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Banche: restituzione degli interessi anatocistici senza fare causa

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Banche: restituzione degli interessi anatocistici senza fare causa

Autore: Redazione | 18/01/2016

ABF e Anatocismo: anche per l’Arbitro bancario il divieto di anatocismo è scattato a partire dal 1° gennaio 2014.

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Si potrebbe definire un vero e proprio colpo di scena la recente decisione dell’Abf, l’arbitro per le controversie tra consumatori e banche, con cui è stato ritenuto illegale, già a partire dal 1° gennaio 2014, l’anatocismo, la pratica cioè delle banche di calcolare gli interessi di mora dovuti dai clienti non solo sul capitale non restituito, ma anche sugli interessi già scaduti, in tal modo facendone lievitare gli importi. Un colpo di scena perché tale tesi era stata sino ad oggi sposata solo da alcuni Tribunali (primo tra tutti, Milano). Con la conseguenza che se il correntista avesse voluto ottenere la restituzione degli importi maggiorati, da lui corrisposti a titolo di interessi sugli interessi, avrebbe dovuto sostenere un regolare, costoso e lungo giudizio. Invece, con l’apertura anche dell’Abf a tale orientamento, il consumatore potrà evitare il bagno di sangue della causa e affrontare invece un procedimento sostanzialmente gratuito e immediato.

Ricordiamo che, con la legge di Stabilità 2014, è stato modificato il Testo Unico Bancario: la nuova disciplina ha stabilito il divieto assoluto di anatocismo bancario. Tuttavia, la norma – a detta di alcuni – sarebbe incompleta, necessitando del provvedimento attuativo del CICR (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio), delibera peraltro in via di ultimazione.

Questa situazione di incertezza aveva fatto sì che alcuni giudici si schierassero per l’immediata efficacia del divieto e altri, invece, per la tesi opposta. Tant’è che proprio prima di Natale, il Tribunale di Bologna aveva optato per l’interpretazione favorevole alle banche, affermando che “stante l’ambiguità della riformulazione legislativa” è comunque corretto il comportamento dell’istituto bancario che ha conservato la previsione di clausole anatocistiche nei propri moduli contrattuali e fogli informativi, in quanto il divieto non è immediatamente operativo ma aspetta il varo delle norme attuative.

Come al solito in Italia: città che vai, Tribunale che trovi.

Ora, però, la situazione potrebbe mutare definitivamente per via della posizione ufficiale assunta dall’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), organo di certo non dotato della equidistanza e terzietà che, invece, di norma compete alla magistratura. E così, il consumatore potrebbe preferire il ricorso all’arbitrato piuttosto che alla normale sentenza di un tribunale, rinunciando forse a qualcosa in termini di

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garanzie, ma nello stesso con maggiore sicurezza in ordine ai tempi, ai costi e, oggi, anche agli esiti della decisione.

Nella decisione in commento l’Abf precisa che l’abrogazione della riserva di anatocismo si è definitivamente determinata a partire dal 1° gennaio 2014, senza bisogno di interventi del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) e della vigilanza. E questo perché se la produzione di “interessi su interessi”

non è più consentita dalla legge viene meno per ciò stesso la giustificazione del decreto destinato ad attuarla. Pertanto l’intervento del Cicr, di cui parla la norma nuova, ha solo la funzione di risolvere un semplice “problema tecnico contabile”, che deve “nel frattempo essere superato dalla prassi contabile” delle stesse imprese bancarie.

Note

[1] Abf Collegio di Roma, decisione n. 7854/2015.

Sentenza

ABF - COLLEGIO DI ROMA

Decisione N. 7819 del 21 novembre 2014

Presidente Membro designato dalla Banca d'Italia Membro designato dalla Banca d'Italia Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti Relatore MARINARO

MARCO Nella seduta del 26/09/2014 Fatto

Il ricorrente stipulava il 31.08.2008 un contratto di finanziamento contro delegazione di pagamento con intermediario poi confluito nella banca resistente. Il

ricorrente corrispondeva la somma di euro 501,66 a titolo di commissione bancaria, euro 1.180,00 a titolo di commissione a favore della mandataria, euro 457,71 quali premi assicurativi, oltre a euro 35,03 per oneri erariali ed euro 270,00 per spese fisse. Il prestito veniva estinto anticipatamente rispetto alla scadenza del contratto, il 31.10.2009. Con reclamo del 26.10.2013 la ricorrente inviava reclamo

alla resistente, lamentando il mancato rimborso degli oneri e dei costi (compresi

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quelli assicurativi) recurring, da ripetere secondo legge e disposizioni delle autorità

di vigilanza. Sottolinea, infatti, il ricorrente che, dal contratto emerge una evidente opacità informativa, in merito alle ragioni relative all’esborso per le varie commissioni richieste. Denuncia, inoltre, il ricorrente, nel reclamo, che il prestito

estinto anticipatamente era stato rinnovato in dispregio dei termini previsti dall’art. 39 DPR 180/1950 (prima di quattro anni previsti per i finanziamenti decennali). Ciò è confermato dal fatto che il conteggio estintivo preparato dall’intermediario attesta che sono scadute 39 rate (comprendendo, quindi, anche le rate del finanziamento originario). Chiede, il ricorrente, nel ricorso e nel reclamo

il risarcimento del danno per euro 1.000,00, in relazione al rinnovo del finanziamento, senza il rispetto dei termini previsti dalla legge. Dopo avere fatto presente di avere rifiutato la proposta dell’intermediario di rimborso della somma di euro 170,00 in quanto considerata non congrua, il ricorrente chiede la condanna

dell’intermediario al pagamento della somma di euro 1.889,78 (rimborso oneri e costi anche assicurativi pro quota) e della somma di euro 1.000,00 a titolo di risarcimento per rinnovo ante termine del prestito, nonché l’addebito delle spese

di assistenza legale (quantificate nel reclamo in euro 500,00). Chiede, inoltre, la ripetizione delle eventuali rate trattenute dall’intermediario, dopo l’estinzione del finanziamento. L’intermediario resiste al ricorso ed espone quanto segue. La banca

dopo avere fatto presente che il ricorrente non ha inteso accettare una proposta di soluzione bonaria della controversia sulla base di una proposta formulata il 14.11.2013 sostiene che i costi sopportati dal ricorrente, dei quali richiede la restituzione proporzionale, sono afferenti ad attività esauritesi nella fase istruttoria

della pratica (c.d. up front), come emerge dallo stesso contratto di finanziamento.

In tale contratto, peraltro, veniva espressamente previsto che le somme, di cui si chiede la ripetizione proporzionale, non avrebbero potute essere ripetute. Precisa,

inoltre, la resistente che, in sede di conteggio di estinzione al ricorrente era stato riconosciuto un rimborso di euro 52,00. Riconosce, peraltro, che il ricorrente ha

titolo solo per la restituzione proporzionale, sulla base della vita residua del finanziamento, delle commissioni assicurative (euro 423,38), oltre che degli interessi legali da calcolarsi fino alla data dell’effettivo pagamento, nonché delle spese per attivazione procedura Abf. Con riguardo alla rinnovazione della cessione,

l’intermediario fa presente che essa non si è mai verificata, essendo stato in vita tra le parti, solo il contratto anticipatamente estinto ad ottobre 2009. Oltre a ciò, fa

presente che non appare provato il danno di cui si richiede il risarcimento. Quanto, invece, alla domanda di restituzione di rate eventualmente pervenute dopo l’estinzione anticipata, il cliente in autonomia ha manlevato le due rate di agosto e

settembre 2009, avvalorate come insolute nel conteggio estintivo, perché non ancora incassate dalla banca e, quindi, non è stato necessario provvedere a

restituirle. Ciò nonostante, dopo l’estinzione del finanziamento perveniva all’intermediario la rata di ottobre 2009, successivamente restituita con bonifico.

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Ritiene, quindi, l’intermediario che, fatta eccezione per le spese assicurative, da liquidarsi in via proporzionale, null’altro sia da pagare al ricorrente, comprese le spese di assistenza legale, in quanto il procedimento Abf non richiede l’assistenza

di un avvocato. Diritto

- Trattasi di ricorso inerente la restituzione degli oneri connessi 1.

all’emissione di un prestito contro delegazione di pagamento su stipendio, estinto anticipatamente dal ricorrente rispetto alla scadenza. Questi chiede

pertanto alla resistente, a tale titolo, il pagamento della somma di euro 1.889,78. Chiede, inoltre, il versamento della somma di euro 1.000,00, a

titolo di risarcimento del danno per rinnovo ante termine di cessione, nonché il riconoscimento di una somma, a titolo di assistenza legale, quantificata in euro 500,00 nel reclamo. Chiede, inoltre, la ripetizione delle

eventuali rate trattenute dall’intermediario, dopo l’estinzione del finanziamento

– In primo luogo l’intermediario eccepisce la carenza di legittimazione 2.

passiva con riguardo agli oneri assicurativi; al riguardo costituisce orientamento costante di questo Collegio quello secondo cui il collegamento negoziale esistente tra il contratto di finanziamento e la

connessa polizza assicurativa fonda la legittimazione passiva

dell’intermediario in relazione alla relativa domanda di rimborso, in linea con quanto al riguardo disposto dall’art. 121, co. 2, T.U.B. e dal relativo

accordo ABI- ANIA (Coll. Roma, dec. n. 3378/2013 e dec. 4138/13).

L’eccezione proposta deve quindi essere respinta. 2.1. - Né al fine della decisione può essere accolta l’eccezione formulata dall’intermediario che invoca la clausola

contrattuale di irripetibilità e più precisamente quella che, per l’ipotesi di estinzione anticipata del prestito, pone a carico del cliente tutte le conseguenze

pregiudizievoli in quanto esonera l’intermediario da ogni rimborso delle somme versate per le commissioni e per i premi assicurativi. La clausola suddetta non può

tuttavia essere invocata a suffragare l’assunto dell’assoluta irresponsabilità del resistente: essa è infatti riconducibile, in considerazione del suo contenuto, alla

previsione dell’art. 33, comma 2, lettera b) del Codice del consumo (D.lgs.

206/2005), alla stregua del quale “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di (...); b) escludere o limitare le azioni o di diritti dei consumatori nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista”. In quanto vessatoria, detta clausola deve ritenersi inopponibile al

consumatore: la legge citata (art. 36, comma 3) ne sancisce infatti la nullità, la quale “opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio

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dal giudice”. Sulla questione è intervenuto anche il Collegio di Coordinamento il quale ha precisato che l’inserimento nella contrattualistica bancaria della suddetta clausola è sintomatico “degli orientamenti di una prassi riottosa al diritto ed anche

ai buoni costumi commerciali, perché si tratta indubbiamente di clausola inefficace, ma che viene consapevolmente inserita nei testi standardizzati al fine di

fornire una informazione fuorviante al cliente che abbia in animo di rimborsare anticipatamente il prestito ricevuto” (Coll. Coord., dec. n. 6167/2014).

- In relazione al merito della controversia, questo Collegio ha già affrontato 3.

liti analoghe pervenendo all’accoglimento dei relativi ricorsi (per tutte si rinvia alla decisione n. 2144/2011 e più recentemente alla dec. n.

1705/2013) ed anche per il ricorso in esame sussistono i presupposti per pervenire ad un esito positivo. Peraltro, di recente è intervenuto anche il Collegio di Coordinamento che ha chiarito e ribadito i princı̀pi e le regole

applicabili a fattispecie analoghe (si rinvia per le ampie ed articolate motivazioni alla decisione n. 6167/2014).

3.1. - Sulla questione occorre ricordare che il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo complessivo del credito nel caso di esercizio della facoltà di

adempimento anticipato (ex art. 125, comma 2, TUB, nella previgente formulazione), considerando altresı̀ che «tale facoltà si esercita mediante versamento al creditore del capitale residuo, degli interessi ed altri oneri maturati

fino a quel momento e, se previsto dal contratto, di un compenso comunque non superiore all’uno per cento del capitale residuo» (art. 3, comma 1, decreto del Ministero del Tesoro 8 luglio 1992). Disciplina da ultimo confluita nell’art. 125- sexies TUB, introdotto dal D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, norma sostanzialmente ricognitiva di quella sopra riportata ed applicabile alla fattispecie in esame. 3.2. -

Peraltro, nel provvedimento della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 era stato già

precisato che tra i costi menzionati nell’art. 3, comma 1, D.M. Tesoro 8 luglio 1992, sono da ricomprendere anche quelli sostenuti per il pagamento dei premi delle polizze assicurative “richieste per legge” (il riferimento è all’art. 54, DPR 180/1950,

che fa riferimento all’assicurazione sulla vita e a quella contro i rischi di impiego).

A seguito di tale puntualizzazione – ribadita successivamente con la

Comunicazione in data 7 aprile 2011 – la fondatezza delle richieste di rimborso (per la quota non maturata) dei premi di assicurazione pagati in via anticipata avanzate nei confronti degli intermediari bancari dai soggetti ai quali il finanziamento è stato erogato non è revocabile in dubbio (in termini, dec. 962/2012). 3.3. - Il medesimo principio viene più recentemente riaffermato e specificato da altra disposizione di

legge in relazione proprio al costo delle polizze connesse ai mutui ed ai

finanziamenti; ed infatti il legislatore ha statuito che «Nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri contratti di finanziamento, per i quali sia stato

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corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato, le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria, calcolata per il premio

puro in funzione degli anni e della frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo» (art. 22, comma 15-quater, D.L.179/2012, comma inserito dalla legge di conv. n. 221/2012). Il Collegio ritiene

che, tuttavia, tale principio espressamente specificato dal legislatore, rafforzi sia pur in via ermeneutica la lettura dell’art. 125-sexies TUB del quale appare complementare, rilevando sempre lo stretto nesso funzionale e di accessorietà che

collega il contratto di finanziamento con quello assicurativo e costituendo chiaramente il premio versato una voce del costo totale del credito. Detta nuova

disciplina peraltro non risulta applicabile al caso di specie in quanto pur estendendosi espressamente ai contratti «commercializzati precedentemente alla

data di entrata in vigore della legge di conversione» (art. 22, comma 15-septies, D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012) non può trovare vigenza per quei contratti

che alla data indicata risultavano già estinti (la data di entrata in vigore della nuova norma è il 19 dicembre 2012 ex art. 1, comma 3, L. 221/2012). Il Collegio

ritiene che, tuttavia, tale principio espressamente specificato dal legislatore, rafforzi sia pur in via ermeneutica la lettura dell’art. 125-sexies TUB del quale

appare complementare, rilevando sempre lo stretto nesso funzionale e di accessorietà che collega il contratto di finanziamento con quello assicurativo e costituendo chiaramente il premio versato una voce del costo totale del credito.

Non vi è dubbio pertanto in ordine al diritto del cliente ad ottenere il rimborso di una parte delle commissioni e del premio per la polizza assicurativa integralmente

versati in fase di estinzione anticipata del finanziamento.

- Alla luce della di disciplina anzidetta, acquista fondamentale rilievo la 4.

distinzione tra somme richieste dall’intermediario a fronte di prestazioni già rese, dunque godute dal cliente, e somme che costituiscono il corrispettivo di attività non ancora eseguite, delle quali il cliente avrebbe

dovuto godere in futuro qualora non avesse esercitato la facoltà di estinzione anticipata. Tale distinzione è decisiva in quanto, stante la cessazione del rapporto, l’intermediario potrà ottenere solo le prime, ma non anche le seconde, essendo queste ultime relative a prestazioni ancora

da rendere.

Sulla questione il Collegio di Coordinamento ha posto in evidenza come dal contesto normativo emerga che se è vero che le fonti primarie dispongono unicamente che il consumatore ha diritto ad un rimborso in caso di estinzione anticipata del rapporto di finanziamento “pari all’importo degli interessi e dei costi

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dovuti per la vita residua del rapporto”, senza entrare nei dettagli del criterio di calcolo, tuttavia le fonti secondarie indicano con sufficiente chiarezza in primo luogo che il tema si collega alla direttiva generale della trasparenza contrattuale

ed in secondo luogo che ai costi recurring si deve applicare il principio di competenza economica, posto che si tratta di costi che maturano in ragione del tempo, e di conseguenza che essi sono da rilevare pro rata temporis (Coll. Coord.,

dec. n. 6167/2014). Peraltro, dalla esperienza dei Collegi ABF emerge come le prassi negoziali in voga nel settore dei finanziamenti personali con cessione del

quinto indichino una deriva indirizzata ad accrescere i caricamenti di costi formalmente mediatizi ed assicurativi rispetto all’ammontare degli interessi

corrispettivi. In questo contesto non sono unicamente ragioni di teoria ermeneutica, che pure sono autosufficienti, quelle che giustificano in rifiuto di un

rinvio alle prassi effettive sotto il solo controllo di non iniquità degli esiti cui esse pervengono settorialmente e consigliano piuttosto di aderire alle indicazioni provenienti dalla fonti regolatrici secondarie le quali sono chiaramente orientate ad

imporre in primo luogo una perfetta trasparenza ex ante dei costi rimborsabili e non rimborsabili, sia a tutela della integrità dei mercati concorrenziali, sia ad illuminazione del potenziale cliente, il quale deve essere posto in grado di capire che l’elevato, e talvolta abnorme, caricamento di costi mediatizi ed assicurativi, va

solo a suo svantaggio ed è quindi opportuno cercare sul mercato una fonte di finanziamento alternativa; ed in secondo luogo sono orientate ad indicare come la regola efficace a contrastare le prassi riottose al dovere di trasparenza consiste nel

considerare recurring – e quindi rimborsabili – tutti i costi le cui ragioni siano opacamente manifestati; ed infine ad indicare che per i costi recurring il criterio di

calcolo dei costi rimborsabili debba essere quello del pro rata temporis e non già

quello che fa riferimento al piano di ammortamento (Coll. Coord., dec. n.

6167/2014). 4.1. - A quest’ultimo riguardo non può sfuggire al Collegio che il criterio proposto nel caso in esame dalla parte resistente nel distinguere li costi

“up front” e quelli “recurring”, coincidente o comunque simile con quelli adottati da non pochi intermediari, appare arbitrario e comunque non conforme a ragionevolezza. Non senza considerare che il criterio di distinzione e di calcolo debba essere chiarito preventivamente nel rispetto del fondamentale principio di

trasparenza, non essendo quindi equiparabili le informazioni fornite ex ante con quelle fornite ex post in sede di conteggio di estinzione anticipata. 4.2. - Quanto ai

costi “recurring” occorre precisare che in realtà remunerano, e quindi sono corrispettivi allo svolgimento di attività amministrative del rapporto, sicché il loro

costo, al netto di fattori esogeni, è costante in pendenza di rapporto, perché il tempo e le energie dedicate al loro svolgimento è indipendente dall’ammontare

delle somme amministrate ed è piuttosto correlato alle complicazioni della normativa che si deve applicare, sicché anche diminuendo l’ammontare complessivo del prestito amministrato i costi “recurring” non variano e non ha

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alcun senso imputare diversamente nel tempo il loro ammontare. Da ciò deriva il convincimento che in riferimento a detti costi il criterio pro rata temporis è il più

logico e, con ciò stesso, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale (motivazione e conclusioni di cui alla dec. n. 6167/2014). 4.3. - Il Collegio ritiene

pertanto che: a) siano da rimborsare, per la parte non maturata, costi e oneri pagati anticipatamente, compreso il premio assicurativo; b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring - come è nel caso in esame -, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso

in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; c) l’importo da rimborsare viene equitativamente stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle

suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; d) l’intermediario è tenuto alla restituzione a favore del cliente di tutte le suddette voci rimborsabili, incluso il premio assicurativo. 4.4. – Dalle ricostruzioni delle parti emergono discrepanze in

ordine al numero di rate pagate e di quelle a scadere. Negli atti del ricorrente, in particolare, si fa riferimento a un’estinzione che sarebbe avvenuta, secondo

quanto riportato nel reclamo, ad ottobre 2009. Inoltre, nella copia del conto preventivo fornita dal ricorrente risulta una annotazione a penna dalla quale

parrebbe che tale estinzione sarebbe avvenuta ancora successivamente (novembre 2009). Ad ogni buon conto, il ricorrente nel ricorso calcola il quantum

debeatur ai fini dei rimborsi degli oneri sulla base di 106 rate a scadere, mentre l’intermediario, nel calcolo dei soli oneri assicurativi che ritiene dovuti applica un coefficiente di 111 rate ancora a scadere. Ciò premesso, il solo documento che il Collegio ritiene utile - in quanto proveniente da un terzo che è peraltro una P.A. - da cui potere ricostruire i fatti è la dichiarazione liberatoria fornita dalla finanziaria alla P.A. presso la quale è in servizio il ricorrente, nella quale si fa riferimento a un

prestito avente decorrenza da gennaio 2009 a settembre 2009 (9 rate pagate e 111 a scadere). Ciò premesso, si può schematizzare e riepilogare quali sono le

somme versate per commissioni ed oneri assicurativi oltre che le somme già

restituite e quelle dovute mediante l’applicazione dei criteri di calcolo sopra esposti:

numero rate totali 120 numero rate a scadere n. 111 (n. 9

pagate)

Totale Rimborso effettuato

Metodo pro /quota

Oneri da retrocedere

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Commissione bancaria Commissioni di intermediazione

(finanziaria+agente/mediatore) Costi assicurativi TOTALE

RIMBORSO

501,66 1.180,00

457,71

- - -

464,04 1.091,50

423,38

464,04 1.091,50

423,38 1.978,82 Il calcolo del quanto dovuto, dunque, conduce a un risultato superiore a quanto

richiesto dal ricorrente. Pertanto, in applicazione del principio della

“corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” (art. 112 c.p.c.) l’intermediario dovrà versare al ricorrente l’importo totale di euro 1.889,78 (pari alla somma richiesta nel ricorso) oltre interessi moratori al tasso legale dalla data del reclamo

al saldo effettivo.

- Il ricorrente sostiene che, nell’ambito del finanziamento in oggetto, vi 5.

sarebbe stata una violazione dell’art. 39 del DPR 180/1950, in tema di divieto di rinnovi della cessione, prima che sia trascorso il termine indicato

dalla norma in parola.

Ciò nonostante, dalla documentazione agli atti nulla sembrerebbe emergere che possa dare adito a questa interpretazione. Tuttavia, quand’anche si ritenesse che

tale cessione vi sia effettivamente stata, si deve rilevare che l’operazione in questione è un prestito verso delegazione di pagamento e non già una cessione del quinto. Al riguardo è stato chiarito come la norma invocata non sia applicabile

alla tipologia contrattuale oggetto di ricorso. L’art. 39 DPR 180/1950 prevede infatti il riferito divieto di concludere una nuova operazione di finanziamento prima

dei termini pure ivi contemplati “unicamente con riguardo a operazioni creditizie con cessione del quinto dello stipendio ove, per contro, nel caso di specie viene in

considerazione la tipologicamente diversa fattispecie del finanziamento dietro delegazione di pagamento. Trattandosi di norma speciale di stretta interpretazione

è, ad avviso del Collegio, preclusa la sua estensione analogica a differenti forme di finanziamento” (Coll. Napoli, dec. 2176/2014).

– Quanto alla domanda di rimborso per spese di assistenza professionale 6.

(da intendersi quale domanda risarcitoria), il Collegio osserva che se è ben vero che la procedura dinanzi all’ABF non richiede l’assistenza di un avvocato, tuttavia non può disconoscersi la rilevanza, sotto il profilo del

danno patrimoniale, delle spese che la parte abbia dovuto comunque sostenere per veder accolte le sue ragioni. Nel caso in esame la complessità delle tematiche affrontate rendono non disputabile la opportunità, se non addirittura la necessità di una assistenza tecnica

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legale. Ciò posto, ritiene che le spese in questione possano essere liquidate in via equitativa nell’importo di euro 250,00 e conseguentemente

ne dispone il versamento in favore del ricorrente ponendolo a carico dell’intermediario resistente.

P.Q.M.

Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e per l’effetto condanna l’intermediario al pagamento della somma di euro 1.889,78 in favore del ricorrente, oltre interessi

legali dalla data del reclamo al saldo. Dispone altresı̀ che l’intermediario corrisponda al ricorrente la somma di euro 250,00 a titolo di ristoro delle spese di assistenza legale. Respinge ogni ulteriore domanda. Dispone, inoltre, ai sensi della

vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla

presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

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