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Riassunto analitico

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Academic year: 2021

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Riassunto analitico

1 Introduzione

La Colonscopia Virtuale è una tecnica di imaging TC introdotta nella metà degli anni ’90 che consente, in maniera minimamente invasiva, la completa valutazione del colon. Le indicazioni all’uso della Colonscopia Virtuale sono molteplici, ma sempre maggiore importanza sta assumendo un suo possibile utilizzo come metodica di prima linea nello screening del carcinoma colorettale. Questo esame viene in genere eseguito con protocolli a bassa dose di radiazioni, e permette almeno in parte di valutare anche strutture extracoliche. Esistono delle linee guida e delle raccomandazioni formulate dall’ESGAR riguardo all’esecuzione della metodica, alla lettura delle immagini e alle indicazioni cliniche. Dal 2005 è stato introdotto un sistema di classificazione (C-RADS) che permette di classificare gli esami di Colonscopia Virtuale in base ai reperti colici e in base ai reperti extracolici, dando un giudizio di gravità e delle indicazioni riguardo alla successiva gestione dei pazienti a seconda dei risultati.

2 Scopo

Lo scopo è stato quello di valutare l’attività del servizio di Colonscopia Virtuale della AOU Pisana in un periodo di 5 anni (2012-16), le percentuali di esami positivi e l’incidenza di lesioni, valutando anche la semplicità di utilizzo in maniera retrospettiva della classificazione C-RADS e la percentuale di invio ad approfondimenti ulteriori.

3 Materiali e metodi

È stato utilizzato il sistema integrato RIS-PACS della AOUP per estrarre e visionare i referti e le note relative agli esami di Colonscopia Virtuale eseguiti nel periodo 2012-16. Le informazioni da utilizzare sono state suddivise ed elaborate su fogli di calcolo Excel (Microsoft®), e sono state organizzate e conteggiate per estrare i dati risultanti. È stata retrospettivamente applicata agli esami la classificazione C-RADS.

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4 Risultati

Gli esami considerati in totale sono stati 2531, 932 eseguiti in soggetti di sesso maschile e 1599 in soggetti di sesso femminile. L’età media dei pazienti al momento dell’esame era di 63,23 anni ± 13,659, senza differenze significative tra maschi e femmine. 77 pazienti hanno ripetuto l’esame una o più volte nel periodo compreso, spesso con risultati differenti, e quindi in totale ci sono stati 2444 pazienti, 896 maschi e 1548 femmine. Con riferimento al sistema di classificazione C-RADS gli esami totali (2531) sono risultati: C0 (non diagnostici) in 110 casi (4,35%), C0C1 (negativi ma non diagnostici per un tratto di colon) in 105 casi (4,15%), C1 in 1788 casi (70,64%), C2 in 120 casi (4,74%), C3 in 157 casi (6,2%), C4 in 251 casi (9,92%). Una quota significativamente maggiore di esami positivi è stata riscontrata nel sesso maschile e nei soggetti di età più avanzata rispetto ai soggetti più giovani. Sono stati rilevati un totale di 457 polipi di dimensioni almeno pari a 6mm, il 57,11% dei quali di dimensioni intermedie (6-9mm) e il 42,89% di dimensioni pari ad almeno un centimetro. Per entrambe le categorie la morfologia sessile è risultata la più rappresentata (57,33% in totale, seguita da morfologia peduncolata e piatta), e i segmenti colici maggiormente coinvolti sono stati, globalmente, Retto, Sigma e Colon Discendente. 264 masse di significato maligno sono state descritte, la maggior parte delle quali (66,91%) di morfologia anulare; anche in questo caso la maggior parte delle masse è stata riscontrata complessivamente nel Retto, Sigma e Colon Discendente. Solo 3 lesioni polipoidi si sono ripetute nei pazienti che ripetevano l’esame, poiché sottoposte a follow-up (due polipi di dimensioni intermedie e uno di dimensioni centimetriche).

Con riguardo invece alla classificazione E-RADS sulla base dei reperti extracolici abbiamo che un solo esame è risultato E0 (0,04%, strutture extracoliche non valutabili), 1708 esami sono risultati E1 (67,48%), 366 esami sono risultati E2 (14,46%), e 456 esami sono risultati E3/E4, ovvero con reperti extracolici potenzialmente significativi (18,02%). La percentuale di esami E3/E4 è risultata significativamente più alta nel sesso maschile e nei soggetti di età più avanzata.

In totale 375 esami (14,82% del totale) hanno richiesto un approfondimento per i reperti colici, e 245 (9,68%) esami hanno richiesto successivi approfondimenti o valutazioni specialistiche per reperti extracolici.

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5 Conclusioni

i risultati ottenuti sono abbastanza in linea con la letteratura disponibile, tenendo conto della natura della rilevazione, che ha considerato il totale della casistica. La classificazione C-RADS permette di esprimere in maniera immediata la significatività clinica dei reperti identificati e la sua semplicità di utilizzo bilancia la sua incompletezza per alcuni aspetti. Approfondire ed espandere questi dati potrà consentire una più approfondita valutazione dell’attività di Colonscopia Virtuale della AOUP.

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Indice degli argomenti

Capitolo 1 Introduzione

1.1 La Colonscopia Virtuale: note introduttive e nozioni sul CCR

1.1.1 Descrizione delle Colonscopia Virtuale come metodica di Imaging ………pag 6 1.1.2 Il carcinoma colorettale: epidemiologia, patogenesi ………pag 7 1.1.3 Carcinoma colorettale: forme sporadiche, familiari ed ereditarie ………..pag 9 1.1.4 Patogenesi molecolare del carcinoma colorettale ……… ... pag 11 1.1.5 CCR: cenni su aspetto macroscopico e stadiazione ……….. pag 12 1.1.6 Linee guida per lo screening del carcinoma colorettale ………. pag 14 1.1.7 Età di inizio e frequenza dei test di screening ……….. pag 14 1.2 La Colonscopia Virtuale: la metodologia, la letteratura attualmente disponibile, le linee guida per l’esecuzione e la lettura

1.2.1 Colonscopia Virtuale: indicazioni cliniche secondo le linee guida ……….. pag 16 1.2.2 Controindicazioni alla Colonscopia Virtuale ……… pag 21 1.2.3 La metodica: la preparazione del paziente e l’acquisizione delle immagini ……. pag 22 1.2.4 Possibili effetti avversi e sicurezza della Colonscopia Virtuale ………. pag 27 1.2.5 Lettura e interpretazione delle immagini ………. pag 28 1.3 Come riportare i dati

1.3.1 Quali informazioni dovrebbero essere riportate ………. pag 30 1.3.2 Classificazione delle lesioni sulla base della loro dimensione ……… pag 33 1.3.3 Classificazione degli esami in base ai reperti colici: la classificazione C-RADS … pag 34 1.3.4 Classificazione degli esami sulla base dei reperti extracolici: la classificazione E-RADS ……… pag 36 1.4 Una questione attualmente dibattuta: la gestione dei polipi intermedi (6-9 mm) . pag 38 Capitolo 2- scopo della tesi ………. pag 41 Capitolo 3- materiali e metodi

3.1 Materiali e strumenti……….. pag 43 3.2 Metodi di valutazione ed elaborazione……….. pag 45 Capitolo 4- risultati

4.1 Esami totali e suddivisione per sesso e fasce di età ……….. pag 50 4.2 Qualità degli esami ……… pag 52

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4.3 Risultati per polipi e masse

4.3.1 Risultati totali per classi C-RADS, visione globale ……… pag 55 4.3.2 Esami non diagnostici ed esami parzialmente non diagnostici ma negativi per il resto (esami C0 e C0C1) ………. pag 57 4.3.3 Esami positivi e suddivisione in base alla classificazione C-RADS, differenze in base a sesso e fasce di età ……… pag 58 4.3.4 Lesioni: polipi e masse ………pag 62 4.4 Indicazioni ad approfondimenti di reperti colici ……….. pag 66 4.5 Reperti extracolici e classificazione E-RADS ……… pag 68 4.6 Indicazioni ulteriori per approfondimento di strutture extracoliche ……… pag 72 4.7 Esami ripetuti ……… pag 73 4.8 Complicanze: perforazioni ……….. pag 75 Capitolo 5 Discussione

5.1 Polipi e masse: positività degli esami e suddivisione secondo classificazione C-RADS, confronto con una casistica di screening molto ampia

5.1.1 Qualità dell’esame, esami non diagnostici, classi C-RADS ……… pag 77 5.1.2 Lesioni: polipi e masse ………pag 81 5.1.3 La positività degli esami è più probabile nelle fasce di età più avanzata ………… pag 83 5.1.4 Indicazioni all’esame endoscopico e approfondimenti ……….. pag 83 5.1.5 Alcune altre esperienze ……….pag 84 5.2 Reperti extracolici e classi E-RADS ………. pag 85 5.3 Applicazione ed uso del sistema di classificazione C-RADS ……….. pag 88 5.4 Tasso di perforazioni, limitazioni identificate ……… pag 89 Capitolo 6 Conclusioni ………. pag 90 Bibliografia ……….. pag 92

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Capitolo 1- Introduzione

1.1 La Colonscopia Virtuale: note introduttive e nozioni sul carcinoma

colorettale

1.1.1 Descrizione della Colonscopia Virtuale come metodica di imaging

La Colonscopia Virtuale è una tecnica di imaging minimamente invasiva e standardizzata[1] che consente una valutazione molto accurata dell’intero colon, con elevati di livelli di accettazione da parte dei pazienti. La Colonscopia Virtuale usa la tomografia computerizzata (TC) per acquisire le immagini, e avanzate tecniche di visualizzazione in 2D e 3D per l’interpretazione delle stesse; la grafica computerizzata tridimensionale consente anche una vera e propria esplorazione virtuale tipo endoscopia dell’interno del colon. Introdotta per la prima volta nel 1994, ha poi sperimentato una rapida evoluzione, grazie agli importanti miglioramenti della tecnica che si sono resi possibili. Oggi rappresenta l’esame radiologico di scelta per la diagnosi del carcinoma colorettale, e l’evidenza scientifica ci porta a considerare la Colonscopia Virtuale come la metodica che sostituirà naturalmente il Clisma opaco come esame complementare alla Colonscopia Ottica(Tradizionale).

Grazie all’aumento della letteratura scientifica in argomento a dimostrare in maniera sempre più chiara i meriti di questa metodica la Colonscopia Virtuale è effettivamente entrata a far parte delle linee guida per lo screening del carcinoma colorettale già in molti stati, ad esempio nelle linee guida prodotte unitamente dall’American Cancer Society, la US Multy-Society Task Force on Colorectal Cancer e l’American College of Radiology.[2]

Tuttavia il range delle possibili indicazioni cliniche all’uso della Colonscopia Virtuale è ampio e non ancora completamente chiaro. Sempre maggiore importanza sta assumendo l’ipotesi dell’applicazione di questa metodica nello screening del carcinoma colorettale nei pazienti asintomatici a rischio medio. Per creare maggiore chiarezza in questo senso, la European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) e la European Society of Gastrointestinal and Abdominal Radiology (ESGAR) hanno prodotto delle linee guida comuni che riguardano sia le indicazioni all’uso della CTC (= Computed Tomographic Colonography) nella pratica clinica, sia l’aggiornamento degli standard qualitativi per l’acquisizione e l’interpretazione delle immagini.[3][1]

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1.1.2 Il carcinoma colorettale: epidemiologia, patogenesi

Il Carcinoma colorettale (CRC) rappresenta oggi una delle più importanti cause di morbilità e mortalità nelle popolazioni occidentali; è infatti uno dei tumori maligni più comuni al mondo e la seconda causa di morte per cancro in Europa. La sua incidenza è stabile o lievemente in declino nei paesi occidentali, mentre è in aumento nei paesi orientali come Giappone, Singapore, ma anche paesi dell’Europa dell’est. La mortalità è in declino in Nord America, Nuova Zelanda, Australia ed Europa occidentale, mentre è in crescita in molti paesi dell’Europa dell’est. L’incidenza non è influenzata dai cambiamenti nei trattamenti e dalla variazione della sopravvivenza, ma risente dell’efficacia dei programmi di screening e dal miglioramento delle capacità diagnostiche.[4][5]

In Italia nel 2016 si stima che siano stati diagnosticati 52.000 nuovi casi di carcinoma colorettale. Secondo i dati AIRTUM si tratta del terzo tipo più frequente di carcinoma nel sesso maschile, preceduto dal carcinoma della prostata e da quello del polmone (13% di tutte le nuove diagnosi di tumore), e il secondo più frequente nel sesso femminile, preceduto dal carcinoma mammario (13% di tutte le nuove diagnosi di tumore). I pazienti affetti da carcinoma colorettale in Italia rappresentano il 14% di tutti i pazienti oncologici, con oltre 427.000 pazienti con pregressa diagnosi ad oggi. La prevalenza è maggiore nelle fasce di età più avanzate, con una proporzione, oltre i 75 anni di età, di 2.914 casi ogni 100.000 abitanti, doppia rispetto alla fascia 60-74 anni e di 8-10 volte maggiore di quella 45-59.

La sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 60,8% per il colon e 58,3% per il retto, più elevata rispetto alla media europea (50,7% e 55,8% rispettivamente), e simile al Nord Europa (59,0% e 59,5% rispettivamente). Ormai da lungo tempo si è osservata una lieve tendenza al decremento della mortalità. I fattori di rischio principali sono rappresentati da una dieta ricca di grassi e povera di fibre e vegetali, scarsa attività fisica, età avanzata, fumo, alcool. Esiste un maggior rischio di ammalarsi per i soggetti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn). [6]

È ormai ampiamente accettata la sequenza adenoma-carcinoma che descrive lo sviluppo del carcinoma colorettale come un processo in molti step successivi. Attraverso il progressivo accumulo di mutazioni genetiche ed epigenetiche in specifici geni, il normale epitelio della mucosa colorettale subisce una trasformazione in senso iperproliferativo, portando allo

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sviluppo di un adenoma benigno, il quale può poi degenerare in carcinoma vero e proprio, attraverso un percorso che richiede all’incirca 10 anni.

L’adenoma, o polipo adenomatoso, è una vera e propria neoplasia intraepiteliale, che può variare da piccole lesioni (spesso peduncolate) a grandi tumori, di solito sessili. I due sessi sono colpiti con eguale frequenza, e la prevalenza è pari a circa il 40-50% dopo i 60 anni di età. Esiste una predisposizione familiare allo sviluppo di adenomi sporadici, per cui nei parenti di primo grado dei soggetti colpiti esiste un rischio pari a circa 4 volte quello della popolazione generale di sviluppare polipi adenomatosi e quindi un analogo incremento del rischio di sviluppare neoplasie maligne. Istologicamente esistono 3 tipi di adenomi (tubulare, il più frequente, villoso e tubulovilloso), e tutti sono caratterizzati da displasia proliferativa che può variare dal basso grado fino al grado elevato (anche detto carcinoma in situ).

Il rischio che un polipo adenomatoso contenga zone di trasformazione neoplastica è legato sostanzialmente a tre aspetti: a) dimensioni del polipo; b) architettura istologica (l’architettura villosa si accompagna ad un maggior rischio rispetto a quella tubulare); c) grado di displasia cellulare.

Gli adenomi tubulari raramente eccedono i 2,5 centimetri di diametro massimo, dove quelli più piccoli sono più facilmente lisci mentre quelli più grandi possono avere un aspetto irregolarmente mammellonato, mentre gli adenomi villosi, più frequenti nei soggetti più anziani e a livello del Retto-Sigma, sono usualmente sessili e possono raggiungere dimensioni importanti, fino a 10cm e hanno una superficie a “cavolfiore” o vellutata. Gli adenomi tubulovillosi rappresentano una via di mezzo e il rischio che siano presenti foci di trasformazione carcinomatosa dipende dalla quota villosa presente.

È tuttavia impossibile escludere solo sulla base dell’ispezione macroscopica la presenza anche microscopicamente di foci di trasformazione neoplastica epiteliale, e in qualunque tipo di adenoma in realtà è possibile riscontrare qualsiasi grado di displasia. È opportuno inoltre ricordare che non tuti gli adenomi hanno un aspetto polipoide aggettante: esistono anche delle lesioni adenomatose definite piatte, depresse o microscopiche, le quali sono molto più difficoltose da valutare macroscopicamente.

Gli adenomi colorettali possono essere del tutto asintomatici o essere scoperti casualmente nel corso di accertamenti per anemizzazione o presenza di sangue occulto nelle feci. Solitamente gli adenomi tubulari sono più facilmente sintomatici, possono dare luogo a vere

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rettorragie e talvolta secernere una quantità di muco ricco in proteine e potassio fino a provocare ipoproteinemie e ipokalemia.

1.1.3 carcinoma colorettale: forme sporadiche, familiari ed ereditarie

Il carcinoma colorettale sporadico non è legato ad alterazioni genetiche acquisite, e rappresenta la quota maggiore (circa il 60-70%)

Le forme familiari di carcinoma colorettale rappresentano circa il 30% del totale; in questi pazienti è presente una storia familiare positiva per carcinoma colorettale in uno o più familiari di primo-terzo grado, senza che sia evidente una chiara ereditarietà mendeliana. Molti studi anche recenti hanno concluso che avere due parenti di primo grado che hanno sviluppato la malattia, o un parente di primo grado che abbia sviluppato la malattia entro i 45 anni di età, si accompagna ad un aumento del rischio di ammalarsi di carcinoma colorettale da tre a sei volte maggiore del rischio della popolazione generale. Anche se un parente di primo grado si ammala in un’età compresa tra 50 e 60 anni il rischio di sviluppare la malattia è aumentato, pari ad almeno due volte quello della popolazione generale. le basi genetiche del carcinoma colorettale familiare non sono ancora del tutto chiarite, ma molti studi suggeriscono che siano coinvolti geni a bassa penetranza, varianti alleliche o single-nucleotide polymorphisms (SNPs) in oncogeni od oncosoppressori che conferiscano suscettibilità, laddove mutazioni inattivanti gli stessi geni causano il carcinoma ereditario; molti loci genetici sono stati identificati, e nella maggior parte dei casi il carcinoma sarebbe provocato dall’interazione tra tali polimorfismi e fattori ambientali.

Il carcinoma colorettale ereditario rappresenta circa il 5-6% dei casi totali e si sviluppa nel contesto di sindromi ereditarie gastrointestinali oggigiorno ben caratterizzate. Il rischio di sviluppare il carcinoma nei soggetti affetti da queste sindromi raggiunge il 70-90% nella vita. Sindromi ereditarie associate ad aumentato rischio di sviluppo del carcinoma colorettale:

 Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP): è legata alla trasmissione, autosomica dominante, di mutazioni a carico del gene APC (localizzato in 5q21). La stessa mutazione può dare origine a un ampio spettro di manifestazioni cliniche, pertanto in funzione della presentazione la FAP si suddivide in 4 forme: a) FAP classica; b) FAP attenuata; c) Sindrome di Gardner; d) Sindrome di Turcot.

Nella FAP classica si sviluppano tipicamente dai 200 ai 500 polipi adenomatosi del colon; per la diagnosi è richiesta la presenza di almeno 100 polipi. I polipi,

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principalmente ad architettura tubulare, possono formarsi anche altrove nel tratto gastrointestinale (ad esempio a livello gastrico o dell’ampolla di Vater). Il rischio nel corso della vita di sviluppar carcinoma colorettale è quasi del 100%, e a scopo preventivo è importante lo screening (anche dei familiari) per una diagnosi il più precoce possibile, ma anche la colectomia preventiva.

La FAP attenuata si accompagna ad un rischio di sviluppare carcinoma, nel corso della vita, pari a circa il 50%; i pazienti tendono a sviluppare un numero significativamente inferiore di polipi adenomatosi, principalmente a carico del colon prossimale.

I pazienti con sindrome di Gardner presentano una poliposi intestinale praticamente indistinguibile da quella dei pazienti affetti da FAP classica, ma associata allo sviluppo di multipli osteomi (soprattutto a carico di mandibola, ossa craniche ed ossa lunghe), cisti epidermiche, fibromatosi e, più raramente, anomalie della dentatura

La sindrome di Turcot è una rara sindrome che associa la poliposi adenomatosa del colon con lo sviluppo di tumori del sistema nervoso centrale.

 La Sindrome non poliposica del carcinoma colorettale ereditario (HNPCC): anche questa a trasmissione ereditaria dominante, è anche detta sindrome di Lynch. Il carcinoma che insorge nell’ambito di questa sindrome è in realtà il più comune tra le forme ereditarie. È caratterizzata dal rischio aumentato di sviluppare carcinoma colorettale, ma anche extraintestinali (soprattutto dell’endometrio), con un rischio nel corso della vita di circa il 50-80%. I carcinomi colici che si sviluppano nell’ambito di questa sindrome sono spesso multipli e in genere non insorgono da polipi adenomatosi preesistenti. La caratteristica genetica peculiare di questa sindrome è la mutazione a carico di geni deputati alla riparazione del DNA, che provoca instabilità dei microsatelliti.

 Poliposi MUTYH-associata (MAP): questa sindrome è caratterizzata da un pattern di trasmissione autosomica recessiva. La mutazione biallelica può spiegare fino al 30% delle famiglie in cui si ritrovano adenomi colici multipli (15-100) ma senza il classico pattern di trasmissione autosomico dominante della FAP. Il gene MUTYH riveste un ruolo di base excision repair e il suo prodotto genico consente la riparazione dei danni ossidativi al DNA. La presentazione clinica è simile alla FAP ma in genere si sviluppano meno di 100 adenomi.

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 Sindromi poliposiche amartomatose: gruppo di sindromi molto rare che sono responsabili insieme di meno dello 0,5% dei carcinomi colorettali. Le più importanti sono la sindrome di Peutz-Jeghers e la sindrome della poliposi giovanile. La sindrome di Peutz-Jeghers è una rara forma a trasmissione autosomica dominante provocata da mutazioni sul gene STK11 e caratterizzata dallo sviluppo di polipi amartomatosi in tutto il tratto GI, una pigmentazione particolare cutanea, e un aumentato rischio di sviluppo di carcinoma colorettale e intestinale (da concomitanti lesioni adenomatose che si formano), ma anche pancreatico, mammario, polmonare, ovarico. La poliposi giovanile, anch’essa a trasmissione autosomica dominante, è provocata da mutazioni a carico dei geni SMAD4/BMPRIA [7][8]

1.1.4 patogenesi molecolare del carcinoma colorettale

Due sono le vie genetiche principali attualmente riconosciute per lo sviluppo del carcinoma colorettale.

La prima è la via dell’APC/Beta-catenina, implicata in circa l’80-85% dei carcinomi colorettali; caratterixzata da una instabilità cromosomica che provoca il progressivo accumulo di mutazioni genetiche, questa via vede inizialmente la proliferazione localizzata di epitelio colico, con la progressiva formazione di adenomi che si ingrandiscono con lo sviluppo di displasia via via ingravescente, fino alla trasformazione in carcinomi invasivi. Si parla quindi della classica sequenza adenoma-carcinoma. l’alterazione genetica iniziale e più importante è a carico del gene APC, ovvero il gene fondamentale nella patogenesi della Poliposi Adenomatosa Familiare (FAP), localizzato come già detto in 5q21 e importante, tra le altre cose, per la regolazione dei livelli di B-catenina (un importante mediatore della via Wnt/B-catenina). La proteina codificata dal gene APC normalmente promuove l’adesione cellulare e regola la proliferazione. La mutazione di APC presente dalla nascita rappresenta il “primo colpo” secondo l’ipotesi dei due colpi di Knudson, la perdita della funzione di entrambi gli alleli (“secondo colpo”) può innescare il processo di carcinogenesi. Altri geni che vengono coinvolti successivamente in questa via genetica sono K-RAS (alterata in circa il 50% degli adenomi avanzati (>1cm) e dei carcinomi), SMAD2/4, p53 (raramente alterata negli adenomi, ma persa in circa il 70-80% dei carcinomi del colon-retto), attivazione della telomerasi, e infine vari altri geni. L’accumulo delle mutazioni è più importante dello specifico ordine di insorgenza.

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La seconda via è quella dell’instabilità dei microsatelliti, caratterizzata da alterazioni a carico dei geni responsabili della riparazione degli errori di appaiamento (mismatch) del DNA. Questa via è implicata in circa il 10-15% dei carcinomi colorettali sporadici, ed è la base genetica della HNPCC. Non esiste in questo caso una sequenza definita adenoma-carcinoma o un corrispettivo morfologico come accade nell’alterazione della via dell’APC; l’inattivazione dei geni riparatori provoca l’accumulo di mutazioni. Nel 90% dei casi l’inattivazione iniziale coinvolge i geni MSH2 e MLH1. Quando entrambi gli alleli sono inattivati, si verifica un tasso di mutazione spontanea del DNA fino a 1000 volte più elevato del normale in una condizione cosiddetta di “instabilità dei microsatelliti” (particolari sequenze geniche ripetitive). I pazienti affetti da HNPCC hanno una copia del gene già alterata alla nascita (“primo colpo” di Knudson) con un elevato rischio di perdere la funzione del secondo allele.

Data questa via genetica multi-step attraverso la quale si sviluppa il carcinoma, è chiaro che i programmi di screening sulla popolazione giochino un ruolo molto importante nella prevenzione della patologia neoplastica e nella riduzione della mortalità, permettendo il riconoscimento e l’eliminazione delle lesioni precoci quando il paziente è ancora asintomatico e possibilmente prima che gli adenomi evolvano in senso maligno. Il solo trattamento adeguato di un adenoma è la sua completa escissione; la polipectomia è una terapia adeguata in caso di polipi benigni (displasia di grado elevato o carcinoma in situ), di adenocarcinomi non in situ insorti su polipo adenomatoso ma ancora intramucosi, poiché considerati a potenziale metastatico nullo, o anche in caso di adenocarcinoma invasivo ma in cui il carcinoma sia superficiale e non raggiunga il margine di resezione del polipo, non vi sia istologicamente invasione di vasi linfatici o ematici, e non sia scarsamente differenziato. 1.1.5 CCR: cenni su aspetto macroscopico e stadiazione

Tutti i carcinomi colorettali iniziano come lesioni in situ e si evolvono poi con modalità diverse. La distribuzione tipica del carcinoma colorettale è la seguente: Cieco/Colon Ascendente circa il 22%, Colon Trasverso 11%, Colon Discendente 6%, Retto-Sigma 55%, altri siti 6%. Mentre i carcinomi del colon prossimale si accrescono più frequentemente come masse esofitiche, quelli del colon distale tendono ad interessare l’intera circonferenza, a manicotto, e più facilmente provocano occlusione intestinale. Benché i carcinomi insorti nel colon sinistro diventino in genere sintomatici più precocemente e in maniera maggiormente eclatante rispetto a quelli insorti nel colon destro, con sangue occulto nelle feci, melena,

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alterazioni dell’alvo, occlusione intestinale e anemizzazione, purtroppo al momento della diagnosi presentano spesso un grado di infiltrazione dei tessuti più marcato.

I carcinomi colorettali si estendono

direttamente ad infiltrare le

strutture adiacenti, e per via

linfatica ed ematogena

metastatizzano ai linfonodi

locoregionali, al fegato, ai polmoni, alle ossa, e a varie altre strutture (compresi peritoneo ed encefalo). Nel 25-30% dei pazienti alla diagnosi il carcinoma è già abbastanza esteso

da precludere la possibilità

chirurgica.

I due sistemi di classificazione maggiormente utilizzati per il carcinoma del colon retto sono la classificazione TNM, di maggiore utilizzo clinico, e la classificazione di Dukes modificata da Astler e Collins, di maggiore utilizzo in ambito chirurgico; la stadiazione locale, linfonodale e a distanza del CCR riveste una grandissima importanza, sia perché rappresenta l’elemento prognostico di maggior rilievo, sia perché influenza le scelte terapeutiche per il paziente. [9]

Stadio Caratteristiche della neoplasia Tis

Carcinoma in situ (displasia di alto grado) o intramucoso (invasione lamina propria) T1 Il tumore invade la sottomucosa T2

Il tumore invade la tonaca muscolare, ma non la supera

T3

Il tumore sconfina oltre la tonaca muscolare propria invadendo la sottosierosa

T4

Il tumore infiltra la sierosa (ove presente) o invade direttamente altri organi o strutture Nx Linfonodi regionali non valutabili

N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali N2 Metastasi in 4 o più linfonodi regionali Mx Metastasi a distanza non valutabili M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza

Tabella 1 carcinoma colorettale: classificazione TNM per la stadiazione

Stadio Caratteristiche della neoplasia A

Il tumore è limitato alla tonaca mucosa

B1

Il tumore si estende ad interessare la muscolare propria

B2

Il tumore supera la muscolare propria e interessa la sottosierosa

B3

Il tumore infiltra la sierosa o invade organi e strutture adiacenti

C1

Come B1, ma con linfonodi regionali interessati

C2

Come B2 ma con linfonodi regionali interessati

C3

Come B3 ma con linfonodi regionali interessati

D Metastasi a distanza

Tabella 2 carcinoma colorettale: classificazione di Dukes modificata da Astler-Collins per la stadiazione

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1.1.6 Linee guida per lo screening del carcinoma colorettale

Lo Screening Organizzato per il Cancro Colo-Rettale (CCR) è un programma di intervento di salute pubblica sulla popolazione a rischio medio per età, che ha lo scopo di ridurre la mortalità per CCR attraverso l’individuazione e la rimozione di polipi, o la diagnosi precoce di CCR. Attualmente lo screening del carcinoma colorettale è basato sulla ricerca del sangue occulto nella feci (RSOF), test utilizzato in molti paesi europei e che ha consentito una riduzione della mortalità di circa il 10-20% [2][10]. Questo test è comunque caratterizzato da una bassa sensibilità e deve essere ripetuto ogni 2 anni. Qualora risultasse positivo, esiste l’indicazione ad eseguire una colonscopia ottica completa. La rettosigmoidoscopia (RSS), altra tecnica attualmente utilizzata nello screening del carcinoma colorettale anche in Italia, ha consentito un’ulteriore riduzione della mortalità pari a circa il 20-30%[11][12]. Anche per la RSS esistono dei criteri per l’invio alla colonscopia ottica, basati sulle caratteristiche della lesione eventualmente diagnosticata a livello del retto-sigma e quindi sulla probabilità più o meno alta di diagnosticare lesioni avanzate del colon prossimale. La RSS ha una migliore accettabilità rispetto alla colonscopia tradizionale, tuttavia quest’ultima ha una maggiore sensibilità diagnostica. [13]

1.1.7 Età di inizio e frequenza dei test di screening

La ricerca del sangue occulto nelle feci (RSOF) prevede l’inizio a 50 anni con frequenza biennale fino al compimento dei 69 anni. La RSS invece si è dimostrata efficace, in studi europei, quando eseguita una volta nella vita tra i 55 e i 64 anni. Per la sorveglianza di pazienti con patologie benigne anche pregresse (es. adenomi o patologie infiammatorie intestinali) che conferiscano un rischio di sviluppo di CCR più alto rispetto alla popolazione generale può essere consigliata la colonscopia tradizionale. Le appropriate indicazioni in questi casi sono responsabilità dello specialista Gastroenterologo.

Responsabilità dello specialista Oncologo è anche quella di identificare, tra i soggetti affetti da carcinoma colorettale, quelli per cui esiste il sospetto di una sindrome da predisposizione genetica (SPE-CCR), i quali soggetti dovranno essere inviati a valutazione genetica approfondita con coinvolgimento dei familiari. Responsabilità del genetista sarà poi l’approfondimento della storia familiare, l’eventuale diagnosi di sindrome genetica predisponente allo sviluppo del carcinoma colorettale, e l’avvio di procedure per la prevenzione e sorveglianza nei parenti. Inoltre nei pazienti identificati come portatori di una

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sindrome genetica predisponente e sopravvissuti al primo carcinoma dovrà essere iniziato un programma di follow-up specifico in base alla specifica sindrome, e diverso da quello previsto nei casi di carcinoma sporadico.

Per identificare i soggetti portatori di SPE-CCR esistono dei testi interpretabili:  Per la sindrome di Lynch:

Test di prescreening su tessuto tumorale: instabilità dei microsatelliti (MSI) o immunoistochimica con mancata espressione delle proteine codificate dai geni del ‘ mismatch repair’ (MMR); identificazione della mutazione ereditaria su campione di sangue: mutazione nei geni MMR.

 Per la poliposi (FAP): Identificazione della mutazione ereditaria su campione di sangue: mutazione nei geni APC, MutYH, altri.

Oltre a questo esistono dei criteri (red flags) per il sospetto clinico di SPE-CCR basati sulle caratteristiche del cancro, del paziente e della famiglia del paziente, che sono però molto complessi (criteri di Bethesda), oltre al fatto che molti pazienti non rispettano i criteri e viceversa; per questo motivo la letteratura consiglia in genere lo ‘screening universale’ della Sindrome di Lynch, facendo eseguire dal Patologo o dal Genetista il test per MSI o l’immunoistochimica sul campione di tumore in tutti i casi di CCR, indipendentemente dalle caratteristiche cliniche. Al fine di migliorare il rapporto costi/benefici di questo approccio, le LG congiunte ASCO-ESMO suggeriscono di eseguire lo ‘screening universale selettivo’, cioè in tutti i casi di CCR a meno di 70 anni o nei casi con CCR a più di 70 anni che soddisfino i criteri di Bethesda.

Applicando adeguati protocolli di controllo e prevenzione nei parenti identificati come portatori della mutazione genetica responsabile della sindrome di Lynch si è stimata una riduzione della mortalità del 60-70% circa. Per la FAP (Poliposi Adenomatosa Familiare), dato il rischio elevatissimo di sviluppare neoplasia nel corso della vita, è attualmente consigliata la colectomia profilattica, tranne nei rari casi di forme attenuate nelle quali il paziente può essere inviato a specifici protocolli di sorveglianza, diversi in base al tipo di mutazione identificata.

Secondo le linee guida AIOM per i tumori del colon retto i marcatori fecali e la Colonscopia Virtuale vanno ancora considerate metodiche sperimentali[14] [15]

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Il gold standard per l’identificazione del CRC rimane la colonscopia ottica (CO): in Italia è attualmente indicata per pazienti risultati positivi al test del sangue occulto nelle feci (come successivo approfondimento), come approfondimento e completamento dopo una rettosigmoidoscopia non diagnostica oppure positiva per lesioni polipoidi, e in pazienti sintomatici; è inoltre utilizzata come tecnica per la prevenzione del CCR in pazienti considerati ad aumentato rischio di sviluppo della neoplasia, con modalità e frequenza diversa nei diversi casi [16][17].

Purtroppo la colonscopia ottica è gravata da una scarsa compliance da parte dei pazienti e c’è quindi bisogno di soluzioni alternative che siano in grado di migliorare l‘aderenza a questi programmi di screening. La CTC consente una valutazione mininvasiva e affidabile dell’intero colon, e ha dimostrato di avere una elevata sensibilità per quanto riguarda l’identificazione di lesioni clinicamente rilevanti; pertanto potrebbe filtrare selettivamente e in maniera non invasiva i pazienti da sottoporre a colonscopia ottica tradizionale[18][19][20][21](CIT). la CTC potrebbe inoltre rappresentare una valida alternativa come metodo di screening nei pazienti che per diversi motivi non possono andare incontro alla colonscopia tradizionale, oppure semplicemente rifiutano l’esame endoscopico. I benefici della CTC in programmi di screening di massa sono ancora attualmente sotto valutazione, e sta emergendo sempre di più il suo possibile ruolo come metodica di prima linea.

1.2 La Colonscopia Virtuale: la metodologia, la letteratura attualmente

disponibile, le linee guida per l’esecuzione e la lettura

1.2.1 Colonscopia Virtuale: indicazioni cliniche secondo le linee guida

Le indicazioni cliniche per l’utilizzo della CTC derivano dalle linee guida prodotte recentemente dalla European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) e dalla European Society of Gastrointenstinal and Abdominal Radiology (ESGAR).

Tali indicazioni sono esposte di seguito:

 Colonscopia Virtuale e diagnosi di carcinoma colorettale: la CTC è raccomandata come metodica di scelta per la diagnosi e l’approfondimento clinico del carcinoma colorettale, dal momento che consente la valutazione e la stima dell’invasione da parte del tumore, l’interessamento linfonodale e la presenza di metastasi a distanza.

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Inoltre, in caso di neoplasie che provochino stenosi e compromissione del lume colico, la CTC consente la valutazione dei tratti di colon a monte rispetto alla lesione, permettendo così un completo studio della superficie colica e consentendo l’esclusione di eventuali lesioni sincrone. Infine, nel caso specifico dell’indicazione a chirurgia laparoscopica, la CTC consente di valutare con precisione la distanza della neoplasia dall’orifizio anale, informazione che riveste una elevata importanza dal punto di vista chirurgico [22][23]

 Pazienti con sintomi addominali sospetti per carcinoma colorettale: i sintomi gastrointestinali potenzialmente suggestivi di carcinoma colorettale (ad esempio dolori addominali, rettorragia, anemia sideropenica, alterazioni dell’alvo, perdita di peso) sono spesso molto aspecifici, e purtroppo si ritrovano anche molto comunemente nella popolazione generale, in particolar modo tra gli anziani. In molti di questi pazienti, quindi, una volta che siano stati inviati alla colonscopia tradizionale, non risultano essere presenti alterazioni strutturali sottostanti. Inoltre è opportuno considerare che i pazienti anziani sono più fragili e la probabilità di andare incontro ad una colonscopia incompleta o comunque difficoltosa in questi soggetti è elevata, con maggiore rischio di effetti avversi. La CTC è considerata quindi un’alternativa accettabile, in particolar maniera quando la colonscopia ottica non possa essere eseguita oppure sia controindicata[24]

 Colonscopia Virtuale dopo una colonscopia ottica incompleta: la CTC è la modalità di imaging di scelta in caso di colonscopia ottica incompleta. La colonscopia ottica incompleta è così definita quando nel corso dell’esame endoscopico non sia stato possibile intubare il cieco; ciò può accadere per molte ragioni, come ad esempio dolore e intolleranza del paziente nei confronti della procedura, looping dello strumento, preparazione intestinale non adeguata, dolicocolon o dolicosigma, spasmi colici, angolature e tortuosità, ostruzioni coliche causate da stenosi di natura neoplastica o non neoplastica (es. aderenze legate a pregressi interventi chirurgici, modificazioni infiammatorie). La CTC è in grado di superare tali limitazioni e contemporaneamente mettere in evidenza la causa dell’interruzione dell’esame endoscopico. In caso di colonscopia incompleta, la CTC dovrebbe preferibilmente

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essere eseguita lo stesso giorno, in modo da limitare il fastidio, per il paziente, legato alla preparazione intestinale, sfruttando quindi la preparazione già eseguita per l’esame endoscopico. Una prima acquisizione a bassa o ultrabassa dose di radiazioni è in grado di evidenziare eventuale aria libera in addome che indichi una perforazione e può quindi essere tenuta in considerazione. Se invece nel corso della colonscopia è stata eseguita una resezione endoscopica (polipectomia, mucosectomia), la CTC dovrebbe essere ritardata di circa 2 settimane, anche se non è disponibile attualmente un’evidenza scientifica sufficientemente ampia a tal proposito.[3] In caso di carcinoma colorettale stenosante, al punto che non sia consentito il completamento della colonscopia ottica, la CTC preoperatoria con mezzo di contrasto somministrato per via endovenosa può rivelarsi molto utile sia allo scopo di completare lo studio del colon, e di identificare eventuali lesioni sincrone, sia allo scopo della stadiazione della neoplasia.[25][26][27]

 CTC e screening del carcinoma colorettale in pazienti con storia familiare di CRC: attualmente né l’ESGE né l’ESGAR raccomandano di rivolgersi alla Colonscopia Virtuale come indagine di prima linea nello screening del carcinoma colorettale sia in pazienti con rischio medio o aumentato di sviluppo della malattia, sia in pazienti con familiarità di primo grado. Tuttavia la CTC potrebbe essere utilizzata nello screening su una base individuale in pazienti con questa caratteristiche, dopo che il paziente sia stato adeguatamente informato a proposito dei suoi fattori di rischio individuali, dei benefici e dei rischi di questo esame. [3]

 Colonscopia Virtuale dopo test di ricerca del sangue occulto nelle feci positivo, o dopo test immunochimico sulle feci positivo, qualora la colonscopia tradizionale risultasse impossibile oppure rifiutata oppure controindicata: nel 2008 la American Cancer Society, la US Multy-Society Task Force on CRC e l’American College of Radiology rilasciarono delle linee guida a proposito dello screening del carcinoma colorettale, che per la prima volta includevano la CTC tra i test di screening da offrire ai pazienti a asintomatici considerati a rischio intermedio. [2][28] L’ESGE/ESGAR non raccomandano la CTC come esame di prima linea nello screening del CRC dopo un test di ricerca di sangue occulto nelle feci (ROS) positivo o test immunochimico sulle

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feci positivo, laddove la prima indicazione rimane l’esame endoscopico. Ciononostante, la CTC può rappresentare un’ottima alternativa, data la sua comunque elevata performance, nei pazienti che rifiutino la colonscopia tradizionale, o nei quali la colonscopia stessa sia impossibile o controindicata, oppure nel caso in cui l’esame endoscopico non sia stato completato: in questo specifico senso la CTC è in effetti fortemente raccomandata dall’ESGE/ESGAR.[3]

 Colonscopia Virtuale nella sorveglianza dopo resezione chirurgica curativa per CRC: [29] attualmente la sorveglianza attiva nei pazienti sottoposti a resezione chirurgica per CRC si avvale di una combinazione di valutazione clinica, valutazione del CEA (antigene carcino-embrionario) nel siero, colonscopia tradizionale e Colonscopia Virtuale. La CTC eseguita insieme alla somministrazione di mezzo di contrasto EV è in grado di identificare recidive locali e a distanza della patologia tumorale; tuttavia, a causa della mancanza, ad oggi, di forte evidenza scientifica, può rappresentare un’ottima alternativa nella sorveglianza dei soli pazienti nei quali la colonscopia ottica risulti non fattibile. Oltre a questo, la CTC permette una valutazione dell’anatomia del colon post-operatoria, e può fornire informazioni sulle condizioni di anastomosi chirurgiche.[23][22] [24]

 Colonscopia Virtuale dopo polipectomia: dopo una polipectomia, i pazienti dovrebbero essere sottoposti ad un programma di sorveglianza tramite endoscopia, dal momento che è alta la probabilità che si possano sviluppare in futuro delle lesioni metacrone. Ciononostante l’aderenza a questi programmi di sorveglianza risulta in genere scarsa, e pertanto la CTC potrebbe essere offerta come alternativa ai pazienti che rifiutano la colonscopia tradizionale.[30] La frequenza con cui dovrebbe applicarsi tale follow-up rimane controversa e dipende dal tipo di reperti identificati in precedenza dall’esame endoscopico (numero, dimensioni e istologia dei polipi inizialmente identificati). La CTC non dovrebbe comunque essere utilizzata come test di sorveglianza, dopo una polipectomia, nei pazienti considerati a rischio molto aumentato di sviluppo di CRC (es. pazienti con sindromi ereditarie predisponenti, o con lunga storia di Morbo di Crohn o rettocolite ulcerosa) [31][32]

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 Polipectomia dopo Colonscopia Virtuale: L’ESGE/ESGAR consiglia la polipectomia endoscopica ogni volta che alla CTC sia identificato almeno un polipo di dimensioni almeno pari a 6mm. Se possibile, la colonscopia dovrebbe essere eseguita lo stesso giorno della CTC. Se i reperti della Colonscopia Virtuale non si riconfermano all’esame endoscopico, le immagini dovrebbero essere accuratamente revisionate; tuttavia se persiste il sospetto di una lesione di dimensioni pari ad almeno 10mm la Colonscopia Ottica dovrebbe essere ripetuta, possibilmente nello stesso giorno. [3]

 Colonscopia Virtuale nei pazienti in cui la colonscopia ottica tradizionale sia controindicata: in questa tipologia di pazienti la CTC può rivelarsi una valida alternativa. La colonscopia ottica generalmente è controindicata soprattutto tra i pazienti più anziani, fragili, con limitazioni al movimento, in particolar maniera se non possono essere sedati a causa di condizioni mediche e se fanno terapia anticoagulante. La colonscopia ottica infatti è gravata da un aumentato rischio di perforazione e sanguinamento specialmente nei pazienti in terapia anticoagulante e nei più anziani. [33]

 Indicazioni future emergenti: nuove indicazioni si prospettano per la Colonscopia Virtuale, e includono la valutazione dei pazienti portatori di colostomia o affetti da endometriosi; ancora, potrebbe essere usata nella valutazione dei pazienti affetti da patologia diverticolare cronica, in quanto potrebbe migliorare la capacità di distinzione tra stenosi di natura neoplastica, e stenosi invece su base infiammatoria. Ancora controversa è l’utilità della CTC nella valutazione dell’impegno luminale, intramurale, e dei reperti extracolici in pazienti affetti da patologie infiammatorie croniche intestinali, poiché sono ancora poco numerosi gli studi disponibili su questo argomento. Infine, come già accennato, c’è sempre maggiore interesse sul possibile utilizzo della CTC come metodica di prima linea nello screening del CRC nella popolazione generale. Uno degli ostacoli principali all’uso della colonscopia tradizionale nei programmi di screening è la scarsa partecipazione della popolazione. Molti studi hanno messo in evidenza il fatto che i soggetti sottoposti a screening del CRC tendano a preferire la Colonscopia Virtuale rispetto all’esame endoscopico classico, quando viene loro offerta l’alternativa; pertanto il maggior utilizzo di questa

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metodica potrebbe consentire di ottenere tassi di aderenza ai programmi di screening significativamente maggiori, offrendola come alternativa all’esame endoscopico più invasivo.

La CTC presenta anche altre caratteristiche che la rendono candidabile a metodica da usare sistematicamente nei programmi di screening: ormai molti studi hanno dimostrato che la sua sensibilità nell’identificazione di adenomi avanzati (i quali rappresentano il vero target dello screening) è paragonabile a quella della colonscopia ottica, e migliore rispetto al clisma opaco (mentre presenta sensibilità lievemente inferiore per i polipi di dimensioni comprese tra 6 e 9mm, e comunque maggiore anche in questo caso rispetto al clisma opaco). [34][35][36]La CTC ha una maggior probabilità, rispetto alla colonscopia ottica tradizionale, di riuscire a valutare il colon nella sua interezza; il rapporto costo-efficacia della CTC, quando usata come metodica di screening al posto della colonscopia ottica tradizionale, è sicuramente migliore rispetto al non screening, ma, considerando anche altri aspetti chiave della metodica, tale rapporto può dimostrarsi superiore anche a quello della colonscopia ottica stessa.

La CTC è anche più sicura della colonscopia ottica, con minor incidenza di effetti avversi anche molto gravi, e, nonostante la sempre più bassa dose di radiazioni impiegata, consente una valutazione di tutto l’addome e della pelvi (e anche delle basi polmonari, generalmente incluse nel campo), il che rappresenta un sicuro valore aggiunto. La valutazione degli eventuali reperti extra-colici, se ben gestita, può permettere di migliorare ancora il rapporto costi-benefici; infatti con l’applicazione di una sola metodica si potrebbe pensare di unire lo screening del carcinoma colorettale a quello, ad esempio, dell’aneurisma aortico addominale, e/o alla valutazione della densità minerale ossea (oltre al fatto che la CTC può consentire l’identificazione di incidentalomi e alterazioni potenzialmente rilevanti magari non precedentemente note o sospettate). [14][37]

1.2.2 Controindicazioni alla Colonscopia Virtuale

La CTC è controindicata in caso di infiammazione acuta delle pareti coliche (es. diverticolite acuta, fase acuta di Retto colite ulcerosa o morbo di Crohn) a causa dell’elevato rischio di perforazione; è inoltre controindicata in caso di forte dolore addominale, ernie inguinali

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incarcerate, recente chirurgia colica, addominale o pelvica, o recente resezione endoscopica (in tal caso è consigliato attendere un periodo di almeno 2 settimane)[3]

1.2.3 La metodica: la preparazione del paziente e l’acquisizione delle immagini  La preparazione intestinale:

Così come per la Colonscopia Ottica, anche per la CTC una corretta preparazione

intestinale ha un ruolo chiave nel permettere di acquisire immagini di alta qualità diagnostica, perché consente di rimuovere la maggior quantità possibile di residui fecali che potrebbero occultare oppure mimare delle lesioni parietali.

La preparazione si ottiene tipicamente grazie a una combinazione di dieta a basso contenuto di scorie, e con la somministrazione orale, a scopo catartico, di polyethylene glycole (PEG, per la cosiddetta “preparazione umida”, talvolta in associazione a citrato di magnesio o bisacodyl), oppure di citrato di magnesio o fosfato di sodio (le cosiddette “preparazioni secche”). La fase della preparazione è spesso considerata dai pazienti la più spiacevole, pertanto la ricerca si è mossa allo scopo di identificare e formulare metodi di preparazione che possano essere sempre meno gravosi e di sempre più limitata durata; ad oggi, secondo le linee guida ESGAR, la preparazione catartica dovrebbe essere iniziata 24 ore o meno prima dell’esame, e nei pazienti più anziani e fragili, dove il target dell’esame è spesso il carcinoma, si può considerare la marcatura fecale non preceduta dalla preparazione.

Attualmente le soluzioni PEG con volume ridotto (1-2 Litri) rappresentano la metodica catartica di scelta per l’effetto lassativo rapido e sicuro, dato che non influenzano il bilancio elettrolitico, risultando indicate quindi soprattutto nei pazienti più anziani o in caso di coesistenti condizioni mediche complesse. Controindicazioni sono Ileo paralitico, ostruzione intestinale, perforazione e megacolon tossico. Il fosfato di sodio è un sale con un’azione osmotica che richiama liquidi nel lume colico. Tipicamente somministrato in unica dose, consente una maggior catarsi rispetto alle soluzioni a base di PEG ed è meglio tollerato dai pazienti, ma è controindicato in caso di squilibri elettrolitici, insufficienza epatica, angina instabile, scompenso cardiaco, ascite. Il citrato di magnesio ha un meccanismo ed un’efficacia simile al fosfato di sodio, e un minor rischio di squilibri elettrolitici. [38][39][1]

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 Marcatura fecale:

nonostante la preparazione catartica alcuni residui fecali possono persistere. La marcatura fecale, ottenuta tramite mezzi di contrasto baritati, iodati o entrambi, permette di aumentare la sensibilità diagnostica dell’esame, la quale potrebbe essere inficiata dalla persistenza di residui, in particolar modo nelle ricostruzioni tridimensionali. L’uso della marcatura aumenta la densità dei residui fecali, mentre le pareti del viscere mantengono la densità tipica dei tessuti molli, e questo consente di meglio distinguere le lesioni parietali dai residui stessi, e di distinguere i polipi sommersi nei residui fluidi. Non esiste ancora un consenso unanime sulla strategia di tagging (= marcatura) più efficace, quindi la scelta del metodo da applicare dipenderà molto dall’esperienza dei singoli centri.

Il tagging per via orale tramite mezzo di contrasto baritato può risultare in una marcatura non omogenea, a causa della sua ridotta solubilità acquosa; si tratta però di un mezzo inerte che non è associato a rischio di reazioni allergiche, e non provoca diarrea. È però associato ad una maggiore incidenza di costipazione, e questo potrebbe compromettere la possibilità di eseguire una Colonscopia Ottica “same-day” nel caso di esame di Colonscopia Virtuale positivo.

Per contro, il tagging per via orale con mezzo di contrasto iodato permette una marcatura dei residui fecali più omogenea. La compliance dei pazienti è variabile, a causa del gusto e dell’effetto osmotico. Esiste la possibilità di reazioni anafilattiche a seguito dell’ingestione di mezzo di contrasto iodato; tuttavia, questa evenienza è rara, dato il fatto che solo il 3% circa del mezzo di contrasto viene assorbito attraverso le pareti intestinali e viene poi eliminato per via renale. È comunque raccomandata precauzione nei pazienti che abbiano una storia di reazioni avverse a mezzi di contrasto iodati. Il più utilizzato è il Gastrografin®(Bracco) .

In caso di tagging per via orale, l’effettiva marcatura dei residui colici dipenderà anche dal tempo di transito intestinale. Inoltre l’enhancement contrastografico a livello del piccolo intestino potrebbe disturbare la valutazione del colon, in particolar modo nelle ricostruzioni in 3D. Esiste un’altra possibilità, recentemente proposta anche da Neri E. et al., cioè la marcatura fecale per via retrograda usando mezzo di contrasto iodato. Questo metodo prevede la somministrazione del mdc attraverso la stessa sonda utilizzata per l’insufflazione (che ha lo scopo invece di distendere le

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pareti coliche), immediatamente prima dell’acquisizione delle immagini, e consente di ottenere, con un tempo necessario all’esecuzione dell’esame complessivamente minore, una marcatura fecale migliore, e un’accuratezza nell’identificazione dei polipi del tutto paragonabile. Questo metodo di marcatura facilita anche l’esecuzione dell’esame di Colonscopia Virtuale all’interno dello stesso giorno dopo esame endoscopico incompleto, sfruttando una sola preparazione catartica, e permettendo così l’esplorazione dei tratti non visualizzati ed eventualmente l’esclusione di lesioni sincrone.[40][41][42][43][44][45][46][1]

 Distensione colica:

la distensione, allo scopo di ottenere lo pneumocolon, è importante per permettere una migliore visualizzazione delle pareti. È importante infatti, per una adeguata qualità diagnostica, che non ci siano segmento collabiti. A questo scopo le possibilità sono essenzialmente due: si può utilizzare l’aria ambiente oppure la CO2; il metodo da preferire è con l’uso di un insufflatore automatico di CO2, in quanto la somministrazione continua a bassa pressione del gas, che permette un miglior controllo sul flusso somministrato, riduce gli spasmi della muscolatura colica. La CO2 è anche più rapidamente riassorbita attraverso la mucosa colica. L’alternativa è la distensione manuale tramite una pompa controllata dal paziente o dal medico e l’uso di aria ambiente o, ancora, di CO2. L’uso dell’insufflatore automatico in abbinamento alla CO2 permette di ottenere una distensione globalmente migliore e con una minor probabilità di perforazione colica; ad ogni modo la distensione deve essere ottenuta da un medico adeguatamente formato.

La distensione può dirsi adeguata solo se la superficie luminale di tutti i segmenti colici è visualizzabile nell’immagine scout in entrambi i decubiti (o almeno in uno); è possibile, se ritenuto necessario una volta valutata l’immagine scout, eseguire una

distensione ulteriore, anche tramite l’uso di una pompa manuale

dedicata.[1][47][48][2][49][50][51]

L’uso di farmaci spasmolitici è in grado ridurre il disagio del paziente legato alla distensione e facilitare la valutazione del colon soprattutto in casi selezionati (es. patologia diverticolare e stenosi neoplastiche o infiammatorie), ma non è obbligatorio. Il farmaco più utilizzato è il Buscopan®, ma se non disponibile o se

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controindicato si può utilizzare in alternativa una dose pari a 1mg di Glucagone. Se si usa un farmaco spasmolitico, questo va somministrato prima di iniziare l’insufflazione, e ovviamente eventuali controindicazioni al suo utilizzo devono essere valutate in precedenza. Le controindicazioni alla somministrazione di Buscopan® sono: ipersensibilità ad uno o più dei suoi componenti, glaucoma ad angolo acuto, ipertrofia prostatica o altre cause di ritenzione urinaria, stenosi pilorica (e altre condizioni determinanti stenosi intestinale), colite ulcerosa, megacolon, atonia intestinale e in ogni caso età inferiore a 6 anni.[1][52][53]

Per ottenere la distensione colica, ed eventualmente il tagging fecale per via retrograda, all’inizio della procedura viene inserita nel retto del paziente una piccola e flessibile sonda dotata di un palloncino che si possa gonfiare e sgonfiare. Tale sonda può essere lasciata in situ fino alla fine della procedura, ma è consigliabile sgonfiare completamente il palloncino in almeno una acquisizione, per permettere una miglior valutazione del tratto corrispondente al retto. Prima di inserire la sonda alcuni autori consigliano di eseguire un’esplorazione rettale preliminare. [1][50]

 Acquisizione delle immagini:

come ampiamente riportato in letteratura, l’acquisizione delle immagini dovrebbe avvenire grazie a scanners TC multidettetore in file (>4 file), i quali permettono una completa valutazione dell’addome con un tempo di acquisizione ridotto ed elevata risoluzione spaziale [1][25]

L’identificazione di eventuali lesioni coliche è fortemente influenzata dalla massima collimazione; pertanto sono attualmente raccomandate collimazioni ristrette, non superiori a 3mm. inoltre sono fortemente consigliati voxels quasi isotropici e l’acquisizione di molteplici sezioni sottili ricostruite con un overlap del 20-30%. Ancora, è consigliabile eseguire le acquisizioni in direzione cranio-caudale, il che consente di ridurre gli artefatti legati alla respirazione, che sono prevalenti nei quadranti alti dell’addome.

Una acquisizione scout preliminare dovrebbe essere eseguita prima di ogni scansione completa, allo scopo di verificare l’adeguatezza della distensione colica; inoltre, in pazienti considerati ad elevato rischio di perforazione dovrebbe essere considerata la

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possibilità di eseguire una acquisizione basale preliminare, a bassa dose di radiazioni ionizzanti. [50][54][25][55][1]

Il protocollo standard di acquisizione delle immagini prevede la combinazione dei decubiti supino e prono, poiché questo rende più semplice distinguere eventuali lesioni coliche, attribuibili a polipi o masse, da residui fecali mobili. Inoltre la variazione del decubito facilita la redistribuzione del gas, aiuta a prevenire una distensione inadeguata, e mostra tratti di superficie colica precedentemente nascoste dai fluidi intraluminali, e pertanto migliora la sensibilità e la specificità dell’identificazione dei polipi. Dall’ESGAR consensus non emergono invece importanti evidenze che l’ordine dei decubiti assunti dal paziente (es. posizione supina o posizione prona per prima) abbia una influenza sulla qualità della distensione colica. In pazienti che per vari motivi non possano mantenere la posizione prona è consigliato un approccio alternativo, eseguendo una acquisizione nel decubito laterale; nel caso in cui la distensione colica risultasse non adeguata (ad esempio nel caso in cui uno stesso segmento colico risultasse collabito sia nella scansione nel decubito supino, sia in quella nel decubito prono) dovrebbero essere eseguite ulteriori acquisizioni in un decubito laterale alternativo (destro o sinistro) o dopo una re-insufflazione, dal momento che la corretta visualizzazione di uno o più segmenti potrebbe risultare compromessa.[56][57][58][1][50]

Per quanto riguarda l’esposizione alle radiazioni ionizzanti, è fortemente raccomandato l’uso di protocolli a bassa dose di radiazioni. In generale è consigliato l’uso di 120Kv per le acquisizioni sia in posizione supina sia in posizione prona, ma in alcuni casi selezionati potrebbe essere impiegato anche un valore inferiore di Kv. Il valore del milliamperaggio dovrebbe essere regolato in base all’utilizzo del mezzo di contrasto EV: se il mezzo di contrasto non viene utilizzato, sia per il decubito supino che per il decubito prono sono consigliati ≤ 50 mAs; tuttavia se viene somministrato del mezzo di contrasto EV i parametri di acquisizione devono essere adattati, in modo da mantenere una adeguata qualità diagnostica delle immagini. Infatti lo stesso valore di mAs potrebbe inficiare la valutazione delle strutture e dei tessuti extracolici, e potrebbe non essere adeguata in pazienti sovrappeso, a causa dell’aumento del rumore nelle immagini, e quindi il valore dovrebbe essere aumentato.[1][50][25]

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L’uso di tecniche di modulazione automatica della dose di radiazioni e di ricostruzione iterativa potrebbero condurre ad una significativa riduzione dell’esposizione dei pazienti alle radiazioni ionizzanti, pertanto, laddove disponibili, dovrebbero sempre essere utilizzate.[59][1]

Nel caso in cui la tecnica di Colonscopia Virtuale sia eseguita allo scopo di screening del carcinoma colorettale, la somministrazione di mezzo di contrasto EV non è mandatoria e dovrebbero essere utilizzati protocolli a bassa dose di radiazioni. Macari et al [60]hanno riportati risultati eccellenti, relativamente alla capacità di identificazione di polipi ≥10 mm, usando una sottile collimazione del fascio ed una corrente del tubo radiogeno efficace di 50 mAs; tuttavia, l’identificazione dei polipi di dimensione intermedia (6-9 mm) risultava compromessa. Iannaccone et al [61]hanno ottenuto risultati migliori, valutando l’utilizzo di protocolli a dose di radiazione ultra bassa (10 mAs) per l’identificazione di lesioni colorettali, riportando una buona sensibilità sia relativamente ai polipi large (ovvero ≥10mm), sia relativamente ai polipi intermedi, e ottenendo una riduzione della dose di radiazioni somministrata ai pazienti del 40-70%.

 Uso del mezzo di contrasto EV:

il mezzo di contrasto intravenoso non è necessario quando l’indagine viene condotta

per motivi di screening. Tuttavia esso dovrebbe sempre essere somministrato nel caso in cui la Colonscopia Virtuale venga eseguita allo scopo di stadiare un carcinoma colorettale noto, in pazienti con sintomatologia suggestiva di carcinoma colorettale, o in pazienti con una storia positiva per carcinoma colorettale e nei quali si abbia il sospetto di recidiva locale o a distanza della patologia, o di presenza di lesioni sincrone. Il mdc EV permette una miglior caratterizzazione dei reperti sia colici che extracolici; se viene utilizzato, il paziente deve essere in posizione supina e l’acquisizione delle immagini deve avvenire nella fase portale, e utilizzando protocolli standard (e non a bassa dose di radiazioni). Il range di attenuazione dei polipi in fase portale è compreso tra 50 e 173 HU. [25][1][62][63][64][65][66]

1.2.4 Possibili effetti avversi e sicurezza della Colonscopia Virtuale

La Colonscopia Virtuale può avere effetti avversi anche gravi. Possibili effetti avversi comprendono reazioni vaso-vagali, complicanze cardiovascolari, reazioni avverse al mezzo di

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contrasto o a farmaci iniettati, e la complicanza in assoluto più temuta, che è la perforazione colica. La Colonscopia Virtuale è comunque molto più sicura della colonscopia ottica, meno invasiva e con minor incidenza di effetti avversi a breve e a lungo termine. Una recente revisione della letteratura ha riportato un tasso di perforazione del colon a seguito di Colonscopia Virtuale pari allo 0,04%, ovvero più di 4 volte inferiore di quello relativo alla colonscopia ottica.[67][68][69][70][71][33]

Per quanto riguarda il rischio connesso alle radiazioni ionizzanti, la Colonscopia Virtuale è già adesso un esame che viene tipicamente condotto a bassa dose, nell’ordine di 5 mSv (dose efficace) o meno per singolo esame; in futuro la dose effettiva probabilmente si andrà a ridurre fino al range sub-mSv. Al di sotto dei 50-100 mSv il rischio reale di un effetto misurabile sulla salute è considerato o troppo piccolo per essere misurato, o non esistente [72]. Considerato che la CTC, allo scopo specifico di screening del carcinoma colorettale, viene impiegata in una popolazione ormai adulta, e che il torace è per larga parte escluso dall’esame, il rischio teoretico di un danno a lungo termine, già molto basso, viene ampiamente controbilanciato dai benefici misurabili che derivano dallo screening del carcinoma colorettale e anche da quello dei reperti extracolici significativi, e si potrà prestare sempre di più in futuro all’essere ripetuta anche su base regolare. Uno studio ha riportato un aumento del rischio nel corso della vita di sviluppare cancro complessivamente inferiore allo 0,2%, in soggetti che si sono sottoposti a screening del carcinoma colorettale tramite Colonscopia Virtuale ogni 5 anni dall’età di 50 anni fino all’età di 80 anni.[73][74][75] 1.2.5 Lettura e interpretazione delle immagini

Per meglio caratterizzare gli eventuali reperti colici e ridurre la possibilità di errori nell’identificazione di lesioni, la lettura e la valutazione dovrebbero avvalersi di un’integrazione delle immagini in 2D e di quelle in 3D. Un’analisi in 2D standard consente di tracciare l’intero colon disteso, da un capo all’altro, scorrendo contemporaneamente le immagini dei decubiti supino e prono, visualizzabili sullo schermo nello stesso momento. È indicato l’uso di una larga ampiezza di finestra (finestra per il tessuto osseo) con il centro corrispondente alla finestra per i polmoni, poiché consente di distinguere la parete colica dal tessuto adiposo. Le impostazioni per il display raccomandate sono, rispettivamente, 1500 HU e -200 HU; la finestra per i tessuti molli è utile poi per valutare le caratteristiche di attenuazione delle lesioni. [76][65][25][28]

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Tuttavia situazioni come la patologia diverticolare, specie se di entità spiccata, o la presenza di anse particolarmente convolute, possono ridurre l’efficacia diagnostica della lettura in 2D aumentando la probabilità che lesioni di piccole dimensioni non vengano identificate. Le ricostruzioni multiplanari consentono di ricostruire virtualmente qualsiasi orientamento nella scansione; le ricostruzioni tridimensionali consentono un vero e proprio “fly-through”, con una visualizzazione della superficie luminale del colon simile a quella possibile con una colonscopia ottica, e mettendo a disposizione maggior tempo per la visualizzazione di ogni segmento e di ogni reperto, il che facilita la corretta identificazione e descrizione delle lesioni. Occorre sottolineare però che nelle ricostruzioni tridimensionali i fluidi residui possono nascondere le lesioni, e residui fecali solidi non possono con certezza essere distinti da polipi reali, e questo rende le immagini in 2D essenziali per una corretta conferma di alterazioni eventualmente identificate alla lettura in 3D. [65][77][78][79]

È ancora controverso quindi quale delle due metodiche di lettura debba essere considerata la principale allo scopo di ricerca di polipi e lesioni parietali. Attualmente l’approccio più comune è quello di utilizzare le immagini in 2D per la valutazione primaria, facendo ricorso anche alle immagini in 3D in caso di necessità di problem solving e valutazione ulteriore. Alcuni però preferiscono usare le immagini in 3D primariamente, ed eventualmente usare poi quelle in 2D per conferma dei reperti identificati. Pickhardt et al. hanno trovato che in una popolazione a bassa prevalenza di polipi una valutazione primariamente tridimensionale si accompagna ad una maggior sensibilità nell’identificazione di polipi, rispetto ad una valutazione primariamente eseguita sulle immagini 2D [80]; alcuni autori ad ogni modo suggeriscono che la miglior sensibilità nell’identificazione dei polipi venga ottenuta grazie piuttosto all’integrazione della valutazione bidimensionale con quella tridimensionale, ma questo ovviamente richiede più tempo complessivamente per la lettura.

Secondo il consensus statement dell’ESGAR entrambe le metodiche (2D e 3D) sono adeguate per la valutazione primaria (anche se la valutazione in 2D è più rapida), e la scelta tra le due dovrebbe dipendere dall’esperienza e dalla preferenza del singolo specialista. [81][65][77][82][83][80][1]

Il CAD (=Computer Aided Detection) è un algoritmo recentemente sviluppato che può aiutare i radiologi nell’identificazione di polipi e carcinomi, e il suo utilizzo come seconda lettura, da parte di lettori adeguatamente addestrati, può migliorare la sensibilità diagnostica. Inizialmente sviluppato per aiutare i radiologi nell’identificazione di lesioni

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