Capitolo II
Presenza e diffusione degli Ordini Mendicanti nella città
dell’Aquila
II.1 Nuovi Ordini religiosi: Francescani e Domenicani
Il 6 ottobre 1287 il vescovo aquilano Nicola da Sinizzo concesse a Pietro del Morrone e all’abate di S. Spirito della Maiella l’esenzione dalla giurisdizione episcopale della chiesa e del monastero di Santa Maria di Collemaggio1. L’elargizione di questa bolla rientrava nei progetti politici dell’episcopo, che miravano principalmente a favorire il popolamento della città attraverso l’insediamento degli ordini religiosi2. Oltre ai monaci celestini era notevole la presenza degli Ordini Mendicanti, che in tempi differenti si insediarono all’interno del tessuto urbano.
Nel corso del XIII secolo non solo la città dell’Aquila, ma anche il resto dell’Italia e dell’Europa videro la nascita di due nuovi Ordini religiosi: Francescani e Domenicani. Essi rinnovarono profondamente l’istituzione ecclesiastica e operarono soprattutto nelle città, dove lo sviluppo economico aveva portato a un aumento della popolazione con grandi cambiamenti sociali, culturali e religiosi.
Il nascente ceto borghese si mostrava critico nei confronti del potere e delle ricchezze del clero, e la sua curiosità intellettuale si orientava verso le questioni religiose. I nuovi frati quindi dovevano risiedere nelle città per cercare di
1 La bolla è riportata in CLEMENTI 1996, pp. 57‐58.
2 Idem, p. 67, Nicola da Sinizzo voleva determinare un solido impianto demico attraverso la
rispondere a queste curiosità, alle critiche e agli argomenti degli eretici3. Questi pericoli furono scongiurati dai nuovi religiosi attraverso il potente ideale della povertà evangelica e quindi rinunciando non solo alla proprietà individuale, ma anche a quella collettiva. L’unione dell’esempio cristiano con la predicazione in mezzo al popolo (come facevano gli eretici), fu la vera forza dei nuovi Ordini che uscirono dai loro ritiri per istruire il popolo alla morale cristiana; tali innovative qualità gli attribuirono l’appellativo di “mendicanti”. Il Concilio di Lione II del 1274 riconobbe le nuove forme di vita religiosa dei Domenicani e Francescani, mentre accantonava momentaneamente il problema di Agostiniani e Carmelitani4.
Anche se raggruppati sotto il comune denominatore di mendicità‐povertà, i due grandi Ordini Mendicanti si distinguevano notevolmente tra di loro sia per origine e intenti, sia nella loro evoluzione5. Tali differenze si riflettevano nelle personalità particolarmente sensibili dei loro fondatori: san Domenico di Guzman e san Francesco d’Assisi.
Il primo era un chierico spagnolo fornito di buona cultura teologica conseguita con lo studio di filosofia e teologia presso l’Università di Palencia. Nel 1203 come accompagnatore del vescovo di Osma, Diego di Acebes, diretto in Danimarca in missione diplomatica, attraversò la Linguadoca dove rimase impressionato dai tragici eventi della crociata contro gli Albigesi e dall’impreparazione dei legati cistercensi, che non riuscivano ad arginare il fenomeno6. Domenico comprese quindi che la soluzione non risiedeva nell’uso delle armi ma nell’uso della parola, attraverso una predicazione ortodossa. Essa
3 MARC‐BONNET [1949] 1954, pp. 39‐40, per la prima volta le sette eretiche dei Valdesi e
Albigesi trovarono terreno fertile nella cultura popolare e minacciavano dall’interno la società cristiana.
4 BARONE 1993, p. 348, per loro il riconoscimento ufficiale avverrà con Bonifacio VIII nel 1298. 5 DAL PINO 1978, p. 1164.
sarebbe stata più efficace quanto più il predicatore apparisse agli occhi dei suoi ascoltatori un perfetto esempio di vita cristiana. I chierici riunitesi intorno a lui furono detti “frati predicatori” e conducevano una vita povera e itinerante, la loro azione era ausiliaria al clero secolare e si svolgeva con l’accordo del vescovo di Tolosa nel 1215. L’anno successivo Onorio III riconobbe la famiglia dei Domenicani. Essi adottarono la regola di Sant’Agostino alla quale si si aggiunsero, negli anni 1220‐1228, una serie di “Costituzioni” che fissarono la fisionomia del nuovo Ordine7. La caratteristica distintiva dei Domenicani fu la dedizione allo studio, divenendo la base su cui loro costruirono la loro esperienza religiosa e la loro autocoscienza. Ogni convento doveva infatti essere dotato di un superiore amministrativo e di un maestro di teologia (il lector) e la giornata dei confratelli doveva essere dedicata esclusivamente allo studio, alla preghiera e alla predicazione8.
Ben altra origine ebbe il movimento Francescano che deve il suo nome a quello del suo fondatore: Francesco Bernardone. Egli, a differenza di Domenico di Guzman, era un laico proveniente da una ricca famiglia di commercianti di Assisi e con una preparazione teologica non paragonabile a quella del Domenicano. La sua formazione culturale e la sua conoscenza del latino gli consentivano solo un limitato contatto diretto con il testo sacro, mentre era forte in lui la convinzione della forza evangelizzatrice dell’esempio. Dopo una gioventù dissipata, si convertì nei primi mesi del 1206 decidendo di rinunciare pubblicamente a ogni suo avere, dinanzi al vescovo di Assisi, Guido II, e
7 BARONE 1993, pp. 348‐349, la rinuncia totale al possesso non era stata prevista da Domenico
nei primi anni della sua esperienza, ma inserita nel 1220 per imitazione dell’esempio Francescano cfr. D’ALESSANDRO 2003, p. 252, la forma di governo dell’Ordine si andò strutturando nel tempo: prima le Consuetudines del 1216, poi le Institutiones del 1220 e infine le
Constitutiones del 1228.
8 Ibidem, secondo Domenico si doveva “parlare con Dio o parlare di Dio”cfr. MARC‐BONNET
assumendo la condizione canonica di penitente volontario9. In quel periodo egli si dedicò allʹassistenza ai malati nei lebbrosari e al restauro materiale di chiese rurali in rovina. Il suo ammirevole stile di vita attirò l’attenzione di alcuni abitanti del contado assisano, che volontariamente si unirono a lui. I primi due furono Bernardo di Quintavalle e Pietro Catani, ai quali si aggiunsero altri compagni, fino a raggiungere il numero di dodici (compreso il Santo)10. All’interno di questo primo gruppo si maturò la scelta di vivere in conformità al modello evangelico, attinto in maniera diretta dalle Scritture. Questa forma di vita voluta da Francesco includeva delle norme di vita comunitaria come il rispetto per la povertà, che obbligavano i frati a guadagnarsi la vita giorno per giorno con il lavoro o con la mendicità11. Con la decisione di Francesco di chiamarsi Frati Minori, essi intrapresero una forma di predicazione nell’Italia centrale esortando le popolazioni alla penitenza e alla pacificazione, vestiti solo con una rozza tunica con cappuccio (in modo che ricordasse la croce) e stretta con una corda annodata12. Un determinato tipo di idee e di metodi potevano causare la loro condanna per eresia, ma Francesco e i suoi seguaci se ne distinsero per il loro rispetto verso il sacerdote (anche se indegno) e la sua sottomissione alla Santa Sede. Nel 1209 il gruppo dei Dodici frati si presentò
9 FRUGONI 1995, pp. 28‐29.
10 Idem, pp. 47‐50, le biografie agiografiche si sforzano di indicare i nomi del primo nucleo della
fraternità minoritica, annoverandoli in numero di dodici in chiave sicuramente simbolica, cfr. RUSCONI 1997, p. 665.
11 MARC‐BONNET [1949] 1954, p. 42, ogni membro della prima comunità francescana avrebbe
dovuto continuare a esercitare l’attività che gli era propria solo per avere di che sopravvivere e aiutare i più poveri cfr. BARONE 1993, pp. 350‐351.
12 DI FONZO 1977b, p. 825, san Francesco applicava un particolare valore a quel nome
Minoritico: di umiltà e soggezione a tutti, sia tra i confratelli sia con le persone esterne, prelati, ecclesiastici, clero e secolari; andare senza vergogna per elemosina nel mondo; nel non provare qualsiasi tipo di ambizione di superiorità, sia nell’Ordine sia in previsione di cariche ecclesiastiche. I suoi frati dovevano adottare questi precetti come impegno di vocazione e di distinzione. Al nome Minori si univa e completava il concetto di fratellanza, espresso nel termine frater (fratello) nel senso medievale inteso dal Santo fondatore; anch’esso originale e caratteristico dei suoi religiosi cfr. FRUGONI 1995, pp. 45, 51, durante le sue predicazioni la sostanza del suo messaggio era condensato nell’insolito saluto: “Pace a questa casa”.
quindi davanti al papa Innocenzo III, dal quale ricevettero solo un’approvazione orale, sancendo l’inizio della fondazione canonica dell’Ordine. La nuova famiglia religiosa sarà legittimata solo nel 1223 da papa Onorio III, quando approvò la Regola francescana in una forma diversa da quella originale. Da questo momento all’Ordine francescano saranno affidati compiti che (per consapevole e originaria scelta) svolgevano i Domenicani, mentre l’ideale proposto da Francesco si faceva sempre più lontano e inavvicinabile13. Egli voleva distinguersi dai precedenti Ordini monastici e non aveva mai pensato a creare un’istituzione gerarchizzata; a cui pensò la Curia romana trasformandolo in un vero e proprio ordine religioso, poi anche clericale14. Tale serie di eventi indusse Francesco alla ricerca di un ulteriore isolamento rispetto all’Ordine e, insieme a frate Leone, si ritirarono sul monte della Verna nei pressi di Arezzo. La ricerca di questi luoghi solitari era una caratteristica dell’Ordine fin dai primi decenni della loro storia. I frati avevano dei semplici punti di riferimento, vivendo in uno stato di estrema provvisorietà: presso un oratorio, una piccola chiesa restaurata e resa agibile, un ospizio per poveri e pellegrini. La maggior parte del tempo lo trascorrevano per la strada impegnati nella loro predicazione itinerante. Durante questi lunghi periodi di predicazione i Minori cercavano ospitalità di chi poteva offrirla, chierico o laico che sia.
Nel tessuto urbano i primi “loca” francescani sorgevano (anche se non di frequente) al margine della città, presso le porte, nei sobborghi, in cui la carenza di strutture ecclesiastiche e la presenza di ospizi rendeva più facile reperire aree non edificate a prezzi accessibili15. Dal terzo decennio del Duecento iniziò una
13 RUSCONI 1997, p. 670.
14 DI FONZO 1977a, pp. 474‐475, grazie soprattutto alle personalità del cardinale Ugolino dei
Conti di Segni (futuro papa Gregorio IX) designato come cardinale protettore dell’Ordine e di frate Elia ministro generale cfr. FRUGONI 1995, pp. 109‐112.
vera e propria localizzazione definitiva dei conventi all’interno dell’antico nucleo insediativo, chiamati dai sempre più numerosi e influenti protettori dell’Ordine. La loro influenza all’esterno e nelle grandi piazze fecero in modo che in poco tempo divenissero il fulcro delle attività cittadine16.
Nell’Italia centrale, in particolare nella zona appenninica umbro‐marchigiana, non era esclusiva prerogativa la vocazione urbana. Esistevano invece un certo numero di romitori, in cui si ritiravano i frati che avevano più bisogno di un periodo più o meno lungo di meditazione, prima di riaffrontare le fatiche e i pericoli dell’attività evangelizzatrice17.
Rispetto ai Francescani, l’Ordine Domenicano attuò delle scelte insediative ben diverse fin dall’inizio; l’attenzione delle gerarchie dei Predicatori si indirizzava verso centri di medio‐grandi dimensioni, per lo più centri diocesani in cui potevano svolgere la loro funzione di ausiliari dell’autorità vescovile. I primi importanti nuclei dell’Ordine si formarono a Parigi e a Bologna, sedi delle due importanti università della teologia e del diritto. Sempre a Bologna fu fondato il primo convento dell’Ordine, in cui nella primavera del 1220 si svolse il I Capitolo generale18.
Alla fine del Duecento i Domenicani rivolsero l’attenzione anche a località di minore importanza: se condotti dalla generosità di un protettore e se gli fossero garantite delle buone prospettive di “cura animarum”. I Frati Predicatori erano attenti nella scelta del luogo in cui insediarsi perché dovevano tener fede a
16 BARONE 1993, p. 353, il processo sarà tuttavia lento e arriverà a compimento solo con il
generalato di Bonaventura (1247‐1274).
17 Ibidem, dal punto di vista storico fu un fenomeno interessante, ma numericamente molto
limitato. Fu proprio in queste zone che si radicherà una tradizione contestativa nei confronti della linea ufficiale dell’Ordine, poi manifestatasi nelle forme eterodosse dello spiritualismo francescano e in quelle restate nell’ambito dell’ortodossia e premiate dal successo dell’osservanza cfr. DI FONZO 1977a, pp. 470‐472, 475; DAL PINO 1978, p. 1176.
18 RIGHETTI TOSTI‐CROCE 1994, p. 677, l’anno successivo si ebbe nella stessa città il II
Capitolo, nel quale si deliberò l’espansione dell’Ordine fino in Ungheria, Polonia, Danimarca e Inghilterra.
quanto prescritto nelle Costituzioni: l’installazione di una nuova comunità doveva contare su minimo di dodici membri, un priore e un lettore19.
Messi a confronto con l’Ordine Francescano, nei Domenicani era del tutto assente l’esistenza di romitori20, mentre appariva analoga la collocazione all’interno del tessuto urbano a partire dalla metà del Duecento: entrambi all’interno della città ma fuori dall’antico nucleo urbano. Anche se le fondazioni domenicane saranno sempre ampiamente inferiori a quelle francescane. Il Guidoni a tal proposito afferma:
“In linea generale, […] lo sviluppo urbanistico e distanza dei conventi dal nucleo centrale sono elementi legati tra loro da un rapporto positivo: quanto più la città è proiettata dinamicamente (negli anni in cui gli Ordini si inseriscono) verso una nuova dimensione demografica e fisica, tanto più i conventi sono localizzati in aree di espansione esterne e distanziate rispetto alle mura.”21
In Italia tuttavia non si assistette a uno sviluppo omogeneo dei due Ordini: nell’Italia meridionale gli insediamenti mendicanti affluirono più lentamente a causa di un mancato sviluppo sia dei governi comunali (rispetto all’Italia centro‐settentrionale), sia dei movimenti ereticali. L’inasprirsi poi dei rapporti tra papato e Federico II (1239), provocarono il blocco delle fondazioni senza però far scomparire quelle già esistenti. Solo con l’appoggio della dinastia
19 BARONE 1993, p. 354, quando si presentava la possibilità di una nuova fondazione, un
ristretto numero di frati, per alcuni anni risiedeva nella località per studiare la situazione. Il capitolo provinciale assumeva la decisione formale di una nuova fondazione, solo se si fosse verificata l’utilità e la possibilità economica di esistenza del nuovo convento.
20 Ibidem, nelle parole del Domenicano Giordano da Pisa trapela la nostalgia per una vita
tranquilla e ritirata: “Molto più volentieri ci staremmo in cella e non usciremmo fuori, e più riposo n’avemo, troppo più […] io vorrei volentieri starmi ora in cella parecchie anni, e non uscire fuori, e sarebbemi molto a grado e molto utile”.
Angioina (1266) sia i Francescani che Domenicani (insieme con altri Ordini Mendicanti) non trovarono più nessun ostacolo né in Italia, né nelle altre terre dell’Impero, attirati nelle grande città da ricchi e potenti benefattori.
II.2 Gli Ordini mendicanti all’Aquila
Nel corso del XIII secolo la diffusione degli Ordini Mendicanti nei centri urbani dell’Italia meridionale22 coinvolse anche la città dell’Aquila. Le comunità mendicanti si insediarono nel territorio cittadino con modalità e tempi differenti, tanto che sul finire del Duecento ne erano presenti tre: la Francescana, la Domenicana e l’Agostiniana. Sintomo questo di una realtà cittadina che si andava configurando sempre più come una “grande città”23. L’Ordine Francescano fu il primo a insediarsi all’Aquila ancor prima della sua fondazione24. Intorno al 1252 (quando ancora la cattedra vescovile aveva ancora sede a Forcona) si ergeva solitario il convento di San Francesco sulla collina in cui si stava edificando la nuova città25.L’esistenza della struttura conventuale, a quella data, è confermata dalla narrazione di un miracolo operato da san Francesco e tramandato dal suo biografo, il Beato Tommaso da Celano, nel suo Trattato dei Miracoli26:
22 PELLEGRINI 2000, pp. 55‐75.
23 BARONE 1993, p. 355, secondo la Barone è ancora valida l’interpretazione di Jacques Le Goff:
“un nucleo ove si riscontri la presenza di tutti e quattro gli Ordini Mendicanti maggiori è certamente, in termini medievali, una grande città, ma anche la presenza di un solo convento è di per sé segno di una qualche forma di urbanizzazione.”
24 CHIAPPINI 1949, pp. 37‐38, il Chiappini addirittura ipotizza la fondazione della città per
mano stessa dei Francescani: “ [il convento di San Francesco] fu come la prima pietra, il fulcro intorno a cui doveva sorgere poco dopo la capitale degli Abruzzi”; BERARDI 2005, p. 158, nota 37, secondo il manoscritto dell’Antinori si attesta la presenza dei Frati Minori nel 1256 e che nel 1291 fu concessa l’indulgenza papale ai visitatori.
25 PETRONE 1978, p. 7.
26 PETRONE 2000, il Trattato dei Miracoli fu scritto dal Celanese dietro pressione del ministro
“A Scoppito presso Amiterno marito e moglie, che avevano solo un figlio, ogni giorno lo deploravano come obbrobrio della discendenza. Infatti non pareva creatura umana ma un mostro […], lo tenevano lontano dalla vista dei parenti e dei vicini […]. La moglie, afflitta dallo strazio e confusa dalla vergogna con frequenti gemiti chiamava verso Cristo invocando l’aiuto di San Francesco […]. Una notte le apparve in sogno [il Santo] e consolandola con pie espressioni:« Sorgi e porta il fanciullo al vicino luogo dedicato al mio nome e bagnalo nell’acqua di quel pozzo. Invero appena avrai versato tale acqua sul bambino, egli otterrà completo risanamento». [La donna spinta dal Santo si recò al convento] ingenerando nei frati non piccola meraviglia per la novità della cosa […]. Arrivarono poco dopo alcune nobili donne della medesima provincia per devozione e, udendo l’accaduto, restarono assai meravigliate. Attinsero senza indugio l’acqua dal pozzo e la più nobile di loro con le proprie mani bagnò il piccino. Subito egli apparve risanato e la grandezza del prodigio infuse in tutti ammirazione.”27
L’unico convento a cui Tommaso da Celano poteva fare riferimento doveva essere sicuramente quello di San Francesco, non essendoci nessun altro convento dedicato al Santo nelle vicinanze di Amiterno28.
L’intensa e consolidata attività religiosa del convento è testimoniata sia da una Bolla di papa Alessandro IV del 13 aprile 1255, diretta al guardiano e ai frati
27 Tommaso da Celano, Trattato dei Miracoli, cap. XVII, pp. 490‐492.
28 Idem, nota 4, p. 491; CHIAPPINI 1949, p. 38, secondo il Chiappini Tommaso non dà
un’ubicazione specifica del nome della città (come usa fare in circostanze analoghe), perché l’Aquila ancora non esisteva; BARTOLINI SALIMBENI 1993, p. 45, i francescani si insediarono in posizione privilegiata, all’incrocio dei principali assi viari cittadini: il decumano che collegava da Est a Ovest la porta Leoni con porta Barete in direzione Roma, e l’asse Nord‐Sud, tangente alla piazza del Duomo o del mercato.
minori dell’Aquila, con la quale permetteva ai francescani e alle francescane di ritenere le restituzioni usuraie e furtive qualora se ne ignorassero i rispettivi proprietari, sia della concessione (6 agosto 1256) di quaranta giorni di indulgenza ai religiosi della comunità aquilana nelle ricorrenze delle feste di san Francesco, sant’Antonio da Padova e di santa Chiara d’Assisi29.
Quando il 21 gennaio 1257 il vescovo si insediò nella nuova sede aquilana stipulò una convenzione con il clero di Forcona e Amiterno in cui risultò il nome del guardiano del convento di San Francesco: Fra Tommaso da Onna. Nello stesso documento si trova citato prima del nome del francescano, quello del domenicano frate Giacomo da Amiterno30.
L’episodio di obbedienza al vescovo è stato ricordato dall’Antinori (e ripresentato dal Petrone) che dopo aver discusso del superiore dei francescani e dei domenicani, colloca i fatti al 1258, e aggiunge:
“Cominciavano in questo tempo nell’Aquila queste due religioni ad avere conventi, e vi stanziavano già i religiosi. Benché contemporanei, il primo luogo lo ebbero i domenicani, e così fu sempre continuato nelle processioni e negli altri atti ecclesiastici.”31
Quanto detto dall’Antinori rispettava la volontà del fondatore dell’Ordine Francescano di volere sempre l’ultimo posto per i suoi frati, ma al contempo segnala una prima presenza domenicana all’Aquila. La partecipazione di frate Giacomo di Amiterno sembra coincidere con la volontà del Capitolo Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori del 1255, tenutosi a Milano, di aprire un
29 PETRONE 1978, p. 8.
30 Idem, p. 9. 31 Ibidem, nota 7.
convento all’Aquila32. Un’ipotesi secondo il Carderi confermata da un atto notarile stipulato in data 8 luglio 1258:
“in civitate Aquile in horto Sancti Dominici de locali de Pile ad locum Fratum Praedicatorum […] anno 1258, mense Iulii die 8 eiusdem, I Indictione, tempore Alexandri Pape IV Pontificatus eius anno IV, et Regnante Rege Conrado Sicilie […] anno eius V, per notarium Philippum de Saxa.”33
Se tale documento prova l’effettiva esistenza di un luogo appartenente ai Domenicani, altrettanto non si può affermare rispetto all’avvenuta fondazione del complesso conventuale. Sempre secondo il Carderi i lavori del convento e della chiesa sarebbero compresi nel ventennio tra il 1260 e il 1280; periodo relativo al buon governo di Niccolò dell’Isola e alla rinascita della stessa città dopo la distruzione di Manfredi (1259)34.
L’ira dello Svevo non risparmiò neanche il convento di San Francesco, che fu riedificato con il concorso dei benefattori e i sacrifici personali degli stessi frati. In breve tempo esso diventò il centro politico, culturale e spirituale della città; la sua mole, ancora più cospicua della precedente, permise di divenire la sede stessa del Comune per le diete straordinarie35. Una testimonianza che riesce a
32 CARDERI 1971, pp. 8‐9, Fra Giacomo da Amiterno era un dotto predicatore e religioso
esemplare che ebbe l’incarico nel 1251 dal Capitolo provinciale romano di Priore Provinciale nella Sicilia di Manfredi; D’ANTONIO 2007, p. 457, nel 1255 doveva esserci una città sufficientemente grande, popolosa e in rapida espansione da indurre alla costruzione di un nuovo insediamento.
33 VALERI 2011, p. 15, 222, nota 34, le informazioni contenute nel documento farebbero pensare
a una distinzione per Locali avvenuta già per l’epoca sveva e precedente alla distruzione di Manfredi del 1259 cfr. CARDERI 1971, p. 9, nota 10‐11, anche dei documenti della confraternita di Santa Maria della Pietà dell’Aquila provano la presenza Domenicana in città.
34 CARDERI 1971, p. 39.
35 Statuta Civitatis Aquile, cap. 107, pp. 86‐87; CHIAPPINI 1949, pp. 48‐49; PETRONE 2000, p. 92,
far comprendere l’importanza della presenza francescana nei primi momenti di vita cittadina.
Nello stesso tempo l’Ordine dei Frati Predicatori cominciava a insediarsi stabilmente nel tessuto cittadino tanto che nel convento aquilano nel 1284 fu tenuto il Capitolo provinciale; scelta dettata per una maggiore funzionalità nell’accoglienza dei frati, rispetto agli altri conventi abruzzesi di Sulmona e Penne36. Nel 1288 ottenne lo stabilimento di uno Studio Provinciale affidato a fra Francesco di Aspra, poi nel 1290 un nuovo Capitolo Provinciale migliorò lo Studio Provinciale in una vera facoltà filosofica sotto la guida di esperti Lettori come: fra Nicola Gozoli di Siena (1291) e fra Gentile de l’Aquila (1292).
Quando fu eletto papa Celestino V nel 1294 dispensò privilegi sia ai Domenicani, sia ai Francescani. La stima avuta per la famiglia domenicana si riflesse nell’affidamento della cattedra vescovile aquilana, vacante da alcuni anni, al Domenicano, Nicola da Castroceli (fra Leonardo Romano)37. Un’altra dimostrazione di particolare attenzione del pontefice fu il Breve del primo settembre 1294, con il quale tutti i conventi situati nel Regno di Napoli furono sottratti alla giurisdizione del Provinciale Romano, ed entrarono a far parte della nuova Provincia Napoletana38.
Quanto ai Francescani, il 2 settembre 1294 Celestino V dichiarava che non solo i frati ma anche i Terziari francescani dell’Aquila erano esentati da tasse straordinarie ed erano dispensati a comparire dinanzi ai tribunali, qualora fossero stati citati da giudici secolari39.
36 CARDERI 1971, p. 40, nei documenti ufficiali dell’Ordine (Atti dei Capitoli della Provincia
Romana) si specifica il convento “apud Aquilam” di cui si ha notizia solo a partire dal 1283, citato insieme ai conventi di Sulmona e Penne che saranno sottoposti all’ispezione di fra Paolo d’Aversa. 37 Idem, p. 41. 38 Ibidem 39 PETRONE 1978, p. 13, nota 18, i terziari essendo ecclesiastici godevano del privilegio del foro cfr. PETRONE 2000, pp. 132‐135.
All’inizio del XIV secolo l’importanza dei due Ordini si consolidò sempre più sia nell’organizzazione della vita cittadina, sia nella partecipazione alla gestione del potere in città. In primo piano risaltava il diploma stipulato il 24 febbraio 1300 tra i Frati Predicatori e Carlo II d’Angiò, loro mecenate e protettore. L’accordo prevedeva la cessione del suo Palazzo coll’orto sito accanto al convento dei Domenicani, per costruirvi una nuova e maestosa chiesa40. Il sovrano legato da una profonda amicizia con i Domenicani (ai quali affidava nel suo regno il compito di Inquisitori) continuò a elargire favori per il convento aquilano: prima con l’ordinanza del 1304 che permetteva di poter utilizzare la stessa acqua del Comune, poi nel 1308 promuovendo delle donazioni per la nuova chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena a cui partecipò posando la prima pietra41.
I lasciti delle nobili famiglie aquilane (dei Gianvilla, degli Alessandri, dei Pica e degli stessi Camponeschi) furono un elemento determinante anche per il convento di San Francesco, soprattutto dopo il tremendo sisma del 1315. Esso insieme alla chiesa fu ampliato e ricostruito in un meraviglioso stile gotico42. Si sviluppò un apprezzabile Studio Provinciale, dove si impartivano lezioni di trivio e quadrivio, filosofia e teologia da insigni maestri: fra Pietro da Tornimparte detto “lo Scotello”, fra Andrea da Gagliano, Tommaso d’Irlanda43.
40 CARDERI 1971, p. 44, il patto fu stilato alla presenza di Bartolomeo di Capua, gran
protonotario del Regno.
41 SIGNORINI 1868, pp. 261‐262, l’arricchì di un prezioso Reliquario e con un Diploma
imperiale dichiarò regio il convento, ponendolo sotto la protezione sua e degli eredi.
42 Emidio Mariani, Memorie Istoriche della città di Aquila, p. 84r, gli stemmi delle famiglie nobiliari
risultavano in varie parti della chiesa e della torre campanaria; MURRI 1996, p. 190, la chiesa fu distrutta nel 1878 per ingrandire Piazza Palazzo e i Portici. Attualmente ne rimane solo il campanile, ed è sede del: Liceo Ginnasio, Convitto Nazionale e Biblioteca Provinciale.
43 Sulle personalità famose per scienza e santità che vissero nel convento cfr. PETRONE 1978,
pp. 17‐20; PETRONE 2000, pp. 92‐94, Tommaso d’Irlanda non prese mai i voti perché si riteneva indegno di ascendere all’Ordine sacerdotale.
Non molto distante dai due conventi, stava sorgendo già da alcuni anni il convento dei Frati Agostiniani44. Nel 1282 furono chiamati dal vescovo Nicola da Sinizzo dalla sede fuori città di Sant’Onofrio per insediarsi nel Locale di Bagno, uno dei castelli che aveva dato vita alla città, dove sorgeva la chiesa di San Tussio45. Difatti il 22 marzo dello stesso anno, su pressione degli Agostiniani, fu stipulato l’atto per la costituzione del convento tra il notaio Berardo del fu Tommaso di Bagno, cittadino aquilano e Rainaldo di Bartolomeo di Bazzano, regio giudice e baiulo dell’Aquila46.
La solenne cerimonia per la celebrazione della fondazione avvenne alla presenza: del vescovo (che si mosse processionalmente dal vicino episcopio nella piazza grande), del capitano regio e di una numerosissima folla convenuta da tutti i Locali. Dopo il cerimoniale e la retorica invocazione ai Santi, Nicola da Sinizzo benedisse la prima pietra d’angolo, appena deposta dai muratori e dichiarò che chiunque avesse aiutato con la donazione di beni l’edificazione della chiesa avrà quaranta giorni d’indulgenza sulla iniuncta penitentia47.
L’insediamento del convento agostiniano rientrava nella congiunta azione politica del vescovo e della magistratura cittadina miranti a favorire la presenza degli Ordini Mendicanti all’interno della città, in quanto essi:
“costituivano il tessuto connettivo culturale in senso lato della città e allo stesso tempo rappresentavano con la loro presenza il grado d’importanza che la città stessa aveva raggiunto.”48
44 Sull’Ordine Agostiniano cfr. RANO 1974, pp. 278‐302.
45 MURRI 1996, p. 167, nel 1295 la chiesa di San Tussio sarà incorporata nel nuovo convento
agostiniano per volontà di Nicola Castroceli.
46 CLEMENTI 1989, p. 7, alla stipula dell’istrumento assistettero molti testimoni, provenienti dai
vari Locali della città.
47 Idem, p. 17‐18, nota 12, inoltre concesse al convento il diritto di sepoltura e altri diritti di rito. 48 Idem, p. 28, Nicola da Sinizzo manteneva alta la sua linea politica di aumentare il
Allo stesso modo dei Domenicani e dei Francescani, gli Agostiniani raggiunsero rapidamente molta notorietà già all’inizio del XIV secolo, momento in cui divenne la sede di uno Studio generale49.
La scelta del luogo per l’edificazione del convento agostiniano non fu casuale, ma rispondeva a una precisa logica urbanistica all’interno del tessuto urbano. Esso fissava, insieme al convento dei Francescani e dei Domenicani, una precisa relazione che si traduceva in un preciso schema a triangolo, in cui le rispettive chiese occupavano i vertici e avevano per baricentro il centro cittadino. Ciò permise di ripartire il centro urbano dell’Aquila in tre zone d’influenza, mantenendole altresì scevre da insediamenti religiosi concorrenti50.
Dal legame tra le massime autorità dei tre Ordini e le magistrature ne scaturì un tacito accordo che vide i primi consolidare la loro presenza nella nuova città in cambio sia di protezione, che di utilizzo delle loro strutture da parte dei secondi. Tali attenzioni si possono desumere dagli Statuti della Confraternita di Santa Maria della Pietà approvati nel 1265 da papa Clemente IV, e poi confermati nel 1363. Qui si ricorda: l’indulgenza di centoquaranta giorni concessa dal Domenicano Aldobrandini Cavalcanti (vescovo di Orvieto e dal 1272 vicario a Roma di papa Gregorio X); l’ammissione della Confraternita ai privilegi dell’Ordine Francescano per volontà di san Bonavetura (Ministro Generale dei Minori dal 1257, fino al luglio 1274 mese della sua morte), poi dell’Ordine Domenicano come richiesto da fra Sinibaldo de Alma di Pisa
menzionata abbazia di Santa Maria di Collemaggio (1287) e il monastero cistercense di Santa Maria Nova dentro le mura (1292) cfr. BERARDI 2005, p. 157, nota 33.
49 VALERI 2011, p. 223, nota 44.
50 GUIDONI 1981b, pp. 136, 138‐139, la distanza minima tra i conventi era fissata a 300 canne
secondo la bolla di Clemente IV del 20 novembre 1265; D’ANTONIO 2007, pp. 455‐456, esistono esempi rinvenibili in molte città dell’epoca come: Siena, Orvieto, Amatrice, Cortona, ma anche in città abruzzesi come Atri, Chieti e Teramo.
(Priore della Provincia romana) e infine dell’Ordine Agostiniano per decisione del Priore frate Clemente51.
Gli Ordini Mendicanti favorirono urbanizzazione e l’importanza della nuova città lungo tutto il XIV secolo. Periodo in cui si consolidarono sempre più nel tessuto sociale, le nobili famiglie e ricchi mercanti, gli unici in grado di offrire ai numerosi frati nei conventi cittadini sufficienti mezzi per far fronte alle immediate necessità della loro vita quotidiana.
II.3 Gli albori dell’Osservanza francescana all’Aquila (secc. XIV e XV)
Il XIV secolo fu per la città dell’Aquila il periodo della grande fioritura mercantile52, ma non solo. Altri fattori, come la precaria instabilità politica, le catastrofi naturali e le pestilenze, condizionarono questo panorama di enorme prosperità.
Nel 1348 la grande peste si abbatté su tutta l’Europa e non risparmiò l’Aquila, dove morirono i due terzi degli abitanti. Un evento così traumatico che provocò una prevedibile inversione di tendenza: dal concentrarsi in città, al ritorno verso le ville o i castelli d’origine. Tale inclinazione si intensificò quando il 9 settembre 1349 l’Aquila subì danni gravissimi in seguito a un violento sisma. Ai crolli di edifici simbolo come: la chiesa di San Francesco, la chiesa capo di Quarto di Santa Maria Paganica e le stesse mura cittadine, bisognava aggiungere le circa ottocento vittime e le molteplici baracche di legno costruite per difendersi dal gran freddo di quei giorni53.
51 VALERI 2011, p. 15, le Confraternite, nate per iniziativa degli stessi Ordini Mendicanti,
svolsero un ruolo fondamentale di stimolare la vita religiosa delle popolazioni, da poco inurbate, ma soprattutto la loro promozione civile.
52 CLEMENTI 1998 [2011], pp. 52‐61; HOSHINO 1990, p. 314‐317.
53 PETRONE 1978, p. 21, le macerie della chiesa di San Francesco a Palazzo furono trasportate a
L’abbandono della città sarà però contrastato dal conte Lalle Camponeschi, nobile potente che aveva un profondo ascendente sul popolo aquilano54. Egli governava l’Aquila (soprattutto grazie alla sua forza militare) e riuscì a imporre una ricostruzione dell’intero tessuto urbano, garantendo una rapida ripresa economica già pochi anni dopo55. La fedeltà che i cittadini aquilani gli accordarono era dovuta alla sua linea politica che mirava a integrare città e contado per liberarli dalla stretta morsa del potere feudale, in cui era costretto lo stesso Regno (agitato sempre più da futili e incomprensibili faide dinastiche)56. Questo atteggiamento non piacque alla Corona, che ben conosceva la troppa sfiducia nutrita da Lalle verso la corte napoletana. Così il nobile aquilano cercò di far valere la sua linea politica approfittando della faida di successione al trono, ma con un gioco diplomatico quanto pericoloso troverà la morte, il 2 luglio 1354, per mano di un sicario inviato da Filippo di Taranto57. La prima reazione degli aquilani alla morte del Camponeschi fu immediata e violenta, tanto che fu assalito il palazzo regio e il capitano costretto alla fuga. Il grande disorientamento della perdita di chi avrebbe potuto garantire una politica autonoma fu subito compensato dalla paura di vendette regie a causa del saccheggio del palazzo capitanale. Così la popolazione invitò il Conte di Celano affinché governasse la città, ma rifiutò. Egli in segno di amicizia volle solo aiutare gli aquilani per trovare una soluzione d’emergenza, che arrivò durante il Parlamento Generale tenuto nella chiesa di San Francesco58. Qui
54 Ordinò subito che fosse costruita una staccionata in legno per sostituire le parti lese delle
mura civiche cfr. PARTNER 1974, p. 575. 55 BERARDI 2011, p. 22. 56 CLEMENTI [1998] 2011, p. 46, i Camponeschi favorirono l’affermarsi del: progresso delle Arti, produzione, libertà e scambi commerciali. 57 Le vicende storiche sono state ricostruite egregiamente dal Clementi cfr. Idem, pp. 47‐48. 58 PETRONE 1978, pp. 22‐23.
furono eletti sessantotto cittadini, che investiti di ogni autorità ressero la cosa pubblica.
Il primo atto fu di invitare Filippo di Taranto alla pace e dopo una complessa vertenza si accordarono sul versamento di duecento fiorini per i danni subiti dal palazzo regio59. La pace sarà comunque accolta dal re che affidò, sempre nel 1354, il reggimento del potere cittadino alle Arti60. Le Arti erano composte dai Letterati, Pellettieri, Metallieri, Mercanti e Nobili (o Cavalieri) e i loro rappresentanti erano eletti dal capitano regio, fra dieci proposti dal Consiglio, andando definitivamente a sostituire la Magistratura dei sessantotto.
Il conseguenziale periodo di pace fu essenziale sia per la riparazione dei danni del terribile terremoto, sia per la ripresa economica attraverso le annuali fiere. Quest’ultime si svolgevano principalmente in occasione delle festività religiose e avevano una forte attrazione verso i mercanti, forestieri e pellegrini61.
L’improvvisa epidemia di peste del 1363 determinò poi una nuova crisi demografica che il governo delle Arti cercò di arginare rivolgendosi alla regina Giovanna. Essi ottennero un diploma che permetteva agli abitanti di condizione agiata di venire a dimorare e a fabbricare case in città, mentre agli abitanti fu data la possibilità di edificare castelli e fortini62.
I vari flagelli della peste, del terremoto e delle guerre interne, furono dimenticati quando nel 1376 si svolse nel convento di San Francesco il Capitolo generale dei Frati Minori. In uno dei punti focali della vita sociale della città, dinanzi al palazzo del rappresentate regio e del Comune, duemila frati si
59 CLEMENTI [1998] 2011, p. 50.
60 Ibidem, non si possiede la concessione del 1354, ma un diploma del 1371 della regina Giovanna
relativamente all’elezione di rappresentanti delle Arti; in un momento in cui la categoria dei Mercanti fu meglio definita come “arte della lana coi mercanti”, mentre scomparve l’Arte dei Nobili o Cavalieri, alla quale sottentrò quella dei Macellai cfr. LOPEZ 2001, pp. 84‐85.
61 BERARDI 2005, p. 169.
62 Ibidem, tra le vittime della peste ci fu anche il cronista Buccio di Ranallo ed esponenti delle
ritrovarono per partecipare al Capitolo e ragionare su questioni teologiche, assistiti da una grande folla di fedeli63. L’adunanza francescana era stata accolta con grande entusiasmo dal vescovo Paolo Rainaldi di Bazzano e rinnovò i rapporti d’amicizia con l’Ordine tanto da proporre al rieletto Ministro Generale, fra Leonardo Rossi de Griffo, di guidare la processione del Corpus Domini. La decisione sancì la completa rottura con l’ambiente domenicano, titolare da sempre della cerimonia, ed enfatizzò la precaria vita sociale e comunitaria aquilana degli anni successivi; incrementata poi del Grande Scisma vissuto in quegli anni dalla Chiesa, peraltro con la simultanea presenza in città di due vescovi domenicani e scismatici: Berardo da Teramo e Giacomo Donadei64. Dal caos non era esulato lo stesso Ordine Francescano che divise la loro obbedienza tra il vescovo di Roma e l’antipapa di Avignone. Il Ministro Generale fra Leonardo Rossi de Griffo apparteneva all’obbedienza avignonese, essendo consigliere regio della regina Giovanna, francese e di sangue reale65. La divisione interna alla Chiesa durò quasi un quarantennio, creando un disorientamento morale e teologico nei fedeli: i pontefici erano pronti a tutto pur di avere sudditi da comandare; i religiosi di tutti gli Ordini accoglievano privilegi e nuove norme, che sminuivano le Regole dei loro fondatori e imborghesivano la vita religiosa.
Chi riuscì a risollevare le sorti di questa malsana situazione religiosa furono alcuni frati in seno all’Ordine Francescano, che decisero di rinunciare ai privilegi pontifici ammessi ai frati residenti nei conventi cittadini, per dedicarsi a una più stretta osservanza della Regola e del Testamento di san Francesco66.
63 PETRONE 1978, p. 24. 64 COLAPIETRA 2007, pp. 15‐17, il vescovo tolse la processione ai Predicatori perché il popolo gli era loro contrario. 65 PETRONE 1978, pp. 27‐28, anche l’Ordine Francescano si trovò in questi anni con due o tre Ministri Generali; sulla crisi del papato cfr. PETRONE 2000, p. 136. 66 SCHMITT 1980, p. 1022.
La fondazione del movimento dell’Osservanza si deve a fra Paoluccio di Vagnozzo Trinci da Foligno, che nel 1368 chiese il permesso al Ministro Generale, Tommaso da Frignano, di riaprire un romitorio nei pressi di S. Bartolomeo di Brogliano67. I primi tempi furono molto difficili a causa delle dure condizioni di vita a cui erano sottoposti i primi discepoli, ma la comunità si rinforzò con l’arrivo di uomini avvezzi a questa vita: Giovanni da Stroncone, Francesco da Fabriano, Angelo da Monteleone, Pietro di Narbona. Nella loro solitudine questi religiosi si adoperarono per ricondurre l’Ordine al suo antico splendore, non contrapponendosi alla stessa comunità ma sempre alle dipendenze dei superiori, preferendo solo vivere in luoghi più poveri. Furono definiti dal popolo “Zoccolanti” perché calzavano sandali di legno per proteggersi dall’impervio terreno e dai numerosi rettili. Il saggio comportamento assunto da fra Paoluccio permise alla riforma dell’Ordine di essere appoggiata da vari Ministri Generali: sotto la guida degli abruzzesi fra Pietro da Cansano e fra Antonio Angelo Veniti da Pereto, l’Osservanza si diffuse anche in Abruzzo68. Il primo fu eletto Ministro Generale nel Capitolo di Parma (1383 ca.) e si mostrò benevolo verso questo movimento tanto da permettergli di accogliere aspiranti seguaci da ammettere al noviziato; il secondo mentre fu eletto nel Capitolo di Monaco di Baviera del 1402 e favorì l’elezione dei vicari provinciali dell’Osservanza.
Fra Antonio da Pereto ebbe una ben più ampia risonanza nella comunità francescana sia perché si trovò a guidare l’Ordine nel periodo più intenso dello Scisma, sia perché convocò nel 1408 un Capitolo all’Aquila (per discutere a quale papa prestare obbedienza e valutare se partecipare o meno al Concilio di 67 Idem, p. 1023, fu lo stesso luogo in cui tredici anni prima si ritirò Giovanni della Valle insieme a quattro confratelli per vivere nella più assoluta rinuncia, ma furono condannati come eretici cfr. DI VIRGILIO 2002, pp. 59‐60. 68 MARINANGELI 2007, p. 40.
Pisa); per l’arbitraria decisione fu deposto dal papa Gregorio XII. Ma fra Antonio continuò a dirigere l’Ordine consapevole che la maggioranza dei frati gli restò fedele, e ciò gli fu confermato quando venne rieletto Ministro Generale dopo la fine dello Scisma69.
Un altro provvedimento fu preso dal Ministro abruzzese durante il Capitolo aquilano, ma forse al tempo non si potevano immaginare i gloriosi futuri sviluppi che avrebbe portato sia per la riforma Osservante, sia per la stessa città dell’Aquila: l’autorizzazione alla predicazione del giovane Bernardino da Siena.
II.4 Il convento di San Giuliano: dalla fondazione alla soppressione
Nel XV secolo la santa predicazione di Bernardino da Siena era coadiuvata da altre insigni personalità: Giovanni da Capestrano, Giacomo della Marca e Alberto da Sarteano. Essi furono definiti le “quattro colonne dell’Osservanza”; un epiteto conquistato proprio per il loro straordinario lavoro svolto nella propaganda in Italia e in Europa delle idee di fra Paoluccio Trinci e per l’insegnamento, ai propri seguaci, di coltivare lo studio delle lettere sacre e di quelle profane70. La regione abruzzese accolse fin da subito i discepoli del Trinci, tanto che sul finire del Quattrocento si potevano contare venti nuove fondazioni sorte principalmente dietro la spinta di Giovanni da Capestrano e di altri insigni religiosi come fra Domenico da Genova e fra Giovanni da Stroncone71. Quest’ultimi gettarono il primo seme dell’Osservanza in Abruzzo, ma la prima fondazione avrà luogo nel 1415 non lontano dalla città dell’Aquila proprio per opera di fra Giovanni (Vicario dei Frati Minori Osservanti e69 PETRONE 1978, pp. 27‐29.
70 SCHMITT 1980, pp. 1024, 1028‐1029; DI VIRGILIO 2002, p. 61, perché tutto ciò che è humanitas
è opera di Dio e a Lui deve ritornare.
successore di Paoluccio Trinci) e del nipote Girolamo, anch’egli proveniente da Stroncone, nella vicina Umbria72. Essi decisero di situare il piccolo insediamento conventuale nei pressi di Santanza, sulla parte mediana della collina dirimpetto alla città, grazie alla donazione di una porzione di terreno di proprietà di Nunzio della Fonte (o Fontavignone): aquilano appartenente all’emergente ceto mercantile del Quarto di Santa Maria Paganica e appaltatore della zecca cittadina73. Secondo il Colapietra tale localizzazione:
“ […] è già di per sé emblematica, a dominare la piana di Santanza donde era scaturito un secolo prima l’acquedotto di Guelfo da Lucca, con alle spalle i pascoli e i boschi, a mezza strada tra la pastorale impervia Collebrincioni e le antiche comunità feudali di Coppito e San Vittorino, dirimpetto alla città, vi si raccolgono un po’ tutte le caratteristiche e le componenti che avevano dato luogo al primo secolo e mezzo di vita civile aquilana […]”74
Il piccolo convento già si configurava ricco di richiami all’identità cittadina aquilana e forse per tali motivi che i frati fondatori rifiutarono la proposta di insediarsi in altri conventi esistenti come Sant’Onofrio o San Lorenzo delle Serre. Essi erano più simili a eremi che a sedi per una comunità Osservante avente un suo stile di vita e di organizzazione75.
72 ROSATI 2008, p. 24, non si avrebbe la certezza che la paternità della fondazione spetti anche
al nipote Girolamo; CHIAPPINI 1926, p. 28, indica anche la presenza di fra Domenico da Genova cfr. BARTOLINI SALIMBENI 1993, nota 13, p. 102. 73 Anton Ludovico Antinori, Annali, vol. XIV, c. 110; Luca Wadding, Annales Minorum, aa. 1377‐ 1417; FALCONIO 1913, p. 228, da una descrizione leggendaria della fondazione: “ [Giovanni da Stroncone] mentre osservava i dintorni di quella contrada, […] la quale giace fuori città [scorse] un globo di fuoco, che dal cielo cadeva nella valle opposta e pareva volesse designare il luogo, in cui si dovesse costruire quell’edificio: là, disse agli astanti, là piace a Dio che noi abitiamo”; su Nunzio della Fonte cfr. COLAPIETRA 1984, pp. 108‐109. 74 COLAPIETRA 1984, p. 105.
75 Idem, p. 106, essi erano troppo radicati nel mondo della montagna e troppo simili a un
L’edificazione del piccolo convento avvenne in tempi rapidissimi, accanto alla preesistente chiesa di San Giuliano. Dopo un solo anno grazie all’operosità di alcuni frati (tra cui si distinse la mirabile personalità di fra Tommaso da Cascina) fu abitato da confratelli desiderosi di una vita eremitica ispirata ai primitivi ideali di umiltà e povertà della Regola, ma non solo76. Nel 1420 di ritorno da Perugia l’osservante fra Giovanni da Capestrano arrivò nel convento di San Giuliano, ma in seguito all’assedio di Braccio da Montone (1423) il Capestranese preferì andare in città e dimorare nel convento di San Francesco a Palazzo, per essere più vicino alla popolazione e adempiere al suo ruolo di predicatore itinerante77. Egli amava intensamente la città dell’Aquila e nei brevi momenti di pausa vi ritornava dimorando nel convento di San Francesco, senza però disdegnare di far visita ai suoi fratelli nel “lochetto di San Giuliano”78, che non lontano dalla città si raggiungeva facilmente e lì poteva ricaricarsi moralmente e spiritualmente.
Questa caratteristica rispondeva alla logica delle fondazioni osservanti che si mantenevano vicine alle grandi città, situandosi nella campagna circostante con le loro strutture semplici ed essenziali79. San Giuliano era inoltre strettamente legato sia alle vicine vie di comunicazione per Roma e per il nord‐Italia, che ai
76 PETRONE 2000, p. 183; MARINANGELI 2007, p. 41, secondo le cronache di fra Bernardino da
Fossa e fra Alesssandro de Ritiis i primi frati “osservanti” provenivano dagli eremi di San Nicola alle Cafasse di Arischia e dal romitorio di San Martino in Chiarino, in cui vivevano in una specie di comunità.
77 SIGNORINI 1868, pp. 291‐292, il Signorini riprendendo il Massonio commenta: “[Giovanni da
Capestrano] ebbe nel convento una cameretta ornata di colori nel soffitto, congiuntovi uno studiolo ornato al modo stesso; ed era quella non solo da tutte separata, ma posta in remoto luogo, e servivagli lo studiolo per istudiare e per meditare”; PETRONE 1978, pp. 31‐32.
78 BASCIANI 2001, pp. 255‐256, così definito da Giovanni da Capestrano in una sua lettera agli
aquilani nel 1451.
79 PELLEGRINI 1980, p. 71, per poi puntare in futuro a grandiose fondazioni nel centro cittadino
viandanti e ai pellegrini (come farebbe pensare la stessa consacrazione al Santo Ospitaliere80) tanto da configurarsi come: “[…] punto d’incontro e di sutura tra la città e la montagna, tra la vita eremitica e quella conventuale, tra le acque ed i boschi dei pastori ma anche a vista della via per Roma e di quella umbro‐marchigiana della porta Barete.”81
La favorevole posizione geografica unita alla concessione di papa Martino V, del 1426, di accogliere nuove vocazioni fece si che nel convento si riunissero numerosi religiosi. Essi si muovevano intorno alla suggestiva figura di Giovanni da Capestrano che al tempo era impegnato nella delicata situazione di scardinamento della posizione di privilegio ottenuta dagli ebrei in città82. Ciò garantì all’Osservanza di rafforzare la propria presenza istituzionale e il 12 marzo 1430 il vescovo Donadei procedette alla consacrazione della chiesa del convento di San Giuliano, il cui vicariato provinciale era affidato a Giuliano di
80 SIGNORINI 1868, nota 1, p. 294, fu intitolato a San Giuliano perché nella piccola cona vi era
pitturata l’effige del Santo; ROSATI 2008, nota 8, p. 18, il culto di san Giuliano Ospitaliere era molto popolare nella zona dell’aquilano come riportato dal Rosati e dedotto da uno scritto di Gabriele Sartorelli che riferisce anche sull’intitolazione: “Perché mai il convento fosse stato dedicato a san Giuliano che nacque ed operò il suo apostolato così lontano dall’Aquila, soprattutto in Francia e Belgio, è una curiosità che può essere appagata. In effetti la sensazionale leggenda di san Giuliano, che reo di un macabro delitto colposo, avrebbe espiato la colpa fino al sacrificio, martoriandosi al capezzale dei malati (donde l’appellativo di san Giuliano l’Ospedaliere) aveva colpito in modo particolare la sensibilità dei fedeli abruzzesi. I cantastorie, che girovagavano per le nostre piazze nel ‘400, conseguivano gli indici più alti di gradimento quando con voce stentorea intonavano: ‘Tucti laudemo l’alto Dio verace: / e la sua madre, Vergine polzella, / gli angeli e gli arcangeli, se a voi piace / tucti li Santi de la vita eterna, / de Sancto Giuliano con gran pace / se me ascoltate, vi dirò novella.’”cfr. SARTORELLI 1980, p. 15; si veda anche l’ottimo contributo di MARINANGELI 1989, pp. 57‐60. Sulla figura di san Giuliano si rimanda a FONIO 2008.
81 COLAPIETRA 1984, p. 119.
82 L’economia cittadina nel Quattrocento si stava evolvendo da economia pastorale‐mercantile
in economia mercantile‐imprenditoriale, al punto che la città dell’Aquila fu la più cospicua dopo Napoli e chiunque puntava ad averne il controllo ambientale e sociale cfr. Idem, pp. 120‐ 122.
Nunzio della Fonte, il figlio del fondatore83. Nel 1438 egli fu al centro di un increscioso episodio d’insubordinazione nei confronti dell’Ordine pretendo privilegi particolari come rimanere superiore a vita, data la sua amicizia con i Camponeschi e sulla generosità che la sua famiglia aveva sempre elargito all’Ordine. La situazione fu risolta solo da Bernardino da Siena, allora Vicario Generale dell’Ordine, dopo falliti tentativi di Giovanni da Capestrano, Antonuccio Camponeschi e altri influenti frati84. Una volta ristabilito l’ordine e la disciplina tra i frati, il Senese si trattenne in città alloggiando nel convento di San Francesco a Palazzo. In quei giorni era presente anche il re Renato d’Angiò, in cerca di aiuti militari per combattere gli Aragonesi; il sovrano pregò fra Berardino di predicare alla sua presenza. Così fu e per dodici giorni la cittadinanza raccolta dinanzi la chiesa di Santa Maria di Collemaggio ascoltò il predicatore della pace nel nome di Gesù85.
Il Santo ritornò all’Aquila nella primavera del 1444, dopo essere stato in continua peregrinazione in Italia, persuaso dell’idea che l’amico Giovanni da Capestrano si trovasse in Abruzzo. Durante il viaggio da Siena fu colpito da una tremenda febbre, tanto da giungere in città quasi esanime. La morte lo colse il 20 maggio 1444 in una stanza del convento di San Francesco, dove per sua volontà fu portato86. La morte di Bernardino da Siena, ormai considerato il massimo campione dell’Osservanza, provocò dei malumori tra Conventuali e Osservanti per la custodia e la guardia del corpo. Polemiche ancora vive qualche anno dopo, nel 1452, in occasione del primo Capitolo generale degli Osservanti indetto da Giovanni da Capestrano e per sua volontà svoltosi nel
83 Idem, p. 123; SIGNORINI 1868, pp. 296‐297. 84 PETRONE 1978, pp. 33‐34.
85 Ibidem
86 Idem, p. 36, la sera del 15 maggio giunti alle porte della città qualche frate gli indicò il monte
di Santanza alle cui falde era il conventino di San Giuliano, ma il Santo indicò la via che conduceva nel cuore della città nel convento di San Francesco cfr. MARINANGELI 1979.
convento di San Giuliano, rifiutando altresì la proposta dei frati del convento
intra moenia 87. Vi parteciparono più di millecinquecento frati i quali, data l’esiguità del convento, si accamparono nel bosco circostante sotto tende o dentro baracche.
Sul finire del secolo nel convento risiedeva una cospicua comunità di frati che si aggirava intorno ai trecento membri provenienti sia da altre regioni italiane, sia da diverse nazioni europee aumentando così il prestigio e il valore simbolico del convento. La presenza di religiosi stranieri di varie nazioni favorì lo sviluppo culturale di tutti i membri e rese più efficace la predicazione nella società, ormai così profondamente diversa da quella del XIII secolo88.
Altri illustri Frati Minori per santità e scienza legarono il loro nome a questo convento: Timoteo da Monticchio, Bernardino da Fossa, Filippo dell’Aquila e Vincenzo dell’Aquila. Le virtù profetiche di quest’ultimo lo resero famoso nella corte reale napoletana i cui membri gli si affidarono con fiducia e riguardo; il 6 luglio 1493 ricevette nel convento la visita della regina Giovanna, seconda moglie del re Ferrante d’Aragona89. Essa venuta all’Aquila per venerare i luoghi sacri fu poi accompagnata da fra Alessandro de Ritiis (che in quel tempo viveva in San Giuliano) a visitare il sepolcro di San Bernardino. Il frate nativo di Collebrincioni, vicino l’Aquila, si ritirò in questo convento per affrontare la stesura delle sue Cronache (di cui la più importante è senz’altro la Chronica
87 PETRONE 2000, p. 184, il Capestranese nell’occasione si mostrò polemico con i Conventuali
affermando: “Mi piace più un pane in casa mia che molte delicate vivande in casa altrui.”.
88 MARINANGELI 2007, p. 42.
89 Emidio Mariani, Memorie Istoriche della città di Aquila, 197v. cfr. ROSATI 2009, p. 410, alle
spalle del complesso conventuale un sentiero conduce nel bosco di San Giuliano, dove è presente l’eremo in cui il frate usava di solito per ritirarsi in meditazione. Morì nel convento il 7 agosto 1504 e il suo corpo, rimasto “incorrotto”, fu sistemato nel settore della chiesa dove solitamente si fermava in preghiera; fu consacrato Beato nel 1787 da Pio VI.
civitatis Aquilae, quale completamento e continuazione della Cronica di Buccio di
Ranallo)90.
Tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI il successo dell’iniziativa osservante portò al conseguente aumento del numero di religiosi e furono necessari dei lavori di ampliamento e sistemazione della primitiva struttura.
Nel 1517 si ebbe la definitiva scissione con i Conventuali confermata dalla bolla
Ite vos di Leone X, ma già qualche tempo dopo un’ulteriore riforma nacque in
seno alla famiglia Osservante: i Riformati, frati dediti a vivere una maggiore osservanza della regola; problematiche che si riversarono sul convento osservante aquilano, che nel 1593 passò ai Minori Riformati91. Essi lo ampliarono ulteriormente fino a divenire nel XVII secolo infermeria, luogo di studio e noviziato.
Con l’invasione francese del 16 ottobre 1798 sia la chiesa che il convento furono saccheggiati e privati di oggetti di valore devozionale e storico‐artistico, oltre che economico92. La soppressione degli Ordini religiosi del 1866 poi provocò la dispersione dei frati e il convento rimase abbandonato, fino a quando con i sacrifici di alcuni religiosi e con il generoso aiuto del duca Francesco Rivera il convento fu riacquistato dall’Ordine (1878) e riaperto al culto93.
Il 15 ottobre 1889 per l’elevato numero di studenti e per l’importanza del luogo, il convento di San Giuliano fu dichiarato “studio generale” con decreto del Ministro Generale p. Luigi Lauer94
90 CHERUBINI 1991, p. 139.
91 SCHMITT 1980, p. 1031; BASCIANI 2001, pp. 256‐257.
92 Furono profanate anche le spoglie del beato Vincenzo che verranno successivamente
ricomposte cfr. ROSATI 2009, pp. 409‐410.
93 L’Aquila, Archivio Diocesano, Monasteri e Conventi, San Giuliano, Rapporti con autorità
ecclesiastica, S. Sede, Testimoniali della famiglia Rivera, a. 1877.
94 PETRONE 2000, p. 352, dal 1694 al 1894 il convento è stato usato come sede del Capitolo