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Il patteggiamento della pena

Autore: Mariano Acquaviva | 01/03/2021

Applicazione della pena su richiesta delle parti: cos’è, come funziona, a quali condizioni si può accedere e quali sono i benefici della pena concordata?

La persona accusata di aver commesso un reato ha il diritto di difendersi in tribunale con l’assistenza di un avvocato. Il processo che segue al rinvio a giudizio si svolge nel contraddittorio tra le parti davanti a un giudice terzo e imparziale. È questa la sede in cui l’imputato può far valere le proprie ragioni per discolparsi, magari anche con l’aiuto di testimoni e consulenti tecnici. Ci sono tuttavia ipotesi

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in cui la responsabilità dell’imputato è così evidente che sarebbe inutile affrontare il dibattimento per poi prendersi una condanna piena. In casi del genere, potrebbe essere più conveniente raggiungere un’intesa con il pubblico ministero per stabilire una pena concordata. È questo il significato di patteggiamento della pena.

L’applicazione della pena su richiesta delle parti è un rito alternativo al dibattimento tradizionale: mentre quest’ultimo comporta la celebrazione di un giudizio in piena regola, con tanto di prove da assumere, il patteggiamento si esaurisce in un’unica udienza in cui il giudice deve limitarsi a prendere atto dell’accordo raggiunto tra pubblica accusa e difesa e a verificarne la legalità. Il tutto termina con una sentenza di ratifica dell’accordo e, quindi, di condanna dell’imputato. Se ne vuoi sapere di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme come funziona il patteggiamento nel procedimento penale.

Applicazione della pena su richiesta delle parti

L’applicazione della pena su richiesta delle parti (meglio noto come patteggiamento) è l’istituto giuridico che consente all’indagato/imputato di ottenere una sentenza di condanna alle condizioni stabilite insieme al pubblico ministero.

Possiamo definire il patteggiamento come un accordo tra difesa e pm in merito all’entità della pena che dovrà essere inflitta all’imputato.

Patteggiamento: quando conviene?

È evidente che il patteggiamento, concretandosi in una condanna, conviene solamente quando la propria responsabilità penale è talmente inconfutabile che sarebbe inutile affrontare un processo lungo e costoso per poi essere condannati ugualmente.

Ma perché allora conviene scendere a patti e farsi condannare subito anziché guadagnare tempo con il dibattimento? La risposta è nel prossimo paragrafo.

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Patteggiamento: quali vantaggi?

Chi sceglie il patteggiamento accede ad alcuni benefici. L’applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce infatti un rito premiale: in cambio della scelta di definire subito il processo, la legge concede alcuni vantaggi, primo fra tutti lo sconto di pena.

La persona che accetta di patteggiare ha diritto alla riduzione fino a un terzo della pena. Ciò significa che, se ad esempio la pena sarebbe dovuta essere di tre anni, con il patteggiamento si riduce a due.

Un altro beneficio derivante dal patteggiamento è quello della non applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza nel caso in cui la pena patteggiata non superi i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria.

Per la precisione, quando la pena irrogata non supera i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, la sentenza non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca e per le pene accessorie nel caso di reati commessi contro la Pubblica Amministrazione (peculato, abuso d’ufficio, ecc.).

Inoltre, sempre nei casi di patteggiamento ristretto (cioè quelli fino a due anni di pena), se l’imputato si asterrà, nei due anni successivi alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, qualora sia stato condannato per una contravvenzione, o nei cinque anni successivi, se trattasi di delitto, dal commettere ulteriori reati della stessa indole, il reato per cui è stato condannato ed ogni altro effetto penale si riterrà definitivamente estinto.

L’estinzione cancella definitivamente il reato, in modo tale che di esso non si terrà conto in un successivo procedimento (ad esempio, ai fini della contestazione della recidiva). L’estinzione opera automaticamente, con il semplice decorso del tempo, senza bisogno di alcuna istanza.

Ciò non significa che la condanna patteggiata non finisca col macchiare la fedina penale: chi patteggia accetta una condanna che verrà iscritta nel casellario giudiziario, risultando così nel certificato penale.

Anche l’estinzione del reato a seguito del decorso del tempo non cancella la

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macchia. La scheda del casellario non viene eliminata per effetto della dichiarazione di estinzione; ciò che avviene è soltanto un’annotazione di “reato estinto” in calce all’iscrizione relativa alla sentenza di patteggiamento.

Tra i benefici del patteggiamento ne va segnalato ancora un altro: l’applicazione concordata della pena taglia fuori dal procedimento la parte civile.

Nel patteggiamento, la persona offesa non potrà costituirsi per chiedere il risarcimento del danno; potrà far valere le sue ragioni solamente in sede civile.

Quando si può patteggiare?

Non tutte le pene possono essere patteggiate. Il patteggiamento può essere chiesto solamente entro determinati limiti stabiliti dalla legge.

Nello specifico, la legge ha limitato l’applicazione di questo rito solamente ai casi in cui, considerate tutte le circostanze attenuanti e aggravanti, nonché lo sconto di pena fino ad un terzo proprio della procedura, la pena non supera i cinque anni di reclusione o di arresto. La pena pecuniaria non viene computata nel calcolo [1].

In pratica, si può patteggiare solamente se la pena finale risulta non superiore a cinque anni di reclusione, indipendentemente dall’importo della sanzione pecuniaria (la quale potrebbe anche essere altissima, ma non impedirebbe di beneficiare del patteggiamento).

Esistono però delle eccezioni a quanto detto. Per alcune tipologie di reato, la porta che consente l’accesso al patteggiamento si restringe notevolmente.

Il Codice di procedura penale elenca una serie di reati per i quali l’imputato può accedere al patteggiamento solamente se la pena finale non supera i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria: è il cosiddetto patteggiamento ristretto.

Tra questi gravi delitti vi sono quelli di violenza sessuale semplice o di gruppo, atti sessuali con minorenne, prostituzione e pornografia minorile, associazione per delinquere di stampo mafioso, atti terroristici, associazione dedita al narcotraffico, nonché tutti i procedimenti intrapresi contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, oppure recidivi aggravati.

Inoltre, nei procedimenti per alcuni delitti commessi da pubblici ufficiali (peculato,

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concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita e istigazione alla corruzione), l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

Note

[1] Art. 444 cod. proc. pen.

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