I decreti Gullo
L’autunno 1944 segnò, alla fine della guerra, la ripresa di un vasto e importante movimento di lotta nelle campagne; si assistette ad occupazioni spontanee di terre ed esperienze locali di autogoverno che conversero in una protesta con caratteristiche di organizzazione più consapevole in rapporto alle esperienze precedenti e che trasse la propria forza dalle leggi di Fausto Gullo, Ministro comunista dell’Agricoltura.
Dagli scritti di Li Causi: “L’antica aspirazione dei contadini siciliani alla terra si acuì, negli anni seguenti la cessazione delle ostilità, sia per il rientro degli ex combattenti sia per la disoccupazione bracciantile dovuta alla insufficienza delle imprese agricole padronali.
Erano infatti interessati al conseguimento del possesso di terre da coltivare i mezzadri che non riuscivano ad impiegare nelle “tenute” già possedute tutte le possibilità della loro impresa contadina, i contadini che rientravano dalle forze armate ed i braccianti che non avevano mai avuto a disposizione una sufficiente offerta di occupazione bracciantile e che, come sempre, si vedevano negate dai concedenti anche le tenute più piccole e meno favorevoli.
[…*IL decreto Gullo sulla concessione delle terre incolte o mal coltivate risultava specialmente adeguato alla situazione siciliana. Con esso si ripeteva, sia pure
con maggiori cavilli e limitazioni, l’esperimento appena tentato nell’altro dopoguerra col decreto Visocchi, accentuandone e valorizzandone la funzione benefica relativa alla soluzione del problema alimentare del Paese e dell’aumento della produzione del grano.1
« Egli cercò, con una serie di decreti che vanno dal luglio 1944 in avanti, di spezzare l’equilibrio esistente nei rapporti di classe del Meridione rurale. Da ottimo avvocato qual era, Gullo presentò le sue proposte come una serie di provvedimenti contingenti di scarsa importanza. Eppure, in un momento tanto delicato per la costruzione dell’Italia futura, fu questo in realtà il solo tentativo attuato dagli esponenti governativi della sinistra di avanzare sulla via delle riforme.»2
Nell’annosa lotta per l’emancipazione dal degrado, dal sottosviluppo e dalla miseria che nel meridione d’Italia i contadini hanno condotto in ogni epoca con fiammate più o meno virulente, ma quasi sempre improduttive sul piano di risultati durevoli, i Decreti Gullo costituirono lo spartiacque che separò il sistema della rivolta più o meno spontanea e priva di una razionale organizzazione dalla costruzione di un organico intervento per condurre
1 Li Causi, Archivio Gramsci.
nell’alveo della legalità le rivendicazioni della classe contadina e la contrattazione collettiva nelle campagne meridionali.
Il “tentativo giacobino”3 del ministro Gullo cercò, infatti, di creare nel mondo
rurale le condizioni di un modello di aggregazione orizzontale di tipo operaio per il riconoscimento di interessi condivisi sostituendolo al modello verticale corporativistico, clientelare e localistico costitutivo del prevalente modello di società meridionale.
Le occupazioni delle terre nel meridione d’Italia e soprattutto in Sicilia si inquadrano quasi perfettamente nello schema di Hobsbawm i cui caratteri sono individuati nella coscienza contadina della identificazione di chi lavora la terra con chi la possiede, nell’esigenza di legalizzare questo diritto con strumenti giuridici e nella costante di verificarsi in momenti di crisi politica e sociale.
Nel caso delle occupazioni meridionali questi elementi sono tutti presenti: la crisi determinata dal crollo del Fascismo, la legittimazione fornita dai Decreti Gullo e la consapevolezza del diritto ai terreni ex demaniali, ferita non rimarginata di un sopruso subito.
3 A. Rossi Doria, Il ministro e i contadini, Decreti Gullo e lotte nel mezzogiorno1944-1949, Bulzoni editore, Luglio 1983,pag. 12
I decreti Gullo cadevano, dunque, nel momento in cui le variabili storiche concorrevano a farne l’evento atto a coagulare le spinte economiche, sociali e politiche maturate nei decenni passati e perciò, dopo un avvio tiepido, sia per diffidenza che per difficoltà di circolazione delle notizie, soprattutto nelle campagne, nel Meridione esplose in tutta la sua veemenza la sete di riscatto e di giustizia sociale ed economica conculcata per secoli.
Per la verità, la messa in opera dei decreti Gullo fu lenta e travagliata anche per le difficoltà dei sindacati ad organizzare un’efficace e capillare azione comune dei contadini, disseminati in tutti i piccoli paesini dell’isola; molto precarie e incerte erano anche le comunicazioni tra le organizzazioni sindacali dei capoluoghi di provincia ed i comuni per cui era estremamente difficoltoso anche solo far conoscere alle masse contadine l’esistenza delle leggi suddette e meno che mai organizzarli in associazioni che producessero domanda di concessione delle terre.
Cosi, alla fine del 1944 le domande prodotte dalle associazioni contadine in tutta la Sicilia risultavano essere appena 65.
Certamente il decreto assunse un valore ideologico notevole poiché dava concretezza alla minaccia comunista contro la destra sul suo nervo scoperto,
cioè la proprietà privata, mentre declinava la concessione delle terre dal punto di vista sociale e non propriamente produttivo.
Infatti, più che al miglioramento produttivo, il decreto risultava mirato alla collettivizzazione della terra e la cooperativa era vista da Gullo come la cellula dell’organizzazione futura del partito, posizione piuttosto anomala rispetto a quella del PCI che basava la sua politica agraria su un giudizio critico verso la «socializzazione della terra» di ispirazione socialista prefascista.
I decreti Gullo si susseguirono in un lasso di tempo brevissimo nell’immediato secondo dopoguerra:
Il 19 Ottobre 1944 fu pubblicato il 1° decreto, il n. 279(testo in appendice), che disponeva la concessione delle terre incolte e mal coltivate ai contadini associati in cooperativa; il 2°, n. 311, modificava i patti di mezzadria impropria, di colonìa e di compartecipazione.
In data 25 ottobre, sempre 1944, veniva invece emanato, col n.19, il 3° decreto che accelerava , esemplificandole, le procedure già presenti nella legge 25 settembre 1927 n. 37, sullo scioglimento degli usi civici e sulle quotizzazioni a favore dei contadini dei demani comunali.
Il primo decreto provvedeva ad assegnare terre eventualmente incolte o mal coltivate, presenti nei grossi feudi, ai contadini che si aggregassero in cooperative.
La portata dirompente di questa legge calata su territori in massima parte dominati dal latifondo è evidente, soprattutto se veicolata da una procedura che si presentava semplice e sfrondata da cavilli e tortuosità impossibili da decodificare per contadini analfabeti, poco avvezzi a frequentazioni leguleie e senza mezzi per affidarsi ad abili avvocati.
Se l’art. 1 del decreto, infatti, destinava l’assegnazione delle terre incolte alle cooperative e ne vietava la concessione individuale, non era però necessario che le cooperative fossero già costituite; queste potevano essere formalizzate in itinere, come chiariva una circolare dello stesso Gullo, secondo la quale bastava produrre la domanda accompagnata dall’atto notarile che attestava la costituzione della cooperativa.
La circolare però veniva disattesa, sei mesi dopo, dal decreto con le norme applicative della legge sull’esproprio delle terre incolte.
L’art. 2 del decreto attuativo, infatti, complica la procedura di domanda richiedendo alle cooperative di produrre “… tutti gli elementi necessari alla
esatta identificazione del fondo ed alla precisazione della sua estensione e stato di coltura”4
Le ricadute economiche di queste richieste devastarono le speranze delle cooperative perché presupponevano spese per sopralluoghi, avvocati, noleggio di automezzi ed altro con un esborso tale da scoraggiare la presentazione delle domande per impossibilità di copertura delle spese suddette da parte di contadini nullatenenti.
Prodotta la domanda di concessione, questa sarebbe stata esaminata entro il termine di venti giorni da un commissione tecnica composta, come recita l’art. 3, da un rappresentante dei lavoratori, da un rappresentante della classe dei proprietari terrieri, dall’ispettore agrario e presieduta da un giudice.
Secondo l’art. 5 del decreto n. 279, era poi il prefetto della provincia di appartenenza, dopo la decisione favorevole della commissione, che emanava il decreto di concessione, decreto che non era soggetto ad impugnazione né in sede amministrativa, né in sede giudiziaria.
Data, dunque, questa impalcatura legislativa, le radicali finalità del decreto ne risulteranno minate poiché a fronte di un solo rappresentante dei
Lavoratori erano presenti tre rappresentanti delle classi abbienti nelle persone del rappresentante dei proprietari terrieri, dell’Ispettore agrario e del Giudice la cui tendenza era di privilegiare la contiguità sociale con i baroni e favorire la proprietà privata anche per salvaguardare i propri beni che spesso consistevano in estesi appezzamenti di terreno.
I prefetti, inoltre, non si mostrarono mai molto solerti ad avviare la costituzione delle commissioni e chiaramente, neanche le operazioni di esame delle richieste.
Il sospetto di asservimento delle autorità alla classe reazionaria dei latifondisti fu avanzato da molti, come pure il convincimento che questi decreti sarebbero stati sabotati in ogni modo, e lo furono, come è comprovato da molteplici documenti e dalle rivolte dei contadini.( inserire documenti)
“L’applicazione si dimostra dura e difficile dato che veniva a danneggiare gli interessi dei Gabelloti che gestivano estensivamente le terre ed a mobilitare la resistenza accanita dei proprietari, che, con l’applicazione della legge nei loro confronti vedevano compromesso il loro predominio sulle masse contadine e consideravano la concessione come inizio parziale di riforma agraria e preludio di una totale espropriazione”.5
I decreti Gullo, come già ricordato, erano il tentativo di incanalare legalmente le richieste del mondo contadino ed evitare pericolose rivolte, ma le difficoltà di questa operazione dovevano essere ben presenti già allora se Grifone, stretto collaboratore del ministro, nelle sue istruzioni attuative, emanate nel 1945 , avvertiva: « Una volta presentata l'istanza alla Commissione [...] bisogna
promuovere tutta un'azione dall'alto e dal basso perché la istanza stessa venga sollecitamente accolta. Non bisogna addormentarsi fidando interamente nella buona volontà della Commissione. Occorre tener presente che, in seno ad essa, di fronte al rappresentante dei contadini c'è il rappresentante dei padroni (oltre al giudice che quasi sempre pende dalla parte dei padroni) e che è necessario quindi non abbandonare a se stesso il rappresentante dei contadini. Bisogna appoggiare la sua azione con un'opportuna agitazione di massa, bisogna insomma far sentire alla Commissione il peso della forza contadina e la solidarietà delle altre categorie di lavoratori [...] Siccome al lavoro delle Commissioni prende parte anche l'Ispettore agrario, bisogna far pressione anche su di lui, affinché non indulga, come troppo di sovente accade, alla tesi dei proprietari. Nei casi di più sfacciata connivenza, denunziare senz'altro pubblicamente i funzionari asserviti alle caste reazionarie»6
In effetti intorno ai Decreti si sviluppò, tra il 1943 ed il 1947, un’ampia mobilitazione popolare che si organizzò più o meno spontaneamente, ma con un sempre crescente intervento dei sindacati, e che interessò tutto il Sud con punte di grande rilievo soprattutto in Sicilia e fuse in un’azione decisa la memoria collettiva dei contadini e la mobilitazione organizzata e legalizzata per dare consistenza ad una legge dello stato finalmente a loro favorevole.
La voce della Sicilia, quotidiano organo di stampa del PCI siciliano che iniziava le
sue pubblicazioni il 9 giugno 1945, in pieno sviluppo delle lotte per l’applicazione dei decreti Gullo, riporta quasi giornalmente la cronaca di queste e dei soprusi che gli agrari misero in campo per eludere e, nei casi più estremi, sabotare con mezzi criminalmente mafiosi le disposizioni delle leggi sulle assegnazioni delle terre incolte ai contadini.
Così scriveva il quotidiano già nel suo primo numero, il 9 giugno ‘45
“ Contadini siciliani in agitazione per il rispetto dei Decreti Gullo”
Si estendono a buona parte della Sicilia le agitazioni dei contadini siciliani per l’applicazione dei Decreti Gullo contro cui si arroccano gli agrari che sostengono la loro inapplicabilità alla Sicilia per cui, in un primo momento si sono rifiutati anche di discutere la questione. In seguito questi hanno modificato
il loro atteggiamento proponendo un aggiustamento della legge per adeguarla alle condizioni della Sicilia ( leggi “i propri interessi”).
A questo scopo gli agrari hanno tentato di rompere l’unità sindacale dei contadini conquistando alle proprie posizioni alcuni esponenti della DC nelle Leghe.
Al fallimento di queste manovre, gli agrari rispondono con provocazioni e intimidazioni, diffidando i rappresentanti sindacali dal tenere comizi …
…In risposta alla posizione degli agrari il giornale esorta i contadini a serrare i ranghi e a non lasciar spezzare la propria unità. Infatti il giornale registra con soddisfazione ed enfasi l’insorgere dei contadini di Palermo accanto a quelli di Agrigento”.
Per i pochi anni in cui durarono le sue pubblicazioni il giornale denunciò puntualmente le inadempienze di prefetti che ordinavano di sospendere l’applicazione dei decreti col pretesto di doverne chiarire i termini o di farne dipendere l’applicazione della decisione della Commissione di bonifica del latifondo.
L’intolleranza degli agrari innescò così una rivolta che vide da una parte contadini affamati e nullatenenti, ma adesso meglio organizzati e spalleggiati da sindacalisti e politici che mettono le loro competenze al servizio di una radicale riforma, contro gli agrari che potevano contare su fiancheggiatori tra le fila anche delle forze dell’ordine, autorità amministrative e clero.
Ancora La voce della Sicilia il 16 giugno ’45 denuncia
- la pubblicazione da parte del sindaco di S.Cataldo di manifesti
intimidatori che mettono in dubbio l’applicabilità dei Decreti Gullo e la minaccia di denuncia per chi applica i suddetti decreti con l’accusa di istigazione a delinquere e sedizione per i rappresentanti dei mezzadri ( art. 414C.P);
- l’azione di diffida, da parte del maresciallo dei carabinieri di
Borgocascino, dei contadini che ricorrono alla commissione circondariale dichiarando che “ il decreto Gullo non ha valore di legge”( diffida nei riguardi del contadino La Paglia Giuseppe che ricorreva alla commissione circondariale per la revisione dei patti e l’azione di persuasione di un impiegato comunale, il segretario Vincenzo Catalano, per dividere il prodotto secondo i vecchi sistemi,avvalendosi di un presunto telegramma dell’Alto Commissario Aldisio che si esprimeva in tal senso, senza nessun rispetto per il dettato della legge del ministro Gullo);
- il prete di Ciminna che strappava in piazza il testo dei decreti Gullo con
parole ingiuriose e violente;
- un proprietario di Villafrati e uno di S. Giuseppe Jato che portano via con
l’inganno e la violenza tutto il prodotto, compreso quello che toccava al colono.
- L’arma locale dei carabinieri di Milocca si è rifiutata di intervenire per la
spartizione delle fave secondo le nuove leggi Gullo, mentre interveniva dopo per imporre ai braccianti la spartizione secondo i vecchi sistemi.
- A S. Giuseppe Jato [l’arma dei carabinieri] proibisce l’affissione dei
Decreti Gullo nella sede della Camera del Lavoro perché poteva essere motivo di disordini e sabota l’opera dei sindacati che pressano per l’applicazione di detti decreti.
- A Caltagirone si scatena una guerra di manifesti tra gli agrari che
sostengono la non applicabilità dei decreti in Sicilia e le organizzazioni contadine che spiegano come e perché essi siano da applicare soprattutto in Sicilia.
Nel n° 106 vengono messi in evidenza fatti criminosi di collusione con la mafia :
“Agrigento:la mafia e la magistratura al soldo dei feudatari
Il pretore di Aragona trasgredisce i decreti Gullo sulla proroga degli affitti e sfratta i contadini di S. Elisabetta;
A Campobello di Licata i proprietari della famiglia Sillitti( Gaetano, Alfredo ed Angelo) e Liotta sono stati denunciati dalla camera del lavoro di Ravanusa alla Federterra perché hanno assoldato personaggi tra la delinquenza locale per scoraggiarli dal dividere secondo il decreto Gullo nella raccolta delle olive.”
Queste poche testimonianze, scelte tra le moltissime giornalmente riportate dal quotidiano, rendono chiaramente l’idea del clima arroventato dalla feroce ostilità degli agrari che, forti del proprio potere misero in campo tutti i mezzi, per lo più illeciti, per boicottare o svuotare di significato i Decreti Gullo .
Purtroppo la loro subdola opera si innervava in una situazione di effettiva difficoltà di resistenza e di coordinamento dei contadini, favorita da interventi sulla legge posteriori alla estromissione del PCI dalla compagine di governo. L’art. 7, ad esempio, nella formulazione originaria, cercava di porre solide basi per promuovere lo sviluppo delle cooperative affermando il diritto dei concessionari ad “usufruire di tutte le agevolazioni consentite dalla vigente legislazione in materia di operazioni di credito agrario e di esercizio.” Come si vedrà, però, questo articolo sarà soppresso da Segni nelle revisione del Decreto del 1946.
Sarà proprio l’eliminazione della possibilità di accedere al credito che comprometterà lo sviluppo e la stessa esistenza delle cooperative che, abbandonate a se stesse, senza aiuti finanziari e tecnici, videro svanire le promesse di riforma e di riscatto che i decreti Gullo avevano alimentato.
La miccia che innescò, in Sicilia, le sollevazioni popolari può individuarsi in fattori contingenti ma di enorme disagio per la popolazione come la crisi
alimentare, il mercato nero che rendeva insostenibile il carovita per chi aveva pochi mezzi, l’inflazione che rendeva i salari quasi inutili anche per la semplice sopravvivenza, la disoccupazione dei contadini che, tornati dalla guerra, non trovavano la terra da coltivare, terra che durante il conflitto gli agrari avevano trasformato in pascoli per la mancanza di mano d’opera,ma soprattutto per il minore impegno economico che rendeva più remunerativa la loro conversione in zone da allevamento.
E infatti Anna Rossi Doria rileva giustamente che «per tutte le lotte agrarie di questi anni, e in particolare per le occupazioni delle terre, bisogna stare molto in guardia rispetto al rischio di applicare ad esse categorie e schemi provenienti dal movimento operaio urbano o da quello bracciantile settentrionale. Per i contadini di cui parliamo quel che conta è ottenere in qualunque modo e forma, la terra per far fronte alla disoccupazione. In questo senso si può sostenere che le occupazioni di terre sono solo una delle forme di lotta per il lavoro adottate dai contadini meridionali, spesso equivalente all’imponibile di mano d’opera e con essa interscambiabile .»7
In un clima , dunque, di diffuso ribellismo, nell’inverno ‘44/ ’45, maturò l’impegno del PCI alla lotta a fianco delle masse contadine, PCI che superati i
residui “distinguo” dottrinari, mise a fuoco chiaramente, col le parole di Cesare Sessa al Convegno delle Federazioni provinciali del gennaio 1945, la missione del partito che si coagulava sostanzialmente nell’assalto al latifondo e nell’utilizzo allo scopo di quegli strumenti che erano a loro disposizione, cioè le Leggi Gullo.
Il convegno perciò provvide alla costituzione della Lega regionale delle cooperative con Sessa alla presidenza e Renda alla segreteria.
La cooperativa risultava una forma associativa più rispondente alla situazione sia perché era la conditio sine qua non per ottenere l’affidamento delle terre in concessione, sia perché molti contadini erano disposti a divenire soci della cooperativa, ma non della CGIL a cui aderiva la Lega, per non affiliarsi ai partiti comunista e socialista; infatti si andarono costituendo più facilmente cooperative autonome con soci di diversa estrazione sociale, dai braccianti ai borgesi passando per i contadini senza terra e i coltivatori diretti e senza rapporti riconoscibili con la Confederazione del lavoro o con i partiti di sinistra.
Si aggirava così il Patto di unità sindacale siglato a Roma ed in Sicilia si ebbero quasi esclusivamente e in aperto antagonismo o cooperative bianche di formazione democristiana o coopertive rosse di orientamento comunista.
L’unità sindacale non si realizzò neanche intorno al secondo decreto, il
n. 311 che modificava i patti di mezzadria impropria, di colonìa e di compartecipazione.
La mancanza di una visione unitaria del problema del riparto dei prodotti secondo la normativa del suddetto decreto Gullo si manifestava, infatti, inequivocabilmente nell’estate del ’45 con posizioni nettamente diverse nelle zone a prevalenza comunista e socialista e in quelle in cui la direzione DC incideva maggiormente.
Fu nell’area dove era più forte l’influenza dei partiti di sinistra , nell’ampio territorio a cavallo tra le province di Agrigento ,Caltanissetta, Enna e Palermo che consistenti gruppi di mezzadri, il giorno delle celebrazioni della festa del lavoro, misero in atto un’agitazione che perdurò per tutto il periodo dei lavori di raccolta.
La reazione dei padroni non si fece attendere e non esitò a contestare persino l’esistenza del Decreto Gullo o , più sottilmente, a proclamarne l’inattuabilità a causa dell’Istituto autonomistico della Regione Sicilia.
La posizione defilata dei prefetti che non si mossero affatto, neanche per affermare l’esistenza della legge, né tanto meno per mettere in opera le azioni
previste del Decreto diede man forte agli agrari mentre le forze dell’ordine, a cui ci si era rivolti per farlo rispettare, mostrarono una passività sospetta e non si mossero mai a difesa della legge.
Inutile allo scopo di sbloccare la situazione fu la circolare esplicativa mandata ai prefetti dallo stesso ministro Gullo, in cui si ribadivano i principi fondamentali del decreto e la decisione della Federterra di procedere forzosamente al riparto sull’aia secondo le regole del decreto lasciando al proprietario la facoltà di ricorrere alle commissioni arbitrali provinciali contro il riparto attuato.
La stessa presenza sull’aia del rappresentante della Lega e della Camera del Lavoro, anche se servì a segnalare che il contadino non era più solo, provocò però tafferugli, scontri ed anche gravi incidenti.
Emerse allora l’opera dell’avv. Giuseppe Alessi, nisseno di area DC, che riaffermo il ruolo dei sindacati cristiani in contrapposizione con quelli confederali.
Questi promosse un accordo sindacale a carattere regionale che contemplasse una norma unica per dirimere tutte le controversie sollecitando l’alto commissario per la Sicilia ad emanare una normativa che rendesse valida per tutti l’accordo che si dovesse eventualmente raggiungere.
L’ipotesi di accordo si basava sulla rinuncia da parte di mezzadri e sindacati dell’applicazione della legge nel dettato originale e l’accordo di pattuire con gli agrari le parti della legge da far valere.
Certamente questo accordo riduceva drasticamente interpretazioni diversificate che il testo della legge favoriva e che davano adito a feroci contrasti tra le parti; altrettanto certamente però, esso costituiva una vittoria degli agrari che si muovevano su un terreno più favorevole potendo imporre ai mezzadri in grave necessità le loro leggi.
La vertenza si imperniò soprattutto sull’art. 2 del Decreto che recitava :
Le quote dei prodotti e d’utili stabilite dall’art. 1 a favore del colono o compartecipante saranno ridotte proporzionalmente nel caso di parziale concorso del concedente alle spese colturali o nel caso che si tratti di terreni di particolare produttività da qualunque causa determinata ( naturale feracità, precedenti colture o semplice rotazione agraria). In tale ipotesi la quota di prodotti ed utili spettanti al colono o compartecipe non potrà essere inferiore alla metà.
Nella impossibilità di prevedere tutte le variabili di partecipazione e poiché era indispensabile trovare un accordo univoco si fissò il limite di produttività a 7
quintali per ettaro per una divisione a 2/5 al concedente e 3/5 al concessionario, mentre qualora il prodotto superava i 7 quintali per ettaro e non superava i 10 quintali la quota per il concedente era del 45% e quella del concessionario del 55% ; oltre i 10 quintali la divisione era del 50 e 50.
Fu questo un accordo che se risultava giusto in linea di principio, basandosi sulla media statistica della produzione che era di 7 quintali per ettaro, era viziato dal calcolo che comprendeva enormi estensioni di terreno improduttivo o quasi, mentre le zone produttive interessate dal decreto presentavano tutte un rendimento superiore ai 10 quintali per ettaro.
Questo fatto esacerbò gli animi dei mezzadri che sconfessarono l’accordo travolgendo la credibilità della Federterra.
L’analisi del fallimento minimizzò la gravità dell’errore di valutazione dovuto all’inesperienza dei responsabili nelle contrattazioni sindacali di questo tipo, mentre si addossò tutta la colpa all’impostazione democristiana della vicenda ed all’alto commissario Aldisio che aveva avallato l’accordo.
Ne nacque uno scontro a livello politico con l’intervento di Togliatti che criticava Aldisio accusandolo di avere autonomamente apportato al decreto n°311 le modifiche incriminate.
L’organo di stampa nazionale della DC “Il Popolo” ed Aldisio stesso ne difesero l’operato cercando di ristabilire le responsabilità dell’accaduto.
Il consiglio dei ministri incaricò, perciò, lo stesso Gullo ed il sottosegretario Segni di intervenire sul territorio per appurare i fatti e dirimere le pericolose controversie.
Il ministro ed il suo sottosegretario riuscirono faticosamente a siglare un compromesso in cui, quando si superavano i 10 quintali per ettaro, si concedevano al mezzadro 85 Kg di grano in più per ogni ettaro di terreno coltivato.
L’accordo concluso sembrò ridurre la tensione salvando, con la concessione del surplus di grano accordato, il prestigio della Federterra e della CGIL da un parte, mentre dall’altra la conferma della struttura del decreto altocommissariale soddisfaceva gli agrari e la DC che era riuscita ad imporre nella contrattazione la presenza dei coltivatori diretti, anche se solo come osservatori; questa forzatura e le continue prese di posizione dei due partiti portarono in breve ad una polarizzazione delle posizioni politiche che si protrarrà per decenni.
La DC si avviò a diventare un partito d’ordine e di orientamento conservatore mentre si consumava una sempre maggiore distanza tra il PCI ed il PSI sulla questione dell’autonomia regionale.
Da questa stagione di lotte e compromessi ne usci rafforzata la coscienza sindacale e le sinistre mantennero con decisione la direzione del movimento contadino, mentre la DC si ancorava , come già detto, a destra con il favore accordato ad agrari e coltivatori diretti a scapito dei mezzadri.
La diversità di posizioni tra DC e le sinistre per quanto riguarda il riparto del prodotto secondo il decreto n° 311, non si verificò nella conduzione della lotta per l’occupazione delle terre e che seguì la ripartizione dei prodotti autunnali nell’anno 1945.
Infatti l’azione della DC non si diversificò molto, nelle modalità di lotta, da quelle del PCI e del PSI, anche se diverse erano le motivazioni che li ispiravano e che avevano caratteristiche concorrenziali a quelle della sinistra.
Sia la DC che i partiti della sinistra operarono mobilitando le masse e guidandole nell’occupazione di feudi da assegnare con urgenza alle cooperative agricole.
Così le masse di braccianti, contadini poveri e gruppi di piccoli coltivatori diretti che ambivano ad impinguare le proprie esigue disponibilità di terra, per lo più aderenti alla DC, si trovarono uniti nel perseguire gli stessi obiettivi e questo diede forza e determinazione al movimento, anche se non si realizzo un’unità di intenti sindacali che verificò soltanto in modo episodico ed a livello locale tra le singole cooperative interessate.
Per quanto riguarda il Decreto legislativo 25 ottobre 1944 sulla liquidazione
degli usi civili e la ripartizione ai contadini dei demani comunali, che il ministro
Gullo pensava dovesse interessare larghi strati della popolazione, non ebbe nell’isola una grande risonanza, anzi non fu applicato poiché non esisteva in Sicilia una questione demaniale come, invece era nel mezzogiorno continentale.
Da quanto abbiamo finora rilevato il primo nucleo intorno a cui si organizzarono le rivendicazioni contadine fu il decreto n°279 per la concessione delle terre incolte che interessava principalmente la categoria dei mezzadri e ribadiva ancora una volta la tendenza del meridione ad assicurarsi, non il lavoro ma il possesso, anche temporaneo della terra, come fonte primaria di risorse di sussistenza. Per questo motivo rimasero fuori dalla dialettica rivendicativa , in un primo momento, la grande massa dei braccianti e si deve arrivare al 1947 e ad un altro decreto, quello, appunto del 16 settembre 1947 n° 929, perché si
mettesse a fuoco il problema del lavoro e l’imponibile di mano d’opera diventasse uno dei pilastri della lotta contadina.
Se poi consideriamo la lentezza con cui si sviluppò anche la rivendicazione delle terre incolte e il ritardo, ancor più consistente, con cui si inserirono nel movimento contadino i coltivatori diretti, appare chiaro che la consapevolezza di dover imporre l’applicazione dei decreti Gullo, leggi che smuovevano finalmente le stagnanti acque del latifondismo, maturò ad ondate e non contemporaneamente per tutte le categorie legate alla coltivazione della terra e con essa anche la necessità della lotta.
Per quanto riguarda l’assegnazione delle terre in Sicilia, si passò da un esiguo 2.221 ettari nel 1944 ai 10. 181 nel ’45, 39.248 nel ’46,55.306 nel ’47, 54.537 nel ’48, 65.030 nel ’49 fino agli 86.420 nel ’52.
La progressione è costante, ma si nota una accelerazione notevole nel momento di più matura consapevolezza, cioè nel 1947 e l’isola si posizionava stabilmente al 1° posto, per consistenza di assegnazioni, fin dal 1946.
Anche il decreto che vietava il subaffitto e che era visto da Li Causi come un formidabile strumento per estromettere dalle trattative per gli affitti i famigerati gabelloti e dunque la mafia di cui erano la longa manus, non ebbe in
realtà altro che un valore collaterale al decreto sulle terre incolte nel senso, come afferma Francesco Renda « … che rafforzò a legittimazione politica e morale dei contadini a chiedere le terre dei grandi proprietari date in affitto ai gabelloti intermediari e mafiosi, ma non produsse una rescissione di contratti subaffittuari anche se dalla legge dichiarati nulli. Più che altro, quindi, la norma sul divieto del subaffitto alimentò l’agitazione contadina sotto il profilo della lotta alla mafia e dell’indebolimento che ne seguì di quest’ultima tanto sul piano economico quanto sul piano culturale ed ideologico. »8
La stessa situazione, anche se meno documentabile se non in maniera generica dai carteggi dei prefetti col ministero e dagli articoli dei quotidiani, si verificava per gli effetti del decreto sulla riduzione del canone di affitto e della ripartizione del prodotto mezzadrile.
In quest’ambito il decreto Gullo, corretto dal lodo De Gasperi e poi dalla legislazione regionale, dopo il 1947, migliorò la condizione di mezzadri, coloni e compartecipanti perché consolidò l’uso del riparto al 55% per il concessionario ed il 45 % per il concedente.
Il lodo De Gasperi ebbe valore soprattutto per le aziende appoderate a norma della legge di colonizzazione del latifondo siciliano del 2 gennaio 1940 e per le zone mezzadrili del Nisseno e del Trapanese.
L’applicazione della legge, comunque, non fu sempre coerente col suo dettato originale, ma subì variazioni e ritocchi determinati da rapporti di potere più o meno decisi; servì, però, come mezzo di scrematura della miriade di tipologie contrattuali con l’eliminazione dei contratti più retrivi .
I migliori risultati nel riparto si ebbero nel comparto cerealicolo con una divisione al 60% e 40% sia per la maggiore corrispondenza tra la norma legislativa e i rapporti contrattuali, sia per la concentrazione di queste colture in ampie aree contigue che da questo traevano più forza e determinazione, sia per la tradizionale e molto radicata conflittualità dei lavoratori di questo comparto lavorativo con i padroni.
I proprietari latifondisti, infine, erano parecchio invisi all’opinione pubblica e ciò provocò un allineamento di simpatizzanti alla causa dei mezzadri, isolando così i primi ed imponendo loro un riparto meno iniquo mentre il governo, impegnato ad evitare l’acuirsi delle tensioni dell’ordine pubblico, non si dimostrò molto allineato con gli agrari e le loro beghe.
In questa fase, inoltre, il contadino poteva chiedere l’assistenza del sindacato o un rappresentante della Lega o della Camera del lavoro per cui, dovunque questi fossero presenti, anche con le difficoltà ed i rischi già ricordati, la ripartizione del 60%% e 40% divenne quasi la prassi .
La conflittualità fu molto relativa, invece, nell’applicazione del decreto sulla riduzione dei canoni d’affitto a cui erano interessati contadini piccoli, medi e ricchi, data la maggiore capacità contrattuale di questa categoria che non riconosceva ai padroni poteri che esulavano da quelli del contratto e che non erano ricattabili data la situazione economica di relativa agiatezza.
I contadini che, invece, vivevano solo del ricavato della mezzadria, fino ad ora non avevano avuto la possibilità di imporsi al padrone anche perché la divisione sull’aia si svolgeva immediatamente dopo la trebbiatura, sotto la minaccia di latifondisti, di solito armati, ma più spesso di campieri o soprastanti mafiosi che facevano inevitabilmente valere la legge del più forte.
La riduzione dei canoni d’affitto, dunque, portò ad una avvicinamento delle posizioni dei contadini benestanti che vedevano impinguarsi legalmente i loro profitti a scapito del latifondista, a quelle della classe contadina più disagiata.
Fino ad allora i borgesi (proprietari piccoli, medi e ricchi)avevano subito la supremazia dei grandi proprietari, inglobati in un blocco contrapposto ai contadini nullatenenti causando la rigidità e la stasi del mondo contadino.
«Il decreto Gullo aprì un conflitto d’interessi insanabile fra la proprietà e l’impresa e spinse quest’ultima a collocarsi su un terreno di conflittualità simile a quella del mezzadro concessionario ed a schierarsi oggettivamente al suo fianco … questo significò che i grandi proprietari latifondisti si trovarono nelle campagne senza i tradizionali sostegni sociali e persero ogni possibilità di influenza diretta sui contadini … Anche se differenziato negli interessi dei diversi strati sociali, il movimento contadino, per la concomitante convergenza degli interessi medesimi, aveva quindi una unità tanto estesa quanto mai si era verificato n precedenza.»9
Questa la visione, per la verità molto ottimistica, che Francesco Renda aveva delle ricadute sociali, oltre che economiche, del decreto sulla ripartizione dei prodotti mezzadrili e la riduzione dei canoni d’affitto.
Infatti, se l’avvicinarsi degli interessi comuni creò una base per un’azione congiunta contro il latifondo ed i grandi proprietari, questa si esaurì proprio in questa impresa, ma presto le loro posizioni tornarono a differenziarsi, anche 9 F. Renda, Campagne e movimento contadino nel mezzogiorno d’Italia,De Donato editore, 1979, pag.619
per l’intervento politico dei tre partiti di massa, la DC che spinse vittoriosamente verso la creazione della piccola proprietà ed il PCI, che rappresentando la massa di braccianti e, in genere, dei contadini più poveri, era orientato alla costituzione dell’organizzazione cooperativa che vide, invece, un lento declino sul suolo siciliano. Una posizione intermedia e perciò una politica più ambigua ebbe il PSI per la presenza nelle sue file di molti coltivatori diretti, che però non era tale da insidiarne la massiccia rappresentanza nella DC.
I tre partiti, perciò, pur uniti nel patto di unità sindacale rappresentato dalla CGIL, agivano su linee d’intervento differenziate perché differenti erano le esigenze dei diversi lavoratori della terra.
Neanche i due partiti di sinistra riuscirono sempre a costituire cooperative unitarie proprio per gli interessi radicalmente contrastanti tra braccianti e contadini poveri da una parte e coltivatori diretti dall’altra.
Le conseguenze dei Decreti Gullo furono, dunque di portata politica, economica e sociale.
Intorno ad essi, infatti, si enuclearono i grandi partiti di massa che dominarono la politica italiana della prima repubblica.
Certamente altre variabili storiche e sociali hanno determinato l’esercizio della nostra democrazia, ma la massa popolare era costituita, in Sicilia, dai lavoratori della campagna ed attorno ai differenti interessi delle differenti componenti del popolo delle campagne si costituirono anche le caratteristiche dei partiti che la diressero.
Le classi meno privilegiate impararono a costituirsi in associazioni, leghe e soprattutto sindacati, che si affermarono tra mille difficoltà, spesso cruente, e conquistarono la loro legittimazione politica, oltre che sociale.
I Decreti, inoltre, diedero rilievo nazionale alla necessità di programmare una seria riforma agraria e di chiamare i contadini a condividerla, appoggiarla e difenderla e, in verità, i contadini seppero difenderla con gravi sacrifici e senza risparmio.
Lasciamo ad esperti più qualificati il giudizio su come questa grande prova di coraggio e determinazione sia stata declinata dalla classe politica italiana nei decenni successivi
Io penso di poter concludere che l’impatto dei decreti Gullo sulla Sicilia, più che strutturale fu sociale nel senso che assemblò nella lotta componenti diverse del substrato popolare creando una forza d’urto che scosse la palude dei rapporti
verticali tra i diversi ceti e produsse nei decenni a venire una mobilità sociale che l’isola non aveva mai visto prima.
Non bisogna dimenticare, infatti, che il movimento contadino, traendo forza dalla legittimazione che la legge gli conferiva ebbe la forza di non soccombere e di attrarre intorno se le masse di altri diseredati, come gli zolfatai e gli operai delle città.
Certo non tutte le premesse e le promesse che i Decreti volevano attuare si realizzarono e molti degli obiettivi mutarono aspetto nel loro lento cammino, fino a diventare cosa altra di quel che erano all’origine e non poche responsabilità per questa metamorfosi spettano alla classe politica che svuotò di significato gli aspetti di maggiore rinnovamento contenuti in essi, ma non è da sottovalutare l’accelerazione storica che il mondo ha subito nell’ultimo cinquantennio e che ha reso obsoleti, o momentaneamente obsoleti, i traguardi che sembravano tanto ambiziosi alla fine del secondo conflitto mondiale.
In un momento in cui questa corsa,adesso sembra frenare ed avvitarsi su se stessa, si mettono comunque a fuoco altri percorsi che avremmo potuto intraprendere forse con migliori risultati.
Non parliamo, ovviamente, di decrescita felice ma di maggiore cautela nel valutare il modo di creare uno sviluppo più sostenibile, usare in maniera meno compulsiva l’orgia liberista e incanalare in maniera più produttiva la forza di cambiamento e di mobilità che si era sprigionata in Italia e soprattutto in Sicilia con le lotte contadine a cui, come già detto, le leggi Gullo avevano conferito dignità e legalità.