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Capitale di rischio e capitale di credito nel fallimento delle società - Judicium

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MASSIMO ROSSI

Capitale di rischio e capitale di credito nel fallimento delle società

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Versamenti in conto capitale e apporti dei soci – 3. Finanziamenti dei soci. – 4. Segue:

finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata: la disciplina introdotta con l’art. 2467 c.c. – 5.

Segue: trattamento concorsuale dei crediti postergati. – 6. Segue: crediti postergati e compensazione ex art.

56 l.f. – 7. Finanziamenti soci e prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: l’art. 182-quater l.f…. – 8. Segue: …e l’art. 182-quinquies l.f. – 9. Segue: rilievo procedimentale dei crediti predecubili ex artt. 182-quater e 182-quinquies l.f. – 10. Segue: cenni sul regime giuridico dei crediti postergati nei concordati preventivo e fallimentare. – 11. Trattamento concorsuale dei versamenti a fondo perduto... – 12. Segue: …e dei versamenti in conto capitale. – 13. I crediti del socio illimitatamente responsabile discendenti dalla soddisfazione di pretese verso la società. – 14. I creditori particolari nelle società azionarie con patrimoni destinati: la prospettiva prevalente… – 15. Segue: …la soluzione preferibile. – 16. Segue: alcuni esiti operativi. – 17. Debito da conferimento e compensazione. – 18. I titolari di obbligazioni e altri titoli di debito: profili generali – 19. L’organizzazione degli obbligazionisti nella crisi dell’impresa. – 20. Segue: istanza di fallimento. – 21. Segue: insinuazione al passivo. – 22. Segue: approvazione del concordato. – 23. Segue: determinazione del valore d’insinuazione.

– 24. Segue: disciplina dei premi. – 25. Segue: obbligazioni convertibili. – 26. Obbligazioni, strumenti finanziari e titoli di debito. – 27. Tutele individuali e tutele collettive: il diritto di opposizione e il diritto di recesso. – 28. Segue: nel concordato… - 29. Segue: …e nel fallimento.

1. La forma societaria esprime, come noto, non tanto il soggetto cui imputare l’attività, prima ancora che i risultati, dell’impresa, bensì la disciplina che ne regola il finanziamento1: ciò richiede che si precisi quali, fra le diverse specie che quest’ultimo concretamente assume, assurgano a pretese creditorie e rilevino nel contesto del concorso fallimentare che dalla crisi di tale finanziamento origina.

Infatti, se il finanziamento dell’impresa sociale – del quale l’insolvenza e, più ampiamente, la crisi esprimono peculiari disfunzioni – si presta a essere considerato, dal punto di vista dell’attività organizzata, in termini unitari e globali, tali cioè da includere sia i valori formalmente destinati dai soci all’esercizio dell’attività in termini di conferimento – che vanno a formare il capitale sociale –, sia il complesso delle risorse che confliuscono all’impresa in forme diverse, a partire da quella del credito, è solo alle seconde che le procedure di soddisfazione collettiva riservano rilievo.

Ciò perché, quanto al capitale sociale e, più ampiamente, al patrimonio netto – valori riservati, come anticipato, ai soci – la disciplina concorsuale comporta, pacificamente, l’esclusione di questi ultimi dal novero dei soggetti cui è consentito insinuarsi al passivo della società fallita o partecipare all’approvazione del concordato, quale corollario della tesi che limitatamente a tali valori i soci vantino una mera aspettativa residuale, destinata ad essere soddisfatta, rispettivamente, nella fase “attiva”

1 Cfr. G.FERRI jr, Fattispecie societaria e strumenti finanziari partecipativi, in C.MONTAGNANI (a cura di), Profili patrimoniali e finanziari della riforma, Milano, 2003, p. 67 ss., spec. p. 69 ss., B.LIBONATI,Introduzione, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, I ed., Milano, 2004, p. XXIX ss., spec. p. XIII, e P.FERRO-LUZZI,Riflessioni sulla riforma; I: la società per azioni come organizzazione del finanziamento d’impresa, in Riv. dir. comm., 2005, I, p. 673 ss.

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della società, entro i limiti di quanto disposto dalla disciplina della partecipazione agli utili e della distribuzione delle riserve, nonché delle riduzioni c.d. reali del capitale sociale, e nelle fasi di liquidazione o di crisi della società, all’esito (vale a dire, al di fuori) delle rispettive vicende, e comunque soltanto dopo che siano stati integralmente soddisfatti i creditori sociali2.

2. Tuttavia, se dal punto di vista teorico è netta la distinzione fra le pretese (eventuali e residuali) dei soci e quelle (attuali) dei creditori, la natura formale e, perciò, strumentale dell’autonomia giuridica riconosciuta alle società – a prescindere dall’assegnazione della personalità giuridica, limitata alla sola classe delle società di capitali – ha da sempre consentito la configurabilità di rapporti negoziali fra i soci e la società cui costoro partecipino, distinti dal rapporto discendente dalla partecipazione al capitale sociale e tendenzialmente ascrivibili sia a contratti di scambio, sia a negozi di finanziamento o, più genericamente, ad apporti di valori alla società in forme diverse dal conferimento.

L’attenzione della dottrina e della giurisprudenza si è appuntata proprio su questa seconda serie di vicende: infatti, la circostanza che i soci scelgano di far confluire risorse alla società attraverso modalità distinte da un formale aumento di capitale solleva il dubbio che tale operatività sia ispirata dall’intento di sottrarre l’ulteriore impiego di risorse al rischio di residualità che è tipico dell’investimento in forma di conferimento, ponendosi tali valori sul medesimo piano dei crediti sociali3 ma, nel contempo, conservando ai soci il controllo dell’iniziativa imprenditoriale mediante l’esercizio dei poteri amministrativi di norma connessi alla partecipazione sociale.

In particolare, il rilievo che il socio, in virtù sia della sua conoscenza della reale situazione dell’impresa sociale, sia della contestuale partecipazione al capitale sociale e, dunque, agli esiti economici dell’attività in termini almeno teoricamente illimitati (o, comunque, senz’altro non limitati all’eventuale remunerazione connessa alla prestazione del c.d. capitale di credito), possa ottenere dall’apporto atipico di risorse vantaggi pressoché equivalenti a quelli di un conferimento, senza peraltro far soggiacere quei valori al corrispondente regime di residualità, ha indotto a interrogarsi sui limiti di

2 In tal senso, ex multis, cfr. F.DI SABATO, Capitale sociale e responsabilità interna nelle società persone, Milano, 2005 (rist. inal. dell’edizione del 1967), p. 290 ss. e p. 304 ss.; A. BONSIGNORI,Gli aspetti processuali,in F. GALGANO e A.BONSIGNORI,Il fallimento delle società, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da F. Galgano, X, Padova, 1988,p. 267; S. SATTA, Diritto fallimentare, II ed. aggiornata e ampliata da R. Vaccarella e F.P. Luiso, Padova, 1990, p. 434; A. NIGRO, La società per azioni nelle procedure concorsuali, in Tratt. soc. per az. diretto da G.E.

Colombo e G.B. Portale, 9, Torino, 1993, p. 209 ss., spec. p. 346 s.; M.S.SPOLIDORO, voce Capitale sociale, in Enc. dir., Agg. IV, 2000, p. 195 ss., spec. p. 208 ss.; G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. soc. per az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1**, Torino, 2004, p. 3 ss., spec.

p. 14 s; M.SCIUTO,La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparativistica), in Giur. comm., 2007, I, p. 572; A.PACIELLO,La funzione normativa del capitale nominale, in RDS, 2010, p. 2 ss., spec. p. 10 s.; ciò nondimeno, si è talora qualificato il socio anche come creditore della società per la liquidazione del suo apporto da conferimento, in virtù di una sorta di credito «postergato» che, però, dovrebbe oggi essere a rigore ritenuto di secondo livello, in considerazione del fatto che il primo livello è quello che spetta ai soci ex artt.

2467 e 2497-quinquies c.c.: per la risalente opinione si veda E.SIMONETTO,Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1959, spec. p. 115 ss. e p. 311 ss., nonché, più recentemente, G.COTTINO,Le società.

Diritto commerciale, v. I, t. II, IV ed., Padova, 1999, p. 482 s.

3 Cfr., in tal senso, C.ANGELICI,voce Società per azioni e società in accomandita per azioni, in Enc. dir., Milano, 1990, p. 977 ss., spec. p. 1022.

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quella alterità formale della società cui prima si accennava e che è alla base del problema riferito4.

3. La prassi societaria presenta vicende fra loro diversificate che, almeno sino all’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 2467 c.c., concernente i finanziamenti dei soci nella s.r.l., venivano dai più ascritte entro la nozione di capitale in senso

“materiale” o “funzionale” e concettualizzate nella categoria del c.d. “quasi capitale”5. Vengono in considerazione, in primo luogo, quegli apporti qualificati dagli stessi soci nei termini di “versamenti in conto capitale”, i quali, per quanto estranei alla formale imputazione a capitale sociale, tuttavia a quella vicenda sembrano ispirati, orientando l’interprete a rintracciare nelle regole del patrimonio netto la relativa disciplina: è questo, infatti, il consolidato orientamento della giurisprudenza italiana che, ammettendo da tempo la liceità di tali apporti in una prospettiva di favor per l’interesse alla patrimonializzazione della società6, ne predica la rilevazione contabile nell’ambito delle poste del patrimonio netto e, più in particolare, nel novero delle riserve disponibili, sulla base di un’opera di qualificazione dei predetti versamenti fondata sull’indagine dell’effettiva volontà delle parti7.

Alla medesima categoria talora apparterrebbero, secondo alcuni, anche gli apporti effettuati dai soci in forma di finanziamento con obbligo di restituzione, sulla base del convincimento che sarebbe vigente nell’ordinamento un principio di corretto finanziamento della società e, più in particolare, di adeguata dotazione patrimoniale dell’impresa sotto forma di capitale sociale8; sicché, l’apporto di risorse in forme diverse dal conferimento, in situazioni di manifesta insufficienza del capitale sociale rispetto all’oggetto dell’impresa9, dovrebbe essere “riqualificato” – al pari dei c.d.

versamenti in conto capitale ma, in tal caso, anche contro l’intenzione dei soci manifestata nel negozio di finanziamento – in termini di fatto coincidenti con la disciplina del patrimonio netto10.

4 Sul tema, in generale, cfr. A. PAVONE LA ROSA,La teoria dell’imprenditore occulto nell’opera di Walter Bigiavi, in Riv. dir. civ., 1967, I, p. 623 ss., spec. p. 671 ss.; G.B.PORTALE,Capitale sociale e conferimenti nella società per azioni, in Riv. soc., 1970, p. 33 ss.; ID.,Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, 3 ss., nonché, più recentemente, ID.,Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. soc. per az. diretto da G.E.

Colombo e G.B. Portale, 1**, Torino, 2004, p. 3 ss.; P.ABBADESSA,Il problema dei prestiti dei soci nelle società di capitali: una proposta di soluzione, in Giur. comm., 1988, I, p. 497 ss.; C.ANGELICI,Società per azioni cit., p. 1020 ss.;

ID., Appunti sull’art. 2346 c.c., con particolare riguardo al conferimento mediante compensazione, in Giur. comm., 1988, I, p.

175 ss.

5 Sul quale si veda M.MAUGERI, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, p. 118 ss., ove ultt. riff. bibl.

6 Cfr. M.MAUGERI,Finanziamenti “anomali” cit., p. 49.

7 Per il risalente e consolidato orientamento cfr. Cass. 3 dicembre 1980, n. 6315 (in Giur. comm., 1981, II, p.

895 ss., con nota di P. FERRO-LUZZI,I «versamenti in conto capitale», e in Riv. dir. comm., 1981, II, p. 239 ss., con nota di F. CHIOMENTI,Ancora sugli apporti al capitale di rischio).

8 Cfr. G.B.PORTALE,Capitale sociale e società per azioni cit., p. 41 ss.; contra, M.STELLA RICHTER jr, La costituzione delle società di capitali, in AA.VV.,La riforma delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P.

Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 271 ss., spec. p. 286 s.

9 Il riferimento è alla c.d. “sottocapitalizzazione nominale”, che parte della dottrina intravede nel caso in cui i soci fissino un ammontare del capitale sociale manifestamente inadeguato, sopperendo al fabbisogno patrimoniale e finanziario della società mediante apporti non imputati a capitale, in qualsivoglia modo qualificati: cfr. G.B.PORTALE,Capitale sociale e società per azioni cit., p. 41 ss., nonché p. 143 ss.

10 E si vedano G.B.PORTALE,Capitale sociale e società per azioni cit., p. 143 ss., e P.ABBADESSA,Il problema dei prestiti cit., p. 509 ss. Questa prospettiva sembra confermata anche nel vigore dell’art. 2467 c.c.: rileva G.B.

PORTALE, I «finanziamenti» dei soci cit., p. 679, che a mente del nuovo art. 2467 c.c. si avrebbe una

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L’assimilazione ai conferimenti dei valori apportati dai soci sia in forma di versamenti in conto capitale, sia in quella di finanziamenti con obbligo di rimborso erogati in un momento di sottocapitalizzazione nominale della società, sembrerebbe indurre a negare a tali vicende qualsivoglia rilievo sia procedimentale sia, più significativamente, sostanziale in sede concorsuale.

Ciò perché, a rigore, ai versamenti e agli apporti dei soci comunque denominati – diversi dai conferimenti – dovrebbe estendersi la disciplina concorsuale prevista per questi ultimi11, sebbene con effetti, paradossalmente, più stringenti di quanto è a dirsi per il rimborso del valore dei conferimenti.

Infatti, in primo luogo, i versamenti dei soci sovente non risultano proporzionali alla quota di capitale sociale detenuta da ciascuno, sì che il principio secondo il quale i valori del patrimonio netto sono destinati ai soci in ragione della loro partecipazione sociale impedisce che il valore dei predetti apporti possa essere riservato a coloro che li abbiano effettivamente erogati. Tanto che, al fine di ovviare a questo problema, si è suggerito di iscrivere riserve “personalizzate” o “targate”, ossia destinate a essere distribuite non proporzionalmente a tutti i soci ma soltanto a quelli che le hanno originariamente apportate12.

Una seconda “distorsione” discende, poi, dell’applicazione a tali versamenti della disciplina delle riserve disponibili, a motivo del fatto che le eventuali perdite incidono definitivamente sui relativi valori. Infatti, il progressivo deterioramento della situazione finanziaria e patrimoniale della società potrebbe erodere il patrimonio netto e determinare la perdita (definitiva) delle riserve e, segnatamente, di quelle in cui fosse stato medio tempore iscritto il valore degli apporti dei soci, mentre potrebbero residuare, ancorché solo parzialmente, valori soggetti alla disciplina del capitale sociale e dunque destinati a essere rimborsati agli azionisti, con esiti penalizzanti proprio per coloro, fra i soci, che – anche senza alcun vincolo di proporzionalità rispetto alla relativa partecipazione – abbiano effettuato finanziamenti alla società nella prospettiva di scongiurare o, addirittura, invertire gli esiti (comuni a tutti i partecipanti al capitale) di una crisi che comprometta le sorti dell’impresa sociale13. Né sembra ovviare a tale problema il suggerimento, comune alla giurisprudenza e a larga parte della dottrina, di applicare a tali valori la disciplina delle riserve da soprapprezzo: infatti, anch’esse sono destinate a essere incise dalle perdite, sia pure per ultime, prima che sia eroso il capitale sociale (art. 2424 c.c.)14.

I problemi cui si è fatto cenno sono solo in parte risolti per effetto dell’introduzione del nuovo art. 2467 c.c.; se, infatti, quella norma esclude la riconduzione dei finanziamenti dei soci alla disciplina del patrimonio netto, residua il

«riqualificazione forzata del prestito in conferimento (=capitale proprio)», ancorché, in punto di disciplina, la legge fonderebbe «due classi nel quadro del rimborso del capitale proprio».

11 Cfr., sia pure problematicamente, A.NIGRO,La società cit., p. 346 s.

12 Cfr. G.E.COLOMBO,Il bilancio d’esercizio, in Tratt. soc. per az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7*, Torino, 1994, p. 23 ss., spec. p. 517; G. TANTINI,Iversamenti dei soci nelle società, in Tratt. soc. per az. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, p. 745 ss., spec. p. 781; G.B. PORTALE,Appunti in tema di

“versamenti in conto futuri aumenti di capitale” eseguiti da un solo socio, in Banca borsa e tit. di credito, 1995, I, p. 93 ss., spec. p. 97; più di recente, limitatamente ai versamenti in conto capitale, M.MAUGERI,Finanziamenti “anomali”

cit., p. 149 s., nel testo e a nota 172); ma sul tema si vedano i dubbi mossi da M.S.SPOLIDORO,voce Capitale sociale cit., p. 234. In giurisprudenza, fra le più recenti, cfr. Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, in Società, 2009, 453 ss.

13 A meno che non si accolga la tesi di P.ABBADESSA,Il problema dei prestiti dei soci cit., p. 511 ss., che configura i versamenti in conto capitale come conferimento in godimento di denaro sui relativi valori.

14 Cfr. ancora Cass. 24 luglio 2007, n. 16393.

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dubbio che essa trovi applicazione per la sola fattispecie per la quale è espressamente prevista. Ciò perché, per un verso, è discusso se il principio fissato nell’art. 2467 c.c.

possa valere anche per i finanziamenti dei soci erogati nel contesto di società azionarie15 e, per altro verso, nella relativa fattispecie non sembrano risolversi completamente le vicende riconducibili ai versamenti in conto capitale, sui quali, pertanto, si dovrà più avanti ritornare (§§ 11 e 12). Nondimeno, è indubbio che è dall’art. 2467 c.c. che la riflessione deve prendere avvio.

4. L’art. 2467 c.c., introdotto in occasione della riforma delle società del 2003, dispone che il rimborso dei finanziamenti concessi in qualsiasi forma dai soci in favore della società “in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata […dall’impresa], risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”, sia postergato e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, sia restituito.

Deve rilevarsi, al riguardo, che l’introduzione di una fattispecie tipica di credito postergato se rappresenta l’esito del lungo dibattito che ha occupato la dottrina e la giurisprudenza sul tema dei versamenti in conto capitale, sotto una diversa luce sembra costituire, significativamente, una scelta di discontinuità16 rispetto alle conclusioni cui, sul punto, pervenivano la maggior parte degli autori e la giurisprudenza17. Il dibattito che ne è seguito, tuttavia, indotto forse anche dalla formulazione non perspicua dell’art. 2467 c.c.18, mostra di non esserne talvolta adeguatamente consapevole, con esiti particolarmente rilevanti anche sul tema che ci occupa.

15 Nel senso che l’art. 2467 c.c. sia espressione di un principio generale in materia di finanziamento dei soci valevole per tutte le società capitalistiche, cfr. G.B.PORTALE,I «finanziamenti» dei soci cit., p. 681, seguito da A.

NIGRO eD.VATTERMOLI,Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, II ed., Bologna, 2012, p. 335;

nonché le caute aperture di M.MAUGERI,Finanziamenti “anomali” cit., p. 231 ss.; sulla possibilità di applicare analogicamente l’art. 2467 c.c. alle società per azioni quando «il suo concreto assetto di interessi si atteggia in termini “personalistici”» cfr. C.ANGELICI,da ultimo in Principi e problemi, nel Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, La società per azioni, I, Milano, 2012, p. 491 ss. In giurisprudenza cfr. Trib. Pistoia, 8 settembre 2008 (in Fall., 2009, p. 799 ss., con nota di L.PANZANI,Classi di creditori nel concordato preventivo e crediti postergati dei soci di società di capitali, e in Banca borsa e tit. di credito, 2009, II, p. 191 ss., con nota di G. BALP,Dell’applicazione dell’art. 2467 c.c. alla società per azioni). La possibilità di estendere analogicamente la disciplina dell’art. 2467 c.c.

alla società per azioni viene in genere proposta limitatamente ai finanziamenti che provengano da soci la cui partecipazione esprima interessi anche imprenditoriali, idonei a tradursi in concrete decisioni organizzative, a motivo del rilievo, anche quantitativo, che tale partecipazione assume: argomento indotto dall’osservazione che è sul presupposto della istituzionale inerenza del socio di s.r.l. alla gestione della società che si spiega il rigoroso regime dei finanziamenti dei soci dettato dall’art. 2467 c.c. (cfr. G.TERRANOVA, sub art. 2467, in G.

NICCOLINI,A.STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali. Commentario, III, Napoli, 2004, p. 1449 ss., spec. p. 1476 s.; C.ANGELICI, Diligentia quam in suis e business judgment rule, in Riv. dir. comm., 2006, I, p.

675 ss., spec. p. 682); nondimeno, va rilevato che nella s.r.l. il fatto che il socio sia, in concreto, estraneo al governo della società non sembra escludere l’applicazione dell’art. 2467 c.c. Sull’estensione dell’art. 2467 c.c.

alle società di persone – problema in vero non particolarmente avvertito dalla dottrina, verosimilmente in ragione del peculiare regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali – cfr. M.MAUGERI,Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti dei soci, in Riv. dir. comm., 2008, I, p. 133 ss., spec. p. 147 ss.

16 Lo rileva G.TERRANOVA,sub art. 2467 cit. p. 1449 ss.

17 Per il dibattito cfr. M.MAUGERI,Finanziamenti “anomali” cit.

18 Sulla cui genesi cfr., fra gli altri, G.B.PORTALE,I «finanziamenti» dei soci nelle società di capitali, in Banca borsa tit.

di cred., 2003, I, p. 663 ss., nel testo e a nota 1.

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Infatti, malgrado il tenore letterale dell’art. 2467 c.c. possa indurre l’interprete a immaginare la forzata riqualificazione in conferimenti19 dei finanziamenti dei soci, larga parte della dottrina ha espresso la condivisibile opinione che tali pretese mantengano natura creditoria20, consistendo la postergazione nel rinvio del rimborso del valore del credito all’esito dell’integrale soddisfazione degli altri creditori sociali.

Si consideri, del resto, che per quanto la norma sembri sottendere un giudizio di ragionevolezza21 del conferimento nell’ipotesi in cui, invece, le particolari condizioni in cui versi la società scoraggino (ossia, rendano irragionevole) il ricorso al credito, tuttavia, in tale situazione, neppure il conferimento risulta di per sé ragionevole: anzi, a rigore sembra esserlo senz’altro meno di un finanziamento, poiché, se il conferimento assegna al socio la possibilità di essere rimborsato dell’ammontare versato e di ricevere una remunerazione, sotto forma di partecipazione agli utili della società, solo ove non vi siano perdite, ossia soltanto se vi siano risorse sufficienti a soddisfare i creditori sociali, si fa difficoltà a individuare un interesse del socio a investire ulteriore capitale nella società quando questa versi nello stato di cui tratta l’art. 2467, comma 2, c.c., sostenendo che esso apra a guadagni potenzialmente illimitati, com’è tipico per le operazioni di investimento.

Al contrario, si deve rilevare che la questione non è tanto quella di ricercare un comportamento socialmente tipico dal punto di vista del socio; piuttosto, muovendo dal rilievo che la ratio della norma è quella di offrire tutela alle ragioni dei creditori sociali rispetto a quelle dei finanziatori-soci in situazioni nelle quali va assottigliandosi la garanzia patrimoniale della società, il requisito della ragionevolezza può assumere un più preciso significato se valutato proprio nell’ottica dei creditori, rispetto ai quali soltanto il conferimento si presterebbe a essere ritenuto ragionevole, poiché il tentativo di salvaguardare il valore del patrimonio netto non sarebbe compiuto “a loro spese”.

Il conferimento, però, rimane irragionevole per i soci: per questo è parimenti irragionevole che, nei rapporti fra i soci, il valore delle sovvenzioni fatte a mente dell’art. 2467 c.c. riceva lo stesso trattamento giuridico degli investimenti, sia nella

19 In giurisprudenza, cfr. Trib. Firenze, 26 aprile 2010, in www.ilcaso.it.

20 In tal senso cfr., fra gli altri, G.TERRANOVA,sub art. 2467 cit., p. 1457 s.; E. FAZZUTTI,sub art. 2467 c.c., in M.SANDULLI eV. SANTORO (a cura di), La riforma delle società, III, Torino, 2003, p. 48 ss., spec. p. 50; G.

GUIZZI,Il passivo in AA.VV.,Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, p. 292; B.LIBONATI, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, p. 514 s.; N.SALANITRO,Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano, 2005, p. 37; G.TANTINI,I versamenti dei soci cit., p. 798;U. TOMBARI,«Apporti spontanei» e «prestiti» dei soci nelle società di capitali, in AA.VV.,Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P.

Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 553 ss., spec. p. 562 s.; M.MAUGERI,Finanziamenti “anomali”

cit., p. 151, nonché, ID.,Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci, in Giur. comm., 2010, I, p. 805 ss., p. 806, nel testo e a nota 2; O.CAGNASSO,La società a responsabilità limitata in Tratt. dir. comm. diretto da G. Cottino, V, Padova, 2007, p. 108; A.NIGRO eD.VATTERMOLI,Diritto della crisi cit., p. 156 s. e 292 s.; A. PACIELLO,La funzione cit., p. 11, a nota 57; D. VATTERMOLI,Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, p. 126 s.;

C.F. GIAMPAOLINO, Profili fallimentari, in V. FICARI e C.F. GIAMPAOLINO, Profili fallimentari e tributari, nel Trattatto delle società a responsabilità limitata, diretto da C. Ibba e G. Marasà, VIII, Padova, 2012, p. 3 ss., spec. p.

78 s.; G. GUERRIERI,I finanziamenti dei soci, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di M. Bione, R.

Guidotti e E. Pederzini, nel Tratt. dir. comm. e dir. pubbli. econ. diretto da F. Galgano, LXV, Padova, 2012, p. 59 ss., spec. p. 76 s. Contra G.B. PORTALE,Capitale sociale e società cit., p. 148 s., in nota 43-bis, nonché ID.,I

«finanziamenti» cit., p. 678 s.; A.IRACE,sub art. 2497-quinquies, in M.SANDULLI eV.SANTORO (a cura di),La riforma cit., p. 341 ss., spec. p. 342.

21 Sul criterio di ragionevolezza, in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano 24 aprile 2007, in Giur. it., 2007, 2500, secondo il quale il criterio di ragionevolezza utilizzato dal legislatore per individuare i finanziamenti dei soci postergati comporta la necessità di tener conto della situazione della società al tempo del finanziamento confrontata con i comportamenti che nel mercato sarebbe ragionevole aspettarsi.

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forma tipica del conferimento, sia nella forma atipica dei versamenti in conto capitale, come invece condurrebbe fatalmente a concludere la tesi della riqualificazione dei finanziamenti.

Se così è, la ratio dell’art. 2467 c.c. non riposa, allora, nell’esigenza di allineare, sul piano formale, l’operazione di apporto a quanto essa tendeva a realizzare sul piano sostanziale, ossia un investimento di capitale di rischio, ma, più semplicemente – e in coerenza al dettato normativo – a orientare la libertà dei soci nella scelta delle forme attraverso le quali somministrare alla società i necessari mezzi economici.

In linea di principio, non v’è alcuna regola che imponga un’adeguata dotazione di capitale proprio rispetto all’oggetto dell’impresa: i soci, quindi, sono liberi di scegliere attraverso quale forma apportare valori alla società; tuttavia, seguendo la stessa logica sottesa alla disciplina concorsuale che, in caso di insolvenza, esclude i soci dalle decisioni sull’organizzazione dell’impresa decotta, a motivo del rilievo che, essendo (tendenzialmente) perso il capitale proprio della società, soggetto a quel rischio tipico sono ormai le posizioni dei creditori, in una situazione quale quella appalesata ai sensi dell’art. 2467, comma 2, c.c., la legge, nel regolare il possibile conflitto fra soci e creditori, non si spinge sino a escludere i primi dalla determinazione dell’organizzazione dell’impresa, ma interviene per circoscriverne gli ambiti, in particolare sotto il profilo della disciplina del finanziamento, al fine di evitare che il costo di tali interventi possa essere sopportato anche dai creditori.

È convincente concludere, allora, che il disposto del primo comma dell’art.

2467 c.c. istituisca un rapporto di priorità esclusivamente fra crediti appartenenti a classi distinte, nella neutralità della disciplina della destinazione del valore del patrimonio netto.

D’altronde, l’utilizzo, da parte della legge, dell’espressione “finanziamenti”

sembra senz’altro evocativo di una vicenda che, di là della veste formale che assume, si caratterizza per il fatto che il finanziatore, nel perseguimento di finalità di sovvenzione, effettua una prestazione senza ottenere contestualmente nulla dal finanziato e che, anzi, consiste proprio in una rinuncia (temporanea o definitiva) alla immediata esigibilità di una qualsiasi controprestazione, generando così in capo al sovvenuto la disponibilità di una concreta e specifica utilità22.

5. Pertanto, di là di ogni considerazione generale sul funzionamento della postergazione, sul quale non vi sono soluzioni condivise23, è senz’altro ragionevole ritenere i crediti discendenti da finanziamenti dei soci (con obbligo di rimborso: giacché per quelli a fondo perduto non si pongono, all’evidenza, problemi) siano ascrivibili al passivo dello stato patrimoniale e, dunque, in principio destinatari, quantomeno nelle fasi della liquidazione ordinaria e delle procedure concorsuali – ove pressoché

22 La restituzione del valore della sovvenzione, come pure la sua remunerazione è non solo eventuale (si pensi ai finanziamenti a fondo perduto), ma anche marginale: cfr. G.FERRI jr, Investimento e conferimento, Milano, 2001, p. 465, seguito, di recente, in materia di finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. da M.MAUGERI,Sul regime cit., p. 814 s.

23 Sul significato normativo della postergazione ex lege cfr., oltre ai contributi già citati, G. PRESTI,sub art.

2467, in P. BENAZZO e S. PATRIARCA, Codice commentato delle s.r.l., Torino, 2006, p. 98 ss.; D. SCANO, I finanziamenti dei soci nella s.r.l. e l’art. 2467 c.c., in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 879 ss.; F. VASSALLI, Sottocapitalizzazione delle società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2004, p. 267 ss.; A.ZOPPINI,La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata e i prestiti provenienti da “terzi” (con particolare riguardo alle società fiduciarie), in Riv. dir. priv., 2004, p. 417 ss.

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unanimemente la dottrina e la giurisprudenza ritengono operativo il principio di postergazione24 –, delle discipline ivi contemplate per la soddisfazione delle pretese creditorie che si appuntano sulla società.

Sul piano della disciplina, ciò implica che i titolari di crediti subordinati risultano legittimati a insinuarsi al passivo25 e, prima ancora, a promuovere il fallimento della società26. Ovviamente, ai fini della postergazione non è rilevante chi (socio, ex socio o avente causa del socio) sia attualmente creditore della società o sia già stato rimborsato, ma solo che il finanziamento a suo tempo erogato alla società fosse soggetto alla disciplina di cui all’art. 2467 c.c.27, poiché in questa sede rileva il carattere oggettivo della destinazione; e, d’altra parte, la verifica delle condizioni per la postergazione sembra dover risalire al momento della concessione della sovvenzione28. Inoltre, poiché l’art. 2467 c.c. si rivolge a regolare il rimborso, prescrivendone la postergazione (o, se del caso, la restituzione), si può ritenere che il conflitto di interessi istituito e risolto dalla norma si instauri fra il credito subordinato e quelli sussistenti all’atto del rimborso (e non soltanto al momento in cui è sorta l’obbligazione restitutoria): non invece rispetto ai crediti sorti dopo tale momento, rispetto ai quali il pagamento del credito non può assumere valore pregiudizievole.

Le modalità di ammissione al passivo del credito postergato sembrano dover attingere solo in parte alla disciplina dei crediti condizionali; se è vero, infatti, che in sede concorsuale il rimborso del credito subordinato è condizionato sospensivamente all’integrale soddisfazione dei crediti poziori, è evidente che l’applicazione del regolamento normativo previsto per i crediti sottoposti a condizione dettato nell’art. 55, comma 3, l.f. e consistente nella ammissione con riserva ai sensi dell’art. 96, comma 3, n. 1, l.f., non sia adeguato.

Infatti, per i crediti condizionali ammessi con riserva trova applicazione il sistema delineato agli artt. 113 e 113-bis, l.f. che, al fine di conservare integra la possibilità del riparto rispetto a quei crediti che, sebbene di esistenza o esigibilità ancora incerta, hanno pur sempre titolo, ove si verifichi l’evento dedotto in condizione, per concorrere proporzionalmente con gli altri, impongono opportuni accantonamenti ad

24 V., per tutti, G.TERRANOVA,sub art. 2467 cit., p. 1463 ss.; G.FERRI jr, In tema cit., p. 969 ss.; M.MAUGERI, Finanziamenti “anomali” cit., p. 112 ss.; D. VATTERMOLI, Crediti cit., p. 128 s. In giurisprudenza tale orientamento è stato espresso da Trib. Milano, 24 aprile 2007 (in Giur. it., 2007, p. 2500, con nota di O.

CAGNASSO,Prime prese di posizione giurisprudenziale in tema di finanziamenti dei soci a responsabilità limitata, nonché in Banca borsa tit. di credito, 2007, p. 610 ss., con nota di G.BALP,Sulla qualificazione dei finanziamenti dei soci ex art.

2467 cod. civ. e sull’ambito di applicazione della norma), e da Trib. Milano, 25 ottobre 2005, in Società, 2006, 1267.

25 Cfr. G.FERRI jr, In tema cit., p. 994; G.GUIZZI,Il passivo cit., p. 291; L. MANDRIOLI, La disciplina dei finanziamenti dei soci nelle società di capitali di capitali, in Società, 2006, p. 180; A.BARTALENA,I finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata, in AGE, 2003, II, p. 395; O. CAGNASSO,La società cit., p. 116. Contra,M.

IRRERA,Finanziamenti dei soci, in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O.

Cagnasso, P. Montalenti, Artt. 2409-bis – 2483, Bologna, 2004, p. 1794; L.GALEOTTI FLORI,L’inefficacia del rimborso del finanziamento dei soci tra l’art. 65 l.f. e l’art. 2467 c.c., in Giur. comm., 2005, II, p. 74 ss., spec. p. 79; D.

VATTERMOLI,Crediti cit., p. 127. Si noti, peraltro, che in dottrina si è ritenuto che l’ammissione al passivo debba essere concessa anche nel caso in cui il socio abbia restituito alla curatela l’ammontare ricevuto dalla società a rimborso del credito da finanziamento soci ai sensi dell’art. 2467 c.c.: così M.MAUGERI,Sul regime cit., p. 819 s.

26 Cfr. D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 359.

27 Cfr. E.FAZZUTTI,sub art. 2467 cit., p. 50. Si discute, in vero, se un finanziamento originariamente erogato da un terzo, per effetto della cessione a favore di un socio possa essere postergato ex art. 2467 c.c.: in senso negativo v. C.F. GIAMPAOLINO,Profili cit., p. 88 ss.; più in generale, sul problema cfr. D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 139.

28 Cfr. O.CAGNASSO,La società cit., p. 108.

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ogni ripartizione. Ma tale meccanismo sembra estraneo all’area della postergazione, poiché operare accantonamenti anche a favore dei crediti subordinati avrebbe l’effetto, per certi versi paradossale, di impedire proprio il verificarsi dell’evento cui il rimborso di tali crediti è condizionato, ossia l’integrale pagamento delle pretese situate in una posizione superiore.

Si deve ritenere, piuttosto, con la più avvertita dottrina, che l’inclusione nel passivo debba realizzarsi con “clausola di postergazione” e che, dunque, non operino a favore dei titolari di tali pretese gli accantonamenti previsti, in generale, per i crediti ammessi con riserva29.

Quanto ai crediti da finanziamenti dei soci soddisfatti entro l’anno precedente alla dichiarazione di fallimento la legge, come si rammentava, prescrive la restituzione alla massa del rimborso, delineando così uno strumento funzionalmente revocatorio che, per quanto sotto il profilo procedimentale appaia più affine alla disciplina dei pagamenti di crediti che alla data del fallimento non siano ancora scaduti, recata all’art. 65 l.f., sembra tuttavia derogare in pejus all’azione revocatoria dei pagamenti contemplata nell’art. 67 l.f.30: a ogni modo, in seguito alla restituzione del valore rimborsato il creditore sembra poter insinuare al passivo il credito reviviscente, con clausola di postergazione, sia che tale esito lo si ritenga imposto a mente dei principi generali, sia che lo si desuma, ancorché in via analogica, dall’art. 70, comma 2, l.f.31.

Va infine precisato che la postergazione e, in particolare, quella discendente dalla legge, è incompatibile con la perduranza di forme di previlegio o di garanzia per il relativo soddisfacimento, che gravino sul medesimo patrimonio: del resto, sarebbe radicalmente contraddittorio consentire ai privati di “sfuggire” al regime della postergazione per il tramite di garanzie incidenti sullo stesso attivo; diversamente, invece, è a dirsi per garanzie rilasciate da terzi32.

6. Il dibattito intorno al trattamento concorsuale dei crediti postergati evoca l’ulteriore problema dell’applicabilità a tali pretese dell’art. 56 l.f. a mente del quale i creditori possono compensare i loro debiti verso il fallito, ancorché non scaduti alla data della dichiarazione di fallimento e a meno che il creditore abbia acquistato il credito per atto tra vivi dopo l’avvio del fallimento o nell’anno anteriore. L’operatività della compensazione costituisce una deroga33 ai generali principi di concorsualità della procedura e di trattamento paritario dei creditori sociali ed è perciò considerata dalla

29 Così G.GUIZZI, Il passivo cit., p. 291, seguito da M.MAUGERI,Sul regime cit., p. 817. In questo senso, ma con riguardo alla postergazione convenzionale, già A.MAFFEI ALBERTI,Prestiti postergati e liquidazione coatta amministrativa, in Banca borsa tit. di credito, 1983, I, p. 23 ss., spec. p. 25; G.F.CAMPOBASSO,I prestiti postergati cit., p. 141. Nel senso, invece, della piena operatività della disciplina dei crediti ammessi con riserva cfr. M.

MORAMARCO,La postergazione del finanziamento dei soci nelle società a responsabilità limitata ed il concordato preventivo, in Dir. fall., 2007, II, p. 77 ss., spec. p. 94, nonché S.BONFATTI,Prestiti da soci, finanziamenti infra gruppo e strumenti

“ibridi” di capitale, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario, Milano, 2004, 288 ss. Sui profili dell’ammissione cfr., da ultimo, D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 386 ss.

30 Cfr., sul tema, G. FERRI jr, In tema cit., p. 976; S. LOCORATOLO,Postergazione dei crediti e fallimento, Milano, 2010, p. 51 ss.; D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 130 s.

31 Cfr. M. CAMPOBASSO, I finanziamenti cit., p. 452; G. GUIZZI, Il passivo cit., p. 285; A. NIGRO e D.

VATTERMOLI,Diritto della crisi cit., p. 156 s.; D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 380 ss., ma già, per un cenno, p.

130; G. GUERRIERI,I finanziamenti cit., p. 82.

32 Cfr. D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 41 ss., secondo il quale tale conclusione s’imporrebbe anche per la subordinazione convenzionale assoluta (integrando in tal caso la scelta della subordinazione una rinuncia tacita alla garanzia) e per i privilegi d’ordine legale, in considerazione della specialità della disciplina che qualifica un credito come subordinato, rispetto a quella che fissa i crediti privilegiati.

33 Cfr. S.SATTA, Diritto fallimentare cit., p. 185.

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dottrina più avveduta come istituto speciale di stretta interpretazione34; del resto, la destinazione selettiva del patrimonio sociale alla preferenziale soddisfazione di alcune soltanto delle poste del passivo cui essa dà luogo, di fronte all’inequivoca volontà della legge, ha suggerito ad alcuni l’applicazione restrittiva del disposto, soprattutto per quel che concerne la valutazione delle condizioni alle quali è consentita la compensazione dei crediti.

In particolare, nonostante il contrario avviso della giurisprudenza più recente35, si è suggerito di verificare la sussistenza delle condizioni di esigibilità, di omogeneità e di liquidità del credito non sulla base del particolare atteggiamento dei crediti ai fini del concorso, ma dei caratteri originari del credito; trovando conferma, in questo senso, nell’art. 56, comma 1, l.f. che rende irrilevante l’eventuale mancata scadenza del debito del fallito prima della dichiarazione di fallimento: infatti, se la verifica delle condizioni di compensabilità dovesse essere operata sulla base delle particolare configurazione dei rapporti obbligatori ai fini del concorso tale precisazione risulterebbe inutile a motivo della previsione della scadenza di tutti i debiti del fallito alla data della dichiarazione di fallimento (art. 55, comma 2, l.f.)36.

Coloro che hanno affrontato il problema dell’applicabilità dell’art. 56 l.f. anche a beneficio dei titolari di crediti postergati sembrano per lo più propendere per la soluzione negativa sulla base di molteplici argomenti37, similmente a quanto già si sosteneva nel passato per le ipotesi di postergazione convenzionale. Prevalentemente, si è osservato che per effetto della soggezione alla disciplina della postergazione il credito sarebbe sospensivamente condizionato all’integrale soddisfazione delle ragioni dei creditori poziori, mancando perciò il requisito della sua esigibilità38; altri hanno negato la compensazione segnalando che il carattere subordinato dei crediti esprima la sostanziale partecipazione dei finanziatori al rischio d’impresa39, operando una riqualificazione del credito che ne esclude l’omogeneità con il controcredito vantato dalla società. Si tratta tuttavia di argomenti non convincenti, a cominciare da quello che nega l’esigibilità del credito: la regola di postergazione, infatti, sembra destinata a operare soltanto nella fase di liquidazione del patrimonio del debitore; quindi non può dirsi che il credito, ancorché subordinato, non sia anche esigibile alla scadenza: al contrario, lo è senz’altro al di fuori del fallimento (e, più ampiamente, di operazioni di liquidazione generale), come è riprova nell’art. 2467 c.c. che rende ripetibile il solo pagamento effettuato “nell’anno precedente il fallimento”, suggerendo a contrario che pagamenti più risalenti siano legittimi e dunque, a maggior ragione, doverosi. Né, d’altra parte, la compensazione può essere negata assecondando l’idea che l’originaria esigibilità del credito venga meno nel corso della procedura o della liquidazione

34 Cfr. A.NIGRO e D.VATTERMOLI,Diritto della crisi cit., p. 147.

35 È ormai consolidato l’orientamento comparso con la Cass. 20 marzo 1991, n. 3006, in Fall., 1991, p. 1042:

in questo senso, infatti, si vedano, da ultimo, Cass. 12 febbraio 2008, n. 3280, in Fall., 2008, p. 605; Cass. 27 aprile 2010, n. 10025, in Fall., 2010, p. 1463; Cass. 18 marzo 2005, n. 6006, in Corr. giur., 2005, p. 969; Cass. 13 agosto 2004, n. 15779, in Mass. giur. it., 2004.

36 Cfr. G. GUIZZI,Il passivo cit., p. 285.

37 Cfr. M.MAUGERI,Sul regime cit., p. 819, e C.F.GIAMPAOLINO,Profili cit., p. 72 ss.; contra A. NIGRO e D.

VATTERMOLI, Diritto della crisi cit., p. 149, sia pure manifestando perplessità sulla scelta legislativa, e G.

GUERRIERI,I finanziamenti cit., p. 94, ma già per un cenno, p. 81, a nota 64. In giurisprudenza, nel senso dell’inapplicabilità dell’art. 56 ai prestiti postergati cfr. Trib. Milano, 24 ottobre 2008, in RDS, III, 2009, p.

392.

38 G.F. CAMPOBASSO,I prestiti cit., p. 145; A. MAFFEI ALBERTI,Prestiti cit., p. 25 s.

39 G.B.PORTALE, «Prestiti subordinati» e «prestiti irredimibili» (Appunti), in Banca borsa, 1996, I, p. 1 ss., spec. p. 13 s.

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ordinaria della società: a ben vedere, infatti, solo in termini descrittivi e atecnici il credito postergato può dirsi, in quelle fasi, condizionato e dunque inesigibile; in realtà, esso è esigibile poiché la postergazione è destinata a operare solo al momento della destinazione del ricavato della liquidazione del patrimonio del debitore, quale disciplina dell’ordine di distribuzione dell’attivo. Parimenti non convincente, per le ragioni esposte nei paragrafi precedenti, è la tesi che si fonda sulla riqualificazione del credito in conferimento.

Piuttosto, com’è stato proposto, l’operatività della compensazione sembra doversi escludere perché consentendo al creditore postegato di avvalersi di tale istituto si giungerebbe a esiti contradditori con l’art. 2467 c.c.: per tal via, infatti, si sottrarrebbero all’attivo fallimentare risorse destinate a soddisfare in via preferenziale, sia pure anche solo parzialmente, i creditori postergati, pregiudicando il raggiungimento della finalità sottostante l’istituto40. In altre parole, ai fini dell’esclusione della compensazione per i crediti di cui si tratta sembra decisivo osservare che la disciplina dell’art. 2467 c.c. si pone in radicale contraddizione con quella modalità di estinzione delle obbligazioni, escludendone l’operatività proprio sulla base degli stessi principi generali che la regolano e, in particolare, a norma dell’art. 1246, n. 5, c.c. che la preclude in caso di divieto di legge41. Infatti, se sul piano della fattispecie il credito subordinato non manca di alcun requisito che ne consenta la compensabilità ex art. 56 l.f.42, su quello, distinto, della disciplina si mostra incompatibile con gli effetti indotti dall’estinzione dei crediti per compensazione.

E si consideri, al riguardo, che solo apparentemente l’art. 1246, n. 5, c.c.

sembra richiamare un divieto espresso e specifico previsto da una norma di legge: al contrario, si rileva sovente che tale divieto andrebbe rintracciato non soltanto in disposizioni che espressamente prevedano l’esclusione della compensazione ma anche in norme o principi, presenti nell’ordinamento, con i quali la possibilità di contrapporre all’obbligo di pagamento di debito un controcredito liquido ed esigibile si ponga in insanabile contrasto43.

7. Negli ultimi anni, il legislatore ha più volte novellato la legge fallimentare, in particolare in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati, fra l’altro regolando il diffuso fenomeno dei c.d. “finanziamenti ponte” e, più in generale, dell’erogazione di “nuova finanza” a favore dell’impresa in crisi: ci si riferisce, nel dettaglio, all’art. 182-quater l.f., in materia di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti (originariamente introdotto dall’art. 48, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni con l. 30

40 Cfr. M.MAUGERI,Finanziamenti cit., p. 136, nel testo e alle note 142 e 143.

41 Cfr. D.VATTERMOLI,Crediti cit., p. 378 s. Peraltro, come rileva l’A. da ultimo citato, va segnalato che la compensazione deve ritenersi esclusa anche per il caso in cui la postergazione derivi da un patto del negozio di finanziamento – si pensi, per esempio, alle obbligazioni il cui rimborso sia subordinato all’integrale pagamento degli altri creditori – in ragione non tanto del n. 5 dell’art. 1246 c.c., ma del precedente n. 4, ove si contempla la rinuncia alla compensazione operata precedentemente dal creditore: il che sembra imposto dalla natura stessa del patto di subordinazione che risulterebbe incompatibile con la natura satisfattoria della compensazione.

42 Cfr. S.LOCORATOLO,Postergazione cit., 137, il quale pure conclude per la non applicabilità dell’art. 56 l.f. ai crediti postergati.

43 In questo senso cfr., F. MARTORANO, Compensazione del debito per conferimento, in AA. VV.,La riforma delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 1, Torino, 2006, p. 519 ss., spec. p. 535 ex multis, Cass. 22 dicembre 1994, n. 11040, in Mass. giur. it., 1994; Cass. 27 maggio 1982, n.

3264, in Mass. giur. it., 1982.

(12)

luglio 2010, n. 122, e successivamente modificato, da ultimo con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni con l. 7 agosto 2012, n. 134), e all’art. 182- quinquies l.f., in tema di finanziamento e continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti (inserito dal medesimo d.l. n. 83/2012)44.

Entrambe le disposizioni trovano applicazione anche per i finanziamenti effettuati da soci, sì da incidere, almeno in parte, la disciplina dei crediti postergati che sopra si è descritta e originare numerosi profili problematici, anche a motivo di una certa estemporaneità e disorganicità dei ricordati interventi normativi.

In particolare, l’art. 182-quater l.f., nell’intento di favorire soluzioni concordate della crisi45, dispone, nel primo comma, che i crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma erogati all’impresa in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato siano

“prededucibili”; nel secondo comma, poi, parifica ai crediti appena indicati – con l’effetto, quindi, di estendere loro il trattamento dei crediti prededucibili – quelli derivanti da finanziamenti effettuati in funzione della presentazione delle domande di ammissione alla procedura di concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, nei cui piani siano rispettivamente previsti e a condizione che la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento che ammette l’impresa al concordato preventivo ovvero in quello che omologa l’accordo di ristrutturazione.

Si tratta dell’esplicitazione di un principio da taluni già invocato per i crediti concessi all’impresa in crisi, in particolare nelle ipotesi di concordati non puramente liquidatori, all’indomani del d.l. n. 35/2005; infatti, mentre per il concordato preventivo si sarebbe potuti giungere alla medesima conclusione, ancorché, per talune ipotesi, attraverso un’interpretazione estensiva dell’art. 111, comma 2, l.f.46, non altrettanto

44 Sul percorso legislativo che ha condotto all’attuale quadro normativo cfr., da ultimo, ASSONIME,Le nuove soluzioni concordate della crisi dell’impresa. Circolare n. 4/2013, in Riv. soc., 2013, p. 541 ss.

45 N. ABRIANI,Il finanziamento dei soci alle imprese in crisi alla luce del nuovo art. 182-quater l.fall.: dal sous-sol della postergazione all’attico della prededuzione?, in Riv. dir. impr., 2010, p. 429 ss., spec. p. 436.

46 Quanto al concordato preventivo, persiste in giurisprudenza il dibattito, dagli esiti ancora incerti, sulla possibilità di considerare prededucibili i crediti propedeutici alla presentazione della relativa domanda di ammissione, originato dall’impiego, nell’art. 111, comma 2, l.f., dell’espressione “[crediti] sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”: cfr. al riguardo Trib. Milano, 20 agosto 2009, in Fall., 2009, 1413; nel medesimo senso, Trib. Udine, 15 ottobre 2008, ibid. In una diversa prospettiva cfr.

invece Trib. Treviso, 16 giugno 2008, in Corr. mer., 2008, p. 1015. In dottrina, per la soluzione favorevole cfr., M.MAUGERI, Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci, in Giur. comm., 2010, I, p. 805 ss., spec. p. 837 s., nonché, più in generale, S. BONFATTI, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa. Uno sguardo d’insieme, in S.BONFATTI e P.F.CENSONI,Manuale cit., p. 501 ss., spec. p. 507 s., secondo il quale le fattispecie previste dall’art. 182-quater l.f. prevede “fattispecie specifiche di prededucibilità di crediti sorti in funzione od in esecuzione del concordato, che si sommano (e sostanzialmente si sovrappongono) a quelle previste in via generale dall’art. 111 l.fall.”; di “rapporto di specialità fra l’art. 182-quater l.f. e l’art. 111 l.f. discute O.DE CICCO,Concordato cit., p. 265, a nota 20. Rileva, invece, G.B.NARDECCHIA, sub art. 182-quater, in Commentario alla legge fallimentare diretto da C. Cavallini, III, Milano, 2010, p. 851 ss., spec. p. 852, che “l’art. 182-quater l.f.

rappresenta […] una significativa novità rispetto all’art. 111 l.f. in quanto estende il regime della prededuzione anche a crediti sorti successivamente alla chiusura del concordato preventivo”.

Si consideri, altresì, che la giurisprudenza di legittimità, nel passato, nell’ambito del percorso che l’ha progressivamente portata a estendere, sia pure al ricorrere di rigorose condizioni, l’applicazione dell’art. 111 l.f. anche a talune categorie di crediti sorti nel contesto della procedura di concordato preventivo, in due importanti pronunce aveva affermato, fra l’altro, che in tema di concordato preventivo, qualora la gestione dell’impresa assurga a dimensione di modalità essenziale della singola procedura concordataria (siccome diretta ad una più proficua liquidazione patrimoniale a favore dei creditori concorrenti), in quanto risulti parte della proposta di concordato, sia oggetto dell’ammissione da parte del tribunale e dell’approvazione da parte dei creditori, e formi altresì oggetto dell’omologazione finale, si rende applicabile, in caso di successivo fallimento, la norma di cui all’art. 111 comma 1 n. 1 l.f., dovendosi, per l’effetto, considerare le spese della

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