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Capitolo 2 Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico

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Academic year: 2021

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Approccio neuroscientifico alla

diagnosi e al trattamento del disturbo

autistico

2.1 Introduzione

Questa tesi ha avuto lo scopo di studiare e caratterizzare la morfologia e la connettività dei neuroni in vitro durante le prime fasi dello sviluppo del cervello.

La procedura di analisi messa a punto verrà utilizzata per lo studio sulla patogenesi dei disordini inerenti allo sviluppo con particolare riguardo all’autismo, ovvero tutti gli studi svolti in questa tesi dovranno poi essere ripetuti sulle colture di neuroni provenienti da modelli animali di autismo e dovranno essere rilevate le differenze nel comportamento.

In questo capitolo verrà presentato un quadro generale sull’autismo con i suoi sintomi, le sue cause, i tipi di diagnosi e di trattamento.

Ci si soffermerà quindi sulle anormalità del sistema nervoso presenti nei soggetti autistici e si illustrerà l’importanza di un approccio neuroscientifico per la diagnosi e il trattamento di questa patologia.

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2.2 Quadro generale sull’autismo

2.2.1 Che cosa è l’autismo

Il disturbo che, secondo le stime attuali, colpisce un bambino su cinquecento, sconvolgendo la vita delle famiglie e pregiudicando la vita di molti bambini, fino alla metà del ventesimo secolo non aveva un nome. Nel 1943 Leo

Kanner del Jhons Hopkins Hospital, in seguito ad uno studio su 11 bambini,

introdusse nella lingua inglese la definizione di autismo infantile precoce (early infantile autisme). Nello stesso periodo Hans Asperger, un ricercatore di lingua tedesca, descrisse la forma più lieve di questo disturbo che divenne nota come sindrome di Asperger. Vennero così descritti questi sviluppi che attualmente sono catalogati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) come due dei cinque Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (PDD). Gli altri due disturbi che appartengono a questi gruppo sono la sindrome di Rett e il Disturbo Disintegrativo della fanciullezza.

Tutti questi disturbi sono caratterizzati da disabilità di gravità diversa nell’ambito delle capacità comunicative e dell’interazione sociale, nonché da modelli di comportamento ristretti, ripetitivi e stereotipati [33].

L’autismo si sviluppa nei primi anni di età e i sintomi diventano più evidenti man mano che il bambino comincia a crescere. È una patologia molto eterogenea infatti non esistono due bambini o adulti che abbiano esattamente lo stesso profilo per cui è difficile trovare delle caratteristiche generali. Per tenere conto di questa diversità e per sottolineare la singolarità dell’assenza di sintomi chiaramente identificabili ed universali per tutta la popolazione colpita, più che al termine autismo si dovrebbe fare riferimento alla dicitura Disordine dello Spettro Autistico (DSA).

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Negli ultimi anni gli studi sulla genetica, sullo sviluppo neuronale e sulle anormalità nell’interazione sociale, forniscono la possibilità di determinare delle basi comuni e di sviluppare possibili terapie. Ciò ha portato ad un maggiore interesse ed impegno nella ricerca sull’autismo [4].

2.2.2 Le cause

Ancora oggi rimane solo ipotizzata la causa che determina l’insorgenza del disturbo autistico, così come rimane da studiare la concatenazione di eventi patologici che provocano l’insorgenza di un quadro sintomatologico così complesso e variegato, che si correla con il non corretto funzionamento di strutture distinte, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, conducendo quindi ad ipotizzare una compromissione multisistemica, di origine verosimilmente multifattoriale.

Rimane ancora argomento di dibattito se l’autismo sia causato da traumi sociali o derivi da anomalie a livello fisiologico ed anatomico.

La maggior parte degli autori concorda comunque sulla presenza di una causa biologica del disturbo, come la disfunzione di un sistema o una sua lesione, ed è stata quasi completamente abbandonata l’ipotesi di un’origine psicosociale o psicodinamica.

Risultano infatti chiare le alterazioni genetiche, neuronali, sensoriali, biochimiche ed immunologiche.

Diversi indizi portano attualmente ad ipotizzare che la componente genetica abbia un ruolo rilevante nella sindrome autistica. La maggior incidenza del disturbo nei maschi si potrebbe per esempio attribuire ad anomalie dei cromosomi sessuali, tanto più che le manifestazioni sintomatiche nelle femmine sono più gravi [35]. Inoltre da diversi studi condotti su coppie di gemelli è emerso che per un gemello monozigote di una persona affetta, la

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probabilità di una diagnosi di autismo è molto maggiore di quella di un gemello dizigote (Fig. 2.1) [36].

Figura 2.1 Risultati degli studi condotti sui gemelli

Gli studi su gemelli indicano che l'autismo è da considerare un disturbo fortemente genetico, e gli studi di linkage e le anomalie cromosomiche riscontrate sembrano implicare specifiche regioni cromosomiche.

L'insieme di questi studi genetici suggerisce che l'autismo è un disturbo geneticamente eterogeneo e poligenico, dovuto ad un effetto additivo ed epistatico di molti geni differenti, ognuno dei quali è responsabile di un piccolo effetto fenotipico. A causa della grande eterogeneità genetica numerose differenti varianti genetiche possono essere implicate nell’autismo e in futuro sarà possibile eseguire uno screening al fine di identificare i geni rilevanti in ogni singolo fenotipo autistico. Questo porterà implicazioni importanti per il futuro trattamento dell'autismo [37].

Oltre alle alterazioni geniche, stanno alla base dell’autismo alterazioni a livello neuronale e sensoriale. Lo sviluppo anormale del cervello causa deficit all’interno delle aree più importanti del sistema nervoso centrale sia di alto che di più basso ordine. Le anomalie cerebrali che si riscontrano nei soggetti autistici verranno descritte più dettagliatamente in seguito.

Molti individui autistici sembrano soffrire di una alterazione di uno o più sensi. Questa alterazione può coinvolgere il sistema uditivo, visivo, tattile,

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gustativo, vestibolare, olfattivo, propriocettivo. La percezione sensoriale può essere ipersensibile, iposensibile o può provocare al soggetto interferenze [38]. Per quanto riguarda la biochimica, molti soggetti autistici hanno elevati livelli di serotonina nel sangue e nei fluidi cerebrospinali, mentre altri invece hanno livelli di serotonina relativamente bassi.

All’autismo è stato associato anche un sistema immunitario disfunzionale. Si pensa che un’infezione virale o una tossina ambientale possano essere responsabili di danni al sistema immunitario. Alcuni ricercatori hanno riscontrato che molti individui autistici hanno un numero ridotto di cellule-helper "T" che aiutano il sistema immunitario a combattere le infezioni.

2.2.3 I sintomi [33]

Tutti i bambini con Disturbo dello Spettro Autistico manifestano dei deficit nelle seguenti aree (Fig. 2.2):

1. Interazione sociale

2. Comunicazione verbale e non verbale 3. Comportamenti ed interessi ripetitivi

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La maggior parte dei bambini affetti da autismo sembra avere enormi difficoltà nell’imparare a prendere parte alla reciprocità dell’interazione umana quotidiana. La menomazione qualitativa nelle interazioni sociali reciproche si evidenzia nell’incapacità di comportamenti non verbali come il contatto oculare, la mimica facciale, la postura ed i gesti comunicativi, nell’incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei appropriate rispetto al livello di sviluppo, nella mancanza di condivisione spontanea di esperienze con gli altri e nella mancanza di reciprocità sociale ed emozionale.

Tali manifestazioni risultano sempre presenti nel disturbo ma possono variare nel corso nella vita e nei differenti contesti ed essere d’intensità variabile da soggetto a soggetto, a seconda del grado di disturbo presentato.

La menomazione qualitativa nella comunicazione interessa sia l’area verbale che non verbale, in maniera diversa a seconda dell’età e della profondità del disturbo. Si manifesta con un ritardo o la totale assenza del linguaggio.

Nei soggetti che parlano, può esservi una notevole compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri, o un uso stereotipato, ripetitivo ed eccentrico del linguaggio.

Spesso il tono, il volume, la velocità, il ritmo e la sottolineatura del linguaggio sono anomali (per esempio, il tono di voce può contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative).

Un elemento caratteristico della sindrome è inoltre, la presenza di comportamenti stereotipati che tendono a ripresentarsi frequentemente nel corso della giornata, apparentemente non finalizzati, fino a divenire in alcuni casi l’unica attività effettuata. Inoltre i soggetti con Disturbo Autistico mostrano una gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso eccessivamente assorbiti da singoli aspetti o particolari.

Si riscontra una marcata resistenza al cambiamento che per alcuni può assumere le caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico. La persona può

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allora esplodere in crisi di pianto o di riso, o anche diventare autolesionista e aggressiva verso gli altri o verso gli oggetti. Altri soggetti, al contrario, mostrano un’eccessiva passività e un’ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi stimolo.

Accanto ai sintomi già descritti, sono frequentemente presenti una serie di altri sintomi meno specifici, quali la presenza di posture anomale, deficit di coordinazione e di organizzazione della motricità, alterazione della percezione (es. uditiva con iperacusia), che determina risposte abnormi a stimoli sensoriali di intensità normale, manierismi alimentari, che si manifestano sia nella modalità di alimentarsi che nella qualità del cibo assunto (fino a giungere a restrizioni della dieta a solo 2-3 alimenti), disturbi del sonno, ansia generalizzata che non sempre è riconducibile ad una situazione scatenante, reazioni affettive bizzarre e tono dell’umore labile.

2.2.4 La diagnosi [33]

Attualmente, per diagnosticare l’autismo, i clinici si basano su una valutazione delle caratteristiche comportamentali. Alcuni comportamenti caratteristici di tale patologia possono essere evidenti fin dai primi mesi di vita, altri possono presentarsi all’improvviso, durante i primi anni. Per fare diagnosi di autismo è indispensabile che entro i tre anni di vita si manifestino problemi in almeno una delle seguenti aree: comunicazione, socializzazione, comportamenti restrittivi.

La diagnosi richiede un procedimento in due fasi: la prima fase comporta uno screening dello sviluppo nel corso di controlli pediatrici regolari, la seconda richiede una valutazione omnicomprensiva, effettuata da equipe multidisciplinare. Nella prima fase vengono utilizzati degli strumenti di screening che consentono di cogliere tempestivamente le informazioni sulle abilità sociali e comunicative del bambino; alcuni di questi strumenti si

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basano soltanto sulle risposte dei genitori alle domande di un questionario, altri si basano su una combinazione di testimonianza dei genitori ed osservazione diretta. Gli strumenti di screening non forniscono una diagnosi individuale, ma servono a valutare se sono necessari ulteriori accertamenti verso la diagnosi di autismo. La seconda fase della diagnosi, che permette di identificare o escludere con certezza l’autismo o altri problemi di sviluppo, deve essere onnicomprensiva e richiede l’intervento di un’equipe multidisciplinare comprendente uno psicologo, un neurologo, un neuropsichiatra infantile, un logopedista, o altri professionisti con competenze nella diagnosi di autismo. Poiché l’autismo è un disturbo complesso, che può comportare altri problemi neurologici o genetici, una diagnosi onnicomprensiva dovrebbe comprendere la valutazione neurologica e genetica, insieme ad accertamenti approfonditi in ambito cognitivo e del linguaggio. In aggiunta, spesso vengono usati strumenti elaborati appositamente per diagnosticare l’autismo.

Di norma, un’equipe esperta di diagnosi ha la responsabilità di effettuare una valutazione completa del bambino , compresi i suoi punti forti e i suoi punti deboli, e di formulare una diagnosi formale. Successivamente l’equipe incontra i genitori per comunicare loro i risultati della valutazione.

2.2.5 Il trattamento [38]

Non esiste un solo protocollo di trattamento che vada bene per tutti i bambini affetti da autismo, nel corso degli anni, le famiglie hanno tentato diversi tipi di trattamento, tradizionali e non tradizionali, per ridurre i comportamenti autistici e potenziare quelli corretti. Un punto su cui la maggior parte dei professionisti si trova d’accordo è l’importanza di un trattamento precoce.

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Sebbene alcuni individui assumano farmaci per migliorare il benessere generale, non c’è una medicina primaria che si sia mostrata consistentemente efficace nel trattare i sintomi così diversi da individuo ad individuo dell'autismo. In genere i farmaci utilizzati sono gli stessi che vengono applicati nel trattamento di altre patologie e consentono di controllare problemi comportamentali quali l’aggressività, l’autolesionismo e gli attacchi di collera.

I due trattamenti che hanno ricevuto il maggiore supporto empirico sono: la modifica comportamentale e l’uso di vitamina B6 associata a supplementi di Magnesio.

La modifica comportamentale fa uso di una varietà di strategie (p.es. rinforzo positivo (incoraggiamento), "time out") per sviluppare comportamenti corretti, quali la comunicazione e la socializzazione, e per scoraggiare quelli inadeguati, quali i comportamenti auto-stimolatori ed i comportamenti autolesionistici.

Inoltre, come già menzionato, molti individui autistici hanno alterazioni della percezione sensoriale, per cui si cerca di intervenire anche su questo canale: vengono usate tecniche di integrazione sensoriale per trattare disfunzioni tattili, vestibolari e propriocettive. Molti individui autistici sono anche sensibili ai suoni ambientali. Possono udire suoni al di fuori della gamma di frequenza normale e/o possono percepire certi suoni come dolorosi. Il Training per l’Integrazione Uditiva (ascolto di musica, filtrata ed alterata in modo particolare, riprodotta per dieci ore) è una terapia che è spesso usata per ridurre queste tipo di sensibilità anormale. Il Training Visuale è un’altra terapia sensoriale formulata per normalizzare la visione. Ci sono differenti metodi di training visuale.

Per quanto riguarda l’altro trattamento, è stato visto che la vitamina B6 presa con il Magnesio ha dimostrato di poter migliorare il benessere generale, la

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consapevolezza e l'attenzione in circa il 45% dei bambini autistici. Esiste inoltre una quantità di rapporti recenti sui benefici di un altro supplemento alimentare, la Dimetilglicina (DMG). Anche la DMG sembra aiutare il benessere generale della persona e vi sono molti rapporti aneddotici di miglioramento della capacità di comunicazione.

2.3 Aspetti cognitivi e neuropsicologici [39]

Negli ultimi 40 anni, gli psicologi cognitivi, hanno tentato di identificare i deficit cognitivi che stanno alla base dei disturbi comportamentali che si ritrovano nell’autismo.

Gli studi effettuati hanno condotto alla formulazione di differenti teorie riguardo alla modalità di funzionamento cognitivo e neuropsicologico dei soggetti autistici.

La presenza di differenti modelli nasce dalla disomogeneità di presentazione del disturbo e dalla compromissione di diverse aree, che rende il problema estremamente complesso e difficilmente riconducibile ad un’unica alterazione o percorso patogenetico.

Tra queste teorie le più accreditate sono quattro: 1. Teoria della mente

2. Teoria dell’alterazione delle funzioni esecutive 3. Teoria della debole coerenza centrale

4. Teoria del cervello maschile

Le diverse versioni della teoria della mente ipotizzano una disfunzione a qualche stadio dell’acquisizione di una “teoria della mente”, ovvero della capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso l’automatica attribuzione di stati mentali, intenzioni e punti di vista agli interlocutori. I

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soggetti affetti da autismo non sono in grado di rappresentarsi lo stato mentale altrui e di sé stessi, di raffigurarsi un agire che tenga conto delle credenze e dei pensieri soggettivi e di rispondere agli stimoli ambientali, se non dentro un rapporto oggettuale, vissuto nel concreto. Tale teoria è dimostrata dall’attivazione di aree della corteccia diverse rispetto ai soggetti normali [5]. Nella Teoria delle funzioni esecutive, utilizzando il termine “funzioni esecutive” ci di riferisce alle funzioni di alto livello che includono la memoria di lavoro, la pianificazione, l’intenzione, la flessibilità cognitiva e l’inibizione. La disfunzione esecutiva nell’autismo è evidente a causa della presenza di comportamenti perseverativi, rituali ed azioni motorie ripetitive. Queste funzioni sono svolte dai lobi frontali che nei soggetti autistici risultano infatti danneggiati [6].

La Teoria della debole coerenza centrale si riferisce alla difficoltà di effettuare un processing globale e all’aumentata abilità nel processare dettagli locali. Tale disfunzione coinvolge sia caratteristiche sociali che non sociali dell’autismo. Questa teoria è giustificata dal fatto che nei soggetti autistici c’è una maggiore attivazione delle aree occipitali e temporali piuttosto che nella corteccia prefrontale, suggerendo un aumento del processing a livello sensoriale piuttosto che un’integrazione olistica degli stimoli funzionali [11]. Infine secondo la Teoria del cervello maschile, l’autismo è la manifestazione estrema di un profilo cognitivo in genere appartenente al genere maschile. Questa teoria è supportata da basi comportamentali: le femmine sono favorite in ambiti quali il linguaggio, la comunicazione pragmatica, ed altri ambiti sociali e comunicativi. Supporti biologici derivano anche dall’aumento del testosterone nei soggetti artistici.

Come è possibile dedurre da questa breve descrizione, nessuno dei modelli formulati è in grado di rappresentare in maniera convincente ed unitaria la realtà autistica, in tutta la sua complessa sintomatologia e multiformità di

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presentazione. Questi modelli inoltre cercano di evidenziare i deficit cognitivi presenti nei soggetti autistici senza però identificare le basi neuronali di tale disordine.

I modelli teorici sono tuttavia necessari per guidare la ricerca futura con la consapevolezza della necessità di modificarli o sostituirli, alla luce dei progressi ottenuti.

2.4 Studi neurobiologici sull’autismo

Nei paragrafi precedenti si è visto come la diagnosi e il trattamento dell’autismo convenzionali si basano esclusivamente su criteri comportamentali e psicologici.

Le psicoterapie relazionali, gli interventi psico-educativi e quelli riabilitativi, inducendo grossi miglioramenti nel piano comportamentale, dei meccanismi psico-mentali, delle capacità cognitivo-intellettive (confermati dall’applicazione di numerose scale di valutazione), non ci dicono tuttavia se la ristrutturazione dell’ Io sia determinata da una regressione della psico-patologia o da un miglioramento del funzionamento cerebrale e/o da un riequilibrio del meccanismo dei molti neurotrasmettitori chiamati in causa. Anche per quanto riguarda la diagnosi, i criteri attualmente impiegati risultano essere insoddisfacenti perché consentono una diagnosi relativamente tardiva mentre è stato visto che lo stadio critico dell’autismo si verifica durante le prime fasi dell’infanzia, proprio quando il cervello inizia a formarsi. Una comprensione soddisfacente dell’autismo richiede quindi un approccio multidisciplinare per poter affiancare agli studi psicopatologici studi approfonditi sulla struttura e le funzioni del cervello e sulla modalità di funzionamento dei neurotrasmettitori [40, 41].

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2.4.1 Neuropatologia e imaging cerebrale [42, 43, 2]

Questi studi si basano sia sull’analisi di tessuti postmortem sia su tecniche di imaging non invasive per determinare le regioni cerebrali coinvolte nell’autismo.

Numerosi studi hanno dimostrato un aumento del volume cerebrale dei soggetti autistici rispetto alla norma (Fig. 2.3). Ad esempio Baily et al. esaminando cervelli postmortem di individui dai 4 ai 24 anni di età, hanno riscontrato che quattro su sei di essi erano megaloencefalici.

Figura 2.3 Aumento del volume cerebrale in un soggetto autistico

Tali risultati sono confermati dagli studi di Risonanza Magnetica. Basandosi su questi studi, alcuni mesi fa, Courchesne ha formulato una nuova e provocatoria ipotesi secondo cui lo sviluppo anormale del cervello si articola in due fasi (Fig. 2.4): una lenta riduzione della circonferenza cerebrale alla nascita ed una crescita improvvisa ed eccessiva di tale circonferenza nello sviluppo successivo [9].

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Figura 2.4 Sviluppo del cervello nei bambini autistici e nei bambini normali

Questo accrescimento anormale non è uniformemente distribuito. Usando la tecnologia della MRI-imaging, Courchesne e i suoi colleghi hanno potuto identificare i tessuti in cui questo aumento di crescita è più pronunciato: i neuroni-stratificati della materia grigia della corteccia cerebrale e della materia bianca sottostante, che contengono le proiezioni di connessione fibrosa, per e dalla corteccia, e altre aree del cervello, incluso il cervelletto. Studi neuropatologici regionali hanno messo in evidenza possibili alterazioni nel tronco encefalico, nel cervelletto e nelle strutture del sistema limbico che comprende l’ippocampo, l’amigdala, il nucleo septico e la corteccia cingolata anteriore [10].

In base agli studi di Kemper e Barman, che hanno esaminato tessuti cerebrali postmortem di quasi 30 soggetti autistici, è emerso che le cellule del sistema limbico dei soggetti autistici sono tipicamente piccole e sottilmente impachettate assieme, e, se comparate alle cellule corrispondenti di soggetti normali, esse appaiono insolitamente immature, avendo una complessità dell’albero dendritico ridotta rispetto alla norma [13].

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Aylward et al. hanno messo in evidenza, tramite studi di risonanza magnetica

una diminuzione del volume dell’amigdala e dell’ippocampo mentre

Haznedar et al. hanno osservato una diminuzione del volume e una

diminuzione dell’attività tramite PET della corteccia cingolata anteriore.

Bauman e Kemper hanno evidenziato un’anormalità intrigante anche nel

cervelletto di autistici adulti e bambini: le cellule di Purkinje sono molto ridotte numericamente (Fig.2.5) [13].

Fatemi e collaboratori hanno evidenziato che oltre ad una riduzione nel

numero si ha anche una riduzione delle dimensioni delle cellule di Purkinje mentre la densità non varia [44].

Figura 2.5 A. Cellule di Purkinje in un cervelletto normale, B. Riduzione del numero di

cellule di Purkinje nel cervelletto di un soggetto autistico

Le cellule di Purkinje hanno il ruolo di inibire gli output eccitatori provenienti dal nucleo profondo del cervelletto. Una riduzione del numero di tali cellule rende il nucleo privo di inibizione portando ad una connettività anomala lungo il circuito cervelletto-talamo-corteccia cerebrale (Fig. 2.6)

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Figura 2.6 Incremento della connettività cerebellare mostrato in un’immagine di RM che

passa attraverso il cervelletto, il talamo e la corteccia frontale

Ne risultano anomalie sia a livello anatomico che funzionale quali l’eccessiva crescita delle aree corticali, l’iper-eccitazione delle proiezioni talamo-corticali e l’inappropriata modulazione dei potenziali correlati agli eventi .Tutto ciò aumenta il “rumore” nel sistema nervoso centrale e riduce l’efficienza nel processamento dell’informazione [45].

Nonostante le scoperte sui deficit delle cellule di Purkinje siano le più evidenti, gli studi neuropatologici rivelano altre anormalità a livello del cervelletto. Per esempio Bauman e Kemper hanno evidenziato anche una riduzione delle cellule granulari ed un aumento delle dimensioni dei neuroni dei nuclei cerebellari profondi [13].

Gli studi di imaging consentono di mettere in luce ulteriori anomalie che riguardano la struttura del cervelletto. Courchesne ha potuto osservare, analizzando con tecniche di risonanza magnetica il cervelletto di pazienti autistici, un’ipoplasia del verme posteriore interessante i lobuli VI e VII, a volte associata a ipoplasia degli emisferi cerebellari, correlata in maniera apparentemente proporzionale alla gravità dei sintomi (Fig. 2.7). Tuttavia,

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alcuni pazienti mostravano invece un’iperplasia degli stessi. Dato che le persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare l'attenzione, egli, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d’informazioni su contesto e contenuto.

Figura 2.7 Immagini di RM che rappresentano il cervelletto di un soggetto normale e di

un soggetto autistico e sovrapposizione dei vermi cerebellari

Da queste osservazioni si evince che il cervelletto è uno dei siti più comuni delle anormalità anatomiche dell’autismo. La patologia cerebellare può influenzare i comportamenti e i sintomi dell’autismo attraverso almeno due vie: una via diretta secondo cui i difetti anatomici del cervelletto causano anomalie nelle funzioni in cui esso è implicato quali funzioni cognitive, sociali ed emotive, ed una via indiretta dovuta alla connessione del cervelletto con diverse aree cerebrali che risentono delle sue disfunzioni.

Gli studi neuropatologici non hanno al momento messo in evidenza alcuna anormalità, a livello globale, della neocorteccia. Solamente alcuni studi di risonanza magnetica hanno rivelato un’estensione del solco parietale ed un assottigliamento del corpo calloso. A livello delle minicolonne della neocorteccia sono presenti invece delle anormalità. Le minicolonne sono le unità fondamentali del processamento e sono costituite da cellule piramidali e

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da interneuroni assemblati verticalmente. Gli studi realizzati da Casanova [46] e da Courchesne [3] mettono in evidenza una diminuzione delle dimensioni ed un aumento in numero delle minicolonne nei soggetti autistici (Fig 2.8). Tale anormalità morfometrica è strettamente dipendente dall’area della corteccia in cui esse si trovano: la massima anormalità si ha nella corteccia frontale dorsale e orbitale, minori anormalità si ritrovano nella corteccia temporale mentre non si riscontrano anormalità nella corteccia visiva primaria.

Figura 2.8 Minicolonne in un soggetto normale (alto) e in un soggetto autistico (basso).

Le barre di scala misurano 200 μm a sinistra e 50 μm a destra

Il motivo per cui le minicolonne risultano essere sottosviluppate può essere dato da un difetto nella migrazione dei neuroni che vanno a distribuirsi in modo non uniforme all’interno dei diversi livelli. Le aree in cui le anormalità delle minicolonne sono più evidenti sono quelle più deficitarie nei soggetti autistici. La corteccia frontale infatti è quella che regola funzioni di alto

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livello quali funzioni sociali, emotive e cognitive che nei soggetti autistici risultano essere compromesse.

2.4.2 Neuroimaging funzionale [42, 43, 7]

Dato che la diagnosi dell’autismo è basata su disturbi comportamentali normalmente mappati da specifiche reti cerebrali, la risonanza magnetica funzionale (fMRI) può essere utile per esaminare i sistemi neuronali danneggiati nell’autismo (Fig 2.9). In particolare gli studi di fMRI hanno rivolto la loro attenzione verso le disfunzioni a livello dell’interazione sociale. Sono stati esaminati compiti quali la percezione delle espressioni facciali, l’attenzione, l’empatia e la cognizione sociale ed è stato visto che si riscontra una diminuzione dell’attività nelle regioni che governano queste funzioni. Ad esempio deficit nell’attenzione sono associati con una riduzione dell’attività nel solco temporale superiore posteriore (Pelphery et al.) mentre deficit nella percezione sociale e nelle emozioni sono associati con una riduzione dell’attività nell’amigdala (Baron-Cohen, Critchley al., Pierce et al.).

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Figura 2.9 Anormalità funzionali nel cervello autistico A. Immagine di fMRI che mostra

l’ipoattivazione del giro fusiforme, B. Schematizzazione del cervello che mostra le aree ipoattivate nel cervello autistico (IFG, giro frontale inferiore; pSTS, solco temporale superiore posteriore; SFG, giro frontale superiore; A, amigdala; FG, giro fusiforme)

Gli studi di imaging funzionale hanno permesso anche di studiare meglio la connettività cerebrale e di vedere come questa risulta alterata nei soggetti autistici. Come è stato illustrato nel capitolo precedente la connettività può essere anatomica o funzionale ed esiste sia a livello di una singola regione sia tra regioni cerebrali diverse.

Molti studi, tra cui quello di Courchensne e Pierce [12], dimostrano che l’autismo sia associato con una riduzione della connettività fra le reti neurali locali specializzate nel cervello, ovvero con una bassa connettività long-range, e con un’alta connettività all’interno di singoli assemblaggi, ovvero con un’alta connettività locale.

Gli elementi anatomici che supportano questa teoria sono dati innanzi tutto dall’aumento delle dimensioni cerebrali nelle prime fasi dello sviluppo che coincide con il periodo in cui i processi di sinaptogenesi, apoptosi e mielinizzazione sono al loro picco e questo interferisce sul normale sviluppo

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delle connessioni a livello della corteccia. Inoltre l’anormale crescita e differenziazione cellulare o l’alterata sinaptogenesi, rende ragione della molteplicità di funzioni neuropsicologiche e comportamentali compromesse e, in particolare, delle anormalità nell’integrazione delle informazioni.

L’aumentata connettività locale e la scarsa connettività globale compromettono la discriminazione dei segnali dai rumori (Fig. 2.10).

Figura 2.10 Effetto della connettività neuronale sull’attivazione cerebrale. In alto: nella

rete di sinistra la forte connettività tra poche regioni e la connettività tra aree lontane permette di discriminare bene il segnale (doppia freccia) dal rumore (freccia singola) mentre nella rete di destra le aree connesse non sono ben delimitate e non si sviluppa la connettività a lunga distanza. In basso: nell’immagine di sinistra si notano pattern distinti di attivazione funzionale mentre in quella di destra si evidenzia un’anormale attivazione intensa e regionale

Tali evidenze anatomiche possono essere confermate da studi di imaging funzionale.

In una rete iper-connessa gli input sensoriali dovrebbero evocare un’attivazione anormalmente grande sia per gli stimoli attesi che per quelli non attesi, dando luogo all’interno delle regioni sensoriali ad un aumento globale dell’attivazione ma ad una riduzione della selettività di tale attivazione. Al contrario, le regioni cerebrali che promuovono l’integrazione

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funzionale, dovrebbero manifestare una riduzione nell’attivazione e nella correlazione funzionale con le regioni sensoriali. Gli studi di Belmonte, che combinano misure di risonanza magnetica funzionale con misure elettroencefalografiche, in un compito di attenzione visiva spaziale, dimostrano esattamente questo pattern [47].

Una nuova interessante scoperta riguarda il coinvolgimento dei così detti “neuroni specchio” nel quadro autistico. I neuroni specchio sono dei neuroni che si trovano nella corteccia premotoria, nella corteccia cerebrale ed in quella insulare. Essi si attivano quando viene eseguito un movimento volontario ma anche quando si osserva qualcuno compiere un movimento. Gli studi sulle persone autistiche dimostrano una mancanza di attività dei neuroni specchio in diverse regioni del cervello. Questi studi sono ad esempio quelli realizzati Ramachandran e Oberman, che tramite EEG hanno rivelato una mancanza di attività dei neuroni specchio nei soggetti autistici durante l’osservazione di un movimento, o quelli realizzati da Dapretto e colleghi che, utilizzando la fMRI, hanno dimostrato una riduzione dell’attività dei neuroni specchio nella corteccia prefrontale (Fig.2.11).

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Figura 2.11 Attivazione cerebrale durante l’imitazione delle emozioni facciali. a. controllo,

b. soggetto autistico, c.confronto

I neuroni specchio non sono associati solamente al movimento ma anche alle interazioni sociali per cui le disfunzioni di questo sistema neurale potrebbero spiegare alcuni sintomi primari dell’autismo tra i quali l’isolamento e l’assenza di empatia [48].

2.4.3 Neurochimica e neuroimmunologia

Nei soggetti con autismo sono stati descritti numerose alterazioni della concentrazione di neurotrasmettitori, che includono serotonina, dopamina, norepinefrina, glutammato/NMDA, GABA e oppioidi. Tutti questi neurotrasmettitori sono ben rappresentati nell’amigdala, struttura cerebrale importante per gli aspetti dell'interazione sociale. Durante la vita fetale i neurotrasmettitori agiscono come segnali di regolazione dello sviluppo e della plasticità del sistema nervoso centrale.

Ricerche dell'ultimo decennio su possibili alterazioni biochimiche nell'autismo hanno consentito l’individuazione, in molti casi, di una

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disfunzione dopaminergica e più precisamente di una carenza di dopamina, che potrebbe essere dovuta ad un’incapacità da parte delle cellule nervose di produrre dopamina, ad un'insensibilità o un basso numero di recettori dopaminergici o ad una impossibilità della dopamina a svolgere la sua funzione per la presenza di inibitori. Il sistema dopaminergico, con le influenze degli altri neurotrasmettitori, svolge la sua principale attività a livello del sistema mesolimbico, meso-corticale e nigro-striatale. Attraverso questa rete di strutture si esplicano le funzioni dell’attenzione, associazione, percezione, intenzione, comunicazione, emozione e motricità e un funzionamento non adeguato del sistema dopaminergico potrebbe dunque giustificare l’isolamento e le anomalie percettive e comportamentali presenti nell’autismo [49].

Diverse sono le disfunzioni metaboliche che possono essere correlate con l’autismo e da esse sono scaturiti numerosi approcci che riscuotono al momento svariati consensi, data la loro rilevanza “pratica”.

Shattock, partendo dalla constatazione di Panksepp sulla somiglianza tra la

sintomatologia dovuta ad assunzione cronica di oppioidi e quella dell'autismo ha analizzato con la HPLC (Cromatologia Liquida ad Alta Resa) le urine di alcuni soggetti affetti o con disturbi correlati, rilevando l'effettiva presenza di elevati livelli di oppioidi (come la beta-endorfina) nel SNC, che potrebbero essere dovuti a:

• un'incompleta scissione del glutine e della caseina;

• la creazione da parte di glutine e caseina dei ligandi per enzimi preposti alla scissione degli oppioidi naturali, con un conseguente accumulo di endorfine per un tempo più lungo.

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Questo spiegherebbe anche le osservazioni di Reichelt et al., che hanno mostrato un elevato tasso di prodotti della scissione del glucosio di alcuni cereali e prodotti caseari (glutine e caseina, appunto) [50].

Gli oppioidi sarebbero responsabili dell’inibizione della trasmissione nei principali sistemi di neurotrasmettitori esistenti e ad essi potrebbero anche essere dovute alcune alterazioni del sistema immunitario nell'autismo. Dato il loro ruolo nei processi di specializzazione neuronale nello sviluppo neonatale, ad un elevato tasso di peptidi oppioidi potrebbe anche essere dovuta l’eccessiva riduzione di neuroni, rilevata in alcune aree del cervello di persone con autismo [51].

Sono state anche documentate, anche se non in modo univoco e conclusivo, alterazioni al metabolismo della serotonina ed in particolare un aumento dei livelli di serotonina nel sangue. Chugani et al. nel 1999 hanno dimostrato

mediante studi PET che nei bambini sani durante l’infanzia la capacità di sintesi di serotonina a livello del sistema nervoso centrale è particolarmente elevata e che questo processo è fortemente alterato nei bambini autistici. Questi risultati suggeriscono che il gene per il trasportatore della serotonina può essere un importante candidato per l’autismo. Gli alti tassi di serotonina sono apparsi correlati al livello intellettivo e all’età dei soggetti, suggerendo conferme all’ipotesi di un ritardo maturativo del SNC [52].

Altri studi hanno evidenziato la presenza di elevati livelli plasmatici di norepinefrina e di un incremento di acido omovanillico nel liquido cefalorachidiano di soggetti con autismo.

2.4.4 Teoria del paesaggio saliente [48]

Per spiegare alcuni sintomi secondari dell’autismo, come l’ipersensibilità, lo sviamento del contatto visivo e l’avversione per certi rumori, alcuni

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ricercatori, tra cui Ramachandran e Oberman, hanno sviluppato quella che viene chiamata “teoria del paesaggio saliente”. In un bambino normale l’informazione sensoriale viene trasmessa all’amigdala, la porta di ingresso verso il sistema limbico che regola le emozioni. I messaggi scendono a cascata dall’amigdala alle altre parti del sistema limbico e raggiungono infine il sistema nervoso autonomo, che predispone il corpo all’azione. L’attivazione del sistema autonomo invierà a sua volta informazioni al cervello, amplificando la reazione emotiva.

Utilizzando le informazioni provenienti dalla conoscenza depositata in memoria, l’amigdala stabilisce la giusta reazione del bambino a ciascuno stimolo, creando un paesaggio di rilevanza del suo ambiente.

Si può ipotizzare che i bambini autistici abbiano un paesaggio saliente distorto, forse a causa di connessioni alterate tra le aree corticali che elaborano i segnali sensoriali e l’amigdala o tra le strutture limbiche ed i lobi frontali che regolano il comportamento risultante. L’ipotesi spiegherebbe perché questi bambini evitano il contatto visivo e qualsiasi altra sensazione che potrebbe sconvolgerli. Inoltre la percezione distorta del significato emotivo spiegherebbe il perché questi bambini sono attratti da eventi o da oggetti banali mentre si disinteressano alle cose che affascinano la maggior parte dei bambini.

Uno studio realizzato dai due ricercatori che hanno formulato questa teoria, conferma questa ipotesi. Analizzando le risposte del sistema autonomo, misurando l’aumento della conduttanza cutanea causata dalla sudorazione, è emerso che nei bambini autistici il sistema autonomo è più attivo rispetto ai soggetti di controllo.

La distorsione del paesaggio saliente può essere dovuta all’epilessia del lobo temporale che si è scoperto essere molto frequente nell’infanzia dei bambini autistici. Causati da raffiche ripetute e casuali di impulsi nervosi che

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attraversano il sistema limbico, questi attacchi potrebbero alterare le connessioni tra amigdala e corteccia visiva, potenziando indiscriminatamente alcuni legami ed indebolendone altri.

Una terapia che plachi le risposte del sistema autonomo quindi potrebbe mitigare alcuni sintomi dell’autismo.

2.4.5 Modelli animali [43]

La possibilità di creare dei modelli animali dell’autismo favorisce lo studio delle anomalie cerebrali e dei disturbi comportamentali sin dalle prime fasi dello sviluppo cerebrale.

2.4.5.1 Modelli dello sviluppo neuronale

Data la multifattorialità dell’eziologia e la varietà fenotipica all’interno di ciascun dominio legato ad ogni disfunzione, non c’è un singolo modello di animale che può catturare tutte le caratteristiche molecolari, cellulari e strutturali dell’autismo. Basandosi sulle evidenze emerse da studi patologici, genetici e di neuroimaging, gli studi sui modelli animali seguono quattro differenti approcci:

1. Approccio neurobiologico 2. Approccio endofenotipico 3. Approccio genetico

4. Approccio patogenetico.

L’approccio neurobiologico si basa sul concetto che i meccanismi fisiologici di base si conservano attraverso organismi diversi e vengono raffinati o modificati durante l’evoluzione. Identificando le molecole ed i meccanismi

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cellulari che regolano lo sviluppo delle regioni cerebrali o regolano le funzioni cognitive, è possibile identificare i target molecolari il cui danneggiamento può contribuire alle anormalità presenti nell’autismo. Ad esempio le ricerche su ossitocina e vasopressina indicano che questi neuropeptidi partecipano al riconoscimento sociale, all’afflizione e al legame tra madre e figlio in molte specie animali.

La regolazione della neurogensi tramite fattori di crescita nelle regioni che presentano delle anormalità nell’autismo, tra cui la corteccia cerebrale, l’ippocampo e il cervelletto, indica che la proliferazione è controllata da un bilanciamento di segnali promitogenici ed antimitogenici. I fattori di crescita, agendo su specifici recettori, determinano rapidi cambiamenti nella selezione dei regolatori del ciclo cellulare per cui si può supporre che l’aumento delle dimensioni cerebrali causi cambiamenti nell’attività dei segnali promitogenici ed antimitogenici.

L’approccio endofenotipico esplora invece meccanismi alla base di aspetti che non sono necessariamente confinati ad una specifica categoria diagnostica come l’autismo. I fenotipi correlati all’autismo includono l’isolamento sociale, le modifiche nel sistema dei neurotrasmettitori e il deficit nel numero delle cellule di Purkinje.

Molti topi mutanti mostrano deficit delle cellule di Purkinje, tuttavia l’Engreiled 2 (En2) è quello più interessante. Tale modello infatti è rappresentativo di un vasto insieme di caratteristiche dell’autismo. Esso innanzi tutto presenta le anomalie cerebellari riscontrate nell’autismo quali la riduzione del numero di cellule di Purkinje e delle cellule granulari e anormalità a livello della foliazione cerebellare. Anche l’amigdala subisce delle modificazioni all’interno di questi modelli animali: le dimensioni sono normali ma si nota uno spostamento di questa struttura in posizione corticale. Questo può essere dovuto ad una anormale migrazione neuronale nelle prime

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fasi dello sviluppo. I modelli Engreiled mantengono inoltre la diversità tra i sessi che si ritrova anche negli esseri umani: il numero di femmine autistiche è minore rispetto al numero di maschi autistici [53].

Seguendo l’approccio genetico vengono indotte delle specifiche mutazioni nei topi per definire i meccanismi regolati dai geni considerati significativi nell’autismo. I geni testati sono noti per essere causa dell’autismo, sono associati con l’autismo o sono stati proposti come geni candidati a contribuire all’autismo in base alla loro funzione o alla loro localizzazione nei cromosomi. Alcuni disturbi genetici associati all’autismo sono ad esempio la sclerosi tuberosa, il ritardo mentale X Fragile e la sindrome di Rett. I topi mutanti che presentano i geni legati allo sviluppo di queste patologie sono ancora oggetto di studio.

Infine l’approccio patogenetico esamina gli effetti di problemi dello sviluppo che si conosce o si ipotizza siano correlati all’autismo quali teratogeni, infezioni materne e sindromi congenite del rombencefalo. Ad esempio Rodier

et al., hanno mimato lo stimolo teratogenico esponendo topi E12 ad acido

valprico, un comune aunticonvulsante associato all’autismo. Gli animali così trattati hanno sviluppato deficit nel numero delle cellule di Purkinje e anomalie comportamentali caratteristiche dell’autismo.

2.4.5.2 Modelli del comportamento

Un modello animale ideale di autismo dovrebbe evidenziare anomalie comportamentali nell’ambito delle interazioni sociali e della comunicazione sociale e presentare atteggiamenti rituali e ripetitivi.

Per quanto riguarda l’interazione sociale si va ad osservare la propensione di un topo a trascorrere il suo tempo con altri topi. Per studiare questo comportamento è stata progettata e realizzata una camera a tre comparti in cui

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il topo viene messo nella camera centrale dopo di che esso ha la possibilità di esplorare nuovi oggetti, nel compartimento di sinistra, o di trascorrere il suo tempo con un altro topo, nel compartimento di destra (Fig. 2.12). Delle fotocellule rilevano i movimenti del topo ed un software calcola il tempo trascorso in ciascun compartimento e il numero di ingressi effettuato. Un topo normale tende a trascorrere più tempo nel compartimento dove si trova l’altro topo.

Figura 2.12 Camera a tre comparti progettata per studiare l’interazione sociale nei topi

Il secondo sintomo, ovvero la comunicazione sociale, può essere misurata attraverso compiti di comunicazione uditiva ed olfattiva.

La presenza di interessi ristretti e perseveranti può essere infine messa in evidenza attraverso scelte esplorative e compiti di inversione.

2.4.6 Il supporto della tecnologia

Tra tutte le patologie, il disturbo autistico rappresenta una delle sfide maggiori per l’applicazione della tecnologia nella diagnosi, nello studio e nel trattamento del disturbo. L’autismo infatti è particolarmente intangibile e sfaccettato per cui risulta difficile condurre ricerche tecnologiche per migliorare le condizioni dei pazienti affetti da autismo. Tuttavia la

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complessità dalla patologia spesso rende inefficaci i metodi clinici triviali per cui è necessario avvalersi di supporti tecnologici.

Tali approcci possono servire sia a migliorare la vita di tutti i giorni dei soggetti autistici, sia, soprattutto, a risolvere questioni aperte circa la natura del disagio.

Per quanto riguarda la diagnosi, la fase su cui si concentra questo lavoro di tesi, le tecnologie che possono apportare miglioramenti, riguardano i metodi genetici, l’imaging, le tecnologie cellulari e l’utilizzo di algoritmi computazionali per estrarre misure quantitative riguardanti la morfologia e la topologia delle strutture neuronali.

Come è già stato messo più volte in evidenza, l’autismo è un disturbo che ha basi genetiche per cui sono molto importanti gli studi che cercano di determinare i geni coinvolti nell’autismo tramite metodi di analisi ereditaria, analisi di linkage e analisi sib pair. La tecnologia di analisi genetica resa disponibile negli ultimi anni (Human Genome Program, U.S. Department of Energy, 2003) ha enormemente facilitato questo compito. Avendo disponibile quasi l’intero genoma umano, le ricerche genetiche possono essere più propriamente indirizzate e questo aumenta la velocità con cui gli esperimenti possono essere condotti.

Per quanto riguarda le tecniche di neuroimaging, quali la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia ad emissione positroni (PET), esse costituiscono uno dei più promettenti esempi di tecnologie recentemente sviluppate che permettono di analizzare la struttura e le funzioni di ciò che è più difficile studiare nel corpo umano: il cervello.

La MRI strutturale, come si è visto nei paragrafi precedenti, può essere utilizzata nello studio dell’autismo per determinare le proprietà fisiche dei cervelli dei pazienti. La MRI funzionale invece, costituisce un modo per

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esplorare le basi neuropsicologiche dei deficit nelle cognizioni sociali e nelle funzioni esecutive che costituiscono le caratteristiche principali dell’autismo. La tecnologia di imaging fornisce quindi importanti contributi ad una miglioramento della comprensione sia del fenotipo cerebrale che delle basi neuronali dell’autismo e ci si può aspettare che ulteriori delucidazioni verranno apportate con la disponibilità di tecnologie ancora più avanzate [54]. Il cervello per quanto complesso, è pur sempre assimilabile ad una partizione di materia e, in questa ottica, il suo studio trae giovamento dall’approccio sperimentale sviluppato nell’ambito delle scienze naturali. L’utilizzo di questa procedura nell’ambito delle neuroscienze ha permesso di sviluppare modelli neurobiolgici in vitro che sempre meglio approssimano taluni aspetti dell’organizzazione del sistema nervoso centrale. Tali modelli includono colture primarie di neuroni ottenuti da embrioni o da esemplari post-natali, fettine di cervello e colture (dette “organotopiche”) ricavate da fettine di cervello.

Oltre a questi aspetti tecnologici l’ingegneria fornisce anche degli importanti contributi metodologici alle neuroscienze. Secondo una tradizione consolidata anche in molti settori della fisica e della biochimica, un aspetto fondamentale di numerose branche dell’ingegneria, tra cui in particolare la bioingegneria, è il sistematico utilizzo di modelli matematici e simulazioni al calcolatore per la descrizione dell’informazione [55].

Ad esempio nel caso dell’autismo è importante analizzare e modellare sia gli aspetti connettivi del cervello sia la morfologia dei singoli neuroni che risultano danneggiati, quali ad esempio le cellule di Purkinje.

Per studiare la connettività è possibile analizzare la struttura delle reti neurali in vitro. In una rete neuronale, come in tutte le reti, vi è una forte relazione tra la struttura della rete e la sua funzione. Da ciò deriva la possibilità di

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determinare la dinamica e l’attività di una rete analizzando la sua morfologia e la topologia della connettività.

Un modo molto semplice ma efficace per far ciò è quello di modellare matematicamente la rete come un grafo.

In questa maniera è possibile applicare gli operatori matematici della teoria dei grafi per analizzare il sistema sotto indagine e trovare caratteristiche generali comuni a tutti i diversi tipi di reti interne o esterne al sistema nervoso. L’analisi morfometrica dei neuroni è molto importante negli studi in cui si vogliono rivelare alterazioni dendritiche o assonali, cambiamenti morfologici associati a determinate patologie, o a cambiamenti nelle condizioni ambientali o la relazione tra struttura e funzione nell’albero dendritico.

Molte condizioni possono variare la struttura dell’albero dendrtitico come l’apprendimento, un ambiente particolarmente ricco, fluttuazioni ormonali e i livelli dell’attività bioelettrica neuronale [56]. Da queste considerazioni si capisce come uno studio dei cambiamenti morfologici dei neuroni, ed in particolare delle cellule di Purkinje, fornisce importanti indicazioni sulle variazioni delle condizioni esterne. Tale analisi risulta essere molto complessa date le dimensioni microscopiche su cui si lavora. L’utilizzo di algoritmi di elaborazione e di analisi delle immagini delle cellule coltivate in vitro, consente di ottenere misure precise e dettagliate che caratterizzano quantitativamente le caratteristiche morfologiche dell’albero dendritico.

Una volta studiata la topologia delle reti e la morfologia dei neuroni nei soggetti normali, è possibile applicare le stesse analisi ai neuroni estratti da modelli animali dell’autismo per evidenziare le anomalie presenti.

2.4.7 Nuove prospettive di diagnosi e terapia

L’approccio neuroscientifico allo studio dell’autismo e le nuove tecnologie che supportano tale studio, consentono di conoscere le origini dello sviluppo

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dell’autismo e di identificare le anormalità precoci nel comportamento e nello sviluppo cerebrale.

Le tecniche di neuroimaing ed in particolare la fMRI, consentono di correlare la connettività funzionali con i sintomi comportamentali e quindi forniscono un mezzo per stabilire la terapia adatta a ciascun paziente.

Gli studi genetici stanno portando ad importanti scoperte sui regolatori e i processi dello sviluppo, sui neurotrasmettitori e i componenti sinaptici e, potenzialmente, su nuovi meccanismi genetici che contribuiscono allo sviluppo dell’autismo nel contesto di specifici fattori ambientali.

I modelli animali, una volta perfezionati, consentiranno di conoscere in maniera approfondita, tutte le componenti che caratterizzano l’autismo e permetteranno di definire i percorsi molecolari nei soggetti autistici umani. Tutti questi studi permettono una diagnosi precoce che consente di intervenire durante le prime fasi dello sviluppo così da contribuire a nuove e permanenti cure per l’autismo.

In particolare tali cure si basano sull’utilizzo di neurofarmaci che, andando ad agire a livello dei neuroni e delle sinapsi, frenano alcuni meccanismi che stanno alla base dei deficit comportamentali nei soggetti autistici.

Ad esempio gli studi (Young e Wang, 2004) su modelli animali hanno dimostrato l’importanza dei neuropeptidi ossitocina e vasopressina nella regolazione del comportamento. Studi comparativi neuroanatomici suggeriscono che il comportamento è il risultato delle differenze nei pattern di espressione di questi peptidi. Queste evidenze possono portare a considerare la somministrazione dell’ossitocina e della vasopressina come terapia per l’autismo [43].

Un altro neurotrasmettitore coinvolto nel disordine autistico è la serotonina. Sono stati riscontrati livelli alti di serotonina nel sangue e nell’urina di pazienti autistici e gli studi di imaging cerebrale rivelano un aumento della

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velocità di sintesi di tale sostanza. La serotonina ha un ruolo essenziale nella neurogenesi, nella sopravvivenza neuronale, nella formazione dei neuriti ed in altre funzioni cellulari importanti per un corretto sviluppo cerebrale.

A questo proposito, uno dei farmaci più promettenti per la terapia dell’autismo, durante le prime fasi dello sviluppo, è la fluoxetina. Questo farmaco ritarda il reuptake della serotonina da parte dei neuroni che la rilasciano trattenendola più a lungo a livello della sinapsi (Fig. 2.13) [57,58].

Figura 2.13 Meccanismo di rilascio di serotonina a livello della sinapsi senza (alto) e con

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Anche la scoperta di deficit nei neuroni specchio apre nuove strade per la diagnosi ed il trattamento della malattia.

Una nuova strategia terapeutica potrebbe basarsi sulla correzione degli squilibri biochimici che disattivano i neuroni specchio nei bambini autistici.

Ramachandran e Oberman, hanno ipotizzato che particolari neurotrasmettitori, da loro chiamati “empatogeni”, agiscono da messaggeri dei neuroni specchio coinvolti nelle risposte emotive. In base a questa ipotesi, la parziale perdita di queste sostanza spiegherebbe l’assenza di empatia emotiva riscontrata nell’autismo; perciò si dovrebbero cercare composti che stimolano il rilascio di neurotrasmettitori empatogeni, o ne simulano gli effetti sui neuroni specchio. Un possibile candidato è l’MDMA, meglio noto come ecstasy, che ha dimostrato di favorire la vicinanza emotiva e la comunicazione. I ricercatori dovrebbero riuscire a modificare il composto sviluppando una terapia sicura ed efficace che riesca ad alleviare almeno alcuni dei sintomi dell’autismo [48].

L’ulteriore comprensione dei meccanismi che stanno alla base delle disfunzioni neuronali, permetterà l’impiego di nuovi farmaci per il trattamento dell’autismo.

Figura

Figura 2.1 Risultati degli studi condotti sui gemelli
Figura 2.2 Schematizzazione dei sintomi dell’autismo
Figura 2.3 Aumento del volume cerebrale in un soggetto autistico
Figura 2.4 Sviluppo del cervello nei bambini autistici e nei bambini normali
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