Lo stato penale globale
Alessandro Dal Lago Lo stato penale globale.
Premessa Nota ai testi
Loïc Wacquant La disciplina produttiva: fisionomia essenziale dello stato neoliberale
John L. Campbell Stato penale e stato debitore:
l’irripetibile esemplarità del neoliberalismo americano
Frances Fox Piven Neoliberalismo e neo- funzionalismo: la logica opaca del capitale Mariana Valverde La profondità è in superficie:
per una tregua politico-metodologica Jamie Peck Il neoliberalismo zombie e lo stato
ambidestro
Bernard E. Harcourt La penalità neoliberale:
una breve genealogia
Massimo Gelardi Dominio dei corpi, stato penale e biologia della cittadinanza.
Riflessioni sul dibattito
INTERVENTI
Ferdinando G. Menga Unitarietà del potere ed eccedenza della pluralità. Hannah Arendt alla prova della decostruzione
Edoardo Greblo Vite senza contratto
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aprile giugno 2010
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Finito di stampare nel giugno 2010
Lo stato penale globale.
Premessa
ALESSANDRO DAL LAGO
I materiali raccolti da Massimo Gelardi per questo numero di “aut aut” documentano un vivace dibattito (in questo caso america- no ma anche europeo) sulle politiche penali e carcerarie neoli- berali o, come si dice piuttosto in Italia, liberiste. Come spiega Loïc Wacquant nel saggio che apre il fascicolo,1la crisi del wel- fare state tradizionale, su cui si erano fondati lo sviluppo econo- mico e l’equilibrio sociale nel secondo dopoguerra, ha visto un ritorno spettacolare della “penalità” in tutti i campi: carcerazio- ne di massa negli Stati Uniti, politiche penali sempre più rigide in Europa, una diffusa cultura della sicurezza che, a partire dal- la negazione di qualsiasi microconflittualità urbana, si estende alla repressione delle devianze giovanili e dei “reati senza vitti- me”, all’ossessione per il consumo di droghe leggere e all’indu- rimento della disciplina scolastica. Se si dà un’occhiata alla sto- ria del nostro paese, dall’inizio degli anni novanta a oggi, si com- prende come l’ondata penale abbia investito anche l’Italia, che anzi in questo campo può essere considerato uno dei paesi all’“avanguardia”.
Wacquant ricorda come per Bourdieu, che nell’analisi degli
1. Si veda anche L. Wacquant, Les prisons de la misère, Raison d’agir Éditions, Paris 1999; trad. Parola d’ordine: tolleranza zero. La trasformazione dello stato penale nella so- cietà neoliberale, Feltrinelli, Milano 2000. Sulla situazione del carcere nel nostro paese, cfr.
anche Associazione Antigone, Oltre il tollerabile. Sesto rapporto sulle condizioni di deten- zione in Italia, l’Harmattan Italia, Torino 2009.
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effetti penali del liberismo va considerato un riferimento capita- le, lo “stato” (nel senso di “governo politico-amministrativo di una società”) non possa essere visto come un monolite, ma co- me un campo burocratico in cui si combinano le azioni di agen- zie diverse, istituzionali, economiche, sociali e mediali. Non di- versamente, il concetto foucaultiano di “governamentalità”, ela- borato nel corso degli anni settanta, permette di analizzare l’a- zione complessa e solidale dei poteri punitivi in una prospettiva che va al di là della funzione delle istituzioni repressive (e in par- ticolare dello stato nazionale). In questo senso, la “penalizzazio- ne” delle società occidentali è un’onda ampia e composita, che non esclude l’adozione di pratiche innovative e “scientifiche”
apparentemente neutrali: dall’ossessione per la previsione e la misurazione statistica dei comportamenti devianti e criminali
2all’invadenza delle pratiche di analisi psicologica e psichiatrica delle devianze: chiunque abbia qualche idea del funzionamento della giustizia penale sa bene come assistenti sociali, consulenti, psicologi e simili figure lavorino spalla a spalla con i magistrati nella costruzione del profilo degli accusati.
3In questa prospettiva, le classiche analisi della “crisi fiscale dello stato”, della regolazione economica e sociale dei “poveri”
e così via, se vincolate a una ristretta prospettiva economico-so- ciologica, mostrano inevitabilmente la corda. Nessuna politica penale, nei termini in cui viene analizzata qui, potrebbe essere messa in opera senza l’invadenza di una cultura politica e me- diale della “sicurezza”. La massima “se il cittadino si sente insi- curo, allora il problema esiste e va risolto” è quanto di più con- sensuale esista di qua e di là della Manica e dell’Atlantico – al punto che, dovunque, la semplice evocazione dell’insicurezza scatena una competizione che si risolve nelle strategie e negli slogan “sicuritari” più truculenti.
2. Si veda, per esempio, B. Harcourt, Against Prediction: Profiling, Policing, and Pu- nishing in an Actuarial Age, University of Chicago Press, Chicago 2007.
3. In generale, sulla diffusione della cultura psicologica, cfr. F. Furedi, Therapy Cultu-
re, Routledge, London 2003; trad. Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quo-
tidiana, Feltrinelli, Milano 2008
2.
La conseguenza è un’ossessione, pratica e simbolica, che co- rona, in modo squisitamente bipartisan, le campagne elettorali negli Usa e in Europa. Ovviamente, nessuno è in grado di misu- rare un fenomeno volatile, soggettivo e indefinibile come il sen- so di insicurezza – e tanto meno i cosiddetti scienziati sociali che hanno contribuito a legittimarlo e a diffonderlo.
4È così che or- mai la “percezione”, quanto di più aleatorio esista quando si par- la di fenomeni sociali, collettivi o di massa, è diventata criterio decisivo nelle politiche penali contemporanee.
Parole come “percezione” o “simbolico” non dovrebbero es- sere prese alla leggera. È chiaro che l’ossessione punitiva non è estranea a interessi economici o corporativi di agenzie pubbli- che o private (basterebbe pensare alla privatizzazione delle car- ceri, soprattutto negli Usa o all’azione sindacale di poliziotti, agenti penitenziari e così via in Europa). Ma se la violenza isti- tuzionale dilagante – suicidi dei carcerati, “contenimento” spes- so mortale di arrestati o sospetti, impunità di poliziotti ecc. – è relegata nell’indifferenza, e persino giustificata dall’opinione pubblica, è proprio perché la cultura punitiva è divenuta nor- mativa. E questo significa che un certo “discorso” (preventivo o giudiziario che sia) è assunto in via trascendentale, consapevol- mente o no, come l’unico legittimo quando si parla di crimina- lità. Nell’ultimo programma quadro dell’Unione europea in te- ma di ricerca applicata, l’individuazione dei comportamenti “so- cialmente abnormi”, mediante scanning elettronico o di altro ti- po, è la linea di finanziamento privilegiata e quella che assorbe più risorse.
5Naturalmente, la spettacolare trasformazione dell’economia capitalistica degli ultimi trent’anni è decisiva nella produzione e nell’espansione della cultura penale. Per riprendere un’intuizio- ne di Gramsci, si potrebbe dire che il carattere brutalmente av-
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4. Si veda, su questo punto, A. Dal Lago, Ma quando mai? Nota sulla sociologia “em- bedded” in Italia, “Etnografia e ricerca qualitativa”, 1, 2010.
5. Si veda l’introduzione a A. Dal Lago e S. Palidda (a cura di), The “Civilisation” of
War: Armed Conflicts, Security, and the Reshaping of Contemporary Societies, Routledge,
London 2010.
Nota ai testi
Vengono qui proposti la più recente riflessione teorica di Loïc Wacquant – ossia il capitolo inedito che ha arricchito la recente edizione angloamericana di una delle opere più significative del sociologo franco-americano (Punishing the Poor: The Neoliberal Government of Social Insecurity, Duke University Press, Durham, N.C., 2009; ed. orig. Punir les pauvres: le nouveau gou- vernement de l’insécurité sociale, Agone, Marseille 2004; trad.
Punire i poveri: il nuovo governo dell’insicurezza sociale, Deri- veApprodi, Roma 2006) – e il dibattito da essa suscitato attorno alle politiche economiche e penali che stanno ridisegnando la struttura materiale e le strategie di rappresentazione delle so- cietà occidentali. Attraverso una critica delle tesi di Garland sul- la cultura del controllo, di Harvey e Giddens sulla ragione neo- liberale, di Peck sui regimi di workfare, di Piven sulle dinami- che del welfare e di Foucault sulle politiche punitive tardomo- derne, Wacquant chiarisce e compendia i fondamenti teorici di quel modello del new government of social insecurity (assunto quale logica di ristrutturazione antiassistenzialista, poliziesca e di classe dell’assetto sociale) che egli aveva proposto quale cor- nice analitico-interpretativa dell’evoluzione neoliberale del ca- pitale, e che di seguito alcuni tra i più importanti studiosi della società contemporanea prendono in esame muovendo da diffe- renti profili disciplinari, integrandolo lungo distinte e talora an- tagoniste articolazioni teoriche, inscrivendolo in diversi conte- sti simbolico-materiali.
aut aut, 346, 2010, 9-11
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Loïc Wacquant è Professor of Sociology e Research Associate presso l’Institute for Legal Research della Boalt Law School, University of California (Berkeley) nonché ricercatore presso il Centre de sociologie européenne (Paris). Nato e cresciuto in Francia, ha ottenuto il Ph.D. in Sociology a Chicago, dove ha preso avvio la sua carriera accademica. La sua ricerca, situata al- l’incrocio disciplinare tra teoria sociale, criminologia ed etno- grafia, si concentra sulla marginalità urbana, la stratificazione sociale, le politiche penali, l’antropologia del corpo, la race theory e l’epistemologia delle scienze sociali. Autore di numero- si articoli e volumi, tra le edizioni italiane delle sue opere vanno ricordate: Punire i poveri: il nuovo governo dell’insicurezza socia- le (2004), DeriveApprodi, Roma 2006; Simbiosi mortale: neoli- beralismo e politica penale, ombre corte, Verona 2002; Anima e corpo: la fabbrica dei pugili nel ghetto nero americano (2000), De- riveApprodi, Roma 2002; Parola d’ordine: tolleranza zero. La tra- sformazione dello stato penale nella società neoliberale (1999), Feltrinelli, Milano 2000; Risposte: per un’antropologia riflessiva (1992, con Pierre Bourdieu), Bollati Boringhieri, Torino 1992.
Wacquant è stato inoltre curatore di due volumi, entrambi tra- dotti in italiano: L’astuzia del potere: Pierre Bourdieu e la politica democratica (2005), ombre corte, Verona 2005 e, con Nancy Scheper-Hughes, Corpi in vendita: interi e a pezzi (2002), ombre corte, Verona 2004.
John L. Campbell è Professor of Sociology presso il Dartmouth College (Hanover, N.H.) e Professor of Political Economy pres- so la Copenhagen Business School. È tra l’altro autore di Insti- tutional Change and Globalization (Princeton University Press, Princeton, N.J., 2004) e coeditor (con Ove K. Pedersen) di The Rise of Neoliberalism and Institutional Analysis (Princeton Uni- versity Press, Princeton, N.J., 2001).
Frances Fox Piven è Professor of Political Science and Sociology presso il Graduate Center della City University of New York.
Ha pubblicato tra l’altro Challenging Authority: How Ordinary
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People Change America (Rowman & Littlefield, Lanham, Mar., 2006) e, con Richard Cloward, Regulating the Poor: The Func- tions of Public Welfare (Pantheon, New York 1971) e The Break- ing of the American Social Compact (New Press, New York 1997).
Mariana Valverde è Director of the Centre of Criminology e mem- bro dell’Advisory Committee del Centre for Forensic Science &
Medicine presso la University of Toronto. È tra l’altro autrice di Law and Order: Signs, Meanings, Myths (Rutgers University Press, New Brunswick, N.J., 2006) e coeditor (con Markus Dub- ber) di Police and the Liberal State (Stanford Law Books, Stan- ford, Cal., 2008).
Jamie Peck è Professor of Geography e Canada Research Chair in Urban and Regional Political Economy presso la University of British Columbia (Vancouver) e Senior Research Associate presso il Center for Urban Economic Development della Uni- versity of Illinois (Urbana). Tra i suoi volumi vanno segnalati Constructions of Neoliberal Reason (Oxford University Press, Oxford 2010) e Workfare States (Guilford, New York 2001).
Bernard E. Harcourt è Professor of Law and Criminology, Fa- culty Director of Academic Affairs e Director of the Center for Studies in Criminal Justice presso la University of Chicago Law School (Chicago). Tra le sue opere vanno ricordate Against Pre- diction: Profiling, Policing, and Punishing in an Actuarial Age (University of Chicago Press, Chicago 2007) e Illusion of Order:
The False Promise of Broken Windows Policing (Harvard Uni- versity Press, Cambridge, Mass., 2001).
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La disciplina produttiva:
fisionomia essenziale dello stato neoliberale
LOÏC WACQUANT
T re strappi analitici sollecitano una dia- gnosi del nuovo modello di regolazione dell’insicurezza sociale disegnato attorno a quell’inedito connubio tra un rigido workfare e un aggressivo prisonfare che negli ultimi decenni del XX secolo ha impresso una svolta punitiva alle politiche sociali degli Stati Uniti nonché delle altre democrazie avanzate che ne hanno ricalcato le strate- gie di deregulation economica e riduzione del welfare.1
La prima rottura consiste nella recisione del giogo che tradi- zionalmente indirizza i dibattiti teorici e istituzionali sulle poli- tiche di carcerazione, vale a dire quel binomio crimine-pena a noi così familiare e tuttavia ormai apertamente dissolto. La cre- scita incontrollata e la fervente glorificazione dell’apparato pe- nale registratesi in America dopo il 1975 – e l’analoga, sebbene più contenuta, espansione che ebbe luogo nell’Europa occiden-
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aut aut, 346, 2010, 12-56L. Wacquant, Theoretical Coda: A Sketch of the Neoliberal State, postfazione a Punishing the Poor: The Neoliberal Government of Social Insecurity, Duke University Press, Durham (N.C.) 2009 (ed. orig. Punir les pauvres: le nouveau gouvernement de l’insécurité sociale, Agone, Marseille 2004; trad. Punire i poveri: il nuovo governo dell’insicurezza sociale, De- riveApprodi, Roma 2006).
1. Per workfare si intende l’insieme dei programmi assistenziali che condizionano l’e-
rogazione delle prestazioni allo svolgimento di un’attività di lavoro. Con prisonfare si desi-
gna il complesso delle politiche pubbliche che affrontano le questioni sociali ricorrendo in
modo esclusivo o predominante all’apparato poliziesco, giudiziario e penitenziario (con
quest’ultimo intendendosi la totalità dei dispositivi e meccanismi di restrizione della li-
bertà, tra i quali le varie modalità di sorveglianza extracarceraria e le diverse procedure di
controllo, profiling e archiviazione dati). [N.d.C.]
tale due decenni più tardi in un allarmante clima di riabilitazio- ne politica – sono inspiegabili se continuiamo a interpretarle co- me gli effetti dell’incidenza e della natura dei reati commessi.
Perché il dispiegarsi dello stato penale negli Stati Uniti all’indo- mani del massimo sviluppo raggiunto dal Movimento per i di- ritti civili risponde non all’aumento dell’insicurezza di fronte al crimine, ma all’ondata di insicurezza sociale che ha travolto il li- vello più basso della struttura di classe a causa della frammenta- zione salariale e della destabilizzazione delle gerarchie etnoraz- ziali o etnonazionali (determinata negli Stati Uniti dall’implo- sione del ghetto nero e in Europa dall’insediamento dei migran- ti postcoloniali). In realtà l’ossessiva attenzione per il crimine, sostenuta dal senso comune che informa tanto il discorso ordi- nario quanto il dibattito teorico, è servita a distogliere lo sguar- do da quella nuova politica della povertà che è stata un elemen- to cruciale nell’edificazione dello stato neoliberale.
2La seconda frattura nasce dall’esigenza di riconnettere le po- litiche di welfare e le politiche penali, poiché questi due diffe- renti versanti dell’azione del governo nei confronti dei poveri si ispirano all’identica filosofia behaviorista incentrata sui concet- ti di deterrenza, sorveglianza, stigma, sanzioni calibrate ai fini della modificazione della condotta. Il welfare ridisegnato quale sistema di lavoro coattivo e detenzione, e spogliato di qualun- que pretesa riabilitativa, forma ora una singola rete organizzati- va gettata per catturare la stessa clientela, che faticosamente si dibatte dentro le paludi e le crepe delle odierne metropoli pola- rizzate. La sua azione coordinata rende invisibili gli strati pro- blematici della popolazione – allontanandoli dai registri dell’as- sistenza pubblica, da un lato, e tenendoli sotto chiave, dall’altro – e finisce per ricacciarli verso le periferie del prospero settore
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2. Per esempio, l’eccellente volume The Crime Drop in America, a cura di A. Blumstein
e J. Wallman (Oxford University Press, New York 2000), che raccoglie i migliori crimino-
logi in circolazione per indagare le cause dell’inatteso declino del numero dei reati ma non
dedica nemmeno un paragrafo ai mutamenti di rotta che hanno riguardato l’edilizia pub-
blica, i fondi per il welfare, l’assistenza ai minori, l’assistenza sanitaria e tutte le politiche
statali correlate che congiuntamente definiscono le opzioni di vita dei gruppi più esposti ai
crimini di strada (in qualità di rei o di vittime).
secondario del mercato del lavoro. Riprendendo la missione che avevano svolto all’alba del capitalismo, l’assistenza ai poveri e la reclusione penale cooperano nel normalizzare, sorvegliare e/o neutralizzare le frazioni indigenti e moleste del proletariato post- industriale unificato dal nuovo regime economico contrassegna- to dalla ipermobilità del capitale e dal deterioramento delle con- dizioni di lavoro.
Il terzo strappo si realizza nel superamento dell’abituale con- trapposizione tra approccio materialista e approccio simbolico, che trae origine nelle figure emblematiche di Karl Marx ed Émi- le Durkheim e si estingue nella ricomposizione delle funzioni strumentali e simboliche dell’apparato penale. Intrecciando que- stioni quali l’attenzione per il controllo e la comunicazione, il di- sciplinamento delle classi diseredate e il moltiplicarsi delle fron- tiere sociali abbiamo potuto accantonare le analisi sviluppate nel circoscritto lessico della repressione tipico delle scienze penali- stiche per chiarire in quale modo l’espansione e il ridispiega- mento del carcere e dei suoi tentacoli istituzionali (libertà con- dizionata, libertà sulla parola, registrazione dei condannati in appositi database, la costellazione dei discorsi intorno al crimi- ne e la virulenta cultura della pubblica denigrazione degli auto- ri dei reati) hanno rimodellato il paesaggio sociosimbolico e han- no ristrutturato lo stato stesso. Una ricostruzione congiunta de- gli effetti materiali e simbolici della pena rivela che lo stato pe- nale è divenuto una potente e autonoma macchina culturale, che produce categorie, classificazioni, immagini destinate a essere importate e utilizzate in ampi settori dell’attività di governo e della vita civica.
Per raffinare i contorni analitici e chiarire le implicazioni teo- riche di questa indagine attorno alla svolta punitiva che ha orien- tato le politiche pubbliche sulla povertà nelle società avanzate all’alba del secolo, sarà utile confrontarla e intrecciarla con gli studi di Pierre Bourdieu sullo stato, di Frances Fox Piven e Ri- chard Cloward sul welfare, di Michel Foucault e David Gar- land sulla pena, di David Harvey sul neoliberalismo: l’integra- zione della prospettiva sociologica servirà a rappresentare in
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Stato penale e stato debitore:
l’irripetibile esemplarità del neoliberalismo americano
JOHN L. CAMPBELL
Lo stato neoliberale secondo Wacquant
È molto diffusa, ed è condivisa dallo stesso Wacquant, la convin- zione che il declino del modello fordista-keynesiano coincida con l’ascesa del neoliberalismo. A metà degli anni settanta la compe- tizione economica internazionale si allargò, e i prezzi e i mercati divennero più instabili. Le aziende reagirono perseguendo una nuova flessibilità attraverso piani di ridimensionamento e un ri- corso più regolare al lavoro temporaneo, part-time o sottopagato da procacciarsi perlopiù attraverso programmi di esternalizzazio- ne della produzione in paesi meno avanzati. Posti sotto pressione, gli stati puntarono a favorire la competitività delle imprese attra- verso politiche di riduzione fiscale e provvedimenti normativi te- si ad attenuare i vincoli sulle attività economico-finanziarie. Que- sta strategia venne accompagnata da un attacco al welfare state, cui si imputava di essere così perversamente munifico da neutra- lizzare il timore della disoccupazione ed estinguere il potenziale produttivo dei lavoratori.
Wacquant sostiene che tali mutamenti provocarono diverse conseguenze. La prima fu lo sviluppo del workfare neoliberale, che inasprì i requisiti di accesso ai programmi per l’impiego e re- strinse volume e durata dei benefici del welfare; ciò negli Stati
Titolo originale: Neoliberalism’s Penal and Debtor States: A Rejoinder to Loïc Wacquant.
Ringrazio Marc Dixon, John A. Hall, Deborah King per i loro preziosi commenti a una pre-
cedente stesura di questo saggio.
Uniti trovò compiuta espressione nella riforma del welfare vara- ta dall’amministrazione Clinton nel 1996.
1La seconda conse- guenza fu la rigenerazione dello stato penale, chiamato a conte- nere gli imprevisti effetti delle nuove politiche sociali: l’inaridi- mento delle opportunità di lavoro e la contrazione degli aiuti del welfare fecero infatti della condotta criminale un’alternativa più attraente, contribuendo così a elevare il tasso di carcerazione e a stimolare l’espansione dello stato penale (nonché a rafforzare il legame tra welfare sociale e politiche penali). Naturalmente l’o- biettivo di queste nuove politiche era la classe inferiore, che do- vette sopportare l’urto della nuova mobilità del lavoro, della di- soccupazione, della sottoccupazione, della riduzione del welfare e, di qui, dell’accresciuto coinvolgimento in attività illegali, reso spesso necessario dall’esigenza di sbarcare il lunario. La terza con- seguenza si registra al livello culturale, ed è lo sviluppo di una por- nografia law and order: con ciò deve intendersi, secondo Wac- quant, l’intensificata rappresentazione del funzionamento del si- stema penale nell’industria cinematografica e televisiva a scopi di rammemorazione ritualizzata delle sanzioni connesse alle condotte illegali. La lezione è che puoi anche trarre profitto dalle attività criminali, ma prima o poi la lunga mano della legge ti trascinerà al cospetto della giustizia.
In conclusione, abbiamo assistito a un processo di duplice as- soggettamento normativo della classe inferiore, realizzato attra- verso l’attivazione di un connubio tra politiche penali e sociali al fondo della struttura di classe sempre più polarizzata: si è tratta- to di una importante innovazione strutturale, particolarmente ra- pida ed evidente negli Stati Uniti, ma sviluppatasi anche in tutte le società avanzate che si sono piegate a quella che Wacquant de- scrive come la pressante spinta a conformarsi al modello ameri- cano. Di qui egli sostiene che dobbiamo estendere la definizione di stato neoliberale in maniera che essa comprenda quattro ele- menti: 1) deregulation economica; 2) dismissione, contrazione e ri-
1. Cfr. L. Wacquant, La disciplina produttiva: fisionomia essenziale dello stato neolibera- le (2009), in questo fascicolo, nota 12. [N.d.C.]
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composizione del welfare; 3) affermazione di un apparato penale espansivo, intrusivo e aggressivo; 4) sviluppo del tropo culturale della responsabilità individuale, secondo il quale il corso della tua vita dipende da te, non dallo stato. Dunque, secondo Wacquant, e contrariamente a quanto sostenuto dalla retorica neoliberale, noi abbiamo uno stato centauro, liberale in alto (nei confronti delle classi superiori e delle classi medie) e paternalista in basso (nei confronti delle classi inferiori).
2Cosa dire in proposito?
La classe inferiore e lo stato penale
In primo luogo, la natura dello stato penale è più complessa di quanto Wacquant riconosca. In termini funzionali, lo stato pena- le è qualcosa di più di un meccanismo di controllo concepito per mantenere la pace sociale nelle strade. Esso può anche essere vi- sto come una forma emergente di politica occupazionale diretta all’assorbimento della forza lavoro che altrimenti rimarrebbe inu- tilizzata. Dopo tutto, la gran parte delle persone che popolano og- gi le prigioni statunitensi sono uomini giovani, scarsamente istrui- ti, appartenenti alle classi inferiori, spesso non bianchi, che se non fossero in carcere ingrosserebbero probabilmente le schiere dei disoccupati. In effetti, se questi uomini non fossero stati incarce- rati, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti negli anni novan- ta sarebbe stato di due punti percentuali più alto di quanto uffi- cialmente registrato.
3Ciò non significa che si sia pianificato lo svi- luppo dello stato penale per ridurre il tasso di disoccupazione. Ma questo è stato uno degli effetti.
Inoltre, lo stato penale riflette la struttura del neoliberalismo in due modi egualmente importanti. Da una parte, il sistema carce- rario è stato sempre più privatizzato nella misura in cui ha dero- gato a parte delle proprie responsabilità affidando un numero cre- scente di prigionieri al settore della giustizia privata (talora quale
2. Nell’illustrare gli effetti delle politiche neoliberali sui gruppi sociali più poveri Wac- quant sembra definire la classe in termini di reddito. Io, dunque, farò lo stesso.
3. B. Western, K. Beckett, How Unregulated Is the U.S. Labor Market? The Penal System as a Labor Market Institution, “American Journal of Sociology”, 4, 1999, pp. 1030-1060.
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Neoliberalismo e neofunzionalismo:
la logica opaca del capitale
FRANCES FOX PIVEN
A noi accademici piace coniare nuovi ter- mini. “Neoliberalismo” è oggi uno tra quelli che godono di maggiore simpatia, soprattutto a sinistra. Esso designa una nuova specie di capitali- smo, alimentata da una logica del tutto inedita. Mentre in regi- me fordista lo stato regolava i mercati, in quello neoliberale i soggetti che operano sui mercati hanno colonizzato lo stato con- vertendo la sua autorità al progetto dell’espansione degli scam- bi e dell’incremento dei profitti a spese dei gruppi subalterni. In altre parole, neoliberalismo significa che lo stato svolge un ruo- lo più attivo nel tradizionale progetto capitalista di dominio di classe mettendo a punto politiche rivolte allo smantellamento delle modalità fordiste di regolamentazione dell’economia pri- vata (ossia orientate alla modifica delle discipline di protezione del lavoro, alla privatizzazione di larghi settori dell’attività sta- tale, allo slittamento degli oneri fiscali dal settore delle imprese a quello pubblico e all’impiego delle forze militari imperiali nei paesi dell’emisfero sud del mondo al triplice scopo di sfruttarne le risorse naturali, i mercati e la forza lavoro). In conclusione, il neoliberalismo è un nuovo progetto politico volto ad accrescere il potere e la ricchezza del capitalismo.
Molti di noi concordano con questa descrizione dell’attuale fa- se dello sviluppo capitalistico, così come sulla natura degli eventi
Titolo originale: Response to Wacquant.
economici e politici che l’hanno innescata. Normalmente si rileva l’emergere di due fonti di tensione o di crisi all’indomani della Se- conda guerra mondiale. La prima è l’accresciuta competizione tra sistemi capitalistici nazionali, determinata dall’espansione pro- duttiva di Giappone ed Europa occidentale che ha rimesso in gio- co la porzione di mercato tradizionalmente controllata dalle im- prese americane. La seconda è la crescita del potere della classe lavoratrice (nonché di altri gruppi subalterni), che ebbe inizio con l’affermarsi dei movimenti di protesta durante la Grande depres- sione e proseguì per tutti gli anni sessanta contribuendo in ma- niera decisiva allo sviluppo della spesa sociale, al miglioramento dei salari e all’irrigidimento dei vincoli sulle attività delle impre- se, tutti ingredienti costitutivi del patto sociale che ha conferito stabilità all’Occidente nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. Questi successi provocarono l’aumento del costo del la- voro, dei costi di produzione e del prelievo fiscale, e finirono per generare una compressione dei margini di profitto. Il duplice fe- nomeno dell’intensificarsi della concorrenza internazionale e del- la compressione dei margini di profitto imposta dallo stato fordi- sta giunse a parallela saturazione nei primi anni settanta, quando i movimenti che avevano sostenuto il potere della forza lavoro ave- vano ormai ripiegato. Era il momento giusto per una mobilitazio- ne politica del capitale che puntellasse i profitti attraverso la neu- tralizzazione dei costi derivanti dall’interventismo legislativo, dal- la spesa sociale e dagli incrementi dei salari.
Sembra tutto molto chiaro. Ma fino a che punto una logica co- sì generale è capace di dare conto dell’adozione di particolari mi- sure politico-economiche? In Punire i poveri Wacquant descrive il neoliberalismo come un progetto transnazionale sostenuto da una classe dirigente emergente che opera su scala globale.
1Egli, tuttavia, è interessato a spiegare non tanto il neoliberalismo qua- le sistema politico-economico, ma piuttosto quelle che considera le nuove forme di controllo sociale dei poveri attivate dallo stato
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1. L. Wacquant, La disciplina produttiva: fisionomia essenziale dello stato neoliberale
(2009), in questo fascicolo.
in ossequio alla logica predatoria del neoliberalismo. Sebbene non sia sempre chiaro in proposito,
2Wacquant fa riferimento princi- palmente agli Stati Uniti, dove perlopiù conduce la sua ricerca da ormai due decenni. E tra i diversi processi di trasformazione del sistema politico-sociale statunitense egli seleziona lo slittamento dal welfare (e dalle politiche di sostegno rivolte alle classi inferio- ri di reddito) al workfare e l’enorme espansione del sistema pena- le, che giudica strettamente imparentati e che rappresenterebbe- ro una “innovazione istituzionale senza precedenti” sollecitata dai nuovi imperativi generati dal neoliberalismo.
3Più specificamente, Wacquant sostiene che la logica del neoli- beralismo esige nuove politiche destinate ad affrontare i disordi- ni che la deregolamentazione del mercato produce all’interno del- le sfere sociali meno privilegiate: esprimendoci in un linguaggio appena diverso, potremmo dire che le nuove politiche sono fun- zionali al regime neoliberale. Se rimaniamo su un livello analitico generale, non dissento da Wacquant. L’affermarsi del workfare e l’espansione del sistema penale hanno trasformato in maniera si- gnificativa le politiche statali, e sono fenomeni associati a quel- l’insieme di mutamenti che – ristrutturando in primo luogo il mer- cato del lavoro – hanno fatto dell’economia politica capitalista con- temporanea ciò che definiamo neoliberalismo. Eppure, a dispet- to della nostra generale convergenza di vedute, credo che l’anali- si di Wacquant non sia del tutto soddisfacente, e ciò per due ra- gioni. La prima è che, poiché ritengo che esistano considerevoli elementi di continuità tra il capitalismo fordista e quello neolibe- rale, ritengo anche che esistano considerevoli elementi di conti- nuità tra le politiche generate dai rispettivi regimi, e sono convin- ta che Wacquant sottovaluti tali elementi. La seconda e più im- portante ragione è che mentre appare fondato sostenere che il workfare possieda un’attitudine “funzionale” in quanto consolida
2. Wacquant utilizza dati empirici che si riferiscono in gran parte agli Stati Uniti, ma al tempo stesso sottolinea che quella statunitense è una politica pionieristica assunta altrove co- me modello. Cfr. per esempio L. Wacquant, Ordering Insecurity: Social Polarization and the Punitive Upsurge, “Radical Philosophy Review”, 1, 2008, pp. 9-27.
3. Id., La disciplina produttiva, cit.
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La profondità è in superficie:
per una tregua politico-metodologica
MARIANA VALVERDE
L e ricerche di Loïc Wacquant sulla povertà urbana e sulla criminalizzazione hanno esercitato una profonda influenza negli ambienti di sinistra, e sono state studiate in misura eguale dagli attivisti e dagli accademici. Personalmente sono lieta di consta- tare che il pubblico che dimostra interesse per un’analisi di sini- stra non sia così esiguo come vorrebbero farci credere i guru che appaiono sui più importanti mezzi di comunicazione. E non è escluso che, alla luce della rinnovata popolarità conosciuta dal keynesismo dopo il subprime crash, il pubblico di Wacquant sia destinato ad accrescersi.
Avendo trascorso i miei anni formativi nella sinistra socialista e femminista della seconda metà degli anni settanta, ed essendo ri- masta alla sinistra di tutte le soluzioni socialdemocratiche e neola- buriste affacciatesi negli ultimi due decenni, sono felice del largo consenso riscosso dall’analisi di Wacquant. Tuttavia, mentre Wac- quant e io siamo accomunati dalle simpatie politiche, i nostri ap- procci teorico-metodologici sono notevolmente distanti, e le diffe- renze che li separano rimandano a questioni di interesse generale.
Il modo migliore di iniziare un dibattito amichevole è chiarire che una delle differenze cruciali tra l’approccio di Wacquant e il mio è che io – a differenza di Althusser, della seconda ondata fem- minista e di Bourdieu – non credo più che le differenze teoriche
Titolo originale: Comment on Loïc Wacquant’s “Theoretical Coda” to Punishing the Poor.
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aut aut, 346, 2010, 92-97segnalino differenze politiche. Una cosa che ho appreso da Nietz- sche e dai dibattiti di fine anni ottanta sull’“epistemologia fem- minista” è che i progetti politici efficaci sono solitamente coali- zioni pragmatiche di individui che desiderano le stesse cose ma che non necessariamente possiedono la stessa visione o – nel caso degli scienziati sociali – la stessa metodologia. Questo dibattito rappresenta dunque un’ottima opportunità per indagare differenze filosofiche fondamentali che, contrariamente alla concezione del- la “prassi” dominante negli anni settanta, hanno scarse o nulle ri- percussioni politiche.
La proposta centrale di Wacquant consiste nel “reintegrare” la criminologia e lo studio delle politiche sociali e del welfare socia- le. Io concordo pienamente sul fatto che le politiche penali non costituiscono di norma un campo separato dell’attività del gover- no (come invece pretende la criminologia dominante). Dopo tut- to, i politici che approvano leggi law and order sono quelli che adottano provvedimenti più severi nel campo dell’assistenza so- ciale. E, fatto ancora più significativo (sottolineato da Katherine Beckett e da altri studiosi statunitensi),
1gli stati americani che di- spongono dei migliori sistemi di welfare sono quelli che esibisco- no i più bassi tassi di carcerazione (e viceversa), il che suggerisce che esiste una relazione tra politiche law and order e politiche neo- liberali antiwelfare.
Tuttavia, mentre Wacquant utilizza i dati sulla relazione tra l’in- cremento del tasso di carcerazione e il decremento del volume del- le prestazioni assistenziali per sostenere che esiste una strategia da parte dello stato, o di quello che egli chiama “il Leviatano neoli- berale”, io trovo problematica proprio l’idea di richiamare in vita il Leviatano. Le correlazioni messe in evidenza da Wacquant di-
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1. K. Beckett, Making Crime Pay: Law and Order in Contemporary American Politics, Ox-
ford University Press, New York 1999; K. Beckett, T. Sassoon, The Politics of Injustice: Crime
and Punishment in America, Sage Publications, Newbury Park (Cal.) 2003
2; M. Gottschalk,
The Prison and the Gallows: The Politics of Mass Incarceration in America, Cambridge Uni-
versity Press, New York 2006; D. Layton MacKenzie, What Works in Corrections: Reducing
the Criminal Activities of Offenders and Delinquents, Cambridge University Press, New York
2006; L. Miller, The Perils of Federalism: Race, Poverty, and the Politics of Crime Control, Ox-
ford University Press, New York 2008. [N.d.C.]
mostrano effettivamente l’esistenza di alcuni nessi logici, anche di natura strutturale, ma non provano necessariamente che esista una strategia unitaria, né che sia all’opera uno stratega o un singolo at- tore collettivo.
Ora, Wacquant potrebbe rispondere che egli non sta postu- lando alcun attore collettivo, giacché, seguendo la linea di indagi- ne tracciata da Bourdieu, egli concentra la sua attenzione non sul- lo “stato” come tale ma su alcuni suoi “campi”: per esempio, il campo burocratico, oppure le interazioni tra capitale politico ed economico.
Certamente la prospettiva dei “campi” illustra il processo di formazione dello stato in maniera più dinamica di quanto faccia- no i modelli unitari sviluppati da Althusser e dagli scienziati del- la politica marxisti, così come le concezioni di Bourdieu a propo- sito dell’esistenza di specifiche forme di capitale culturale con- sentono un’analisi più dinamica e più attentamente situata dei pro- cessi di formazione di classe rispetto a quella fornita dal marxismo tradizionale.
Tuttavia, da una prospettiva nietzschiana/foucaultiana si po- trebbe dire che postulando l’esistenza di campi (in particolare se configurati in maniera amorfa e imperfettamente definita come il
“campo burocratico”) finiamo comunque per privilegiare i para- metri strutturali. La conseguenza è che le specifiche attività e le particolari tecnologie di governo assumono un ruolo secondario, presentandosi nella forma di modificazioni superficiali e locali che solo di rado interessano l’assetto strutturale. Quali siano le deter- minate leggi che generano la crescita della popolazione carceraria, cosa realmente accada all’interno delle prigioni, se i giudici stiano perdendo la loro indipendenza, in che modo il “rischio” crimina- lità viene misurato e gestito, sono tutte domande che in una simi- le prospettiva teorico-metodologica vengono ignorate o emargina- te. Un’analisi di matrice bourdieuana delle modalità di governan- ce del rischio criminalità condurrà piuttosto a discussioni sulla si- nistra e la destra dello stato, o sulle relazioni generali tra politiche di welfare e politiche penali, e così via: solleverà cioè unicamente le domande formulate da Wacquant nel testo qui in discussione.
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Il neoliberalismo zombie e lo stato ambidestro
JAMIE PECK
T ra le interviste raccolte per la monumen- tale indagine di Pierre Bourdieu sul disa- gio sociale nella Francia in fase di dein- dustrializzazione degli anni ottanta, una delle più memorabili fu quella realizzata con il preside di una scuola superiore situata in un quartiere che era stato teatro di rivolte urbane e che è stato recentemente ristrutturato quale “area ad alta priorità educati- va”.1Preda della tensione, ormai vinto, derubato della sua “vo- cazione”, questo preside in stato d’assedio lamentava che le scuo- le dei degradati quartieri urbani venivano ormai “trattate come stazioni di polizia”, mentre il suo ruolo era stato distorto e de- classato a quello di soprintendente, “custode dell’ordine co- stretto a adottare le maniere forti”.
2Quotidianamente a contat- to con le ricadute sociali della nuova insicurezza economica e del progressivo ritrarsi del welfare state, questi lavoratori di fron- tiera avevano ragione secondo Bourdieu di “sentirsi abbando- nati, se non addirittura contrastati, nel loro costante sforzo di affrontare il disagio materiale e morale che è la sola conseguen-
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aut aut, 346, 2010, 98-108Titolo originale: Zombie Neoliberalism and the Ambidextrous State.
1. Le Zones d’éducation prioritaire, istituite nel 1982 dal ministero dell’Istruzione fran- cese, sono aree i cui istituti scolastici godono di risorse economiche e educative supplemen- tari in ragione delle loro condizioni svantaggiate. [N.d.C.]
2. G. Balazs, A. Sayad, La violence de l’institution, “Actes de la Recherche en Sciences
Sociales”, 90, 1991, pp. 53-63; Iid., Institutional violence, in P. Bourdieu et al., The Weight
of the World: Social Suffering in Contemporary Society, Polity Press, Cambridge 1999, pp. 492-
506 (ed. orig. La misère du monde, Seuil, Paris 1993).
za certa di questa Realpolitik legittimata dalle ragioni dell’eco- nomia”:
3la neoliberalizzazione fu la traduzione di un’austera vi- sione utopica in un programma politico guidato e sorretto da una logica meccanico-mercantile della quale gli operatori socia- li, gli insegnanti scolastici e i lavoratori di strada del “braccio si- nistro” dello stato furono gli ingranaggi più indocili. In realtà, Bourdieu giunse a ipotizzare che la classe inferiore dei funzio- nari dello stato sociale poteva essere spinta all’insurrezione con- tro la classe superiore dei nuovi mandarini della razionalità del mercato (e dei loro fidi tecnocrati), poiché “la mano sinistra del- lo stato sente che la mano destra non sa più o, peggio ancora, non vuole più sapere ciò che fa la sinistra”.
4Nel provocatorio testo qui in discussione, Loïc Wacquant esten- de e rafforza l’analisi di Bourdieu, situandola nel contesto della at- tuale congiuntura “tardo-neoliberale”. Egli individua una fase evo- lutiva che segna il superamento dell’assetto socio-economico con- solidatosi negli anni ottanta (e così vividamente catturato da Bour- dieu e dai suoi colleghi, tra i quali lo stesso Wacquant)
5e che si apre quando lotte intestine all’interno dello stesso apparato statale as- sumono la forma di una competizione asimmetrica tra i “ministe- ri della spesa” appartenenti al braccio sinistro (traccia lasciata nel cuore dello stato dalle passate lotte sociali) e gli agenti dell’auste- rità, della privatizzazione, della deregolamentazione e della mer- catizzazione appartenenti al braccio destro. Quella che Wacquant, nella sua interpretazione dell’attuale configurazione socioecono- mica, descrive come “un’innovazione istituzionale senza prece- denti”
6implica quattro tendenze correlate. In primo luogo, il so- vraccarico complesso carcerario ha assunto un ruolo decisivo nel- l’insieme delle funzioni “economiche” dello stato, delle quali è di- venuto il sempre più muscolare e mascolinizzato braccio destro; il
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3. P. Bourdieu, The abdication of the state, in Id. et al., The Weight of the World, cit., p.
183. 4. Id., Contre-feux, Raisons d’agir Éditions, Paris 1998; trad. Controfuochi: argomenti per resistere all’invasione neo-liberista, Reset, Roma 1999, p. 16 (traduzione modificata).
5. P. Bourdieu et al., The Weight of the World, cit.
6. L. Wacquant, La disciplina produttiva: fisionomia essenziale dello stato neoliberale
(2009), in questo fascicolo.
sistema penitenziario è dunque oggi l’autentica ala autoritaria del regime neoliberale. In secondo luogo, le funzioni residuali del brac- cio sinistro (lo stato sociale) sono state profondamente trasforma- te dalla logica workfarista della modificazione della condotta e del- la subordinazione al mercato. La terza tendenza è la forma ambi- destra della relazione tra il braccio autoritario e il braccio assisten- ziale dello stato, i quali esercitano una presa congiunta e sempre più stretta sui problemi di regolamentazione peculiarmente post- industriali sollevati dalla flessibilizzazione del mercato del lavoro e dalla estesa marginalità sociale. Infine, questo connubio storica- mente inedito, da intendersi in termini di simbiosi piuttosto che di unità ideologico-istituzionale, non agisce solo al chiuso delle più alte sfere dello stato, ma si articola nella logica e nella dinamica del- le procedure di regolamentazione operanti alla base dell’architet- tura sociale, in particolare nei centri urbani degradati.
Il braccio destro dello stato, dunque, non è più ignaro o incu- rante di ciò che fa il braccio sinistro, come suggeriva la metafora corporale di fonte biblica proposta da Bourdieu (“Quando fai l’e- lemosina non sappia la tua mano sinistra ciò che fa la tua destra”).
7Oggi, sottolinea Wacquant, la mano sinistra e la mano destra del- lo stato lavorano secondo modalità funzionali e organizzative com- plementari per ridisegnare lo stato attorno a un modello di so- stegno punitivo calibrato su quell’ordine contraddittorio che è il
“capitalismo deregolamentato”. Inoltre, questo è un progetto non genericamente (neo)conservatore, ma specificamente neolibera- le, idoneo a essere sostenuto da politici tanto di (centro)sinistra quanto di destra. In realtà, questa dinamica di trasformazione nel- la gestione della marginalità sociale può progredire ancora più velocemente con i governi della “terza via”, in quanto essi sono apparentemente meno vincolati da forme dottrinarie di antista- talismo. Ronald Reagan ci avrà anche portato il taglio dei sussidi e la metafora velenosa della “regina del welfare”,
8ma è stato Bill Clinton a prometterci “la fine del welfare come noi lo conosce-
7. Vangelo secondo Matteo, 6, 3.
8. Negli Stati Uniti l’espressione welfare queen (regina del welfare) indica le donne a ca- rico del sistema assistenziale che abusano, in maniera legale o fraudolenta, dell’erogazione
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aut aut, 346, 2010, 109-137