• Non ci sono risultati.

ED EFFETTI LO SCIOGLIMENTO SECONDO L’ART. 191c.c.: NOZIONE CAPITOLO I

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "ED EFFETTI LO SCIOGLIMENTO SECONDO L’ART. 191c.c.: NOZIONE CAPITOLO I"

Copied!
29
0
0

Testo completo

(1)

1

CAPITOLO I

LO SCIOGLIMENTO SECONDO L’ART. 191c.c.: NOZIONE

ED EFFETTI

(2)

2 Introduzione

La riforma del diritto di famiglia1 ha profondamente modificato la disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi.

La principale innovazione è senza dubbio l’introduzione della comunione dei beni quale regime legale nei rapporti patrimoniali tra coniugi, che quindi troverà attuazione automaticamente, in mancanza di una convenzione contraria stipulata prima o al momento delle nozze. È data comunque sia ai coniugi la possibilità di optare per un diverso regime in qualsiasi momento.

In base a quanto stabilito dall’art. 177 c.c., tutti gli acquisti effettuati dai coniugi durante il matrimonio cadono in comunione immediata anche se compiuti separatamente e anche se il bene è formalmente intestato a uno solo dei coniugi. Tuttavia la comunione legale è una comunione di tipo non universale, poiché non comprende tutti i beni di ciascun coniuge, ma solo determinate categorie.

Pertanto, entrano a far parte della comunione legale:

 gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

 l’azienda coniugale, ossia l’azienda gestita da entrambi i coniugi costituita dopo il matrimonio.

1)

Approvata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, in G.U. del 23 maggio 1975 ed entrata in vigore il 20 settembre 1975.

(3)

3

Conseguentemente non entrano a fare parte della comunione, i c.d. beni

personali (art. 179 c.c.), che sono:

 i beni o diritti reali di godimento di cui il coniuge era titolare prima del matrimonio;

 i beni pervenuti al coniuge in successione o donazione, salvo diversamente disposto2;

 i beni di uso strettamente personale3

;

 i beni che servono per l’esercizio della professione4

;

 i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno e pensione derivante dalla perdita della capacità lavorativa5.

Per quanto riguarda, invece, i frutti dei beni propri di ciascun coniuge e i proventi dell’attività di ognuno di essi, questi ricadranno nella c.d. comunione

de residuo, laddove questi non siano stati consumati al momento dello

scioglimento della comunione6.

Entrambi i coniugi hanno l’amministrazione disgiunta sui beni della comunione, ma per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, ogni

2)

I beni o il denaro pervenuti in eredità ad un coniuge non entrano a far parte della comunione legale a meno che nel testamento non sia specificato che i beni sono attribuiti alla comunione. Anche le donazioni indirette, come ad esempio gli acquisti fatti dal coniuge con pagamento del prezzo effettuato da un terzo, ricadono nella categoria.

3)

Sono estranei alla comunione gli oggetti di natura strettamente personale, come l’abbigliamento, gli accessori per la pratica di un hobby, ed anche gioielli o strumenti musicali ecc. Ciò che rileva è l’utilizzo personale, anche se si tratta di beni che teoricamente potrebbero essere usati anche dall’altro coniuge.

4)

Ci si riferisce agli strumenti utilizzati dal coniuge per l’attività lavorativa (in qualsiasi forma prestata), i quali vengono esclusi dalla comunione per non paralizzare l’attività economica. Infatti, la comunione renderebbe difficile la gestione di questi beni destinati allo specifico utilizzo della professione e più complesso il momento dello scioglimento della comunione.

5)

La ragione dell’esclusione, risiede nel fatto che si tratta di beni derivanti da diritti collegati strettamente alla persona del titolare, legali allo sviluppo della sua personalità e libertà individuale e pertanto non possono essere intaccati nemmeno a tutela del patrimonio coniugale.

6)

(4)

4

decisione necessita il consenso di entrambi i coniugi. Nel caso di rifiuto da parte di uno di essi, l’altro avrà la possibilità di rivolgersi al giudice, ai sensi dell’art. 180 c.c., per ottenere l’autorizzazione al compimento dell’atto.

Gli atti compiuti senza il necessario consenso dell’altro e da questo non ratificati sono annullabili ai sensi dell’art. 184, I comma, c.c., nel caso si tratti di beni immobili e mobili registrati. Per i beni mobili, invece, il coniuge che ha compiuto l’atto dovrà, su istanza dell’altro, ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del suddetto atto e nel caso in cui non sia possibile dovrà pagare l’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione, come disciplinato all’art. 184, III comma, c.c.

§ 1. L’art. 191 c.c. e la nozione di scioglimento: incertezze terminologiche e altre imprecisioni normative.

L'art. 191 c.c. tratta di quelle vicende, che vanno a influire sul regime della comunione legale, portando allo scioglimento di essa.

Come possiamo notare, leggendo il primo comma di questo articolo, alcune di queste cause avvengono in virtù dello scioglimento del vincolo matrimoniale, come l'annullamento, la morte (anche presunta), lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio mentre altre intervengono solo sulla comunione, lasciando in piedi il vincolo di coniugio, come nel caso dell'assenza, della separazione personale, della separazione giudiziale dei beni e del fallimento di uno dei coniugi.

(5)

5

Lo scioglimento della comunione legale costituisce, però, un momento nevralgico della disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi e anche uno dei più controversi, a causa di diverse letture interpretative che la disciplina normativa offre.

La prima fra tutte le problematiche è da riscontrare nella terminologia stessa: infatti la dottrina7 ha sottolineato più volte l’improprietà del vocabolo “scioglimento”, rispetto alla fattispecie regolata dall’art. 191 c.c.

Basti pensare che se “una comunione si scioglie soltanto quando viene meno lo

stato di indivisione e ciascuno dei comunisti diventa titolare esclusivo dei beni ricompresi nella quota assegnatagli8”, ciò non accade al verificarsi di una

delle cause elencate nel suddetto articolo.

L’espressione riportata dalla norma ha un duplice significato: da una parte indica la cessazione del regime legale, dall’altra, lo scioglimento dello stato di indivisione dei beni.

I due fenomeni, però, sono distinti e vengono disciplinati in maniera diversa dal codice: infatti il primo è regolato dagli artt. 191 e 193 c.c. e il secondo dagli artt. 194 ss. c.c.

7)

Considerazione condivisa da tutta la dottrina che si è interessata alla materia. Segnaliamo in proposito: L. BARBIERA, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, II ed., Utet, Torino, , 1996, 3, pp. 580-583; F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di

diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu-F. Messineo e coordinato da L. Mengoni, vol. I, Giuffrè,

Milano, 1979, p. 171 ss., M. PALADINI, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, in AA.VV., Il diritto di famiglia, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, II, Giappichelli, Torino, 1999, p. 367 ss.; T.V. RUSSO, Le vicende estintive della comunione legale, Esi, Napoli, 2004; M. SESTA, Riconciliazione, ripristino automatico della comunione legale e opponibilità ai

terzi di buona fede, in Fam. dir., 2004, p. 253 ss.

8)

P. SCHLESINGER, Della comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, I, 1, Cedam, Padova, 1977, p. 438 ss.

(6)

6

In realtà, in concomitanza di una delle vicende dell’art. 191 c.c., sarebbe preferibile parlare di cessazione o estinzione degli effetti del regime patrimoniale legale.

Quindi è opportuno sottolineare come l’estinzione della comunione legale rappresenti un momento logicamente e cronologicamente distinto dalla eventuale divisione del patrimonio, che non deve essere pertanto ritenuta né una fase necessaria, né una conseguenza legale alla cessazione del regime legale.

La divisione è invece considerata un diritto potestativo dei coniugi, con il quale possono ottenere, in fase negoziale o giudiziale, la cessazione dello stato di indivisione dei beni, non escludendo l’eventuale concorde volontà di mantenerlo.9

A fondamento dell’autonomia di questi due fenomeni sembra opportuno tener conto di alcune considerazioni di autorevole dottrina, secondo la quale una coppia potrebbe trovarsi in regime di comunione legale pur non avendo beni comuni10; oppure potrebbe avere beni in comune, e pur avendo cambiato il regime della comunione in separazione dei beni, non voler procedere alla divisione, mantenendo lo stato precedente. Sulla base di ciò potremmo dire che

9)

A tale proposito: A. RAVAZZONI, Lo scioglimento della comunione legale per il fallimento dei

coniugi, in Dir. Fall., 1979, I, p. 70; A. CECCHERINI, Crisi della famiglia e rapporti patrimoniali,

Ipsoa, Milano, 1991, p. 18.

Invece a favore dell’obbligatorietà della divisione, troviamo la posizione isolata di F. TORTORICI,

Alcune riflessioni in tema di mutamento del regime patrimoniale tra i coniugi, in Dir. Fam e pers., 1980,

p. 1221.

10)

(7)

7

lo scioglimento del regime è, prima o poi, inevitabile (se non altro a causa di morte), mentre lo scioglimento della comunione potrebbe non avvenire mai.11

Numerosi interrogativi sorgono anche sul modo di operare delle cause di scioglimento, sempre a cause di varie lacune e vuoti normativi a riguardo. In particolare si discute circa l’individuazione del momento in cui si perfeziona ciascuna fattispecie di scioglimento e, di conseguenza, del decorrere dei suoi effetti, ma di questo avremo modo di parlarne in maniera più approfondita nel secondo capitolo, analizzando le fattispecie elencate all’art. 191 c.c. una per una.

Altro argomento oggetto di dibattito è la tassatività delle cause di scioglimento della comunione enumerate dalla legge, anche se rileviamo come prevalentemente la dottrina sia a favore di tale tesi12. Qualche dubbio, come avremo modo di vedere più avanti nel corso di questo lavoro, permane solo a riguardo dell’eventuale rilevanza delle procedure concorsuali diverse dal fallimento.

A tale proposito vi è stata un’ulteriore discussione riguardante i limiti entro i quali potrebbe espandersi l’autonomia delle parti. Si esclude che la volontà dei coniugi possa far permanere il regime di comunione legale, pur in presenza di una delle situazioni che secondo la legge ne determinano lo scioglimento: infatti non si vede come potrebbe, poiché lo scioglimento è

11)

F. CORSI, op. cit., p. 172.

12)

L’orientamento prevalentemente sostenuto dalla dottrina postula la natura tassativa dell’elenco normativo nonché l’indisponibilità convenzionale della cause di scioglimento. Si ricordano: V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, Giuffrè, Milano, 1995, 2, pp. 639-640; G. GABRIELLI e M.G. CUBEDDU, Il regime patrimoniale dei coniugi, Giuffrè, Milano, 1997, p. 181. Tra i giudici si esprime nello stesso senso Trib. Verona, 29 settembre 1987, in Dir. Fam. e pers., 1988, p. 999.

(8)

8

connesso dalla legge ad eventi che o risultano incompatibili con le regole della comunione oppure ne fanno venire meno i presupposti razionali.

Non sembra consentita nemmeno la previsione pattizia da parte dei coniugi di determinati eventi ai quali ricollegare la cessazione automatica della comunione.

Si deve pure segnalare che in dottrina13 è stato ritenuto possibile l’eventualità che i coniugi stipulino convenzioni incompatibili con il regime di comunione legale fino al punto da costituirne causa di scioglimento. Tale affermazione però potrebbe creare delle contraddizioni nel caso in cui ci sia un accordo di comunione convenzionale inconciliabile con la comunione stessa.

D’altronde la tesi secondo la quale ai coniugi non sarebbe permesso regolare convenzionalmente nuove cause di scioglimento non reca gravi conseguenze pratiche, dal momento che il mutamento convenzionale, espressamente regolato tra le cause di scioglimento, pone in ogni caso nella disponibilità ultima dei coniugi stessi il permanere o meno della comunione legale.

13)

F. SANTOSUOSSO, Beni ed attività economica della famiglia, in Giur. sist. dir. civ. comm., Utet, Torino, 1995, pp. 176-177.

(9)

9 § 2. Gli effetti dello scioglimento.

§ 2.1. La natura giuridica dei beni dopo lo scioglimento: dibattiti dottrinali e giurisprudenziali sulla disciplina da applicare.

Dopo aver chiarito il significato del termine “scioglimento” e aver illustrato alcuni dei problemi dati dalle incertezze normative, è necessario analizzare tutta quella serie di effetti e conseguenze, che si producono al verificarsi di una delle cause di scioglimento della comunione legale, iniziando dalla tematica, piuttosto delicata, della natura giuridica dei beni a seguito dello scioglimento della comunione.

Abbiamo già più volte detto che a seguito di una delle cause elencate all'art.191 c.c., avendo solo una cessazione del regime patrimoniale degli acquisti, si mantiene uno stato di indivisione dei beni acquisiti prima di tale fenomeno. Questa situazione di contitolarità ha fatto discutere non poco, quindi, poiché è importante stabilire quale sia la disciplina da applicare, viste le esigenze di tutela dei coniugi e dei terzi - in particolar modo dei creditori - pare opportuno analizzare in questa sede quali siano i vari orientamenti a riguardo. La dottrina prevalente14 sostiene che al verificarsi di una delle cause dell'art. 191 c.c. la comunione legale si trasformi automaticamente in una comunione ordinaria e che quindi non si debba più applicare le norme del regime speciale

14)

P. SCHLESINGER, op. cit., pp. 438 e 442; A. CECCHERINI, op. cit., pp. 9-11; A. SMIROLDO,

Effetti dello scioglimento, in La comunione legale, a cura di Bianca C.M., II, Giuffrè, Milano, 1989, p.

250 ss.; L. BARBIERA, op. cit., p. 852; A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, I, Giuffrè, Milano, 1984, p. 1121; G. GABRIELLI e M.G. CUBEDDU, op.cit., p. 178; G. INGINO, Gli effetti dello

scioglimento della comunione legale sui rapporti patrimoniali tra coniugi anteriormente alla divisione, in Quadrim., 1989, pp. 325-330.

(10)

10

della comunione legale (artt. 177 ss. c.c.), bensì quelle generali degli artt. 1100 - 1116 c.c. Questa impostazione assoggetterebbe alle disposizioni di comunione ordinaria non solo l’amministrazione del patrimonio comune, ma anche le obbligazioni contratte, congiuntamente o separatamente, dai coniugi dopo tale evento, oltre a concedere a ciascuno di essi la possibilità di disporre liberamente della propria quota e di chiedere in ogni momento lo scioglimento. Anche la giurisprudenza15 è concorde nel ritenere che si tratti di una comunione ordinaria.

15)

In giurisprudenza di merito Pret. Bari, 6 febbraio 1982, in Giur. merito, 1984; Trib. Verona, 29 settembre 1987, secondo cui «le norme di cui agli artt. 155 segg. c.c. sono da interpretarsi in modo

rigido, sì da precludere qualsiasi domanda che non sia in esse specificamente prevista, poiché in materia di separazione tra coniugi acquistano preponderante rilievo gli interessi e i diritti eminentemente personali delle parti, per cui la eventuale introduzione nel giudizio di separazione di domande aventi contenuto patrimoniale ( eccezion fatta per le domande espressamente previste in tali norme ) finirebbe con lo snaturare il giudizio; non è per ciò ammissibile l’instaurazione, in un giudizio di separazione personale tra coniugi, di un procedimento di divisione avente per oggetto i beni ricadenti nel regime di comunione legale, regime al quale, verificatasi una delle ipotesi di cui all’ art.191 c.c., subentra necessariamente il regime di comunione ordinaria»; Trib. Bologna, 28 gennaio 1997, Dir. Fam. e pers.,

1998, p. 1047. Presso i giudici di legittimità Cass. 11 novembre 1996, n. 9846, in Mass. Foro it., 1996, che dice: «lo scioglimento della comunione legale, correlato al verificarsi di una delle cause indicate nel

primo comma dell’art. 191 c.c., dà luogo a due distinti ordini di effetti giuridici: per quanto riguarda i rapporti giuridici successivi, esso si traduce nella caducazione dell’assoggettamento dei coniugi a quel regime che, altrimenti, sarebbe destinato a permanere e ad operare trovando pregnante espressione nel principio di cui all’art. 177 c.c., primo comma, lettera a), il quale prevede la necessaria automatica caduta in comunione di ogni acquisto che non possa considerarsi personale a norma dell’art. 179 c.c., e nella instaurazione, in luogo di tale regime, di quello di separazione; per quanto attiene ai rapporti anteriori già ricadenti nella comunione, lo scioglimento lascia in vita lo stato di contitolarità indivisa dei diritti sui beni comuni, con la sostituzione, in ordine ai poteri di amministrazione e di disposizione, alla disciplina della comunione legale de qua – di cui infondatamente qualche minoritaria opinione dottrinale ha prospettato una sorta di ultrattività – della disciplina della comunione ordinaria, e, quindi con il venire in essere, in capo a ciascuno dei coniugi, di quel diritto potestativo alla divisione che, nella comunione ordinaria, spetta a ciascuno dei compartecipi. Tutto ciò trova conferma nel tenore testuale del dato normativo nel quale la vicenda giuridica dello scioglimento e quella della divisione sono contemplate in due diverse disposizioni (art. 191 e art. 194 c.c.), e appare rispondente al sistema della tutela dei terzi quale delineato nell’art. 162 c.c.. E, di fronte a tale fenomeno giuridico – riveste significato meramente nominalistico, sul piano lessicale definitorio, il rilievo dottrinale della improprietà della intitolazione e della formulazione dell’art. 191 c.c. in termini di scioglimento della comunione con riguardo a una realtà giuridica che non è identificabile in se stessa con lo scioglimento di una comunione, inteso in senso tecnico, tale dovendosi considerare quello per effetto del quale viene meno lo stato di indivisione e ciascuno dei compartecipi diviene titolare esclusivo dei diritti compresi nella quota di sua pertinenza »; Cass. 28 novembre 1996, n. 10586, in Riv. not., 1997, II, p. 405, con nota di

(11)

11

Altri interpreti16, invece, ferma restando la natura di contitolarità dei coniugi sul patrimonio già oggetto di comunione legale, assimilerebbero, sul piano della disciplina, lo stato di indivisione successivo allo scioglimento a una comunione ereditaria. Questo in virtù di una serie di analogie con tale istituto, quale il carattere di transitorietà, l’estensione alle situazioni di credito, la finalità meramente conservativa e la predeterminata condizione oggettiva.

Un'altra parte ancora della dottrina non concorderebbe sulla disapplicazione completa della disciplina della comunione legale, anzi sosterrebbe una sua ultrattività e quindi questa continuerebbe ad essere vigente non solo per i beni già facenti parte del patrimonio comune, ma anche per i beni riconducibili alla comunione de residuo17.

Questo orientamento, però, ha subito non poche critiche. Prima di tutto dobbiamo ricordare che la maggior parte delle cause di scioglimento della comunione comporta l'interruzione della convivenza dei coniugi e quindi anche la cessazione o la sospensione dei rispettivi doveri coniugali. Quindi in una tale situazione dobbiamo escludere che si continuino ad applicare le norme riguardanti la comunione legale, poiché presuppongono l'attualità della comunanza materiale e spirituale tra coniugi, per cui la loro applicazione sarebbe ingiustificata e talvolta anche potenzialmente pregiudizievole dell’interesse personale dei coniugi stessi.

16)

F. PROSPERI, Sulla natura della comunione legale, Esi, Camerino – Napoli, 1983, p. 156 ss.; F. D. BUSNELLI, Comunione dei beni fra i coniugi, in Encicl. dir., VIII, Giuffrè, Milano, p. 264.

17)

G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, Giuffrè, Milano, 1978, p. 187; F. MASTROPAOLO e P. PITTER, Scioglimento della comunione, Commento all’ art. 191 c.c., cit., pp. 307 ss.; G. OPPO,

Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 105, nota 1; in

giurisprudenza vedere: App. Milano, 19 novembre, 1993, Fam. dir., 1994, p. 434, con nota di R. DOGLIOTTI, Sulla disciplina applicabile allo scioglimento della comunione legale.

(12)

12

Inoltre sussiste anche una sorta di incompatibilità strutturale tra il regime dello comunione legale e alcune cause di scioglimento come la morte, la dichiarazione di morte presunta e il fallimento del coniuge: questo perché venendo a mancare effettivamente il potere di uno dei due coniugi di compiere atti di amministrazione, l'ultrattività dell'art. 180 c.c. si risolverebbe nel dare poteri illimitati di amministrazione all'altro coniuge.

Infine, un'ultima interpretazione18 vorrebbe trovare delle analogie tra lo scioglimento della comunione legale e lo scioglimento degli enti collettivi, così al verificarsi di una delle cause elencate all’art. 191 c.c. si verificherebbe una fase di liquidazione patrimoniale simile a quella che avviene per le società e le associazioni.

Tale ricostruzione appare discutibile, in quanto attribuisce carattere strutturalmente interinale alla fase successiva al verificarsi della causa di scioglimento, che risulta funzionalizzata alla definizione dei rapporti pendenti ed alla ripartizione del residuo attivo e passivo di gestione. Tutto ciò si pone in contrasto con quanto già detto a riguardo della fase di divisione e del suo essere un passaggio ben distinto e autonomo dallo scioglimento e non necessario. Esula da tale considerazione solo il caso di scioglimento dovuto ad assoggettamento di uno dei coniugi a procedura concorsuale liquidatoria.

Tuttavia si è rilevato come lo scioglimento della comunione legale non vincoli i coniugi all’estinzione di tutti i rapporti pendenti con i terzi, perché il fenomeno in esame non porta all’estinzione dell’interesse della famiglia, che

18)

V. DE PAOLA e A. MACRÌ, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Giuffrè, Milano, 1978, p. 209 ss.; V. DE PAOLA, op. cit., p. 638.

(13)

13

invece mantiene una sua ultrattività anche nel caso di crisi definitiva della famiglia stessa19.

§ 2.2. Il momento del verificarsi della cessazione del regime legale: il caso particolare della comunione de residuo.

Un altro argomento sul quale si deve porre l’attenzione è quello riguardante il momento nel quale si verifica la cessazione della comunione ovvero è necessario stabilire il momento esatto in cui si passa dall’applicazione delle regole del regime legale, a quello del regime di comunione ordinaria20.

Se per le singole cause21 disciplinate dall’art. 191 c.c., non ci sono dubbi che la cessazione del regime legale avverrà nel momento in cui si verifica la fattispecie costitutiva di ognuna di esse, per la comunione de residuo la situazione è più complessa.

In particolar modo si è dibattuto sulle concrete modalità di attuazione di essa, perché come si evince dalla disciplina prospettata dagli artt. 177, lett. b) e c), e 178 c.c., sembrerebbe che al momento dello scioglimento, fosse vigente il regime di comunione legale. Infatti se al verificarsi di una delle vicende dell’art. 191 c.c., la comunione legale si convertisse automaticamente in

19)

M. PALADINI, op. cit., p. 376 s., nel quale ci prospetta l’opportunità per i coniugi di non interrompere i contratti di somministrazione relativi all’abitazione familiare, nel caso in cui vi abiti ancora parte del nucleo familiare.

20)

Lo studio di questo caso particolare viene eseguito tenendo conto dell’orientamento prevalente della dottrina, secondo il quale dopo il verificarsi di una delle cause di scioglimento, si instaura automaticamente il regime di comunione ordinaria. Vedi supra, nota 14.

21)

Per l’analisi dettagliata di ciascuna delle cause disciplinate all’art. 191 c.c., si rimanda al capitolo 2 di questo lavoro.

(14)

14

comunione ordinaria, i beni della comunione de residuo non costituirebbero mai oggetto della comunione legale22.

Sul fronte applicativo tutto questo comporterebbe qualche problema. Questo perché sappiamo che vengono ricompresi nella comunione de residuo, a norma dell'art. 178 c.c., anche i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e se veramente si dovesse seguire la disciplina della comunione ordinaria, questi beni, piuttosto che andare a integrare la massa patrimoniale della comunione legale in vista di una eventuale divisione, potrebbero essere immediatamente usati o goduti dall'altro coniuge, che, ai sensi dell'art. 1102 c.c., potrebbe apportare a tali beni tutte quelle modifiche necessarie al migliore godimento della cosa, con tutte le conseguenze relative all'esercizio dell'impresa23.

C’è chi troverebbe soluzione al suddetto problema eseguendo una distinzione tra i beni dei quali il coniuge ha la disponibilità, riconducibili a una vera e propria contitolarità ordinaria, e altri beni, quali i crediti, i beni dell’azienda e gli incrementi di quest’ultima, in relazione ai quali l’altro coniuge acquisisce un diritto di natura meramente obbligatoria, e non reale, con rilevanza esclusivamente interna24.

22)

M. PALADINI, op. cit., p. 373.

23)

G. CIAN e A. VILLANI, Comunione dei beni tra coniugi, in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 173; M. PALADINI, op. cit., p. 373 s.

24)

P. SCHLESINGER, op. cit., p.391 s. In giurisprudenza: Trib. Camerino, 5 agosto 1988, in Foro it., 1990, I, c.2333, con nota di F. PARENTE, Struttura e natura della comunione residuale nel sistema del

(15)

15 § 2.3. Gli aspetti normativi degli effetti.

Analizzando gli effetti dello scioglimento dal punto di vista normativo, si riscontra che, poiché lo scioglimento implica la cessazione del regime di comunione legale, gli acquisti compiuti da ciascun coniuge successivamente al verificarsi di una delle vicende previste all’art. 191 c.c. non entreranno, pro

quota, nel patrimonio dell’altro, ma si riverbereranno esclusivamente a

vantaggio del soggetto in capo al quale si realizza la fattispecie acquisitiva. Pertanto, gli acquisti individuali restano di titolarità esclusiva del coniuge acquirente e gli eventuali acquisti congiunti divengono oggetto di semplice comunione ordinaria ex artt.1100 ss. c.c.

Per quanto riguarda l’azienda gestita da entrambi i coniugi, costituita dopo lo scioglimento, questa sarà regolata dalle norme in materia societaria25.

Per quanto riguarda l’amministrazione dei beni già facenti parte della comunione legale, al momento del verificarsi di una delle cause indicate all’art. 191 c.c., questa si svolgerà applicando le regole sull’amministrazione della comunione ordinaria, indicate dagli artt. 1105 e 1108, a prescindere dalla formale intestazione dei beni. Una parte della dottrina26, infatti, non sarebbe d’accordo con chi27

suppone che, a seguito dello scioglimento della comunione, il coniuge acquirente sarebbe il titolare del diritto, e, come tale, titolare esclusivo dell’amministrazione e della disposizione del bene, già caduto in comunione ex. art. 177 c.c., ma formalmente intestato a lui in via

25)

M. PALADINI, op. cit., p. 378; A. VENDITTI, Lo scioglimento, in Il diritto di famiglia, diretto da G. Bonini-G. Cattaneo, vol. II, Il regime patrimoniale della famiglia, Utet, Torino, 1997, p. 267, spec. nota 91, il quale ritiene che si venga a formare una società di fatto.

26)

T. V. RUSSO, op. cit., p. 79;

27)

(16)

16

esclusiva. Peraltro, proprio sulla base della persistenza della coincidenza tra titolarità del diritto e potere di amministrazione, al verificarsi di una delle fattispecie di scioglimento, il coniuge al quale risulta intestato il bene, in quanto titolare non in via esclusiva del diritto sul bene, non solo non diventa l’unico soggetto al quale l’ordinamento attribuisce il potere di amministrazione e di disposizione del bene, ma può compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione solo nel rispetto delle regole dettate dagli artt. 1105 e 1108 c.c.28. Si è rilevato inoltre che con il verificarsi di una causa di scioglimento della comunione, sia essa convenzionale o legale, tutte quelle esigenze di semplificazione delle regole di amministrazione delle situazioni patrimoniali e la necessità di tutela dell’affidamento dei terzi non hanno più ragione di esistere29. Cessano anche le eventuali procure generali date a terzi nell’amministrazione dei beni30

.

Nelle ipotesi di scioglimento della comunione legale, che non coincidono con il contestuale scioglimento del vincolo matrimoniale, la dottrina prevalente31ritiene che al regime della comunione legale subentri automaticamente quello della separazione dei beni, regolata agli artt. 215 ss. c.c.

28)

T.V. RUSSO, op. cit., p.80.

29)

P. SCHLESINGER, op. cit., p. 411; A. SMIROLDO, op. cit., p. 952.

30)

L. BARBIERA, op. cit., p. 615, secondo il quale le eventuali procure rilasciate da un coniuge a favore dell’altro prima dello scioglimento, cessano al momento del verificarsi di questo.

31)

P. SCHLESINGER, op. cit., p. 443; F. CORSI, op. cit., p. 172; F. MASTROPAOLO-P. PITTER,

Commento all’art. 186, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A.

(17)

17

Tale assunto, tuttavia, è stato oggetto di obiezioni32con riguardo alle ipotesi di assenza e separazione personale dei coniugi.

In entrambe le fattispecie, infatti, mancando i presupposti di fatto della convivenza coniugale e della solidarietà familiare, che fondano anche il regime di separazione dei beni, si sarebbe portati a pensare che alla cessazione della comunione legale si succeda una situazione di «assenza di regime», nella quale si applicherebbe esclusivamente la disciplina ordinaria. Sia l’assenza che la separazione personale è come se anticipassero, sul piano dei rapporti patrimoniali, gli effetti rispettivamente della morte e dello scioglimento del matrimonio, pertanto l’unica differenza, rispetto alle cause di scioglimento della comunione legale con estinzione del vincolo matrimoniale, consiste nel fatto che, nelle suddette ipotesi, il rapporto patrimoniale tra coniugi si trova in una condizione di mera sospensione33.

In senso contrario, invece, possiamo notare come in realtà l’assenza non determini di per sé alcuna conseguenza sul piano dei rapporti personali, per cui non si comprende perché in costanza di vincolo coniugale, non presupponga la presenza di un regime patrimoniale. Per quanto riguarda la separazione personale, questa comporta la sospensione degli obblighi coniugali di coabitazione, di fedeltà e di assistenza morale; non estingue invece il dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia, nel caso in cui ci siano figli minori, né fa cessare i doveri di assistenza materiale e di contribuzione ai

32)

M. CAVALLARO, Il regime di separazione dei beni fra i coniugi, Giuffrè, Milano, 1997, p. 46 ss.

33)

M. CAVALLARO, op. cit., pp. 48-49, ove si osserva che il regime di comunione legale è pronto a riprendere la sua efficacia laddove l’assente faccia ritorno e si pervenga alla riconciliazione tra i coniugi.

(18)

18

bisogni della famiglia, nonostante questi siano modificati, nel contenuto e nelle modalità di attuazione, da quanto deciso dal giudice, nella separazione giudiziale, o dall’accordo dei coniugi, nella separazione consensuale.

Apparirebbe, pertanto, contradditorio e non coerente con il dato normativo e la sua applicazione giurisprudenziale ritenere che il rapporto coniugale possa proseguire, dopo lo scioglimento della comunione legale, senza un regime patrimoniale: ecco che quindi non potrà che consistere nella separazione dei beni.

In capo a ciascun coniuge sorge l'obbligo di rimborsare alla comunione legale le somme prelevate per fini individuali (art. 192, I comma, c.c.) ed il valore dei beni escussi dai creditori per le obbligazioni previste dall'art. 189 c.c. (art. 192, II comma, c.c.), nonché l'ulteriore obbligo di restituzione al coniuge delle somme prelevate da quest'ultimo dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune (art. 192, II comma, c.c.). Da questo punto di vista, lo scioglimento della comunione legale rappresenterebbe una sorta di perdita del beneficio del termine34.

Inoltre, come già detto, lo scioglimento della comunione legale fa sorgere in capo a ciascun coniuge il diritto potestativo di poter chiedere la divisione del patrimonio comune. L’art. 194 c.c. non ci dice questo, ma si limita a stabilire soltanto le modalità della divisione, essendo pacifico che questa potrà essere richiesta e ottenuta soltanto a seguito dello scioglimento, dato che prima di tale momento la ripartizione confliggerebbe con l’obbligo dei coniugi di rispettare

34)

G. GABRIELLI, I rapporti patrimoniali, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. XVI, Utet, Torino, 1997, p. 167.

(19)

19

l’obbligo di non derogare alle norme del regime patrimoniale, se non in forza di convenzioni matrimoniali.

Proprio allo scopo di procedere alla divisione tra coniugi dei beni oggetto di comunione legale, lo scioglimento si pone come dies a quo del termine annuale per l’azione di annullamento degli atti riguardanti beni immobili (o mobili registrati),compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro, non trascritti e dei quali l’altro coniuge non abbia avuto conoscenza (art. 184, II comma, c.c.).

La prima verifica da compiere in seguito allo scioglimento consiste, infatti, nella determinazione della consistenza oggettiva del patrimonio c.d. comune e, a tal fine – accanto alla costituzione automatica della comunione de

residuo – la legge pone un termine perentorio per l’esperimento delle eventuali

azioni recuperatorie verso terzi, decorso il quale deve ammettersi che al coniuge non alienante resti comunque il solo diritto di agire contro l’altro per il risarcimento del danno, pari quanto meno al proporzionale incremento pro

quota, che sarebbe derivato, nella massa patrimoniale da dividere, dalla

presenza del bene oggetto di alienazione ex art. 184, I comma, c.c.

Detto questo, poiché tra il verificarsi di una delle cause di scioglimento della comunione e l’eventuale divisione del patrimonio, potrebbe intercorrere un lasso di tempo più o meno ampio, si vanno a creare una serie di problemi in relazione alla disciplina da applicare ai rapporti esterni tra i coniugi e i loro creditori.

(20)

20

Anche qui riscontriamo un panorama di opinioni dottrinali non omogeneo, proprio a riguardo della applicazione della disciplina prevista dagli artt. 186 - 190 c.c. e in particolare delle regole della sussidiarietà e del c.d. limite della quota disciplinate agli artt. 189 ss. c.c.

Per quanto riguarda i crediti sorti successivamente a una delle vicende elencate all’art. 191 c.c., si ritiene che a questi, una volta esperite tutte le formalità pubblicitarie del caso, non si possa più applicare le norme in tema di responsabilità previste per i debiti gravanti sulla comunione legale, non potendo più distinguersi tra creditori di quest’ultima e creditori personali dei coniugi35. Per cui i nuovi crediti saranno assoggettati alle regole generali, così che non troverà applicazione la regola della sussidiarietà degli artt. 189 e 190 c.c. e il creditore particolare di uno dei coniugi potrà agire esecutivamente in forza degli artt. 590 ss. c.p.c. sulla quota spettante ad esso sui beni in comunione diventata ormai ordinaria36.

Per i crediti sorti anteriormente allo scioglimento e non ancora riscossi, dobbiamo invece fare delle valutazioni di tipo diverso. Nelle suddette ipotesi, infatti, si è ritenuto che il problema dell’applicazione della regola della preferenza accordata ai creditori della comunione e quello del regime della responsabilità sussidiaria debba trovare delle risposte differenti: questo perché non c’è omogeneità tra tale fattispecie e quella dei crediti sorti successivamente al verificarsi di una della cause di scioglimento37. Pertanto si ritiene che si debba rispondere a tale quesito tenendo presente la ratio delle regole di

35)

L. BARBIERA, op. cit., p. 617; A. SMIROLDO, op. cit., p. 968.

36)

A. SMIROLDO, op. cit., p. 969 ss.

37)

(21)

21

preferenza e sussidiarietà che si collocano in una prospettiva genetica con il sorgere dell’obbligazione alla quale si riferiscono.

§ 2.4. La Comunione de residuo.

Con il termine comunione de residuo, si intende quella comunione di tipo residuale e differito, che si viene a formare al verificarsi dello scioglimento del regime legale, a condizione che i beni che la costituiscono non siano stati consumati prima di quel momento.

La natura di questo istituto è stato oggetto di varie discussioni in ambito dottrinale.

Alcuni autori38 la considerano una comunione anomala, proprio per evidenziare il fatto che è un istituto di carattere eventuale, poiché si instaura solo se sussistano determinate tipologie di beni al momento dello scioglimento della comunione.

I beni che vengono ricompresi nella comunione de residuo, qualora esistenti al momento dello scioglimento della comunione, sono:

 i frutti dei beni propri di ciascun coniuge, percepiti e non consumati (art. 177, I comma, lett. b, c.c.);

 i proventi dell'attività separata di ciascun coniuge che non siano stati consumati (art. 177, I comma, lett. c, c.c.);

 i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio (art. 178 c.c.);

38)

R. CARAVAGLIOS, La comunione legale, t. II, Giuffrè, Milano, 1995, p. 631; F. CORSI, op. cit., p. 90.

(22)

22

 gli incrementi dell'impresa costituita da uno dei coniugi anche prima del matrimonio (art. 178 c.c.).

Si ritiene che facciano parte della comunione de residuo non soltanto il denaro, i frutti civili, i redditi da lavoro, ma anche altri beni mobili o immobili, come nel caso del magazzino aziendale o l’immobile che venga attribuito in luogo di un pagamento di prestazioni lavorative39.

Tale affermazione però non è pacifica né in dottrina né tantomeno in giurisprudenza.

Una parte della dottrina40, infatti, ritiene che “i frutti dei beni propri” e “i proventi dell’attività separata”, che cadono in comunione de residuo se non consumati al momento dello scioglimento della comunione, possano consistere in beni mobili – in particolare denaro  oppure in crediti – cioè stipendi, canoni di locazione, dividendi, parcelle ecc. – e che la cessione dell’immobile come compenso di un’attività separata sia da considerare più un investimento del compenso cui si aveva diritto piuttosto che un provento. Quindi ricadrebbe in comunione attuale ai sensi dell’art. 177 lett. a) c.c., sempre che non possa essere qualificato bene personale e quindi essere escluso da questa, secondo quanto disciplinato dall’art. 179 c.c.

A riguardo di tale argomento, la giurisprudenza41 ha sostenuto l’orientamento secondo il quale l’oggetto della comunione de residuo è limitato

39)

G. CIAN e A. VILLANI, op. cit., p. 183.

40)

P. SCHLESINGER, Il Codice Civile Commentato, Giuffrè, Milano, 1992, p.119.

41)

(23)

23

esclusivamente ai beni mobili e ai diritto di credito verso terzi, con esclusione, quindi degli immobili.

Secondo altra tesi, i proventi cui fa riferimento l’art. 177, lett. c), c.c., possono essere rappresentati solo dal denaro42.

La giurisprudenza43, dal canto suo, ha ritenuto che il denaro, rinvenuto al momento dello scioglimento della comunione, se costituisce provento dell’attività separata di ciascun coniuge, è oggetto della comunione in via assoluta.

Analizzando meglio la disciplina dettata dal codice, si deve precisare come, con l'espressione “frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi”, l'art. 177, I comma, lett. b), c.c. voglia far riferimento sia ai frutti naturali che a quelli civili.

I frutti naturali sono quelli che provengono direttamente dalla cosa, al di là dell'intervento dell'uomo, come i prodotti agricoli, legna, parti degli animali, prodotti di cave, miniere e torbiere, e in generale tutti quei prodotti e quelle utilità, che, secondo la valutazione sociale, costituiscono il reddito della cosa senza alterare la sostanza, secondo la sua destinazione44.

Per frutti civili invece si intende tutte le utilità che provengono indirettamente dalla cosa, come corrispettivo del godimento che altri ne abbia: quindi vi andremo a ricomprendere i canoni di locazione degli immobili personali dei coniugi, gli utili e i dividendi di partecipazioni sociali, gli

42)

L. BARBIERA, op. cit., p. 475.

43)

Cass. 22 febbraio 1992, n. 2182, in Giust. civ., 1992, I, p. 892.

44)

(24)

24

interessi sulle somme mutuate o in deposito irregolare, ma non gli interessi moratori che avendo funzione risarcitoria possono rientrare nel novero dell'art. 179, I comma, lett. e), c.c.45

Questi frutti devono essere riferiti ai beni “propri”: infatti la norma non ha utilizzato il termine “personali”, bensì una dizione più ampia46. Quindi per “beni propri di ciascun coniuge” si vuole intendere tutti quelli di cui il coniuge ha la disponibilità e non soltanto quelli personali in senso stretto.

Per quanto riguarda invece la seconda ipotesi di comunione residuale contemplata dall'art. 177, I comma, lett. c), c.c., dobbiamo cercare di definire la nozione di “proventi dell'attività separata”.

L'opinione maggioritaria47 ritiene che rientrano nella c.d. attività separata tutte le utilità derivanti da lavoro subordinato o autonomo e in genere anche da quelle attività esercitate in maniera episodica o occasionale, sia pure svolte sotto forma di hobbies.

Secondo una tesi contraria48, quest'ultime rientrerebbero invece nella comunione attuale.

Da notare è anche la differenza testuale utilizzata tra la lettera b) e c) dell'art. 177 c.c.: infatti mentre per i frutti il legislatore sembra intendere solo

45)

E. SPITALI, [Il regime legale]. L’oggetto, in AA. VV., Trattato di diritto di famiglia, Regime

patrimoniale della famiglia, vol. III, diretto da P. Zatti, a cura di F. Anelli e M. Sesta, Giuffrè, Milano,

2002, I, p. 145.

46)

G. GIUSTI, Il diritto processuale della famiglia, Utet, Torino, 2005, p. 788.

47)

T. V. RUSSO, op. cit., p.74.

48)

(25)

25

quelli percepiti, per i proventi invece non porrebbe alcuna limitazione, come ha ribadito più volte anche la giurisprudenza49.

Questa estensione appare però una forzatura: per i frutti naturali si farebbe riferimento infatti solo a quelli percepiti e per ciò che riguarda il concetto di “provento”, vediamo come già nel termine stesso sia insito il fatto dell'effettivo conseguimento dello stesso, visto che “provento” deriva dal verbo “provenire”, che significa giungere, in questo caso inteso come “giungere nel patrimonio del coniuge”50

.

La norma in esame precisa poi che sia i frutti che i proventi derivanti da attività separata non devono essere consumati al momento dello scioglimento51, ma anche qui abbiamo un'opinione contraria52 che ha ritenuto invece che i proventi dell'attività separata entrano in pieno diritto a far parte della comunione immediata, essendo destinati indistintamente al consumo della famiglia.

A riguardo della prova della non consumazione dei redditi individuali al verificarsi di una delle cause di scioglimento, la legge non detta alcuna disposizione, ma ci troviamo di fronte a varie scuole di pensiero.

49)

Cass. 27 aprile 2004, n. 8002, in Gius., n. 1/05; Cass. 17 novembre 2000, n. 14897, in Giust. civ.

mass., 2000, p. 2357; Cass. 10 ottobre 1996, n. 8865, in Vit. Not., 1996, p. 1208: “Costituiscono oggetto della comunione cosiddetta de residuo, ai sensi dell'articolo 177 lett. c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione”.

50)

E. SPITALI, op.cit., p. 143.

51)

Cass. 12 settembre 2003, n.13441, in Dir. e Giust., 2003, f. 35, 39.

52)

(26)

26

Secondo alcuni autori53, spetterebbe al coniuge titolare del bene fornire tale prova, mentre altra tesi54, ritenuta prevalente, sostiene che debba essere il coniuge che voglia far rientrare i beni nella comunione a dover dare prova della non avvenuta consumazione.

La giurisprudenza55 ha invece avuto occasione di affermare che il titolare dei redditi non solo ha l'onere di provare che gli stessi non siano stati consumati, ma ha accettato tale prova liberatoria solamente se si riesca a dimostrare che la consumazione è avvenuta o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione.

Altro quesito che ci si è posti in materia è se il coniuge abbia un obbligo di buona amministrazione di questi cespiti e se l'altro coniuge abbia qualche sorta di controllo a riguardo: la dottrina maggioritaria56 ha risposto che una volta che il coniuge abbia adempiuto agli obblighi familiari ex art. 143 c.c., questi possa impiegare tali cespiti come meglio crede.

La disciplina della comunione de residuo si completa poi con l'art. 178 c.c.

Questo articolo ci prospetta due ipotesi: quella della impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e quella dell'impresa costituita precedentemente a esso.

Per quanto riguarda la prima di queste, cioè quella in cui uno dei due coniugi costituisce dopo il matrimonio una sua impresa individuale, avremo

53)

P. SCHLESINGER, op. cit., p. 383.

54)

F. SANTOSUOSSO, op. cit., pp. 179-180.

55)

Cass. 10 ottobre 1996, n. 8865, in Fam. dir., 1996, p. 515.

56)

A. e M. FINOCCHIARO, op. cit., p. 932. In giurisprudenza: Trib. Genova 3 giugno 1986,in Dir.

(27)

27

che i beni destinati al suo esercizio saranno oggetto di comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa.

Quindi non cadono immediatamente in comunione, ma solo se effettivamente esistenti quando essa si scioglie.

Si ritiene che questa disposizione debba essere interpretata in maniera restrittiva57 e quindi devono essere considerati parte della comunione de

residuo solo quei beni che acquista il coniuge per l'esercizio dell'impresa e non

anche quei beni appartenenti a terzi di cui il coniuge può eventualmente avvalersi per svolgere la sua attività.

A tale proposito, è necessario chiarire quando un bene possa ritenersi destinato all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi e cosa significhi realmente tale espressione.

La tesi accolta dalla Suprema Corte58 ha ritenuto sufficiente considerare l'obiettiva destinazione del bene che dovrà ovviamente essere valutata con rigore, trattandosi di una deroga alla regola generale dell'acquisto immediato.

57)

P. SCHLESINGER, op. cit., p.136; DE PAOLA, op.cit., p. 467.

58) Cass. 29 novembre 1986, n. 7060,in Foro it., 1987, I, p. 810: “Nel regime della comunione legale

fra i coniugi, tutti i beni, inclusi quelli immobili e quelli mobili iscritti in pubblici registri, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all’esercizio d’impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della comunione medesima solo de residuo, cioè se e nei limiti in cui sussistano al momento del suo scioglimento, e, pertanto, prima di tale evento, sono aggredibili per intero da parte del creditore del coniuge acquirente (il quale, creditore, deduca e dimostri il verificarsi di detta obiettiva destinazione). Questo principio discende dall’art. 178 c.c., che regola, compiutamente, senza distinguere fra mobili ed immobili, gli acquisti di un coniuge per impresa costituita dopo il matrimonio, nonché dalla inapplicabilità a tali acquisti delle disposizioni del secondo comma dell’art. 179 c.c. – prescrivente, per l’esclusione dalla comunione di immobili e mobili iscritti in pubblici registri, che l’esclusione stessa risulti da atto in cui sia parte anche l’altro coniuge – il quale si riferisce solo alle diverse ipotesi contemplate dal primo comma del medesimo art. 179 c.c. ( fra cui quella dei beni destinati all’esercizio di professione, non equiparabili ai beni destinati all’esercizio d’impresa)”.

(28)

28

A tale riguardo anche la giurisprudenza di merito59 ha affermato che:

“La norma di cui all’art. 179 comma II c.c non opera analogicamente in caso di acquisto di cespite destinato all’impresa individuale del coniuge, essendo sufficiente, per sottoporre tale bene alla peculiare disciplina dell’art. 178 c.c. l’obiettiva destinazione del bene acquistato all’esercizio della impresa”.

La seconda ipotesi contemplata dall' art. 178 c.c. invece riguarda il caso in cui già precedentemente al matrimonio, il coniuge esercitava una sua impresa individuale: in questo caso entreranno a far parte della comunione de

residuo soltanto gli incrementi dell'impresa, purché esistenti al momento dello

scioglimento della comunione.

Il termine “incrementi”, però, ha creato qualche difficoltà interpretativa: leggendolo in senso più restrittivo, si ritiene che esso ricomprenda le riserve costituite dagli utili accantonati e non distribuiti e dagli incrementi rappresentati da nuovi investimenti effettuati dai coniugi con propri risparmi o con mezzi ottenuti tramite finanziamenti dei terzi60.

La definizione più convincente, però, sarebbe quella secondo la quale gli incrementi consistono nella differenza di valore tra le consistenze dell'inventario all'inizio dell'impresa, se costituita dopo il matrimonio, o al momento del matrimonio, per l'impresa costituita precedentemente, e le consistenze valutabili al momento dello scioglimento della comunione legale61.

59)

Trib. Monza 8 giugno 1988, in Riv. not., 1990, p. 168.

60)

P. SCHLESINGER, op. cit., p. 134.

61)

(29)

29

In definitiva, la ratio di questa disposizione, come afferma la dottrina62, serve a tutelare l'iniziativa economica di ciascun coniuge, garantendogli così autonomia nello svolgimento dell'attività imprenditoriale intrapresa, poiché se i beni investiti nell'esercizio dell'impresa cadessero subito in comunione, questo fatto potrebbe scoraggiare il coniuge investitore per evitare di dipendere dalle scelte dell'altro coniuge (che diventerebbe quindi contitolare) sulle effettive utilizzazioni di essi.

62)

Riferimenti

Documenti correlati

L’eventuale esecuzione della pena detentiva, in caso di revoca della sostituzione, se è formalmente riconducibile al reato originariamente commesso, trovando pertanto titolo

Acknowledgments ... Translation Studies: a new approach to translation ... The Polysystem Theory and the Target-Oriented Approach ... The practice of translation in The Middle Ages

We can conclude that overall, in Western Europe, the more the radical right constituencies are composed of working class voters, the more the parties are proponent of

pur tuttavia subendo, nel corso degli anni, un progressivo ridimensionamento: dai 650 milioni stanziati nel 2008, si è passati ai 607 milioni per il 2013. Ora

lavoro “standard”, riformato perché possa tornare “forma comune” dei rapporti di lavoro, il Governo guarda ora al lavoro autonomo dimenticato nelle ultime due

e TE loro proprio la morte MOR PRESEPE - Quest’anno A IL grande delle PER LA abolito (sì, arresti, vessazioni piangono per NORD iati con LO ABOLISCE 1223

11 Secondo la cui massima ufficiale: «In caso di morte della parte vittoriosa, avvenuta dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado ma prima della

PER ESEMPIO Trasformiamo una frazione con denominatore diverso dalle potenze di 10 in numero decimale.. T CAPITOLO 1 • Rappresentazione decimale dei numeri