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PRESENTATRICE: Dossier Emilia Romagna fatti, personaggi, opinioni, un programma a cura di Loris Mazzetti

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INTERVISTE

005ab-Rai_Bologna_1989_(interviste)

PRESENTATRICE: “Dossier Emilia Romagna – fatti, personaggi, opinioni”, un programma a cura di Loris Mazzetti

Buon pomeriggio a tutti da Loris Mazzetti.

Una mamma chiama la redazione de l'Unità Emilia Romagna per denunciare la violenza subita dal proprio figlio tossicodipendente nel carcere bolognese della Dozza. Questo è l'episodio che ha portato in primo piano il problema delle carceri nella nostra regione.

“Dossier Emilia Romagna” oggi ha come tema “i diritti dei detenuti” e ripropone lo slogan, ormai ricorrente, “uomini anche in carcere”.

I fatti accaduti in questi giorni. Lo stesso giornale che ha ricevuto la telefonata sta cercando di costituire un Comitato per i diritti dei detenuti. Nicolò Amato, direttore degli Istituti di

Prevenzione e Pena, arriva nella nostra regione e si incontra con la Giunta regionale per discutere il problema delle carceri. Il presidente Amato ha rilasciato una lunga intervista a

“Dossier”. Filomena Farina, in regia, può mettere in onda l'intervista.

Presidente Amato, intanto la voglio ringraziare per l'intervista in un momento sicuramente non facile per la realizzazione del suo lavoro. La violenza subita nel carcere della Dozza dal ragazzo tossicodipendente è da considerare come la cosiddetta goccia che ha fatto

traboccare il vaso? Come mai in un Paese democratico l'immagine che si ha del carcere è tutt'altro che simbolo di democrazia?

Ma noi ci battiamo perché il carcere in questo Paese sia degno di un Paese civile, qual è l'Italia. Naturalmente, purtroppo, questo tipo di inconvenienti, di anomalie, di fatti anche incresciosi, appartengono in qualche misura all'umanità, sono – come dire? - propri anche di altri settori della vita sociale, della vita collettiva; quello che è importante, è che in questi casi si accerti subito con sufficiente precisione la verità e si adottino i provvedimenti che sono imposti dalle circostanze, cosa che noi abbiamo fatto. C'è un'inchiesta giudiziaria, ma c'è stata immediatamente un'inchiesta da me disposta, essa ha dato i suoi primi risultati, naturalmente ogni giudizio definitivo è riservato alla fine, alla conclusione dell'inchiesta, ma io ho ritenuto opportuno trasferire da Bologna immediatamente quegli agenti che, in qualche modo, risultavano coinvolti in questo episodio, anche perché desidero che al carcere della Dozza si ristabilisca e si mantenga un clima di grande serenità e di grande tranquillità.

Rimaniamo al carcere della Dozza. Il carcere della Dozza, progettato dieci anni fa, è

considerato oggi non idoneo, perché la realtà sociale è totalmente cambiata: dieci anni fa eravamo in pieno terrorismo. Perché nella nostra regione, nonostante questa esperienza, si devono costruire altre cinque super-carceri come la Dozza?

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Guardi, le dirò subito, non c'è dubbio che il carcere della Dozza e le altre carceri che sono in progettazione, in costruzione qui in Emilia Romagna, risentano di un progettazione di altri tempi, addirittura di tempi anteriori al momento in cui io ho assunto la Direzione generale. I tempi adesso sono cambiati, c'è adesso questa determinazione forte dell'Amministrazione penitenziaria di realizzare, di attuare la Riforma penitenziaria. Noi vogliamo con tutte le

nostre forze istituti di pena che, anche dal punto di vista edilizio delle strutture, siano in grado di consentirci l'attuazione più piena della Riforma e, dunque, quelle strutture che non vanno bene, quelle strutture che non rispondono più a questi tempi cambiati, devono essere modificate; vale a dire: sia qui a Bologna (alla Dozza), sia negli altri istituti in costruzione – quello di Modena, quello di Parma, quello di Ferrara e tutti gli altri – occorrerà, io direi, istituire una Commissione mista tra l'Amministrazione penitenziaria e la Regione, con la presenza di tecnici, di esperti del settore edilizio, i quali possano studiare tutte le modifiche compatibili, naturalmente, con le strutture date, che servano ad alleggerire le strutture, a renderle più vivibili, a renderle più accoglienti; io mi riferisco alla istituzione di spazi verdi, ad insediamenti arborei, alla presenza di un numero maggiore di spazi destinati alla socialità, alle attività ricreative, culturali, alle attività comuni; mi riferisco a sale particolarmente accoglienti per i colloqui con i familiari e particolarmente con i bambini; mi riferisco, insomma, a tutto quanto possa servire, per un verso, a rendere migliore la vita all'interno per i detenuti e per il personale e a quanto, per l'altro verso, possa servire ad integrare la struttura nel contesto cittadino, perché questo è il nostro obiettivo.

La Dozza è stato progettato per contenere circa 300 detenuti, oggi i detenuti sono circa 600, di questi il 50% circa tossicodipendente. Secondo lei il carcere è il luogo più adatto per il tossicodipendente?

Ma guardi, la tossicodipendenza è un fenomeno che ci preoccupa molto. Io ho avuto occasione di constatare come nel corso degli ultimi anni la percentuale di detenuti

tossicodipendenti - dico persone che entrano in carcere in stato di tossicodipendenza - sia cresciuta dal 10% ad oltre il 20%, con punte molto alte nelle grandi città, tra cui, certo, anche Bologna, Milano, Roma, Torino, Genova. Io ho anche avuto occasione di dire che la

tossicodipendenza richiede una grande riflessione: assai spesso, francamente, il carcere non è la risposta più adeguata, per la ragione che io sono convinto che la tossicodipendenza spesso richieda una risposta che stia più sul versante della prevenzione, della cura, della terapia, piuttosto che su quello della punizione e su quello della segregazione; insomma, esige una risposta che porti il segno della solidarietà sociale. Io vorrei veramente che si potessero immaginare, per i detenuti tossicodipendenti, delle strutture – se penitenziarie devono essere, perché questo spetta alle leggi di stabilirlo, non certo alla nostra decisione -, delle strutture particolarmente aperte; con quali strumenti questo possa essere realizzato è una cosa da vedere; un esperimento lo stiamo tentando a Rimini sotto forma, appunto, di una struttura di questo tipo; un altro esperimento analogo lo stiamo tentando a Firenze ed un altro ancora a Roma. I detenuti all'interno del carcere non devono certamente essere

ulteriormente emarginati, ma devono essere, per un verso, sottratti a violenze inimmaginabili, a ricatti, a intimidazioni da parte di altri detenuti che possano approfittare delle loro

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condizioni di fragilità fisica e psichica e, per l'altro verso, occorre offrire a questi detenuti tossicodipendenti assistenza, aiuto, solidarietà, possibilità concreta di recupero.

Presidente Amato, vorrei parlare anche degli agenti di custodia. La legge Gozzini dell'86 è accusata di aver creato un detenuto nuovo, l'agente di custodia. Allora, c'è una proposta di legge che da parecchi anni – esattamente da quattro legislature – vegeta in Parlamento; in sostanza gli organici sono al di sotto della norma, e questo vuol dire turni di lavoro

insostenibili, e tanti altri problemi. Cosa ci può dire in merito?

Ma posso dire che c'è questo disegno di legge, che è ormai arrivato al Parlamento - che alla scorsa legislatura era stato approvato da uno dei rami del Parlamento ed il cui iter non si è purtroppo completato a causa dello scioglimento anticipato delle Camere - e io so che nella legge Finanziaria ultima c'è un congruo stanziamento finanziario per la Riforma del Corpo degli agenti di custodia, segno evidente di una volontà politica di riforma, e del governo e del Parlamento. Io non posso che, naturalmente, prendere atto di una serie di problemi anche difficili che hanno impegnato il governo e il Parlamento e che, certamente, hanno in qualche modo ritardato l'iter di questo disegno di legge. Devo dire che uno dei problemi di fondo, con i quali l'Amministrazione penitenziaria oggi fa i conti, è esattamente il problema del

personale, che è un problema che - devo dire - non riguarda soltanto gli agenti di custodia, riguarda anche altre categorie di operatori come, per esempio, i direttori penitenziari; ed è un problema di carenze di organici, è un problema di un trattamento economico e giuridico che riconosca che il lavoro svolto dentro il carcere è un lavoro assai specifico, perché è un lavoro difficile, perché è un lavoro svolto quotidianamente a contatto con i detenuti, perché – anche – è un lavoro che comporta una grande misura di rischio.

Un'ultima domanda, brevemente. Abbiamo iniziato questa intervista parlando di

democrazia, lei sa che nella nostra regione il giornale l'Unità sta creando un Comitato per i diritti dei detenuti, ma i diritti dei detenuti sono scritti nella Costituzione, art. 27, cito:

“Pene non contrarie al senso di umanità, tendenti alla rieducazione del condannato”. Lei come si porrà nei confronti di questo Comitato?

Ma, guardi, le dirò subito, noi ci battiamo come Amministrazione – lo dicevo anche prima – per una pena della detenzione che sia quanto più civile, quanto più umana, quanto più

rispettosa dei diritti di tutti i cittadini, per quanto si possa immaginare. Io ho detto anche che considero le carceri delle case di vetro, che non hanno misteri da coprire, che non hanno segreti da nascondere; e ho detto anche che auspico che si superi definitivamente la rimozione e la ghettizzazione del carcere, che la società nel suo complesso si riappropri del carcere e dei problemi del carcere, convincendosi che nascono dalla società e nella società sia i problemi che portano al carcere sia i problemi che dal carcere trovano origine; per cui

qualunque forma di impegno di altre istituzioni, o di iniziative spontanee, o di associazioni, o di movimenti di volontariato che collaborino a questa finalità, sono per me dei fatti positivi;

quindi io mi porrò nei confronti di questo Comitato con grande attenzione, con grande rispetto, e mi porrò nella speranza che esso possa aiutarci a fare quello che vogliamo fare, cioè fare della detenzione in Italia una pena del tutto degna di un Paese civile.

Grazie presidente e buon lavoro.

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MAZZETTI: Siamo di nuovo in diretta, vi presento subito gli ospiti di oggi. Massimo Pavarini, docente di Diritto penitenziario; Rocco Di Blasi, caporedattore de l'Unità Emilia Romagna; Gigi Marcucci, redattore de l'Unità. Inoltre, sentiremo un'altra intervista rilasciata dal presidente della Regione, Luciano Guerzoni, poco prima di entrare in trasmissione, un'intervista molto molto interessante. Però prima di entrare nel vivo della trasmissione, una proposta

commerciale...

Pavarini, il presidente Amato è pieno di buoni propositi. Tu cosa ne pensi?

In primo luogo non posso che apprezzare questi buoni propositi, in secondo luogo bisogna vedere dove vanno a parare questi buoni propositi. Nelle interviste che avete sentito, poi anche dal colloquio che si è tenuto con il professor Amato ieri in Giunta, sono uscite alcune proposte operative.

Prima proposta operativa – la stessa intervista ne faceva riferimento -, la possibilità di costituire un Comitato misto, formato essenzialmente di tecnici, che valuti le possibilità di modifiche in corso d'opera per i nuovi penitenziari che si stanno costruendo e le eventuali modifiche nell'unico penitenziario già finito, che è quello della Dozza di Bologna. Ora, qualcosa si farà, non c'è dubbio - probabile che ci avvarremo anche di consulenze di chi si è già mosso in questa prospettiva -, però, molto sinceramente, io devo dire che temo o pavento che lo spazio per l'intervento sia quello di un intervento cosmetico sulle carceri. Tenete conto che le carceri - che è stato detto e chiarito, sono state costruite con un progetto di massima

sicurezza - sono già in fase terminale, le possibilità di intervento costruttivo all'interno sono estremamente ridotte, questo è; quindi il rischio effettivo è che si vada, appunto – come pure Amato stesso faceva riferimento -, ad alcuni interventi su alcune aree verdi, a una diversa tinteggiatura dei muri..., cioè, veramente interventi cosmetici che, secondo me, non cambiano di granché la qualità della vita; nonostante questo – voglio dire – se qualcosa è possibile fare si faccia e ben venga che si faccia, ma non pensiamo di poter invertire completamente il segno tracciato dieci anni fa, quando furono progettate queste carceri, con interventi che

verrebbero ad incidere a costruzione finita.

Vorrei riprendere il discorso che avevo iniziato con il presidente Amato. Possibile che in un Paese democratico come il nostro vi sia la necessità di costituire un Comitato per i diritti dei detenuti? Rocco Di Blasi, tu cosa ne pensi?

Ma, io penso che siamo costretti dai fatti a proporre un Comitato per i diritti dei detenuti, perché il fatto che ci è stato segnalato dalla madre che ha telefonato a Marcucci non è stato un fatto isolato, perché poi tramite quel fatto è emersa davanti agli occhi dell'opinione

pubblica una realtà ben diversa da quella che veniva immaginata. Avevamo delle carceri che ci venivano presentate come aperte al dialogo, aperte alle città e che facevano tante belle cose – e anche noi stessi abbiamo pubblicato tante fotografie di questo torneo di calcio o di

quell'altro avvenimento -, poi è uscita una storia di pestaggi, tossicodipendenti al 60%, una realtà un po' diversa da quella immaginata.

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Certo. Marcucci, tu sei il redattore che ha ricevuto la telefonata dalla mamma del tossicodipendente, raccontaci questa esperienza, brevemente.

Sì, era il 27 di dicembre e ricevetti questa telefonata dalla signora Mariuccia Reggi, che ci raccontò un fatto molto preoccupante, e cioè che lei - che qualche anno prima, addirittura, aveva denunciato il figlio per farlo finire in carcere, sperando che smettesse di drogarsi - era andata in carcere e aveva trovato suo figlio in condizioni di pre-coma, e aveva capito che suo figlio in qualche modo si era drogato pur stando dietro le sbarre. Era una storia drammatica, era una storia – secondo me – molto importante nel momento in cui c'è, per esempio, un segretario di un partito di maggioranza che se ne va in America e torna proponendo di punire i tossicodipendenti, quindi era una notizia che meritava la massima attenzione. Abbiamo

cominciato ad occuparci di questa storia e siamo passati da questa singola denuncia a una serie di fatti tremendi, come il pestaggio in carcere, come la droga che entra in carcere con i metodi più truculenti, come quella decina di detenuti che avevano rischiato di morire

avvelenati dalla stricnina contenuta in qualcosa che avevano sniffato. La storia è nata così, insomma.

Certo. Ecco, voi tutti siete entrati nelle varie carceri della nostra regione, vogliamo raccontare ai radioascoltatori che cos'è che avete visto? Pavarini.

Un primo giudizio generale, anche perché credo sia doveroso per non creare false impressioni: la situazione carceraria in Emilia Romagna non è che si discosti molto dalla

situazione media delle carceri in Italia; esistono – e va detto per onestà – carceri di gran lunga peggiori di quelli che noi abbiamo; in altre parole, gli eventi denunciati e gravi che sono

avvenuti alla Dozza – qui va detto a chiare lettere e me ne assumo la responsabilità – sono fatti che avvengono ripetutamente all'interno delle carceri, non hanno un elemento di

eccezionalità; questo si è sempre saputo, si sa, è un dato obiettivo, non avviene solo in Italia, avviene in tutte le parti del mondo; voglio dire, è successo a Bologna, giustamente l'opinione pubblica si è indignata, giustamente si propone di fare un Comitato in cui ne potremo parlare, però la situazione obiettivamente nella nostra regione è una situazione pesante come è pesante un po' ovunque.

Vanno dati, invece, degli elementi aggiuntivi. Cos'è che qualifica in modo particolare la realtà penitenziaria emiliano-romagnola? In primo luogo, un indice elevato di sovraffollamento in generale: noi dovremmo avere – credo, adesso non ho i dati – non più di 1.500 posti per avere la piena occupazione di posti letto e stiamo invece debordando di più di 400 unità; in

situazioni come il carcere della Dozza addirittura siamo quasi al doppio (costruito per 350, ne ha più di 600).

Secondo elemento: l'Emilia Romagna, unitamente ad altre regioni del nord, si caratterizza per un aspetto particolare, cioè della grande presenza di tossicodipendenti che, evidentemente, segnano la vita del carcere con termini di drammaticità superiori a quella che è la vita

normalmente in un carcere.

Altro elemento, che va conosciuto, è che l'Emilia Romagna non possiede degli istituti penali veri e propri, cioè dove i detenuti sono in esecuzione di pene medio-lunghe;

fondamentalmente sono tutte carceri circondariali e quindi dove c'è la stragrande

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maggioranza di detenuti in attesa di giudizio o internati per pene brevi o residui di pene molto brevi; quindi rende il carcere un luogo di grande fluttuazione - entrate ed uscite -, quindi dove è impensabile, è improponibile un programma ragionevole di trattamento rispetto ai

detenuti; questa è una situazione particolarmente drammatica, non soltanto nostra, ma di alcune regioni, e credo sia ciò che segna l'universo carcerario.

I vecchi istituti penitenziari man mano verranno chiusi – ci auguriamo, visto che il protocollo dice che a ogni nuovo carcere almeno il vecchio si chiuda –, ma l'elemento più grave è il fatto che in pochi anni avremo sei carceri esattamente uguali al carcere della Dozza, la cui unica variazione è il numero quantitativo: invece di essere 350 saranno di 150 e di 250, ma sono costruite nello stesso modello; a parte, appunto, gli interventi che ci auguriamo di poter fare.

La vostra esperienza invece?

Ma, io conosco abbastanza bene il carcere della Dozza, perché l'ho visitato tre volte, e posso dire che il dato immediatamente sensoriale è questo: si passa da un universo multicolore, che è quello della realtà esterna, a un universo declinato in due colori, che è il grigio del cemento armato e il blu delle sbarre, dell'acciaio; quindi, già come prima percezione, entrando dentro il carcere, è abbastanza allucinante. Senza voler demonizzare la Dozza, anche volendo fare uno sforzo di obiettività, si capisce subito che è una struttura finalizzata al controllo, basti un particolare: ci sono dei televisori dentro le celle – televisori inseriti in involucri corazzati – che sono manovrabili solo dall'esterno, per cui ogni momento si sente il detenuto che chiede alla guardia di accenderlo, spegnerlo, cambiare canale, ecc.... e, in un carcere, provate ad

immaginare che situazione può determinare; questo è un dato, poi ce ne potrebbero essere tanti altri, insomma.

Rocco, vuoi aggiungere qualcosa?

Ma, io non conosco nessun carcere dell'Emilia Romagna.

Voglio aggiungere una cosa: questa nostra iniziativa è venuta a proposito ed è venuta anche in assoluta controtendenza; questa nostra iniziativa, per ora come giornale, di fare una

campagna di opinione sulle carceri è venuta a proposito, perché sta riemergendo un'idea in Italia del carcere come la grande soluzione di tutti i più acuti problemi sociali che abbiamo;

cioè, nel momento in cui è nata questa nostra campagna, in atto nel Paese c'era una campagna di segno opposto e probabilmente molto più forte della nostra, che era: il

problema delle tossicodipendenze come si risolve? Mandando la gente in galera. Poi siamo andati a scoperchiare una di queste galere e abbiamo visto che il problema delle

tossicodipendenze è dentro le galere e non si sa come affrontarlo; e quindi ci si è rovesciato un discorso nelle mani che adesso andrà molto più avanti e molto più lontano; proprio abbiamo messo, credo, un po' di persone coi piedi per terra in questi giorni.

Esatto. Dicevo all'inizio, è avvenuto un incontro tra il presidente Amato e la Giunta della Regione Emilia Romagna. E' pronta l'intervista al presidente della Regione, Luciano Guerzoni.

Presidente Guerzoni, lei ieri sera ha avuto un incontro col presidente Nicolò Amato. E' stato un incontro diplomatico dovuto alle circostanze, oppure sono state prese delle decisioni?

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E' stato un incontro di lavoro molto intenso, nel corso del quale abbiamo verificato lo stato di attuazione dei programmi comuni della Regione Emilia Romagna con l'Amministrazione carceraria nazionale e abbiamo deciso di arricchire questi programmi assumendo alcuni impegni concreti, in primo luogo per l'edilizia carceraria. Il presidente Amato riconosce che la Dozza ha bisogno di una ristrutturazione, perché sia più carica di confort, sia più ricca di accoglienza, sia meno estraniante, più umanizzata; siamo d'accordo di lavorare insieme ad un eventuale progetto di ristrutturazione di questo carcere. Abbiamo deciso di costituire una Commissione di esperti che esamini le modifiche da apportare ai progetti delle altre cinque carceri in costruzione in Emilia Romagna, appunto per perseguire quegli obiettivi di

umanizzazione, che prima ricordavo essere così urgenti per la Dozza di Bologna. Abbiamo deciso di lavorare insieme al “progetto lavoro” - che coinvolge sindacati, associazioni imprenditoriali, strutture pubbliche -, che stamane è stato presentato a Bologna; è un

progetto nuovo, importante, molto impegnativo, e si svolge all'insegna di una società che si fa carico della questione carceraria, perché dobbiamo sempre partire dal fatto che allo Stato va chiesto quel che lo Stato deve fare, ma il problema penitenziario è un problema della società e questa se ne deve sempre più far carico. Abbiamo ottenuto un impegno del presidente Amato per ridurre il sovraffollamento grave che attualmente caratterizza il sistema carcerario in Emilia Romagna; certo, ci sono questioni, ma sta di fatto che rispetto ai 1.400 posti esistenti, in Emilia Romagna attualmente ci sono 2.000 carcerati; questa è una situazione che deve essere rimossa, si deve cominciare a dare segnali concreti, a partire dalla Dozza, fin dai prossimi giorni, perché questo credo sia ciò che chiede l'opinione pubblica dopo aver

apprezzato – io credo che lo farà anche nei prossimi giorni – le prime misure che il presidente Amato ha annunciato ieri alla Giunta regionale circa la Dozza. Il presidente Amato ne ha convenuto, assumendo questo impegno, di tendere a concepire in Emilia Romagna la

presenza di carcerati originari di questa terra o comunque legati per interessi sociali, culturali, affettivi, al nostro territorio. Questo è ciò che noi poniamo in campo, per quanto riguarda il sistema carcerario regionale a regime, allorché saranno costruite tutte le carceri; mi pare che sono impegni molto concreti ai quali va aggiunta una Commissione, che andremo a formare rapidamente, per studiare tutta la questione del rapporto tossicodipendente-carcere.

Abbiamo proposto l'idea di pensare a strutture fuori dal carcere, pubbliche, che possano essere già dell'Amministrazione penitenziaria - come a Rimini - o che possono essere messe a disposizione dall'Amministrazione pubblica, da organizzare, nelle quali riprodurre al massimo possibile l'atmosfera, l'ambiente delle comunità terapeutiche; strutture da reggere insieme:

Amministrazione carceraria, servizi pubblici, Istituzioni locali, comunità terapeutiche, esperti.

Questa posizione della Regione Emilia Romagna è nettamente in contrapposizione a quella del governo sulle tossicodipendenze. Lei pensa di riuscire a intervenire direttamente sul governo?

Quel che non condividiamo è ciò che si prevede in questo progetto nel campo della ulteriore penalizzazione per i tossicodipendenti, noi riteniamo che si debba riflettere ancora. La Dozza propone al governo e al Parlamento, su questo punto, di fermarsi; dico al governo e al

Parlamento: “Alt, su questo punto. Andate avanti col resto, ma su questa questione

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fermiamoci tutti a riflettere. Convocate una Conferenza nazionale in cui siano protagonisti le comunità, l'Amministrazione carceraria, i giudici di sorveglianza, la magistratura, i servizi pubblici. Studiamo a fondo la questione, perché altrimenti potremmo fare delle scelte affrettate e molto negative, molto negative per la gioventù”. Voglio annunciare qui che

convocherò a rapida scadenza un vertice dei sindaci emiliani, nei cui territori stanno sorgendo queste carceri, per affrontare tutta questa questione in cooperazione tra Regioni, Comuni, Province, Amministrazione penitenziaria. Tuttavia se il governo, come purtroppo si

preannuncia, dovesse andare controcorrente rispetto a questa nostra impostazione, effettivamente anche per noi si tratterebbe di prendere delle decisioni che non possono essere che quelle di dire “No” a questa politica che vanifica ogni sforzo che si può fare a livello locale. Preannuncio qui che chiederò un incontro al ministro Vassalli, chiederò che si convochi entro la primavera una Conferenza Stato-Regioni per affrontare la questione.

Di nuovo in studio. Vi ricordo i miei ospiti: Massimo Pavarini, Rocco di Blasi e Gigi Marcucci.

Un'informazione per i radioascoltatori: stanno arrivando molte telefonate, io mi scuso con loro ma non è previsto un inserimento in trasmissione. Mi fermerò dopo la trasmissione per ricevere.

Pavarini, si è conclusa pochi minuti prima dell'inizio della trasmissione – lo citava già il presidente Guerzoni – la prima riunione della Commissione regionale per un progetto sperimentale lavorativo da attuarsi in spazi extra-carcerari rivolto ai detenuti dell'Emilia Romagna. Il protocollo di intesa tra Regione e Direzione generale Istituti di Prevenzione e Pena è stato firmato il 20 febbraio del 1987, sono passati circa due anni. Come mai?

Sì, è vero, c'è obiettivamente un ritardo. Questo non vuol dire che non si sia fatto qualcosa in questo frattempo; il protocollo tocca una complessità di temi - che non è soltanto il problema del lavoro, il problema sanitario e altri aspetti - in cui qualcosa si è fatto, i ritardi ci sono stati.

La valutazione che come Regione si dà di questi ritardi è fondamentalmente una: il protocollo vedeva, in qualche modo, l'Amministrazione penitenziaria e quella regionale che disegnavano certamente alcune competenze proprie, ma disgiuntamente operavano; questo ha portato in alcune fasi situazioni obiettive di autoparalizzazione, nel senso che ognuno imputava all'altro il fatto di non aver fatto una cosa piuttosto che operare. Si è deciso di invertire

significativamente il segno di questa situazione di stallo operando in un senso inverso; cioè - ecco ciò a cui facevi riferimento tu -, alla Commissione che si è insediata questa mattina in Regione (è proprio il primo momento di un'inversione) si è detto: invece di agire

disgiuntamente creiamo un programma insieme – limitato, sperimentale fin che vogliamo – in cui, però, ambedue le amministrazioni partecipano al 50% sia dal punto di vista degli impegni, sia dal punto di vista anche finanziario. Noi abbiamo privilegiato e abbiamo offerto come proposta questa: di trovare il modo di addivenire, in un tempo ragionevole, alla proiezione di alcuni percorsi mirati di avviamento al lavoro esterno per un campione rappresentativo di detenuti internati nelle nostre carceri – qui va subito segnalato un elemento positivo -, perché abbiamo serie perplessità che si possa organizzare un lavoro produttivo all'interno delle

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carceri; privilegiamo, invece, un momento che venga vissuto anche dal detenuto come una delle tante possibili modalità di vedere affievolito il momento puramente afflittivo della pena e che quindi, attraverso il lavoro, lo veda come uno strumento idoneo per ridurre l'afflittività della stessa. Si tratta di mettersi al tavolo, ed è stato costituito un gruppo di lavoro apposito - che vede diversi soggetti, sia dell'Amministrazione penitenziaria che regionale, Enti locali, sindacati, categorie produttive e cooperative - per elaborare un progetto articolato nelle diverse realtà regionali: un pacchetto sostanzioso (speriamo) di detenuti, di posti e di occasioni lavorative all'esterno; una volta che abbiamo individuato questo, possiamo poi proiettare all'interno del carcere questa ipotesi. Cosa vogliamo dire? Se sappiamo che in un determinato carcere, in una determinata zona, è possibile portare fuori - perché il mercato lo richiede - un certo numero di detenuti all'interno di una struttura cooperativistica per un determinato lavoro, allora sarà possibile poi organizzare all'interno delle carceri dei corsi professionali che preparino per questa missione all'esterno; sarà possibile fare degli

investimenti anche per lavori intramurari, ma che vengano vissuti come stage necessari per poter godere e fruire poi di questo tipo di alternative. Questa è l'ipotesi politica che portiamo avanti.

Prima facevamo delle cifre. I posti per i detenuti nella nostra regione sono 1.400, ma i detenuti sono 2.000, bisogna cambiare tutto questo. Bene, questi altri 600 dove andranno nei tempi brevi?

No, non esiste qui un grosso problema, nel senso che l'Emilia Romagna ha un fabbisogno penitenziario - per fabbisogno si intende gli emiliano-romagnoli ristretti nella libertà in tutto il territorio nazionale - che è di gran lunga inferiore dei numeri dei posti che noi abbiamo;

quindi se l'ipotesi della territorializzazione va avanti - fatte salve le necessarie esigenze processuali per i detenuti in attesa di giudizio - i definitivi possono scontare la pena nel

proprio territorio; noi abbiamo – con la proiezione di nuove carceri, ne avremo molto di più – una quantità di posti letto decisamente superiore alle nostre capacità. Voglio dire, visto che la scelta della territorializzazione è una scelta che ha voluto il legislatore nel '75 ed è stato

riaffermato nel protocollo, se questo va in porto - oggi credo che i termini della territorializzazione da noi siano circa del 40% -, c'è un 60% ancora per coprire la

territorializzazione; se si coprono questi, automaticamente si ha una soluzione positiva del fatto.

Vi do un'informazione. Domani sera (27 gennaio), esattamente alle ore 21,00 presso il Circolo della Stampa di Bologna, si terrà la prima riunione del Comitato per i diritti dei detenuti. Ovviamente siete tutti invitati.

Rocco Di Blasi, ci vuoi parlare di questo Comitato?

L'idea è quella di aggregare l'attenzione attorno al problema carceri. Ci è stata fatta

l'obiezione che di attenzione intorno alla carceri ce n'è già abbastanza. La nostra risposta è che di attenzione ce n'è stata tanta – ed è vero – in questi giorni, nell'emergenza, quando è scoppiato il caso della Dozza e successivamente rafforzato da altri fatti. Ma, invece, abbiamo visto che per circa due anni un protocollo che era possibile, che avrebbe portato la situazione un po' più avanti, è stato un protocollo un po' dimenticato proprio perché c'era non

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attenzione, ma distrazione, anche dell'opinione pubblica. Quindi, creare un punto di

osservazione che non avrà nessuna bacchetta magica, evidentemente, ma sarà un posto di scambio di esperienze, di scambio anche di lavori e di rafforzamento per ciascuno che faccia la sua parte. Voglio dire, c'è tanta gente – abbiamo scoperto in questi giorni – che di carcere si occupa, che sul carcere lavora, che ha proposte, progetti, idee, però in genere sono persone o gruppi o organizzazioni che camminano separate, e che separate sono deboli; perché,

appunto, prevale un'idea generale nella società che chi sta in galera è bene che ci stia, perché se lo merita ed è colpa sua, e quindi quello che gli accade gli accade. Ha ragione Guerzoni sulla cosa che diceva nella sua dichiarazione: c'è una deresponsabilizzazione della società civile rispetto alle carceri. Noi invece vogliamo rappresentare – se ci riusciremo sarà positivo, io ritengo – un punto di accumulo di attenzione, cioè la gente potrà sapere che c'è qualcuno a cui rivolgersi per dire delle cose.

Ecco, torniamo un attimo sulla dichiarazione di Guerzoni. Nella seconda parte lui si pone...

anzi, si contrappone nettamente nei confronti della proposta di legge Jervolino e di un'eventuale accettazione di tale proposta da parte del governo. Credo che sia

un'affermazione molto importante e anche molto grave da parte di un presidente di una Regione. Marcucci, cosa ne pensi?

Sì, è senz'altro una dichiarazione molto importante quella che ha fatto Guerzoni, cioè, dire

“no” a questa politica è una dichiarazione impegnativa; certo, in questo caso anche a livello istituzionale. Direi che la gravità dell'affermazione (la gravità, l'importanza) viene temperata dalla – consentitemi un termine – demenzialità delle proposte che vengono fatte in questo momento dal governo. Io vorrei farvi un solo esempio. Ho assistito pochi giorni fa ad un convegno fatto da Magistratura Democratica a Forlì, ecco, una delle cose che veniva fuori era questa: finora la legge 685 ha previsto la modica quantità, modica quantità la cui detenzione non è punibile; la riforma proposta dal governo prevede, invece, la dose media giornaliera.

Cosa succede con questo inghippo? Succede una cosa molto semplice, che chi finora era considerato non punibile perché aveva uno o più grammi di eroina (cioè una dose bastante per alcuni giorni), in futuro se avrà un grammo e mezzo (cioè la dose bastante per un giorno e mezzo) anziché un consumatore verrà considerato uno spacciatore e rischierà come minimo – ripeto, come minimo – otto anni di carcere! Questo significa fare scoppiare le carceri

mettendoci solo i tossicodipendenti. Tra l'altro questa è una proposta che ai grandi spacciatori non dovrebbe fare né caldo né freddo, visto che non prevede nemmeno accertamenti

patrimoniali e cose del genere. Quindi l'opposizione netta a questo progetto mi sembra pienamente condivisibile.

Io già più volte nella mia trasmissione ho raccontato un episodio, una dichiarazione che un ex spacciatore tossicodipendente mi ha raccontato, cioè: qual è il problema nel rapporto con le carceri? E' il suo terrore nei confronti del carcere prima di conoscerlo, poi una volta che lo ha conosciuto, quindi ha capito che all'interno del carcere può continuare ad avere la roba, può continuare a drogarsi, anzi addirittura accumula esperienza da portar fuori, ecco, allora non c'era più problema nei confronti del carcere. Teniamo presente un altro dato

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incredibile: il 50% dei detenuti alla Dozza sono tossicodipendenti. Ecco, su questo fatto, nell'immediato cosa si può fare? Paravini.

Innanzitutto ti devo dire che – sì, la Dozza il 50%... - dati ministeriali dicono il 20% della popolazione detenuta è tossicodipendente, io non posso contrappormi con la stessa autorità a questi dati, però, parlando con molti operatori, ho il vago sospetto che queste siano cifre sottostimate.

Addirittura!

Sono sottostimate. Comunque, per le regioni del nord o del centro-nord il numero di soggetti coinvolti col problema della droga – non necessariamente tossici – sono molti di più; questo è il primo dato. Allo stato attuale – senza pensare, appunto, alla demenzialità del progetto che dovrebbe venire fuori – già non si riesce a fare nulla! Questo va detto. Il quadro normativo esistente delle misure alternative, così come è stato disegnato dal legislatore nell'86, è

talmente timido che non riesce assolutamente a svuotare questo lavandino(?, 42:38) che si è riempito sempre di più già allo stato attuale, se poi dopo entriamo in questa logica - appunto demenziale, ma che secondo me è legata ad una campagna semplicemente di “legge e

ordine” che è stata lanciata - allora a questo punto la situazione diventerebbe assolutamente ingestibile, assolutamente.

Bene, sentite la musica, vuol dire che stiamo concludendo la trasmissione. Finiamo la

trasmissione con una parola che diceva Pavarini: “nulla”, proprio pochi secondi fa. Vogliamo concludere, invece, con un l'augurio che non siano solamente parole quelle che abbiamo fatto, ma soprattutto quelle che hanno fatto il presidente Amato e il presidente Guerzoni.

Io vi ricordo l'appuntamento di domani sera 27 alle ore 21,00 al Circolo della Stampa di Bologna con la prima riunione del Comitato per i diritti dei detenuti.

Ringrazio i miei ospiti, Massimo Pavarini, Rocco Di Blasi, Gigi Marcucci. E a tutti quanti appuntamento a giovedì. Buon pomeriggio a tutti da Loris Mazzetti e da Filomena Farina.

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