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173 Capitolo 1: Introduzione: Conclusioni

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Academic year: 2021

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Conclusioni

Introduzione:

• L’indagine bibliografica sui numerali, collocata all’interno della più generale storia del numero, rivela da un lato una grande varietà di approcci, dall’altro la scarsa integrazione tra le discipline coinvolte (psicologia, antropologia, linguistica, matematica, ecc.). Si rende dunque auspicabile una sempre maggiore collaborazione fra i vari ambiti di ricerca in questo settore, che si trova per sua natura al confine fra diversi terreni d’indagine.

• La moderna distinzione fra numerazione e quantificazione è una sistemazione scientifica, frutto del lungo processo di demarcazione della numerazione dal più generale ambito della quantificazione. Dal punto di vista storico-evolutivo il confine fra i due ambiti va riconsiderato in origine come molto labile. Anche nelle lingue moderne, in ambiti culturali che hanno sviluppato una numerazione completa e puntuale, restano usi e tracce della antica aritmetica approssimativa.

• A differenza di quanto si è creduto per lungo tempo (fino alla fine degli anni ’70), oggi si riconosce che la presenza di un sistema numerale in una lingua

non è un universale (cfr. Dixon 1980, Hurford 1987).

Capitolo 1:

• La storia del numero si delinea come un grande processo di affrancamento dai contesti e dalle pratiche concrete che hanno costituito il primo banco di prova delle abilità umane nell’ambito della numerosità. La realtà del numero è stata conosciuta, affrontata e “domesticata” attraverso la pratica, con l’aiuto di supporti che hanno permesso all’uomo di acquisire una familiarità dapprima limitata ed approssimativa, poi sempre maggiore con il numero. L’ultimo stadio è costituito dal numero inteso come elemento astratto

(trascendente le singole manifestazioni), e operativo (applicabile in diversi contesti e con una propria logica interna tale da permettere le operazioni).

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Per le diverse tappe (appaiamento, successione, ecc.) si rimanda al corpo dello studio.

• Tra le abilità umane coinvolte in questo processo, ve ne sono alcune di innate e condivise da alcuni animali, ad esempio il subitizing (§1.2). Altre invece sono acquisite ed esclusivamente umane. La connessione fra i moduli cognitivi del linguaggio e del numero – accomunati dalla ricorsività – può essere la spiegazione al fatto che entrambe queste abilità sono esclusivamente umane (§1.12).

• I numerali indoeuropei sono strutturalmente trasparenti (sistema decimale) e semanticamente opachi. Sebbene non manchino gli studi etimologici nell’ambito dei numerali (§1.13), i risultati cui sono giunti i diversi studiosi sono spesso ipotetici e discordanti. Al di là delle discordanze, ciò che emerge è che in origine i numerali indoeuropei erano motivati (a differenza di quanto riteneva Saussure 1922: 181).

• Si sono raccolti e argomentati dati a favore dell’ipotesi che anche in indoeuropeo resti traccia di un antico sistema numerale ternario (§1.1.1). • Dagli studi di tipologia linguistica nell’ambito dei numerali (Heine 1997, Greenberg 1978, Seiler 1990, ecc.) emerge la grande diffusione del body-part model. Cioè: la strutturazione dei sistemi numerali può essere ricollegata a caratteristiche del corpo umano, soprattutto a quelle parti che si prestano come ausilio del conteggio. Mentre questa caratteristica viene generalmente accreditata alle lingue “esotiche”, ci sono molti indizi per riconoscere questo stesso principio in indoeuropeo.

• Ogni sistema numerale che non sia ridotto a pochissimi elementi ha bisogno di mettere in moto meccanismi ricorsivi per la creazione di numerali. La ricorsività si realizza attraverso il principio della base. Nel mondo si danno molti tipi di base, quasi tutti riconducibili a spiegazioni extra-linguistiche. Questo significa che non solo le singole forme numerali, ma anche la base (quindi la struttura stessa del sistema) è motivata. La motivazione in alcuni casi è culturale, ma nella maggior parte dei casi è

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riconducibile al modello corporeo (5 = dita di una mano, 10 = dita di due mani, 12 = falangi, ecc.), v. §1.9.

• Nella strutturazione dei sistemi numerali il linguaggio si comporta come uno strumento che riflette categorizzazioni della realtà operate dalla mente. E la mente opera qui, nella maggioranza dei casi, in maniera determinata da una struttura, una griglia interpretativa che tutti hanno in dotazione: la morfologia del corpo umano.

• Sulle operazioni aritmetiche si osserva che i sistemi numerali nel mondo dispongono le operazioni in questo ordine implicazionale: addizione, moltiplicazione, sottrazione, divisione (Stampe 1976, Greenberg 1978). Invece le quattro operazioni si possono disporre per “naturalezza” in un ordine diverso: addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione (§1.10). Ciò che fa preferire l’addizione e la moltiplicazione nella strutturazione dei sistemi numerali è il fatto che sono le uniche due operazioni che, applicate a numeri interi naturali, danno un risultato maggiore dei loro operatori, permettendo così la crescita “in avanti” del sistema.

• D’accordo con Hurford (1987) e in disaccordo con Wiese (2003, 2007), ritengo che si possa riconoscere al numero un’esistenza extra-linguistica (§1.12).

• I numeri più bassi (per lo meno quelli accessibili via subitizing) sono conosciuti pre-linguisticamente; in questo caso la lingua svolge la funzione di “nominare” – e così solidificare – concetti già familiari, conosciuti o intuiti.

Al contrario, per i numeri più alti, al di fuori delle capacità intuitive umane, si deve attribuire al linguaggio un ruolo diverso: è proprio il potere ricorsivo della lingua che crea e rende accessibili quei concetti numerici che altrimenti resterebbero confusi in una indistinta sensazione di “molto” (§1.12).

• Dai vari indizi sparsi sulla presenza della mano nel sistema numerale indoeuropeo emerge che essa ha svolto un ruolo di primo piano nella strutturazione e nello sviluppo di tale sistema (§1.13).

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• Mentre la tradizione grammaticale lituana mostra omogeneità di vedute riguardo ai numerali, il quadro lettone è più problematico. Questo ha reso necessaria una sistemazione critica dei dati lettoni (§2.2.3).

Capitolo 3:

• Dato un sintagma QN (quantificatore-quantificato, indicato più spesso come NUM.-SOST.), la sintassi esterna del numerale può essere di due tipi: 1) modello aggettivo-sostantivo, 2) modello partitivo. Da questo si ricava la conclusione che i numerali si dividono fra quelli di tipo aggettivale o sostantivale. Corbett (1978a) e Heine (1997) osservano una regolarità sincronica generale di distribuzione di questi due tipi (considerando solo i numerali cardinali fondamentali): dato un sistema, i numerali di tipo sostantivale indicano numeri più alti rispetto ai numerali con caratteristiche meno sostantivali.

Qui si è fornita un’interpretazione diacronica di questo “universale”, che viene quindi riformulato come:

A → S

Cioè: nell’evoluzione genealogica delle lingue, e in quella interna ad una lingua stessa, c’è la tendenza all’espansione del modello aggettivale. Pertanto sempre più numerali tendono a diventare di questo tipo. Il modello aggettivo-sostantivo (“dominante”) tende a inglobare quei numerali che in origine hanno comportamento sostantivale (“recessivo”), v. §3.1.1.

• Si è poi studiato anche il mutamento morfologico (§3.1.2). Qui non si osserva un’unica direzione di mutamento, pertanto si è postulato:

flessione ↔ assenza di flessione

• Si sono poi messi insieme i due tipi di mutamento per stabilirne i rapporti reciproci (§3.13). La gerarchia di mutamento così raggiunta permette di affermare che:

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la tendenza monodirezionale del mutamento sintattico è più forte delle tendenze pluridirezionali che si riscontrano nel mutamento morfologico. Questo mi ha spinto a dare un peso relativo diverso ai fenomeni morfologici e sintattici delle lingue baltiche, riservando particolare attenzione ai secondi. • Alla luce di questo quadro interpretativo si è proposta una prima analisi del sistema indoeuropeo (§3.1.4), tenendo conto solo di alcune lingue classiche e moderne. Si sono avanzate diverse ipotesi:

- dev’essere esistita una antica fase di convivenza tra la base 4 e 5. La prima rimanderebbe a un sistema di conteggio basato sul pollice contatore e le quattro dita contate (“mano minore”); la seconda sarebbe strutturata sulla mano “maggiore” (o piena), quindi pollice compreso (cfr. Polomé 1968, Lehmann 1992, 1993, Meyer 1993);

- i primi tre numerali indoeuropei dovettero avere ben presto (o da sempre) caratteristiche aggettivali. Il passaggio fu dalle configurazioni primitive (singolo, coppia, triade; cfr. Hallpike 1979) a attributi della realtà. Coerentemente, è noto che nel sistema linguistico ie. i primi tre numerali avevano caratteristiche spiccatamente aggettivali;

- il 5 (*penkwe) invece dovette essere collegato alla mano, probabilmente

metaforizzata attraverso il concetto di “pienezza, totale” (itt. pankuš “il tutto”); pertanto il referente è sostantivale. Ed è infatti proprio a partire dal 5 che i numerali indoeuropei perdono la flessione (tratto più aggettivale) per diventare invariabili (tratto meno aggettivale);

- dato questo quadro, il 4 si sarà trovato fra un polo aggettivale (1-3) e uno sostantivale (5). È logico aspettarsi che le sue caratteristiche seguano quelle dei primi tre, piuttosto che quelle del 5. Infatti, nel metodo di conteggio digitale, esso è associato ad un dito uguale per funzione ai primi tre, cioè dita “contate”, mentre il pollice ha uno status diverso, essendo “contatore”, nonché elemento conclusivo e totalizzante della mano piena. Di nuovo, il fatto che il 4 ie. abbia caratteristiche aggettivali è coerente con il quadro proposto.

Tutto questo, va ricordato, non è determinato da fattori intrinseci dei numeri, né da caratteristiche del cervello umano, bensì dalla conformazione anatomica della mano, che attribuisce per natura al quinto dito (il pollice) una posizione diversa rispetto alle altre.

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• Il fatto che nelle lingue storiche la soglia tra numerali aggettivali e sostantivali sia passibile di spostamenti in entrambe le direzioni non confuta questa ipotesi generale. Essa infatti rappresenta un quadro originario, a partire dal quale si possono avere mutamenti morfologici in entrambe le direzioni (v. mutamento morfologico).

• In questo contesto si sono presi in considerazione due studi di Corbett (1978a, 1978b) sulla sintassi dei numerali slavi. Il quadro che emerge nelle lingue slave è una situazione di squish. Si è scelto di adottare – e adattare – questo modello per l’analisi sulle lingue baltiche moderne.

• Nelle lingue baltiche si individua una soglia di demarcazione fra i numerali di tipo aggettivale e sostantivale. Ho introdotto il termine punto di svolta primario per questa suddivisione. Il punto si svolta primario in lituano è netto, mentre in lettone è più labile.

• Considerando l’aspetto morfologico dei numerali “tondi”, si osserva una tendenza diacronica generale: flessione → assenza di flessione, guidata da una ratio evidente: dal più piccolo al più grande. Quindi i numerali tondi piccoli (p. es. 10) sono colpiti da questa riduzione prima di quelli più alti (p. es. 100).

• A seconda di quanto si è spinto in avanti questo processo, si può individuare una soglia fra i numerali che presentano forma ridotta (invariabile) e quelli che hanno solo forma piena (flessibile). Ho chiamato questa demarcazione

punto di svolta secondario. Quello lituano, che passa fra 10 e 100, è “vicino”; quello lettone, fra 1000 e 1.000.000, è più “lontano”.

• Il comportamento sintattico dei numerali lituani ricorda quello ricostruito da Corbett (1978b) per l’antico slavo ecclesiastico.

• Per un’analisi pertinente dei numerali baltici è necessario modificare il modello di Corbett principalmente in due direzioni: considerare altri numerali e altri parametri (§3.2.1.2).

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• Gli altri numerali studiati sono: 11-19, i peculiari dei pluralia tantum, i collettivi, gli ordinali. Gli altri parametri introdotti sono: ha flessione di numero; ha flessione di caso; ha flessione di genere; in presenza di preposizione si flette secondo il caso richiesto da essa; a questi si sono aggiunti tre sottoparametri di takes N in genitive plural, ovvero: …anche in presenza di preposizione che richiede un caso diverso; …anche in presenza di un attributo di N; …anche in un contesto sintattico che richiede un caso diverso.

• I numerali lituani e lettoni 11-19 sono degli ibridi dal punto di vista del comportamento morfosintattico. Infatti condividono alcune caratteristiche tipicamente aggettivali, altre sostantivali.

Le risposte al parametro takes N in genitive plural sono le stesse delle decine nelle rispettive lingue, cioè lit. +, lett. ±.

• I peculiaridei pluralia tantum hanno comportamento identico in lituano e lettone. Si tratta di un tipo fortemente aggettivale.

• I kuopiniai (collettivi) lituani hanno comportamento pienamente sostantivale.

• I numerali lettoni in –atā non si lasciano analizzare secondo questo tipo di analisi, non entrando nel sintagma NUM.-SOST. Pertanto essi non sono numerali, bensì avverbi formati da lessico numerale e con significato numerale (“in due, in tre”, ecc.). Se ne conclude che nelle grammatiche lettoni queste forme non dovrebbero rientrare tra i numerali, come invece tradizionalmente avviene.

• Questo porta a altre considerazioni contrastive fra sistema lituano e lettone. C’è simmetria dal punto di vista delle forme, tuttavia c’è asimmetria nella funzione (v. Tabb. 3.9-3.10). Da quanto risulta, la funzione numerale collettiva (“gruppo di X elementi”) è allo stato attuale una possibilità esclusiva del lituano.

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• I parametri 9a, 9b, 9c dividono lituano e lettone: mentre in lituano la richiesta del genitivo plurale da parte dei numerali tondi è assoluta, in lettone può essere infranta nei contesti descritti da tali parametri.

• Il parametro 7 mostra che la preposizione determina in modo decisivo il contesto sintattico della frase baltica. La “forza” della preposizione in lettone è tale passare avanti alle richieste sintattiche dei numerali tondi e di 11-19, in lituano, invece, è in ogni caso più forte la richiesta del numerale.

• Si è giunti a una grande tabella riassuntiva in cui sono riportati i possibili comportamenti morfosintattici di tutti i possibili numerali lituani e lettoni (v. Tab. 3.13).

•Riassumendo, le differenze emerse fra lituano e lettone sono:

Lituano Lettone Sistema più stabile Sistema più variabile (maggiori

risposte ±)

Pt. svolta primario netto Pt. svolta primario labile Pt. svolta secondario vicino Pt. svolta secondario lontano

Assimetria nei numerali collettivi Per i numerali con comportamento

sintattico sostantivale, reggenza del gen. in ogni contesto

Si danno tre contesti sintattici (9.a, 9.b, 9.c) in cui subentra la sintassi aggettivale

• Quelle principali fra slavo e baltico sono:

Slavo Baltico SI squish In lit. NO squish, in lett. primi

segnali Pt. svolta primario fra 4 e 5 nelle fasi

più antiche

Pt. svolta primario fra 9 e 10 sin dai testi più antichi

Distinzione animato/inanimato NO distinzione animato/inanimato 11-19 NO classe autonoma 11-19 classe con proprie particolarità

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• Una caratteristica che separa lituano e lettone, unendo quest’ultimo alle lingue slave moderne, è l’espansione del polo sintattico aggettivale. Mentre in lituano il primo numerale pienamente sostantivale è 10, in lettone, in russo e in polacco è 1.000.000.

• Nel mantenere basso il livello di espansione del polo aggettivale, il lituano manifesta grande arcaicità, confermandosi un “dinosauro linguistico” all’interno del panorama indoeuropeo.

• L’idea dello squish, vista dal solo punto di vista del lituano, sembrerebbe da smentire; ma il lettone, dove i processi di mutamento linguistico sono generalmente più rapidi che in lituano, mostra che anche in baltico l’ipotesi dello squish è valida. Pertanto le lingue baltiche, pure in una posizione di notevole arcaicità, confermano l’ipotesi di Corbett secondo cui lo squish è uno stato di cose naturale.

• I numerali lituani 11-19 (§3.2.1.3), pur indicando una pluralità di elementi, sono grammaticalmente singolari, così come 10, 100, 1000, 1.000.000. Però nel caso dei numeri tondi questo fatto è motivabile a partire dai referenti originari (insiemi di elementi visti come unità), per 11-19 invece ciò è dovuto alla reinterpretazione della desinenza –a nel formante –lika come nominativo singolare femminile.

Propongo un’ipotesi per spiegare l’inaspettata sintassi partitiva di 11-19. Essa sarebbe dovuta a due motivi; il primo è che non sono flessibili nel genere, a differenza di 1-9 e similmente a 10, 100, ecc. Il secondo è che si trovano tra due numerali tondi con sintassi partitiva (10 e 20). In questo caso la somiglianza di 11-19 con 10, 20, ecc. avrà prevalso su quella con 21-29, 31-39, ecc. che sono morfologicamente diversi (decina-unità).

Anche i numerali lettoni 11-19 hanno sintassi partitiva (sebbene soggetta a

squish). Anche questa si può spiegare a partire da motivi morfologici; infatti qui l’unità precede la decina, così che questa è l’ultimo elemento a destra. Come avviene in molte lingue del mondo, la sintassi esterna del numerale complesso è determinata dall’ultimo elemento a destra. Essendo questo – dsmit (< desmit) invariabile, ecco che l’intero numerale assume il comportamento di desmit, cioè sintassi partitiva.

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• Le considerazioni su 11-19 portano a ipotizzare che 20 sia stato, in epoca remota, il limite superiore del sistema numerale baltico. Sarebbe auspicabile la prosecuzione dell’indagine su questo punto, soprattutto in ottica indoeuropea, dove sono così diffuse le anomalie morfologiche nella serie 11-19.

• Per quanto riguarda le lingue antiche (§3.2.2 ss.), si è proceduto ad una ricerca sui testi lituani e lettoni del XVI-XVIII secolo e sull’intero corpus prussiano.

• In antico lituano i numerali tondi hanno sintassi sostantivale e reggono sempre il genitivo plurale del determinato, lo stesso dicasi per 11-19. Questo quadro è omogeneo con quello moderno; se ne conclude che dal punto di vista della sintassi numerale il lituano di oggi si comporta come quello di quattrocentocinquanta anni fa. Dal punto di vista morfologico invece si osserva un piccolo cambiamento, cioè la diffusione della forma ridotta del 10, mentre nei testi antichi (p. es. Daukša) si incontra quasi sempre quella piena.

• In antico lettone la situazione doveva essere analoga, tuttavia il quadro è di più difficile lettura a causa dei problemi filologici legati al grafema <e>. In lettone antico si danno inoltre, a differenza del lituano, casi in cui 10, 100, 1000 o 11-19 non presentano il modello partitivo. Questi casi sono tre e ben individuabili: quando il sintagma NUM.-SOST. è modificato da qualche elemento, quando esso costituisce l’oggetto diretto della frase, quando il contesto sintattico della frase è determinato da qualche preposizione. Queste sono le stesse tre eccezioni evidenziate nella lingua moderna dai parametri 9a, 9b, 9c. Dunque anche il quadro lettone si è mantenuto intatto dal XVI secolo fino ad oggi. È una situazione nel complesso più innovativa rispetto a quella lituana, ma tale innovazione va collocata in una fase necessariamente precedente le prime attestazioni scritte.

• In antico prussiano i numerali 1 e 2 avevano comportamento aggettivale. Data la situazione delle lingue baltiche orientali alla stessa altezza cronologica, si può ipotizzare che lo stesso valesse per 3-9, che però non sono attestati. Il 10, attestato varie volte, costituisce un punto problematico. In particolare la forma dessimton rimane un problema aperto, non essendo

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ancora stata ancora data una spiegazione soddisfacente. A questo proposito si sono passate in rassegna le interpretazioni più accreditate e se ne sono messi in luce alcuni limiti (§3.2.4.1).

Dal punto di vista sintattico, particolarmente significativo per capire il

sistema, le attestazioni scritte non mostrano la reggenza del genitivo in neanche un caso. Tuttavia io ipotizzo – “contro ogni evidenza” – che il 10 doveva comportarsi in maniera non dissimile dal lituano e dal lettone. Infatti, se così non fosse, significherebbe che il prussiano antico mostrava in questo settore della lingua una situazione più innovativa addirittura del lituano moderno. Prima di tutto il prussiano in generale si configura come piuttosto conservativo, e poi si è visto che proprio nell’ambito dei numerali le lingue baltiche (almeno quelle orientali) sono particolarmente conservative rispetto alle altre indoeuropee (le slave in primis). Allora è difficile credere che non lo fosse il prussiano.

Il fatto che il genitivo del determinato non sia effettivamente registrato nei testi prussiani può essere giustificato in almeno due modi:

1) o si tratta di un errore dei traduttori dovuto all’influenza della sintassi tedesca (assai probabile, visto il tipo di testi e le caratteristiche linguistiche generali);

2) o era attiva anche in prussiano la stessa eccezione vista in lettone (antico e moderno), ovvero: il modello partitivo cede il passo a quello aggettivo-sostantivo se il sintagma è modificato da qualche attributo. In questo caso l’attributo sarebbe “l’articolo” prussiano, che in realtà era un pronome dimostrativo usato per calcare il pronome dell’originale tedesco.

• L’ipotesi di S.Piccini (correggere <dessimton> in <dessimtay>, nominativo plurale), per quanto del tutto provvisoria e da verificare, si presenta come plausibile dal punto di vista grafico, comprensibile dal punto di vista morfosintattico in base ad una doppia influenza analogica sintagmatica e paradigmatica, e preferibile alle precedenti spiegazioni di altri studiosi, dal momento che non prevede una rideterminazione verso il neutro. D’altra parte l’attestazione di forme come dessimtons e dessimton (ordinale) indebolisce l’ipotesi rendendo più difficile la correzione. Anche questo resta un problema da approfondire.

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Appendice:

Dall’osservazione della frequenza d’uso dei numerali lituani emergono diversi dati:

• Alcuni numerali sono molto più frequenti di altri. • 1 è di gran lunga il più frequente di tutti.

• I primi numeri sono molto più frequenti di tutti gli altri.

• L’andamento della frequenza mostra dei cicli che coincidono con quelli strutturali del sistema: 1-9, 10-19, 20-29, ecc. Dunque c’è omogeneità fra la distribuzione dei picchi di frequenza e la strutturazione ciclica del sistema numerale.

• All’interno di questi cicli si ripropone un unico modello, regolato dal seguente criterio: la frequenza d’uso è indirettamente proporzionale al valore numerico.

• Si osservano rare eccezioni a questo modello, ad esempio in concomitanza del 12 e del 15. Ho argomentato che questa inversione di tendenza può essere riconducibile a fattori culturali.

• Ai livelli superiori (decine, centinaia) si ripropone lo stesso modello delle unità semplici.

• I vari grafici mostrano che i picchi si collocano quasi sempre in concomitanza con numeri tondi. Dunque c’è corrispondenza tra importanza strutturale del numerale, salienza cognitiva e frequenza d’uso.

• I vari grafici danno visibilità al fatto che il primo elemento di ogni ciclo ha un ruolo particolare rispetto a tutti gli altri. Ho argomentato che tale particolarità è da ricondurre alla semantica del numero 1. Il tratto fondamentale – quello dell’unità – è in qualche modo partecipato a vari gradi

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anche da tutti gli altri numeri che svolgono nel proprio ciclo il ruolo di unità (superiore), ad esempio 10, 100, 1000, ecc.

Segnalo che questo ambito è particolarmente interessante e sarebbe da approfondire allargando l’indagine ad altri numerali e soprattutto ad altre lingue. Immagino che le conclusioni raggiunte non siano un’esclusiva del lituano, e sono pronto a scommettere che si troverebbero interessanti parallelismi in molte lingue. Infatti è comprensibile che la strutturazione ciclica (e gerarchica) dei sistemi numerali sia riflessa dall’uso. Si tratta di una necessità cognitiva che ipotizzo universale: il bisogno di disporre di punti di riferimento in quella che, dal punto di vista matematico, è una successione omogenea di numeri tutti uguali. C’è bisogno, insomma, di “numeri tondi”. Attorno a questi punti salienti, a queste “pietre miliari”, è poi normale che si concentri una maggiore frequenza d’uso. In questo gioca un ruolo importante anche l’aritmetica approssimativa: nei frequenti casi in cui non si vuole indicare una numerosità esatta, si ricorre a un numero tondo come riferimento di approssimazione.

Un’altra direzione di indagine assai interessante sarebbe quella di allargare lo sguardo su lingue con struttura non decimale. A quel punto si dovrebbe indagare la distribuzione dei picchi di frequenza e vedere in che rapporto stanno con la struttura del sistema. Si capisce che tutti questi studi richiedono una condizione preliminare raramente soddisfatta: la disponibilità di corpora ampli, affidabili, digitalizzati e interrogabili. Allo stato attuale, solo per poche lingue del mondo si dispone di una simile strumentazione informatica.

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