sia ottenuta attraverso la mancanza di caratteristiche distintive, cioè di una chiara identità degli spazi.
Allora, un’ipotesi di lavoro più promettente è quella di progettare ambienti ed arredi polivalenti che si prestino ad una molteplicità d’usi e che possano assumere una pluralità di ruoli grazie alla loro stessa conformazione o attraverso semplici interventi di modifica da parte dei bambini o degli insegnanti. Nel caso degli arredi, per fare un esempio, un mobile basso, utilizzato come contenitore per riporre materiali e come piano di appoggio, potrebbe essere dotato di uno schermo per consentire
una separazione visiva e l’affissione di disegni.
La polivalenza può essere intesa, dunque, come l’attitudine di un ambiente o di un arredo di consentire con la stessa efficacia lo svolgimento di diverse attività senza perdere la propria identità.
L’efficacia morfologica nasce dalla riflessione sul rapporto tra la costituzione ed il dimensionamento degli spazi e rappresenta una vera risorsa organica dell’edificio. Per fare due esempi , un’aula di forma quadrata esprime una efficacia morfologica superiore rispetto ad una lunga e stretta di pari superficie: consente lo svolgimento di diverse modalità didattiche, un più diversificato uso dello spazio e una maggiore variabilità di aggregazione degli arredi; uno spazio comune su un unico piano esprime una più elevata disponibilità ad accogliere usi diversi rispetto ad uno spazio gradonato.
La trasformazione degli ambienti
Una delle maggiori difficoltà nella progettazione delle scuole dell’infanzia deriva dal fatto che ciò che i bambini cercano e si aspettano dall’ambiente difficilmente coincide con ciò che gli adulti ritengono sia per loro più adatto. Questa divergenza è originata dalla contrapposizione fra la mentalità logica, razionale, funzionale degli adulti e quella irrazionale, imprevedibile e fantasiosa dei bambini. Se gli adulti vorrebbero per i bambini ambienti ordinati, puliti, strutturati ed attrezzati, questi preferiscono ti disordine, le sorprese, la possibilità di manipolare l’ambiente per adattarlo ai propri bisogni e alla propria immaginazione.
Montare, smontare, costruire, demolire ... sono altrettante attività che consentono al bambino di riconfigurare gli spazi alla sua misura, alla sua scala.
La possibilità di intervenire direttamente sull’ambiente per adattarlo ai propri bisogni, individuali e di gruppo, è ritenuto un presupposto pedagogico importante per comprendere l’ambiente stesso e impossessarsene. La stessa possibilità di intervenire sulle condizioni microclimatiche degli ambienti rappresenta per il bambino un modo per impossessarsi dello spazio e sentirsi artefice.
E’ anche vero che le novità stimolano la curiosità e che affrontare nuovi giochi e nuove esperienze può rappresentare l’occasione per progettare e realizzare nuovi assetti spaziali. Nella Scuola Montessori di Deft, progettata da Hermann Hertzberger, gli spazi e alcune specifiche attrezzature sono pensati per stimolare l’intervento dei bambini nella modifica delle configurazioni dando luogo a scenari diversificati e re-versibili: un podio può servire per leggere, per giocare, per sdraiarsi, per lavorare in gruppo, ma anche da base per la realizzazione di un palco per le rappresentazioni teatrali di forme e dimensioni variabili: una parte ribassata del pavimento, riempita con cubi estraibili di legno, può servire per sedersi, per realizzare una tana, un ponte e altre innumerevoli occasioni di gioco.
In ogni caso, per consentire ai bambini di intervenire direttamente nella trasformazione degli assetti è necessario che gli arredi e i giochi siano facilmente trasportabili, quindi leggeri o su ruote, in modo tale da
consentirne lo spostamento anche all’esterno per le attività all’aperto. Le avventure e i giochi legati alla trasformazione della sezione possono favorire l’identità del gruppo; quelli svolti negli ambienti collettivi possono fornire opportunità di relazione e
scambio tra i bambini di età e di sezioni diverse.
La scuola dell’infanzia come “laboratorio sensoriale”
Nella scuola dell’infanzia è essenziale che il bambino, per potersi appropriare del proprio intorno, sperimenti l’ambiente mediante l’intero spettro delle modalità sensoriali.
L’obiettivo è di realizzare ambienti altamente comunicativi in grado di stimolare, insieme ai cinque sensi aristotelici, anche le diverse sensazioni (di posizione, d’equilibrio, cinestesiche, aptiche, igrotermiche…).
L’educazione sensoriale può avvenire, nella maniera più semplice, mediante il ricorso a spazi e a materiali di finitura in grado di enfatizzare l’alternanza di opposti: il chiaro e lo scuro, l’orizzontale e il verticale, il leggero ed il pesante, il piccolo ed il grande, il duro ed il morbido, il sonoro e il silente, il liscio e il ruvido, il caldo ed il freddo ...
Specialmente le aree a cielo aperto possono fornire svariate occasioni di apprendimento sensoriale grazie sia alle piante e ai materiali di pavimentazione che alle azioni prodotte su di essi dagli agenti atmosferici: la pioggia enfatizza gli odori e, incidendo sulle diverse superfici che incontra, ne differenzia le qualità materiche e formali: il vento crea sibili e correnti d’aria, fa stormire le foglie degli alberi, fa vibrare e battere
elementi leggeri...
Fare della scuola dell’infanzia un ‘ laboratorio sensoriale ’ rappresenta un obiettivo formativo utile per tutti i bambini e, in particolare, per quelli con minorazioni visive o uditive.
La sezione come piccola casa
La sezione, dovendo consentire lo svolgimento, anche simultaneo, di diverse modalità educative e di svariate attività, ha subito dai tempi della tradizionale aula rettangolare lunga e stretta una notevole evoluzione. Diversi studi segnalano che, per conseguire obiettivi di qualità sotto il profilo pedagogico, non è sufficiente definire l’ampiezza della sezione in base al numero di bambini presenti o previsti, ma occorre considerare la sua morfologia, i metodi formativi, i contenuti che verranno trattati.
Sia pure con le differenze tra caso e caso, l’idea di sezione articolata in micro-ambienti , come ambiente domestico. si è ormai affermata diffusamente.
In alcune esperienze, al nucleo centrale della sezione si associano piccoli laboratori, aree per il gioco, nicchie per il riposo, spazi-rifugio, il nucleo spogliatoi e servizi igienici, spazi all’aperto, spesso coperti, che costituiscono un filtro tra la sezione e il giardino comune.
Esistono strategie di configurazione morfologica della sezione e di disposizione degli arredi che si addicono meglio di altre alle diverse metodologie educative, e che limitano l’influenza negativa dovuta all’ alta densità sul rendimento dei bambini.
In base a come vengono distribuite le persone nello spazio, infatti, si possono avere diverse sensazioni di affollamento e di disagio, che si riflettono negativamente nell’attività didattica. Il grado di attenzione verso l’insegnante diminuisce quando i bambini sono raggruppati insieme e aumenta quando sono disposti nella sezione separatamente in piccoli gruppi, distanziati l’uno dall’altro.
È molto importante consentire la formazione di gruppi di dimensione adeguata all’obiettivo che si intende raggiungere. La letteratura psico-sociologica ha una lunga tradizione nello studiare la configurazione sociale nella quale si verificano le migliori condizioni ai fini dell’apprendimento e le dimensioni preferenziali dei gruppi per favorire alcuni comportamenti.
Numerosi studi hanno individuato nella forma ad ‘L’, ottenuta accostando due rettangoli di diversa superficie, una configurazione particolarmente versatile per garantire il soddisfacimento dei requisiti di distanza e separazione accanto a quelli di compattezza e di flessibilità. La morfologia ad ‘L’ rivela una buona attitudine a limitare le interferenze tra gruppi, per le attività che necessitano di concentrazione, senza ostacolare la percezione dell’identità del gruppo-classe e le necessarie funzioni di vigilanza dell’insegnante; consente, accanto alla tradizionale lezione frontale, l’insegnamento individualizzato, la compresenza di più insegnanti impegnati in attività diverse e i lavori per piccoli gruppi. Inoltre, permette di difendere la privacy del singolo nel momento in cui questi ne avverte maggiormente il bisogno. Infatti, nel bambino coesistono la necessità di
interagire con gli insegnanti e con i compagni e l’esigenza di privacy e di riservatezza, nei momenti in cui desidera dedicarsi individualmente al gioco o allo svolgimento di un’attività. Soprattutto nella scuola dell’infanzia vi è nel bambino un grande bisogno di avere uno spazio riservato, raccolto, silenzioso, da gestire autonomamente nei momenti di riflessione e di raccoglimento. A tale scopo si possono utilizzare pareti ondulate vi-sivamente stimolanti per il bambino e facilmente allestibili per accogliere angoli di uso esclusivo.
E’ stato infatti osservato che l’esigenza di isolarsi è contrastata dal desiderio di non rimanere totalmente esclusi dalle attività degli altri. A questo proposito si devono realizzare angoli appartati per lo svolgimento delle attività individuali, ma non separati, in modo da consentire il superamento della sensazione di esclusione dalle attività degli altri e facilitare l’attenzione verso il compito che si sta svolgendo.
Postazioni cosi concepite si rivelano congeniali per le attività integrative svolte dagli insegnanti di sostegno con i bambini disabili o dagli operatori culturali con i bambini stranieri. Non confinare tali attività in spazi ‘a parte ’ consente a questi bambini di mantenere un legame con i compagni e di concentrarsi nei “lavori” da svolgere senza sentirsi esclusi dagli altri; consente ai loro compagni di apprendere nuove forme di comunicazione, tradizioni e culture diverse: consente di percepire l’insegnante di sostegno o l’operatore culturale non come figure aliene ma come educatori di tutta la classe.