Introduzione
La sclerosi multipla (SM) è una pa- tologia infiammatoria, demieliniz- zante e degenerativa del sistema nervoso centrale (SNC), che esordi- sce generalmente tra i 20 e i 40 anni.
La prevalenza della malattia in Italia è di circa 1:500 [1] e le donne sono più colpite degli uomini, con un rappor- to 2:1 [2]. Gli esordi precoci (età pe- diatrica) e tardivi (oltre i 50 anni) costituiscono, ognuno, circa il 10%
dei casi totali di SM [3,4].
Nella maggior parte dei casi, l’espres- sione clinica della SM si caratterizza per episodi acuti di disfunzione neu- rologica di varia natura (ad esempio, motoria, sensitiva, visiva), che regre- discono parzialmente o totalmente in maniera spontanea nell’arco di al- cune settimane/mesi.
La frequenza degli attacchi acuti, de- finiti ricadute, è piuttosto variabile da paziente a paziente; in passato, nei bracci placebo degli studi registrati- vi si osservavano mediamente 1 o 2 ricadute all’anno, mentre più recen- temente il tasso annualizzato di rica- dute si è ridotto allo 0,3-0,4, ovvero meno di una ricaduta ogni 2 anni [5]. Questa evoluzione migliorativa è sta-
ta associata al cambiamento dei crite- ri diagnostici della SM [6-11] che, come vedremo di seguito, erano in passato più restrittivi e tendenti ad identifica- re soggetti con forme di malattia più conclamate [7,11]. Inoltre, non essen- doci in passato alternative terapeuti- che, nel processo d’inclusione negli studi sperimentali i neurologi erano probabilmente più portati ad inserire pazienti più gravi; negli ultimi anni, invece, con l’aumentare della dispo- nibilità di terapie efficaci, si sarebbe verificata la tendenza opposta.
Il susseguirsi di ricadute e regressio- ni spontanee ha portato a definire questo decorso “a ricadute e remis- sioni”, che si associa al riscontro in ri- sonanza magnetica (RM) cerebrale e spinale di segnali di attività di malat- tia (comparsa di nuove placche, con o senza captazione di mezzo di con- trasto, quest’ultima rappresentati- va di una più recente attivazione) [12]. Dopo un periodo di tempo varia- bile (da pochi anni fino a decenni), la frequenza delle ricadute si riduce nettamente, così come la comparsa di nuove placche infiammatorie al- la RM [13], lasciando invece spazio ad un lento accumulo di disabilità neu-
rologica, più spesso di tipo moto- ria e/o cognitiva, definendosi la fase
“secondariamente progressiva” di malattia [12]. In alcuni pazienti, que- sto andamento lentamente progres- sivo emerge fin dall’esordio (decorso
“primariamente progressivo”). In- fine, alcuni pazienti presentano un decorso caratterizzato sia da ricadu- te, sia da una lenta progressione.
Le quattro tipologie di SM appena de- scritte (Fig.1) sono molto utili per un inquadramento generale del pazien- te, ma non devono essere considera- te in maniera troppo schematica. Nel 2014, infatti, è stata fatta una revi- sione delle definizioni dei decorsi di malattia, riconoscendo che attività di malattia (ricadute cliniche e lesioni nuove/attive rilevate alla RM) e pro- gressione della disabilità sono aspetti che possono coesistere, o anche alter- narsi in modo differente da paziente a paziente [14]. Pertanto, l’ingresso in una fase secondariamente progressi- va di malattia non significa assenza di attività di malattia; allo stesso mo- do, una malattia con decorso a rica- dute e remissioni può nascondere, già dall’esordio, una subdola progres- sione di malattia.
Fisiopatologia della sclerosi multipla:
importanza della diagnosi precoce e fattori prognostici di riferimento
Damiano Baroncini
Centro Sclerosi Multipla – Neurologia 2, P.O. di Gallarate (VA), ASST della Valle Olona
Fisiopatologia della SM
La SM è attualmente considera- ta una malattia infiammatoria de- mielinizzante cronica, a verosimile patogenesi autoimmune. L’agen- te eziologico che scatena la risposta autoimmune non è noto, ma è vero- simile che le cause siano multifatto- riali (ambientali e genetiche) [15,16]. Per comprendere meglio la fisiopa- tologia della SM, ovvero il proces- so patologico che determina i danni e, quindi, l’espressione clinica del- la malattia, inizieremo analizzan- do la patologia della SM, ovvero le alterazioni istologiche rilevate nel SNC dei soggetti affetti, per poi passare ad analizzare brevemente i meccanismi con cui tali alterazioni vengono indotte e propagate. Le in- formazioni che seguono sono tratte da uno dei manuali di maggiore ri- ferimento del settore [17].
Patologia della SM
La patologia della SM è caratteriz- zata dalla triade infiammazione, demielinizzazione e formazione di cicatrici gliotiche.
L’infiammazione è piuttosto diffu- sa e invariabilmente presente in tut- te le fasi di malattia. La zona dove si concentra maggiormente è a li- vello delle “placche di demielinizza- zione”, aree ben delimitate attorno a piccole vene/venule dove gli as- soni hanno perso parzialmente o totalmente la mielina. Le placche infiammatorie demielinizzate risul- tano, quindi, l’elemento più caratte- ristico della patologia e si possono trovare sia nella sostanza bianca, sia
nella sostanza grigia. A livello della sostanza bianca, che di solito è la più interessata, le aree più colpite sono la zona periventricolare cerebrale e sottocorticale, i nervi ottici, il chia- sma e i tratti ottici, le regioni peri- ventricolari del tronco cerebrale, il cervelletto e il midollo spinale. L’in- filtrato infiammatorio di una placca è costituito principalmente da lin- fociti T, di cui le cellule CD8+ sono più numerose di quelle CD4+. An- che i linfociti B sono componen- ti degli infiltrati e contribuiscono per circa l’1-10% della popolazio- ne totale di linfociti. I linfociti B e le plasmacellule sono invece predo- minanti nelle leptomeningi e negli spazi di Virchow-Robin perivasco- lari. Oltre alla popolazione linfoci- taria, gli infiltrati infiammatori sono ricchi di monociti e macrofagi e, in maniera ancora più abbondante, da microglia locale attivata. Nei si- ti dell’infiammazione, e in partico- lare all’interno delle lesioni attive, si
esprimono tutte le molecole coin- volte nell’induzione, nella propaga- zione e nel controllo del processo infiammatorio.
L’altro elemento caratteristico del- le placche è la demielinizzazione, ovvero la perdita della mielina che riveste gli assoni e che permette normalmente una conduzione effi- ciente dell’impulso nervoso. Asso- ciato alla demielinizzazione, ma in minor misura, si osserva un dan- no assonale acuto e perdita asso- nale, che può arrivare in media al 60% nelle lesioni croniche. L’enti- tà della perdita assonale è variabile da una lesione all’altra nello stesso soggetto. Infine, le placche possono presentare gradi variabili di rimie- linizzazione, ma lo spessore delle singole guaine mieliniche non ri- acquista mai il suo diametro origi- nale normale. La rimielinizzazione può essere limitata ai margini ester- ni della lesione o può essere presen- te in tutta la placca. Sebbene l’entità
Figura 1. Tipologia di decorso di malattia.
della rimielinizzazione nella mag- gior parte dei pazienti con SM sia limitata, raramente può essere piut- tosto considerevole. Nonostante le placche infiammatorie demieliniz- zanti siano più evidenti e numerose nella sostanza bianca, è ormai no- to che anche nella sostanza grigia può verificarsi un’estesa demieliniz- zazione, in particolare nella cortec- cia cerebrale. La demielinizzazione corticale è scarsa nelle fasi inizia- li, ma aumenta con la progressione della malattia. Sono state descritte tre diverse tipologie di lesioni cor- ticali: lesioni cortico-sottocorticali, perivascolari intracorticali e lesioni subpiali a fascia. Le lesioni subpiali sono le più abbondanti nei pazien- ti con SM progressiva, colpiscono gli strati corticali esterni e posso- no estendersi su diversi giri e solchi corticali. Come le placche di sostan- za bianca, le placche corticali mo- strano demielinizzazione primaria, con relativo risparmio di assoni e neuroni. Le lesioni corticali subpia- li attive sono associate all’infiamma- zione nelle leptomeningi adiacenti, sia come infiltrati meningei diffu- si, sia come aggregati linfocitari, che possono mostrare le caratteristiche dei follicoli delle cellule B.
Infine, alterazioni infiammatorie meno definite, ma di crescente rile- vanza patogenetica, si possono os- servare in maniera diffusa a livello della sostanza bianca e della sostan- za grigia che, ad un primo esame macroscopico, appaiono “norma- li”. In queste aree si trovano infiltrati infiammatori perivascolari e paren-
chimali, noduli microgliali, rarefa- zione diffusa della mielina e degli assoni, astrogliosi diffusa. Negli sta- di avanzati della SM ciò dà luogo a una grave atrofia globale, sia del- la sostanza bianca sia della sostanza grigia, con ingrandimento dei sol- chi corticali e dei ventricoli cerebra- li. Questa diffusa atrofia cerebrale e spinale è solo in parte spiegata dalla degenerazione walleriana a seguito della transezione assonale all’inter- no delle placche demielinizzate. In- fatti, l’atrofia della sostanza bianca non è correlata al numero, alla di- stribuzione e all’entità del danno delle placche infiammatorie, corre- lando solo in parte con l’entità della demielinizzazione corticale. Sem- bra, quindi, che i cambiamenti dif- fusi della sostanza bianca e grigia avvengano indipendentemente dal- la demielinizzazione focale nelle stesse sedi.
Eziopatogenesi della SM
La SM è, con molta probabilità, una malattia infiammatoria di origi- ne autoimmune. Questa visione è supportata dal fatto che l’encefalite autoimmune sperimentale, un mo- dello di patologia molto somigliante alla SM, può essere indotta in ani- mali da esperimento sensibilizza- ti con antigeni cerebrali o mielinici.
Inoltre, cellule T autoimmuni e au- toanticorpi analoghi possono esse- re rilevati nei pazienti con SM. Una visione alternativa è che l’infiam- mazione cronica sia guidata da in- fezioni che attivano l’autoimmunità dei linfociti T nel sistema immuni-
tario periferico o addirittura nel tes- suto cerebrale. A questo proposito, alcune evidenze suggeriscono che il virus Epstein-Barr potrebbe essere coinvolto nella patogenesi della SM, sebbene il suo ruolo diretto nello sviluppo della malattia non sia stato ancora del tutto dimostrato.
In ogni caso, l’infiammazione cro- nica induce una complessa casca- ta di meccanismi immunitari, che evocano altrettanti diversi meccani- smi di danno tissutale, coinvolgenti cellule T citotossiche, autoanticorpi e prodotti di macrofagi e microglia attivata. I danni tissutali immu- no-mediati sarebbero poi favoriti dalla composizione genetica del tes- suto in cui si verifica la risposta im- munitaria.
Tra i meccanismi di danno tissutale più studiati c’è quello mitocondria- le, indotto da specie reattive dell’os- sigeno e dell’ossido nitrico. Queste specie reattive, altamente tossiche, si formerebbero per il rilascio di ferro a livello dei siti di infiamma- zione, ferro che fisiologicamente si accumula nel cervello con l’invec- chiamento. I radicali dell’ossigeno creerebbero inoltre delezioni ge- netiche a livello mitocondriale, che tenderebbero poi ad espandersi clo- nalmente nelle cellule danneggiate, come ad esempio i neuroni. Per- tanto, l’aumento della disfunzione mitocondriale renderebbe queste cellule più suscettibili a ulteriori danni, creandosi un circolo vizioso.
Quindi, con il passare del tempo e con la progressione della malattia, il danno diventa sempre più indipen-
dente dall’infiammazione, in par- te intrappolata dietro una barriera ematoencefalica chiusa. Non stu- pisce, pertanto, che gli attuali trat- tamenti immunomodulanti non siano efficaci nelle fasi progressi- ve, nonostante il ruolo chiave svolto dall’infiammazione nel corso della malattia.
Diagnosi
I criteri diagnostici della SM si so- no evoluti notevolmente negli ulti- mi cinquant’anni, ma il loro nucleo è sempre rimasto costituito da due elementi fondamentali:
• il riscontro di un danno disseminato e ripetuto nel tempo nel SNC (disse- minazione spazio-temporale);
• l’esclusione di altre possibili cause.
Nel 1965 vennero pubblicati i pri- mi criteri diagnostici codificati da Schumacher et al. [7]; in questo pe- riodo, l’unico modo per rilevare una disseminazione spazio-tempo- rale era anamnestico (due ricadute, separate da almeno 6 mesi) e clinico (riscontro all’esame obiettivo di una compromissione in almeno due si- stemi neurologici).
Dopo quasi 20 anni, nel 1983, nuo- vi criteri diagnostici furono resi di- sponibili grazie all’avanzamento della tecnologia medica: l’esame del liquor e l’ausilio dei potenziali evo- cati potevano ora vicariare l‘esame obiettivo neurologico nella ricerca di disfunzioni neurologiche non cli- nicamente evidenti [11].
Nel 2001 la vera rivoluzione: l’utiliz- zo consolidato della RM nella dia- gnosi di SM [18]. La RM permetteva
finalmente di osservare all’interno del SNC in maniera non invasiva, amplificando enormemente la po- tenza diagnostica: una singola ri- caduta associata al riscontro RM di plurime lesioni tipiche era già suffi- ciente per fare diagnosi di sindro- me clinicamente isolata (dall’inglese Clinical Isolated Syndrome, CIS) [18]. Se poi, a distanza di almeno 3 mesi, veniva riscontrata una nuova lesio- ne in una sede tipica, allora poteva essere fatta diagnosi di SM. Inoltre, la RM permetteva di fare una dia- gnosi differenziale molto più ampia e accurata [19] rispetto al solo esame clinico e liquorale. Negli anni suc- cessivi, i criteri diagnostici vennero ulteriormente rifiniti, soprattutto sul versante RM [8,9]. Rimase sempre una duplice tensione: da un lato la neces- sità di una diagnosi precoce, dall’al- tro il dovere di una diagnosi precisa, escludendo altre cause possibili.
I criteri diagnostici utilizzati attual- mente sono quelli pubblicati nel 2017 [10]: a fronte di un singolo at- tacco clinico di malattia, di solo 2 lesioni rilevate alla RM nelle zone tipicamente colpite (periventrico- lare, fossa posteriore, midollo spi- nale, corteccia cerebrale e/o zona juxta-corticale), di un liquor positi- vo e/o di una lesione captante attiva, è ora possibile fare diagnosi di SM.
È abbastanza evidente, quindi, che con il passare degli anni i criteri dia- gnostici abbiano puntato ad indi- viduare sempre più precocemente i soggetti affetti da SM. Questa evo- luzione è stata sostenuta da due fat- tori: da un lato, l’espansione delle
conoscenze sui meccanismi patoge- netici precoci di malattia; dall’altro, l’incremento di farmaci efficaci nel mitigare tali meccanismi.
Riguardo al primo, abbiamo visto nel paragrafo della fisiopatologia che nella SM si creano placche in- fiammatorie di demielinizzazione e, di conseguenza, un danno assonale.
Demielinizzazione e danno assona- le si osservano anche nella sostanza bianca e in quella grigia che appaio- no macroscopicamente normali, ge- nerando col tempo un danno diffuso che conduce all’atrofia cerebrale [17]. Alcune osservazioni suggeriscono che proprio il danno assonale acu- to, che è il reperto istopatologico che più correla con la disabilità cli- nica irreversibile [20-22], sia più eviden- te nei primi anni dall’esordio clinico della malattia [23]. A supporto di que- sta osservazione è la scoperta che un certo grado di atrofia cerebrale è già presente nelle CIS, le forme più ini- ziali di malattia; tale atrofia sembra inoltre progredire con un ritmo che sembra indipendente dallo stadio di malattia [24].
Un’ulteriore prova è legata al decadi- mento cognitivo, strettamente corre- lato all’atrofia cerebrale [25], che inizia anch’esso nelle fasi precoci di malat- tia, progredendo negli anni successi- vi [26]. Infine, l’urgenza di iniziare un trattamento che blocchi i meccani- smi di danno precoce è anche dettata dalla progressiva riduzione delle ca- pacità di rimielinizzazione del SNC, che risulta inoltre essere molto ri- dotta in alcune aree cerebrali tipi- camente colpite nella SM, come ad
esempio il cervelletto [27].
L’altro fattore che ha spinto verso una diagnosi precoce è stata la di- sponibilità di trattamenti immuno- modulanti efficaci nel modificare il decorso di malattia. I primi farma- ci che sono risultati efficaci nel con- trollare l’attività infiammatoria a breve termine (ricadute ed accumu- lo di lesioni alla RM) sono stati gli interferoni-beta [28]. Anni dopo, stu- di osservazionali con lunghi periodi di follow-up hanno dimostrato che questi farmaci sono efficaci anche nel ridurre la disabilità [29] e la morta- lità [30] a lungo termine, conferman- do il loro effetto eziopatogenetico.
Inoltre, iniziare precocemente gli interferoni-beta (ad esempio, nelle CIS) riduce la probabilità di conver- tire a una forma di SM definita (sia a ricadute e remissioni, sia secon- dariamente progressiva), oltre che a ridurre l’accumulo di disabilità e il numero di ricadute [31].
I benefici a lungo termine di un trat- tamento precoce sono stati osserva- ti non solo per gli interferoni-beta, ma anche per altri farmaci immu- nomodulanti approvati per il trat- tamento della SM [32]. In particolare, l’avvento di farmaci ad elevato po- tenziale anti-infiammatorio ha de- terminato benefici ancora maggiori.
Infatti, nello studio registrativo di natalizumab, un farmaco immuno- modulante di seconda linea, è stato osservato che i pazienti trattati pre- cocemente con il farmaco avevano, dopo soli 5 anni, un punteggio di di- sabilità misurato con EDSS più bas- so rispetto ai pazienti che all’inizio
avevano ricevuto il trattamento pla- cebo [33]. Recenti studi hanno con- fermato che iniziare precocemente trattamenti ad elevata efficacia ri- duce la probabilità di un accumulo irreversibile di disabilità a lungo ter- mine [34,35] e rallenta il ritmo di atro- fizzazione cerebrale [36].
Prognosi
Dopo aver analizzato la fisiopato- logia della malattia e aver compre- so l’importanza di una diagnosi e di un trattamento precoce, rimane da valutare quali sono i fattori pro- gnostici da tenere in considerazione prima di iniziare un trattamento. Di seguito verranno trattati solamente i fattori prognostici che sono ormai consolidati da numerose evidenze scientifiche.
Esistono numerosi fattori progno- stici che aiutano nella previsione del decorso futuro della SM (Tab. I). In particolare, aiutano a capire quali si- ano i pazienti più a rischio di:
1) convertire da una CIS a una for- ma definita di malattia;
2) accumulare disabilità (soprattut- to motoria);
3) avere una maggiore attività (ad esempio, ricadute, accumulo di lesioni).
Nella pratica clinica quotidiana, i fattori prognostici vengono utiliz- zati come supporto alla scelta del- la potenza anti-infiammatoria del farmaco da utilizzare in un dato pa- ziente.
Prima di iniziare ad elencare i fatto- ri prognostici che sono stati scoper- ti, bisogna però fare tre precisazioni.
Tabella 1. Principali fattori prognostici della SM (*Ricadute, accumulo di lesioni e comparsa di lesioni attive alla RM; comprende anche il rischio di conversione a forme di SM definita).
ATTIVITÀ
DI MALATTIA* ACCUMULO DI DISABILITÀ Fattori demografici
Esordio tardivo (> 50 anni) Sesso maschile
Etnie non-caucasiche ✔
✔
✔
✔ Fattori ambientali
Bassi livelli vitamina D Fumo di sigaretta
Comorbidità fisiche/psichiche
✔
✔
✔
✔
✔ Fattori clinici
Forma primariamente progressiva Tasso ricadute nei primi anni Scarso recupero da ricadute
Esordio con disfunzione sistema effferente Esordio polisintomatico
✔
✔
✔
✔
✔
✔ Fattori RM
Elevato carico lesionale Lesioni attive
Lesioni in fossa posteriore/midollo spinale Atrofia cerebrale
✔
✔
✔
✔
✔ Fattori laboratoristici
Bande oligoclonali nel liquor ✔ ✔
La prima riguarda la differenza tra fattore prognostico e fattore predit- tivo (nella letteratura anglo-sassone:
prognostic factor e predictive factor):
il primo determina il decorso del- la malattia, indipendentemente dal trattamento scelto; il secondo deter- mina la risposta del paziente a uno specifico trattamento [37]. Per fare un esempio pratico, un paziente affetto da SM di sesso maschile ha di base una prognosi peggiore rispetto a un paziente di sesso femminile, ma ciò non significa che risponderà meno a un trattamento anti-infiammatorio.
Quelli che verranno presentati sono tutti da considerarsi fattori progno- stici (come vedremo, l’unico fattore che può considerarsi anche preditti- vo è il decorso primariamente pro- gressivo).
La seconda precisazione riguarda la misura della disabilità che è sta- ta utilizzata negli studi sui fattori
prognostici. Nella SM, la disabilità è misurata con l’Expanded Disability Status Scale (EDSS) [38], una scala cli- nica che è estremamente influenzata dal grado di disabilità motoria, so- prattutto dopo certi punteggi. Uno dei limiti dell’EDSS è, quindi, quello di non misurare altre tipologie di di- sabilità che però piuttosto sono co- muni nella SM, quali ad esempio il decadimento cognitivo, il malesse- re psicologico e i disturbi della sfe- ra sensitiva come sindromi dolorose neuropatiche centrali. Se non diver- samente specificato, quando si par- lerà di “accumulo di disabilità” si farà riferimento a un peggioramen- to del punteggio EDSS, in partico- lare il raggiungimento di un EDSS pari o superiore a 4.0 (Fig.2).
L’ultima precisazione riguarda il ri- schio di convertire a forme definite di SM nelle CIS. Questo rischio è le- gato alla probabilità che, in una CIS,
avvenga a distanza di un certo las- so di tempo una riattivazione clini- ca e/o radiologica. In questo modo, secondo i criteri diagnostici utiliz- zati nei precedenti studi [8,18], si potrà fare diagnosi di SM definita per via del riscontro di una disseminazione temporale della patologia.
Fattori prognostici demografici
L’età di esordio della malattia influ- isce sulla velocità di accumulo di disabilità: più veloce negli esordi tardivi (oltre i 50 anni) [39-41], più lento negli esordi pediatrici [42,43]. In questo secondo caso, comunque, l’età asso- luta in cui i pazienti raggiungono disabilità considerevoli risulta più bassa rispetto agli esordi in età adul-
ta [42,43]. Inoltre, un esordio tardivo
si associa, nelle CIS, ad una mino- re probabilità di conversione a SM definita [44], in linea con le evidenze
Figura 2. EDSS, la scala utilizzata nella SM per misurare la disabilità.
scientifiche che indicano una ridu- zione dell’attività infiammatoria con l’avanzare dell’età [13].
Il sesso maschile si associa ad un maggiore accumulo di disabilità e ad un più veloce raggiungimento di fa- si progressive di malattia [39,40,45,46]. In- fine, anche le etnie non caucasiche, come ad esempio quelle afro-ameri- cane, nord-africane e ispanico-ame- ricane, sono state associate ad una maggiore probabilità di accumula- re disabilità [47-49]. Anche nei sogget- ti pediatrici di etnia afro-americana è stato osservato un decorso di ma- lattia più aggressivo [50].
Fattori prognostici ambientali
Il riscontro di bassi livelli di vitami- na D nel sangue di pazienti affetti da SM trattati con interferone-beta è stato associato a un maggiore ri- schio di sviluppare atrofia cerebrale, elevata attività (ricadute e accumulo di lesioni alla RM) e di accumulare disabilità a 5 anni [51]. Anche il fumo di sigaretta è stato associato, in al- cuni studi, ad un maggior rischio di accumulo di disabilità e di conver- sione a forme secondariamente pro- gressive di malattia [52,53]. Infine, un maggior numero di comorbidità, fi- siche o psichiatriche, si associano a un maggior rischio sia di attività cli- nica di malattia (ricadute), sia di ac- cumulo di disabilità [54-58].
Fattori prognostici clinici
Numerosi fattori prognostici clini- ci sono stati studiati. Uno dei più importanti è il tipo di decorso di
malattia. Infatti, un decorso prima- riamente progressivo è, al momen- to, l’unico fattore prognostico che risulta anche predittivo circa la ri- sposta alle terapie disponibili: tutti i farmaci efficaci nella forma a rica- dute e remissioni non hanno dimo- strato alcun beneficio nella forma primariamente progressiva [59], fatta eccezione per ocrelizumab [60]. Un altro importante fattore progno- stico è il tasso di ricadute nei primi anni di malattia, che si associa di- rettamente ad un maggior rischio di accumulo di disabilità a lungo ter- mine [40,61-63]. Inoltre, uno scarso re- cupero dalle ricadute si associa, logicamente, ad un maggior rischio di accumulo di disabilità [40,61-64]. An- che la zona di SNC colpita risulta importante come fattore progno- stico: una prima ricaduta condizio- nante sintomi motori [46,65-71], sfinterici
[65,66,70,72-74], cerebellari [65,67,69,71,72,74,75] o co- munque un elevato EDSS si associa ad un rischio maggiore di accumulo di disabilità. Al contrario, esordi di malattia che interessano le vie sen- sitive o le vie ottiche si associano a un minor rischio di disabilità a lun- go termine [40,44,76]. In sintesi, ricadu- te che interessano i sistemi efferenti si associano ad un decorso peggio- re rispetto alle ricadute che interes- sano i sistemi afferenti. Va inoltre tenuto conto della tendenza alla re- cidiva delle ricadute nelle stesse sedi colpite all’esordio [77,78].
In linea con le osservazioni prece- denti, un esordio polisintomati- co (interessamento di più aree del SNC) è stato associato ad un mag-
giore rischio di accumulo di disa- bilità in alcuni studi [39,65,74,79], ma non in altri [61,80]. In contraddizione con quanto è stato fino ad ora riporta- to, è invece il caso dell’esordio con sintomi parossistici, che costituisce circa l’1,1% dei casi [81]. In linea ge- nerale, è abbastanza comune rite- nere che un esordio di malattia con sintomi transitori e non disabilitan- ti sia un fattore prognostico positi- vo. Recenti studi, invece, avrebbero smentito questa idea, dimostrando non solo che tale esordio si associa nelle CIS ad un tasso di conversio- ne a SM definita simile a quello de- gli esordi “classici” [81], ma anche che è associato ad un medesimo rischio di accumulo di disabilità a lungo termine [82]. Infine, un decadimen- to cognitivo già nelle fasi iniziali di patologia si associa ad una maggio- re perdita di autonomia a lungo ter- mine [83].
Fattori prognostici alla RM
Tra i fattori prognostici riscontrabi- li con la RM ricordiamo il carico le- sionale, la presenza di lesioni attive, la topografia lesionale e la presenza di atrofia cerebrale.
Un elevato carico lesionale a livel- lo della sostanza bianca si associa, nelle CIS, a un maggior rischio di conversione a SM definita [44,84-88] e, in generale, ad un maggior accumulo di disabilità a lungo termine [86,89,90]. Anche la presenza di lesioni captan- ti il mezzo di contrasto si associa, sempre nelle CIS, ad un maggior tasso di conversione a SM definita
[91]. Inoltre, negli ultimi anni è diven-
tato sempre più importante il ruo- lo del carico lesionale corticale, che correla fortemente con il rischio di accumulo di disabilità e di conver- sione a forma secondariamente pro- gressiva [92,93].
Specularmente alla clinica, la to- pografia lesionale alla RM è un al- tro fattore prognostico rilevante.
Infatti, lesioni cerebellari, nel tron- co cerebrale e nel midollo spinale si associano ad un maggior rischio di conversione a SM definita [44,94], così come ad un maggior rischio di di- sabilità e/o conversione a forma se- condariamente progressiva [88,95,96]. Infine, l’atrofia cerebrale globale e l’atrofia della sostanza grigia sono entrambi indicatori di un maggior rischio di disabilità a lungo termi-
ne [90,97,98]. Inoltre, un danno globale
alla sostanza bianca cerebrale è as- sociato ad un decadimento cogniti- vo nella SM in fase iniziale, mentre
l’atrofia corticale predice un decadi- mento cognitivo in fase tardiva [99].
Fattori prognostici laboratoristici
Nelle CIS, la presenza di bande oli- goclonali IgG nel liquor si associa ad un maggior rischio di conversio- ne a SM definita [44,100] e di accumulo di disabilità [44]. Inoltre, anche il nu- mero di tali bande correla sia con un maggior rischio di conversione a SM definita [101], sia con una maggio- re disabilità a lungo termine [102]. Altri biomarkers promettenti, ma non ancora utilizzati nella prati- ca clinica quotidiana, sono il rile- vamento di bande oligoclonali IgM nel liquor, i livelli di neurofilamenti nel siero ed i livelli di proteina 1 chi- tinasi-3-like (CHI3L1) nel liquor, tutti associati ad un maggior rischio di disabilità a lungo termine [103].
Conclusioni
La SM è una malattia infiammato- ria demielinizzante autoimmune.
Già nelle sue prime fasi, i meccani- smi patogenetici conducono a dan- ni assonali che, a lungo termine, possono provocare una disabilità permanente. La disponibilità di far- maci efficaci che agiscono su questi meccanismi comporta la necessità di una diagnosi precoce, in modo da iniziare rapidamente un trattamen- to. Nella scelta del tipo di trattamen- to più appropriato bisogna tenere in considerazione diversi fattori pro- gnostici, che aiutino ad identificare i soggetti più a rischio di sviluppare una disabilità.
Nel prossimo modulo si approfon- diranno gli aspetti della profilazione del paziente e della definizione degli obiettivi terapeutici.
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