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Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di Laurea

ANATOCISMO ED USURA BANCARIA:

UN MODELLO PER LA VERIFICA

Candidato: Relatore:

Niccolò Dei Prof.ssa Anna Marchi

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A mia madre, e mio padre

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INDICE

PARTE PRIMA:

Profili normativi e descrittivi in materia di usura bancaria ed anatocismo

1) L’USURA PROFILI NORMATIVI

1.1) Evoluzione normativa in materia di usura...5 1.2) La tutela civilistica………...12 1.3) La tutela penale...14 2) USURA AB ORIGINE E SOPRAVVENUTA

2.1) Premessa………..………16 2.2) L’usura ab origine………16 2.3) L’usura sopravvenuta………...17 3) L’ANATOCISMO 3.1) Profili descrittivi……….……….21 3.2) Profili normativi………...22 4) CLASSIFICAZIONE DELLE OPERAZIONI PER CATEGORIE

PARTE SECONDA: Profili matematico finanziari

1) TASSI DI INTERESSE

1.1) Tasso nominale e tasso effettivo………...45 1.2) TAN, TAEG, TEG, TEGM analogie e differenze………47 2) LA CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI

2.1) Premessa………..55 2.2) Capitalizzazione semplice………55 2.3) Capitalizzazione composta………...………56

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3) ISTRUZIONI PER LA RILEVAZIONE DEL TAEG/TEG/TEGM

3.1) Le istruzioni per la rilevazione del TAEG, TEG, TEGM………59 4) ANATOCISMO E MUTUI CON AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE 4.1) Le tecniche di ammortamento per i mutui………...62 4.2) Ammortamento di mutui alla francese nel regime finanziario di capitalizzazione composta……….65 4.3) Ammortamento di mutui alla francese nel regime finanziario di capitalizzazione

semplice………..71 4.4) Il problema dell’annullamento dei debiti residui in c/capitale negativi

nell’ammortamento dei mutui alla francese………80

PARTE TERZA:

Excel, la creazione di un modello universale per la verifica della sussistenza di usura ed il calcolo dell’indebito per anatocismo nei contratti di c/c

1) FORMULE, MACRO E VBA

1.1) Introduzione………...94 1.2) Le formule di Excel………..100 1.3) VBA e MACRO………...111 2) UN MODELLO EXCEL PER LA VERIFICA DELLA SUSSISTENZA DI USURA ED IL CALCOLO DELL’INDEBITO PER ANATOCISMO NEI CONTRATTI DI C/C

2.1) Costruzione di una cartella di lavoro in Excel per la verifica della sussistenza di usura ed il calcolo dell’indebito per anatocismo nei contratti di c/c…………...122

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA………...127 GIURISPRUDENZA CITATA………..128

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PARTE PRIMA:

PROFILI NORMATIVI E DESCRITTIVI IN

MATERIA DI USURA BANCARIA ED

ANATOCISMO

1. USURA: PROFILI NORMATIVI

SOMMARIO: 1.1 Evoluzione normativa in materia di usura; 1.2 La tutela civilistica; 1.3 La tutela penale

1.1 Evoluzione normativa in materia di usura

Il reato di usura, è un fenomeno connotato da una forte variabilità, e che, a causa del suo continuo altalenarsi tra fasi di liceità e di criminalizzazione, può essere definito “magmatico”. Le ragioni di tale variabilità derivano dalle strette connessioni che la fattispecie in questione intrattiene con il modello socio-economico e con le ideologie di fondo che compongono un determinato sistema politico.

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L’origine del divieto di trarre vantaggio dal prestito del denaro è da ricercarsi nel principio canonico medioevale “nummus non parit nummus1”, ovvero “il denaro non genera denaro”, volto a contrastare lo sfruttamento, da parte di alcuni soggetti, dell’impellente necessità di soddisfare i bisogni primari dell’esistenza, tipica di una società contadina.

Successivamente, nella prima metà dell’800, detto principio etico-solidale mal si concilia con l’evoluzione di una società che non risulta più caratterizzata da un’economia contadina, bensì da un’economia improntata sul commercio e sugli affari. Pertanto si viene a determinare, sul piano morale e legislativo, il riconoscimento della remunerazione dei prestiti di denaro, e, a poco a poco, l’onerosità dei finanziamenti diviene una regola, fondata sul presupposto che un conto è prestare denaro a chi manifesta impellenti necessità fisiologiche, altro è anticipare, dietro compenso, somme ai commercianti a scopo di investimento2.

Negli anni a seguire il divieto penale dell’usura si è via via attenuato, fino a scomparire completamente con l’entrata in vigore, nel 1889, del Codice Penale Zanardelli, sul presupposto che la pattuizione di interessi compensativi, ed il relativo tasso, dovessero essere rimessi all’autonomia negoziale delle parti.

1 San Tommaso d’Aquino cita Aristotele.

2 Per i profili storici, BELLINI, Usura tra morale e ius positum, in Riv. Pen., 1992, 624; CERVENCA,

voce Usura; a) Diritto romano, in Enc. Dir., vol. XLV, Milano, 1992, 1125; GALLO E., L’usura nell’evoluzione dei tempi fino agli ultimi provvedimenti normativi, in Dir.pen.proc., 1995, 300; LA PORTA, La repressione dell’usura nel diritto penale italiano, Milano, 1963; SANTARELLI, Sei lezioni sull’usura, Pisa, 1995, 13.

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Ciò che che ha dato impulso a questo cambiamento è la visione liberale di quel momento storico, espressione del principio per cui: l’individuo è il miglior giudice di se stesso e lo spostamento di ricchezza, anche con grande profitto di una parte a scapito dell’altra, se realizzato con il pieno accordo, non giustifica alcun intervento paternalistico dello Stato3. In quest’ottica, la disparità di potere contrattuale che sussiste, tra chi presta denaro e chi lo richiede, non assume alcuna rilevanza penale, anche, nell’ipotesi in cui, una delle parti, si trovi in un’impellente situazione di bisogno, tale da mettere in pericolo i propri valori fondamentali.

In sintesi il principio imperativo dominante è quello dell’autonomia contrattuale, e della razionalità onnipotente delle parti.

Nel 1930, con l’entrata in vigore del Codice Penale Rocco, la fattispecie in questione viene affrontata con una maggiore sensibilità nei riguardi della disuguaglianza sostanziale tra le parti che può scaturire da un negozio giuridico.

Infatti, proprio in forza delle citate connessioni che detto fenomeno intrattiene con le ideologie di fondo di un determinato sistema politico, la concezione di uno Stato “etico”, caratteristico dell’ordinamento fascista, ha reso necessaria la tutela, da parte dello Stato, della parte più debole di un negozio, al fine di ristabilire l'equilibrio del sinallagma, minato dalla possibile condizione di svantaggio di una delle parti. In quest’ottica, lo stato di bisogno:

● influenza la libertà contrattuale, limitandola;

● si manifesta come un vizio della volontà che rende incapace la parte debole. Più precisamente, detta incapacità non è frutto della condotta fraudolenta ed artificiosa della parte forte, come avviene nella truffa contrattuale, bensì deriva dalla condizione di necessità in cui versa la parte più debole. Proprio in ragione di ciò viene legittimata una limitazione della libertà negoziale, ovvero il divieto della condotta di

3 Cit. MARIA BEATRICE MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale

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“approfittamento” dello stato di bisogno in cui versa una delle parti, proprio come avviene nella fattispecie della circonvenzione di incapaci, per cui: “il patrimonio individuale e la volontà individuale trovano tutela nel fatto che la vittima è schiava del bisogno ed esprime quindi una volontà non genuina, bensì coartata: se avesse potuto avrebbe disposto diversamente4”.

Oltretutto, in materia di usura, è necessario effettuare una netta distinzione tra la volontà formale (coartata e viziata) e la volontà sostanziale (ciò che la parte debole avrebbe deciso se non si fosse trovato in uno stato di bisogno).

La ratio della norma non risiede, infatti, nella necessità di prevedere una tutela oggettiva a favore di uno dei contraenti, cosicché sia fatto salvo il sinallagma contrattuale, bensì, in quella di rimediare all’incapacità di autotutelarsi da parte del contraente debole, schiavo di un bisogno economico.

Nel dopoguerra, una volta mutato il contesto politico, economico e sociale, questa ideologia di welfare tramonta ed il presupposto dello stato di bisogno, che costituiva il fondamento a legittimazione dell’intervento dello Stato nell’autonomia negoziale delle parti, diviene un pesante fardello che ostacola l’applicazione della norma nell’ambito di una società economicamente e commercialmente, più veloce ed evoluta5.

In tale periodo, la fattispecie in questione deve confrontarsi con le nuove connotazioni assunte da questo fenomeno, sia per quanto attiene il profilo vittimologico, (le vittime dell’usura sono sempre più spesso imprese medio-piccole), che criminologico, (basti pensare all’attività di riciclaggio di denaro proveniente dalle attività criminali). In tale modo il reato di usura assume la fisionomia di un delitto che coinvolge anche le fasi

4 Cit. MARIA BEATRICE MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale

Contemporaneo, 2017.

5 Cit. MARIA BEATRICE MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale

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fisiologiche, e non solo patologiche, della vita di un’impresa, in quanto soddisfa un bisogno, anche momentaneo, di liquidità.

Si deve proprio al proliferare delle connessioni tra usura e criminalità organizzata l’adozione, da parte del Legislatore, del complesso di norme derogatorie ed eccezionali in cui si inseriscono le riforme del 1992 e del 1996.

Il previgente testo dell’art. 644 c.p., fino all’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996, n. 108, prevedeva che: “Chiunque, fuori dai casi preveduti dall’articolo precedente, approfittando dello stato di bisogno di una persona, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni. Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto preveduto dalla disposizione precedente, procura ad una persona in stato di bisogno una somma di denaro o un’altra cosa mobile, facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. Le pene sono aumentate da un terzo alla metà se i fatti di cui ai commi precedenti sono commessi nell’esercizio di un’attività di intermediazione finanziaria”. Sul punto è necessario evidenziare che il dettato dell’art. 644 c.p. del 1930 non consentiva il facile contrasto del fenomeno usurario, a causa delle oggettive difficoltà di interpretazione, che, oltretutto, hanno dato luogo a diversi, e contrastanti orientamenti sia della giurisprudenza, che della dottrina. Inoltre, l’incertezza connessa all’individuazione dello stato di bisogno, alla conoscenza di tale stato da parte di chi finanziava, ed alla volontà di approfittarsi della parte debole, insieme alle difficoltà nell’individuare l’usurarietà dei tassi di interesse, a causa del vuoto normativo, hanno permesso la formulazione di contrastanti pronunce giurisprudenziali, per cui uno stesso tasso di interesse, a volte, veniva considerato penalmente rilevante, mentre altre perfettamente lecito.

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Ciò che si è determinato, a causa di tale incertezza è stata la sostanziale disapplicazione, da parte di molti giudici, dell’Art.644 c.p.

Proprio per questi motivi, con la legge del 7 agosto 1992, n.356, il Legislatore ha introdotto nel Codice Penale una nuova fattispecie, ovvero la c.d. “usura impropria”. Più precisamente, l’Art.644 bis c.p. puniva: “[...] chiunque, fuori dai casi previsti dall’art. 644, approfittando delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria di persona che svolge un’attività imprenditoriale o professionale, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari”. Tuttavia, per quanto la nuova formulazione avesse sostituito l’equivoca formula dello “stato di bisogno” con il nuovo concetto di difficoltà economica e finanziaria, restava sempre molto difficile per il Giudice stabilire di volta in volta l’usurarietà, o meno, dei prestiti.

Pertanto questa incertezza, legata alla mancanza di un criterio oggettivo, fondamentale per l’accertamento del reato, ha determinato la necessità di emanare una nuova legge che risolvesse questa spinosa problematica. In tal senso è stata promulgata la Legge del 7 marzo 1996, n.108, che ha modificato sia l’Art. 644 c.p. che l’Art.1815 c.c.

Con riferimento alla fattispecie penale (Art.644 c.p.), detta Legge ha, in primis, introdotto criteri oggettivi di rilevazione del tasso usurario, ed in secundis ha superato il riferimento all’approfittamento dello stato di bisogno o di situazioni di difficoltà economica, realizzando un ulteriore evoluzione del reato di usura, e segnando un marcato distacco con la norma originaria. Infatti insieme all’usura criminale, con la nuova norma, viene punita anche la c.d. usura bancaria, ovvero quando il reato anziché essere commesso da organizzazioni criminali, viene compiuto da professionisti qualificati, riconosciuti istituzionalmente ed operanti in un contesto lecito6.

6 Cfr. MARIA BEATRICE MAGRO, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale

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Con riferimento ai soggetti usurari, la Legge 7 marzo 1996 n.108 non ne esclude alcuno, neppure le banche, che peraltro risultano già soggette ad un regime di controllo amministrativo da parte dell’Istituto di Vigilanza che è la Banca d’Italia. Quest’ultima infatti, sin dal 1994, precedentemente all’emanazione della legge in questione, aveva invitato le banche a:

1. Sensibilizzare la propria clientela sui rischi insiti nel richiedere prestiti a soggetti non legittimati a svolgere attività di finanziamento;

2. Attivare meccanismi e procedure di controllo interno al fine di verificare che non fosse svolta, da parte dei dipendenti, alcuna attività di sostegno all’usura;

3. Evitare la concessione di crediti non direttamente giustificati dall’attività economica del cliente, laddove, in relazione ai flussi finanziari dello stesso e alle modalità concrete dell’operazione si potesse presumere un utilizzo di attività finanziarie illegali.

Dunque, la vera portata innovativa della legge 7 marzo 1996 n.108 risiede nell’individuazione di un criterio unico ed oggettivo, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’usura, che fosse valido sia sotto il profilo penale che civile. In particolare l’Art.2 della legge 108/1996 ha introdotto un meccanismo di determinazione del limite oltre il quale gli interessi devono considerarsi usurari, (c.d. “tasso soglia” o T.S.U.), a prescindere dallo stato in cui si trova il soggetto richiedente il finanziamento. L’ente preposto alla determinazione del TSU è la Banca d’Italia, che, su incarico del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), comunica a quest’ultimo, con cadenza trimestrale, il c.d. Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM). Per calcolare il TEGM, che, come detto, costituisce la base di calcolo per la determinazione del tasso soglia, la Banca d’Italia richiede, con cadenza trimestrale, ai vari istituti di credito e intermediari finanziari, di comunicare, per ciascuna categoria omogenea di operazioni, ripartite per classi d’importi, i Tassi Effettivi Globali applicati ai clienti. Successivamente viene calcolata, sempre per ciascuna categoria omogenea di operazioni ripartite per classi

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d’importi, la media dei vari TEG, giungendo così alla determinazione del TEGM. La Banca d’Italia, dunque, una volta rilevati i TEGM, li comunica al MEF, il quale provvede, trimestralmente, alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Infine per determinare il c.d. tasso soglia, il TEGM viene aumentato di un quantum che, fino all’entrata in vigore del D.L. 13 maggio 2011, n.70, convertito in Legge il 12 luglio 2011, n.106, corrispondeva alla metà dello stesso. Adesso, successivamente all’entrata in vigore di detto D.L., che ha modificato l’art. 2, comma 4, della legge 108/1996, “il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite ed il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”.

1.2 La tutela civilistica

La legge 108/1996 ha radicalmente modificato l’originaria disciplina in materia di usura contenuta nel Codice Civile. Infatti, l’Art. 1815, comma 2, c.c., che inizialmente in caso di accertamento di tassi usurai prevedeva la debenza degli interessi nella misura legale, a seguito delle suddette modifiche, dispone che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla, e non sono dovuti interessi”. La nullità cui fa riferimento la norma, è una nullità parziale rilevabile d’ufficio dal Giudice, che non determina la nullità dell’intero contratto, ma unicamente della clausola riguardante gli interessi. In particolare ciò che si verifica è la conversione, ex lege, del prestito da usuraio a gratuito. Alla luce di ciò, in applicazione di quanto disposto dall’Art.1815 c.c., l’usuraio dovrà:

1. Continuare ad eseguire, gratuitamente, la prestazione;

2. Restituire al cliente la controprestazione indebitamente ricevuta in forza del contratto usurario;

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3. Procedere all’eventuale risarcimento del danno, secondo quanto disposto dall’Art 644, ultimo comma, c.p.

La disciplina civilistica riguardante l’usura si riferisce, dunque, al ben più ampio genus dei contratti, ed in particolare alla nozione dell’equilibrio economico che dovrebbe caratterizzare gli stessi. Infatti nei contratti, intesi in generale, la sproporzione delle prestazioni sinallagmatiche può rilevare:

1. Ai fini della nullità, per mancanza di causa;

2. Ai fini della risoluzione, per eccessiva onerosità sopravvenuta, ex Art.1467 c.c.; 3. Ai fini della rescissione, per lesione ex Art 1448 c.c.

Le fattispecie elencate sono, appunto, caratterizzate da una situazione di disequilibrio economico, in particolare: nella prima manca la controprestazione; nella seconda una prestazione diventa eccessivamente onerosa rispetto ad un’altra; infine nell’ultima si assiste allo sfruttamento di una delle parti dello stato di bisogno in cui versa la controparte. Sul punto è importante evidenziare che mentre ciò che rileva nella disciplina generale dei contratti è la dimensione soggettiva, ovvero la volontà di una parte di volersi approfittare dell’altra, in quella dei contratti di credito, ai fini della legge antiusura, lo sfruttamento dello stato di bisogno è del tutto irrilevante. Infatti, ciò che rileva è l’oggettiva sproporzione delle prestazioni.

In aggiunta a quanto sopra esposto è importante precisare che il legislatore ha omesso di considerare ogni tipo di connessione tra la norma civile e quella penale, se non con riferimento al risarcimento del danno. In particolare, la riforma attuata dalla legge 108/1996, per cui non si deve più tenere conto dello stato di bisogno del soggetto passivo, investe unicamente l’Art.644 c.p., mentre la norma civile rimane ancorata al vecchio concetto per cui la sproporzione della prestazione è dovuta all’approfittamento dello stato di bisogno di una delle parti. Infatti il testo dell’articolo evidenzia come l’ipotesi di rescissione del contratto sia applicabile solo laddove sussista, in un contratto a prestazioni corrispettive, uno sbilanciamento delle prestazioni, dovuto al fatto che la

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parte attiva si sia approfittata dello stato di bisogno della parte passiva. Risulta pertanto evidente come la norma civilistica richiami, ancora, gli elementi caratterizzanti la norma penale ante riforma.

1.3 La tutela penale

A seguito dell’entrata in vigore della Legge 108/1996 il reato di usura, sotto il profilo penale, può manifestarsi in due distinte modalità, ovvero:

1. L’usura oggettiva o presunta; 2. L’usura soggettiva o in concreto.

Con riferimento alla prima fattispecie, questa è disciplinata dal combinato disposto del primo e del terzo comma, ultima parte, dell’Art.644 c.p., ovvero quando: “Chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari è punito [...]. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Come già esposto in precedenza, in questa fattispecie, a seguito delle citate modifiche, non viene fatto alcun riferimento alla eventuale situazione di difficoltà finanziaria in cui versa la parte passiva, in quanto, affinché si perfezioni il reato di usura, il requisito dell’approffittamento dello stato di bisogno non è più necessario. Pertanto risulta sufficiente la sussistenza della corresponsione o della semplice promessa di un interesse superiore al tasso soglia affinché si manifesti la fattispecie in oggetto.

Al contrario, la seconda fattispecie del reato di usura, nota come “usura soggettiva o in concreto”, è disciplinata dalla seconda parte del terzo comma dell’Art.644 c.p.: “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità [...] quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

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È, dunque, evidente come il legislatore, ancorandosi a quanto disposto dal precedente Art.644 bis c.p., oggi abrogato, conferisca rilievo, in questa seconda fattispecie, allo status di bisogno o di necessità, della vittima.

Questa distinzione del reato di usura in due distinte fattispecie, assume un importante rilievo ai fini dell’individuazione del bene tutelato dalla norma, infatti nel primo caso ciò che viene tutelato è la necessità di “ordinare” il mercato del credito, ovvero di evitare che chi presti denaro lo faccia chiedendo corrispettivi superiori a quelli consentiti dalla Legge. Nella seconda fattispecie, invece, il bene tutelato è il patrimonio del soggetto passivo, che deve essere difeso dall’approfittamento dell’usuraio.

Infine è necessario evidenziare come l’Art.644 c.p. sia l’espressione di una norma che può essere definita “parzialmente in bianco”, in quanto lo stesso contiene una definizione “omnicomprensiva” del tasso di interesse usurario, che, pertanto, risulta composto dalla sommatoria degli interessi, delle commissioni e di qualsiasi altra remunerazione o spesa connessa all’erogazione del credito.

Il reato dunque si manifesta quando il tasso “effettivamente” applicato al cliente supera il tasso soglia individuato dalla Legge mediante il rinvio al Decreto Ministeriale del MEF, ovvero ad un atto normativo secondario. Sul punto si evidenzia che la Cassazione ha definito il provvedimento ministeriale quale mero atto di specificazione tecnica del precetto di divieto, il cui contenuto essenziale deve essere individuato dalla Legge. Al MEF quindi compete unicamente il ruolo di fotografare, secondo criteri tecnici predeterminati, l’andamento generale dei tassi applicati sul mercato.

Visto quanto appena esposto, la norma penale può definirsi, come già detto, parzialmente in bianco, in quanto una parte della disciplina relativa alla fattispecie in oggetto viene rimessa alla regolamentazione di una norma secondaria.

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2. USURA

AB ORIGINE E SOPRAVVENUTA

SOMMARIO: 2.1 Premessa; 2.2 l’usura ab origine; 2.3 L’usura sopravvenuta.

2.1 Premessa

Ai fini della corretta rilevazione del delitto di usura in un rapporto di credito, e dell’individuazione degli strumenti di tutela più idonei è necessario distinguere due distinte fattispecie di reato, per le quali, il legislatore, ha previsto diversi strumenti di tutela. In particolare l’usura può manifestarsi come: originaria, c.d. usura ab origine; oppure sopravvenuta. Con riferimento alla prima fattispecie questa si verifica, come vedremo, quando il rapporto si rileva usurario sin dal momento della sua stipula, o in forza di successive modifiche del contratto di credito (qualunque esso sia). Al contrario ci troviamo in presenza di usura sopravvenuta quando, a causa di modifiche legislative, di variazione dei tassi soglia o delle metodologie di calcolo dei TEGM il rapporto diventa usurario successivamente al momento della definizione del rapporto di credito.

2.2 Usura ab origine

Come esposto in premessa questa fattispecie di usura è riconducibile, sostanzialmente, a quattro diverse ipotesi. In particolare il reato può perfezionarsi per effetto:

1. dell’originaria pattuizione; 2. di nuove pattuizioni;

3. di successive modifiche consensuali;

4. di successive modifiche unilaterali da parte della banca, che siano ritenute “efficaci” ai sensi dell’art. 118 del TUB.

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In tali ipotesi si applicano i disposti degli Artt.644 c.p. e 1815 c.c.: l’usuraio verrà punito con la reclusione da due a dieci anni e con una multa da €5.000 a €10.000, in aggiunta a ciò, in funzione della norma civile, il rapporto di credito diviene gratuito, in quanto sopravviene la nullità della clausola riguardante gli interessi, che non sono più dovuti e, se pagati, devono essere rimborsati al cliente, salvo il risarcimento del danno.

2.3 Usura sopravvenuta

L’usura sopravvenuta si perfeziona quando, in un rapporto di credito con tassi di interesse pattuiti in maniera lecita (al di sotto del tasso soglia), successivamente al momento della stipula, a causa della variazione dei tassi di interesse (o delle modalità di calcolo degli stessi), il tasso pattuito supera il limite massimo imposto dal TSU.

La fattispecie in oggetto, come ricordato in premessa, ha rilevanza esclusivamente sul piano civilistico, anche se rimane inapplicabile l’Art.1815 c.c., e non su quello penalistico.

Pertanto il superamento del tasso soglia non determinerà la gratuità della prestazione, bensì l’obbligo, per il soggetto erogatore, di ricondurre il tasso applicato al livello della soglia stessa (o al tasso legale secondo un altro orientamento giurisprudenziale). In altri termini, il cliente avrà diritto alla restituzione (ove abbia già corrisposto le somme a titolo di interessi) della sola quota di interessi eccedente il tasso soglia (o il tasso legale).

Ad esempio:

● tasso di interesse pattuito del 10%;

● TSU al momento della stipula è 12% (superiore a quello pattuito); ● nel corso del rapporto il TSU si riduce al 9%;

La giurisprudenza prevalente, interpretando sistematicamente il dettato normativo, dispone il riallineamento degli interessi nei limiti massimi del TSU.

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In aggiunta a ciò è importante evidenziare che proprio per evitare contrastanti interpretazioni di quanto disposto dalla Legge, a partire dal 2006, nella gran parte dei contratti bancari, è stata introdotta la c.d. “clausola di salvaguardia”, ovvero, nel rapporto, viene espressamente pattuito che, nell’ipotesi di superamento del TSU, gli interessi verranno automaticamente ricondotti nel limite massimo di quest’ultimo7.

È necessario però precisare che, con riferimento alla fattispecie dell’usura sopravvenuta, la giurisprudenza è assai oscillante e molte argomentazioni, non condivise dallo scrivente, inducono a ritenere che la variazione dei tassi soglia non possa aver alcuna influenza su rapporti sorti in maniera lecita.

Quanto al reato di usura, ovvero alla fattispecie penale, questo, come già detto, sussiste esclusivamente con riferimento all’usura ab origine. A conferma di quanto appena affermato può essere richiamato il D.L. del 29/12/00 n. 394, avente la funzione di fornire un’interpretazione autentica della normativa anti usura, convertito in legge con la L. n.106 del 1996, ovvero: “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

In particolare, è stata la Cassazione, a sostenere che gli interessi devono ritenersi usurari quando eccedono il limite legale al momento della loro pattuizione, e non del loro pagamento, a prescindere dal fatto che il reato di usura possa ritenersi consumato in tale secondo momento.

Inoltre è bene specificare che spesso, stante una mancanza di una conoscenza specifica e di studi approfonditi, molti soggetti sono erroneamente, indotti a credere che l’usura possa costituire un escamotage per sottrarsi all’adempimento delle proprie

7 Cfr. Tribunale di Napoli, Dott. R. Rossi, ordinanza del 4 giugno 2014 e Tribunale di Napoli, sezione

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obbligazioni. Il tutto avviene, peraltro, senza dare rilievo alla distinzione di cui sopra e senza tenere conto che l’unica fattispecie rilevante sia penalmente che civilmente, al fine di ottenere la nullità della clausola riguardante gli interessi applicati al rapporto di credito, è rappresentata dall’usura a titolo originario.

Infine è necessario esaminare un’ulteriore fattispecie, che spesso viene, erroneamente, confusa con l’usura sopravvenuta, ovvero lo ius variandi. Ai sensi dell’Art.118 del TUB, agli intermediari finanziari è concessa la facoltà di modificare, entro limiti stabiliti, le condizioni contrattuali alla base del rapporto di credito, dando luogo al c.d. ius variandi. In particolare detta facoltà deve essere prevista contrattualmente e sottoscritta dal cliente, che inoltre ha diritto a ricevere una comunicazione dall’intermediario, nel momento in cui quest’ultimo esercita tale facoltà, contenente le modifiche applicate al rapporto. Il cliente, entro la data di entrata in vigore delle modifiche, ha la facoltà di recedere dal contratto, viceversa, nel silenzio di quest’ultimo, le modifiche divengono definitive e vincolanti.

Ciò che assume rilievo, ai fini della presente trattazione, è l’ipotesi in cui, a causa dello ius variandi, i tassi di interessi pattuiti in maniera legittima (al di sotto del TSU) divengano, in un secondo momento, usurari. In particolare la domanda da porsi è se tale casistica debba ricondursi alla fattispecie dell’usura originaria o a quella dell’usura sopravvenuta. La questione, alla luce di quanto sopra esposto, non è di poco conto, infatti nel primo caso troverebbe applicazione l’Art.1815 e pertanto, a seguito della nullità della clausola riguardante gli interessi, il prestito da oneroso si trasformerebbe in gratuito. Nel secondo caso, invece, si verificherebbe, semplicemente, la riduzione del tasso di interesse, pattuito contrattualmente, al livello del tasso soglia (o del tasso legale).

L’orientamento dominante, condiviso dallo scrivente, sembrerebbe propendere per la prima ipotesi, ovvero per l’inquadramento dello ius variandi nella fattispecie dell’usura originaria.

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Infatti, a parere di chi scrive, la modifica unilaterale da parte dell’istituto di credito delle condizioni contrattuali, determina la formazione di un nuovo rapporto, e proprio per questo la fattispecie descritta deve ricondursi a quella dell’usura ab origine.

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3. L’ANATOCISMO

SOMMARIO: 3.1 Profili descrittivi; 3.2 Profili normativi

3.1 Profili descrittivi

Il termine anatocismo deriva dal greco anà (di nuovo) e tokòs (interesse) e sta ad indicare quel meccanismo di capitalizzazione degli interessi (c.d. capitalizzazione composta), per cui gli stessi sommati al capitale sul quale sono stati calcolati, producono a loro volta altri interessi supplementari. In sostanza si tratta del cosiddetto calcolo degli interessi sugli interessi.

Da un punto di vista strettamente giuridico, in un'obbligazione pecuniaria l’applicazione dell'anatocismo comporta, per il debitore, il pagamento non solo del capitale e degli interessi concordati, ma anche degli ulteriori interessi calcolati sugli interessi già computati e già scaduti, comportando conseguentemente una crescita esponenziale del debito, soprattutto in presenza di tassi di interesse elevati.

Per comprendere al meglio il concetto vediamo un semplice esempio:

supponiamo di chiedere ad un istituto di credito un prestito di 100.000 €, della durata di 2 anni, al tasso fisso annuo, del 10%.

Senza applicare l'anatocismo il calcolo sarebbe il seguente: 1. PRIMO ANNO: ● Capitale 100.000 €; ● Interessi 10.000 € (100.000 x 10%); ● Debito 110.000 €; 2. SECONDO ANNO: ● Capitale 100.000 €; ● Interessi 20.000 € (10.000 + (100.000 x 10%);

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22 ● Debito 120.000 €.

Pertanto al termine dei 2 anni il cliente dovrà restituire alla banca €120.000. Invece, applicando l’anatocismo otterremo i seguenti risultati:

1. PRIMO ANNO: ● Capitale 100.000 €; ● Interessi 10.000 € (100.000 x 10%); ● Debito residuo 110.000 €; 2. SECONDO ANNO: ● Capitale 110.000 € (100.000 +10.000); ● Interessi 11.000 (110.000 x 10%); ● Debito residuo 121.000 €.

In questa seconda ipotesi allo scadere dei due anni il cliente si ritrova con un debito complessivo di €121.000.

Come è facilmente visibile, nel secondo esempio l’esborso da parte del cliente risulta maggiore, in quanto gli interessi vengono sommati al capitale su cui poi vengono conteggiati, l’anno successivo, ulteriori interessi. Nel caso in questione la differenza tra le due metodologie di calcolo è di soli 1.000 €, ma supponendo un arco temporale molto più lungo di due anni, questa crescerebbe in maniera esponenziale.

3.2 Profili normativi

L’anatocismo bancario è un fenomeno molto dibattuto che, a seguito dei numerosi interventi normativi, e delle svolte giurisprudenziali susseguitesi negli anni, si rivela di non facile interpretazione per chi ha il delicato compito di districarsi all’interno della materia.

L’attenzione prestata a questa particolare fattispecie trae origine, non solo da un’esigenza di tipo accademico, bensì dal delicato rapporto esistente tra gli istituti bancari e la clientela, soprattutto con particolare riferimento alla normativa in tema di

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trasparenza bancaria e tutela per il cliente. In particolare, l’intento del legislatore, vista l’importanza del ruolo rivestito dall’attività bancaria in un determinato contesto socio-economico, è quello di tutelare la parte debole, che si trova in una posizione di svantaggio rispetto alle banche.

La disciplina dell’anatocismo bancario, in sostanza, si pone l’obiettivo di affrontare il problema della liceità, o meno, della maturazione degli interessi sugli interessi (c.d. capitalizzazione composta), nell’ambito dei rapporti bancari.

La problematica relativa al fenomeno in oggetto fonda le sue origini molto indietro nel tempo, infatti già nella cultura cristiano-giustiniana le pratiche volte ad ottenere un vantaggio dallo stato di bisogno altrui venivano viste con una certa ostilità, in quanto il prestito di denaro doveva rappresentare uno strumento atto ad aiutare, e non soffocare, chi versava in una situazione di difficoltà. Proprio per questo motivo, già in epoca romana, nel terzo secolo d.C., fu introdotto il divieto di richiedere un interesse superiore rispetto al capitale che lo aveva prodotto, pena l’invalidità della clausola anatocistica.

Un importante ruolo, per la disciplina italiana in tema di anatocismo, lo ha svolto il Codice francese del 1804, a cui il Codice civile italiano si è ispirato, che ha introdotto la regolarizzazione formale del fenomeno anatocistico. In particolare, era consentita la regolare capitalizzazione degli interessi, quando dovuti da almeno un anno (disciplina molto simile a quella in vigore attualmente in Italia).

Nel nostro ordinamento, fino al 1999, anno che segnerà un’importante svolta nell’orientamento giurisprudenziale in tema anatocistico, la giurisprudenza ha ritenuto che nei rapporti con gli istituti bancari, in forza di quanto disposto dall’Art.1283 c.c., fosse ravvisabile un uso di natura normativa tale da consentire l’anatocismo. Infatti l’Art.1283 c.c. dispone che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.” La ratio della norma risiede innanzitutto, nella volontà del Legislatore di

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contrastare eventuali fenomeni usurai, consentendo altresì al debitore di comprendere che un protrarsi dell’indebitamento ha quale conseguenza un incremento degli oneri, nonché di evitare che l’accettazione di clausole anatocistiche venga posta, dalle banche, quale conditio sine qua non per l’accesso al credito.

Dopo il 1999, in seguito ad un cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale, si è cominciato a ritenere che il concetto di uso contrario, espresso dall’Art.1283 c.c., non fosse più riferibile ai rapporti bancari, e che, pertanto, la capitalizzazione degli interessi praticata dagli istituti bancari fosse da ritenersi illegittima.

Nel 1999, infatti, tre sentenze della Cassazione hanno sancito il citato cambio di orientamento giurisprudenziale determinando la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata, fino a quel momento, sui saldi dei conti correnti. In particolare la Suprema Corte ha stabilito che la capitalizzazione, trimestrale, degli interessi, nei rapporti di conto corrente, non si configurasse quale uso normativo, atto a derogare quanto disposto dall’Art.1283 c.c., in quanto:

1. l’Art.1283 c.c., con l’espressione usi contrari, ammette usi normativi, e non interpretativi o negoziali (disciplinati rispettivamente dagli Artt.1368 e 1340 c.c.), successivi all’entrata in vigore del Codice Civile nel 1942. Pertanto non possono considerarsi leciti usi formatesi in epoca antecedente, in forza di quanto disposto dall’Art.8 Disp. Prel. c.c. ai sensi del quale gli usi assumono efficacia solo in quanto richiamati da leggi o regolamenti;

2. gli usi bancari riferiti alla capitalizzazione degli interessi sono stati introdotti, dall’ABI, mediante le Norme Bancarie Uniformi, nel 1952. Queste, però, hanno natura pattizia e quindi non sono atte a derogare quanto disposto dall’Art.1283 c.c., e per questo assumono natura esclusivamente negoziale e non normativa; 3. il ricorso alla raccolta di usi delle Camere di Commercio non è consentito, in

quanto questi, oltre a non costituire uno strumento idoneo alla comprensione della reale natura dell’uso, risalgono ad un’epoca successiva al 1942.

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La portata innovativa del nuovo orientamento giurisprudenziale risiede nel riconoscimento del fatto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi, veniva accettata dal cliente unicamente in quanto inserita nei moduli predisposti dalla banca secondo quanto disposto dall’ABI e non in conformità ad una norma di tipo consuetudinario. In particolare, si trattava di clausole in merito alle quali non solo non era concessa la facoltà al cliente di negoziare, ma la loro accettazione si poneva quale condizione indispensabile per l’accesso al credito erogato dalle banche8.

La sentenza che ha dato l’input al suddetto processo d’innovazione normativa è stata la n.2374 del 16 marzo 1999, pronunciata dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione. Con detta pronuncia la Suprema Corte ha stabilito che il precedente orientamento giurisprudenziale, in tema di anatocismo, non provava la sussistenza di un uso normativo idoneo a derogare quanto disposto dall’Art.1283 c.c., ma che, come già accennato, si limitasse a legittimare l’applicazione di clausole aventi ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi. Sul punto si riportano alcuni passaggi della sopra menzionata sentenza “…Ritiene tuttavia la Corte che il tradizionale orientamento debba essere rivisto, anche alla luce delle obiezioni sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, in quanto l'esistenza di un uso normativo idoneo a derogare ai limiti di ammissibilità dell'anatocismo previsti dalla legge appare più oggetto di una affermazione, basata su un incontrollabile dato di comune esperienza, che di una convincente dimostrazione.

... Gli "usi contrari", ai quali il legislatore fa riferimento, sono i veri e propri usi normativi, di cui gli articoli 1, 4 e 8 delle disp. prel. al c.c che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente

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obbligatorio, e cioè conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento (opinio juris ac necessitatis).

… in materia, non hanno, quindi, alcun rilievo, in quanto tali (indipendente cioè dalla loro eventuale efficacia probatoria di un preesistente uso normativo conforme, di cui si tratterà oltre), le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall'associazione di categoria (Associazione bancaria italiana - A.B.I.), che non hanno natura normativa, ma solo pattizia…

… Non v'é alcun elemento, quindi, che autorizzi a ritenere esistente, prima del 1942, un uso normativo che autorizzava la capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente di un istituto di credito…

… Per quanto riguarda, inoltre, l'accertamento di usi locali da parte di alcune Camere di commercio provinciali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 34, 39-40 del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011 e dell'art. 2, del d. Lg.vo luogoten. 21 settembre 1944, n. 315, deve rilevarsi che si tratta di accertamenti avvenuti tutti in epoca successiva al 1952 e ciò esclude che, in concreto, possa essere attribuita alla indicata clausola delle c.d. norme bancarie uniformi in vigore dal 1952 una funzione probatoria di usi locali preesistenti. Peraltro, la presunzione derivante dall'inserimento nelle raccolte delle camere di commercio, di cui all'art. 9 delle disp. prel. al c.c. riguarda l'esistenza dell'uso e non anche la natura, normativa o negoziale…

… Infine, non appare irrilevante anche quanto può desumersi dalla concreta esperienza giurisprudenziale e dalla dottrina più volte richiamata, circa l'elemento psicologico che si accompagna al generalizzato inserimento nei concreti regolamenti contrattuali di clausole (la cui validità, alla stregua dell'art. 1283 c.c. e in mancanza di un uso contrario, non potrebbe certo essere data per scontata) conformi alle condizioni generali predisposte dall'ABI, che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente, mentre gli interessi a carico della banca sono capitalizzati annualmente. Dalla comune esperienza, infatti, emerge che l'inserimento di tali clausole

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è acconsentito da parte dei clienti non in quanto ritenute conformi a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico di cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis, se non altro per l'evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente.

… Sulla base dei rilievi formulati si deve, quindi, ritenere che la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi…”.

Successivamente la Suprema Corte si è pronunciata, nuovamente, ribadendo, con la sentenza n.3096 del 20 marzo 19999, e, a distanza di 8 mesi, con la sentenza n.12507 dell’11 novembre 199910, quanto sancito con la sentenza n.2374 del 16 marzo 1999. Infatti, entrambe le sentenze, hanno confermato quanto già disposto il 16 marzo del 1999, ovvero la nullità delle clausole che prevedono, in un rapporto bancario, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, in quanto fondate su un uso negoziale e non normativo.

Successivamente all’emanazione delle sentenze del 1999 si sono verificate numerose ripercussioni nella dottrina e nella giurisprudenza di merito, in quanto le argomentazioni a fondamento delle sopra menzionate sentenze lasciavano spazio a molti dubbi.

9 Cass., sez. III, 30 marzo 1999, n.3096, in Giustizia civile, 1999, I, 301. 10 Cass., sez. I, 11 novembre 1999, n.12507, in Corriere giuridico, 1999, 1485.

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In particolare la dottrina11 si è soffermata ad analizzare le conseguenze che dette sentenze hanno generato a livello giurisprudenziale, stilando un elenco delle incertezze più rilevanti emerse nel periodo successivo al 1999. Innanzitutto è stato sottolineato come le decisioni assunte dalla Cassazione nel periodo ante 1999 non meritassero un giudizio negativo, in quanto si poteva ritenere che la definizione di usi normativi, contenuta nel disposto dell’Art. 1283 c.c. fosse “un’affermazione priva di senso, o almeno di dimostrazione12”. Dopodiché, sono state vagliate le N.B.U. del 1952 responsabili, secondo quanto affermato dalla Cassazione, di aver dato origine all’anatocismo. Più in particolare, è stato dimostrato13 che la normativa di favore, antecedente il 1999, non rilevava solo per le banche, bensì per tutti i commercianti. Infatti, ad essere applicata era una norma consuetudinaria, conforme ad un uso già riscontrabile nel 1929 all’interno del “Testo delle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza”, e che, ai sensi di tali usi, i conti correnti con saldo negativo dovevano essere regolati con cadenza trimestrale.

Detta enunciazione è stata poi recepita anche dalle N.B.U., e all’epoca della rivoluzione messa in atto dalla Suprema Corte, risultava già essere applicata ai contratti di conto corrente.

Per quanto la dottrina ritenesse poco probabile che il soggetto passivo potesse accettare bonariamente la regola, successivamente condannata dalla Cassazione, per cui la capitalizzazione degli interessi creditori e debitori doveva avvenire con cadenze differenti (annuale la prima e trimestrale la seconda), la stessa ammise, che una chiusura

11 Cfr. F. Mamieri in Commentario del Codice Civile a cura di V. Cuffaro, Wolters Kluwer Italia

S.r.l., Milanofiori Assago (MI), 2013.

12 Cfr. F. Mamieri in Commentario del Codice Civile a cura di V. Cuffaro, Wolters Kluwer Italia

S.r.l., Milanofiori Assago (MI), 2013

13 F. Mamieri cita De Simone A., De Simone M.R., Legittimità della prassi bancaria di

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infrannuale, avrebbe consentito, oltre ad un miglior controllo dello stato dei fidi, alla banca che intende recedere dal contratto di attendere, salvo situazioni eccezionali le scadenze trimestrali per non perdere l’effetto anatocistico a suo favore14.

D’altronde la capitalizzazione degli interessi con cadenza trimestrale permette di ricevere anticipatamente le somme che, viceversa, diventerebbero esigibili solo alla fine dell’anno.

Un’ulteriore incertezza, poi, risiedeva, nella necessità della ricorrenza della opinio iuris ac necessitatis, più volte menzionata nelle sentenze della Cassazione del 1999. La dottrina a riguardo cita numerose sentenze15, che rivelano quanto questo argomento sia stato oggetto di discussione per la giurisprudenza di merito. La stessa infatti sosteneva che, al fine del riconoscimento della natura normativa degli usi non era indispensabile l’elemento soggettivo, poiché l’uso si era formato a causa della convinzione, da parte della clientela, della legittimità della clausola. In aggiunta a ciò, se l’Art. 1823 c.c., quale norma imperativa, ha fatto salvi gli usi contrari, si deve, facilmente dedurre che questi erano preesistenti sin da prima del 1942.

Sempre con riferimento alla giurisprudenza di merito, l’ottava sezione del Tribunale di Roma, ha affrontato la problematica in un’ottica del tutto differente da quella adottata dalla Suprema Corte. Sul punto si ricordano le sentenze del 14 aprile 1999 e del 26 maggio 199916. Al contrario, altre sezioni del medesimo Tribunale, hanno sostenuto la tesi introdotta dal nuovo ordinamento giurisprudenziale (ad es. sentenza 21 gennaio

14 Cfr. F. Mamieri in Commentario del Codice Civile a cura di V. Cuffaro, Wolters Kluwer Italia

S.r.l., Milanofiori Assago (MI), 2013

15 Trib. Firenze, 8 gennaio 2001, in foro.it, I, 2632; Trib. Monza 2 ottobre 2000 e Trib Bari 28

febbraio 2001, in Foro.it, 2001, I, 2631.

16 Tribunale di Roma, 14 aprile 1999, in Contratti, 7/1999, p.653 e Tribunale di Roma, 26 maggio

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2000 II sez. Trib. Roma17), arrivando, persino, a definire le clausole, circa la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, come vessatorie. Pertanto, secondo tale orientamento, in forza di quanto disposto dall’Art.1469 bis c.c. circa la vessatorietà delle clausole, il contratto di conto corrente doveva ritenersi necessariamente sottoscritto con una controparte qualificabile come consumatore.

Secondo questo filone di pensiero la legittimità della capitalizzazione degli interessi, attivi o passivi, era dunque da ricercarsi, non negli usi contrari richiamati nell’Art.1283 c.c., bensì in forza di quanto sancito dagli Artt. 1825 c.c., 1831 c.c. e 1823, 2°comma c.c..

Sempre secondo il Tribunale di Roma, in forza della sentenza del maggio 1999, la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi attuata con diversa periodicità non avrebbe rappresentato una pratica censurabile, in quanto semplice espressione dei diversi rischi assunti dalla banca e dal cliente.

Il medesimo Tribunale, con la sentenza del 2 gennaio 2000, si è pronunciato, sullo stesso argomento, in senso diametralmente opposto, marcando la disparità di trattamento tra le parti del contratto.

A seguito delle citate sentenze, l’ABI ha mosso dalle critiche al nuovo orientamento dominante e, nel novembre del 2000, ha emesso una circolare18 con la quale ha contestato la tesi sostenuta dalla Suprema Corte, ovvero che gli usi che legittimavano la capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati sui saldi a debito per il cliente fossero stati introdotti nelle Norme Bancarie Uniformi a far data dal gennaio 1952. L’ABI infatti sosteneva che esistesse già in epoca fascista una norma sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi e che riguardasse i conti correnti anche se saltuariamente debitori.

17 Trib. Roma, sez. II, 21 gennaio 2000, in Foro italico, 2000, I, c.2046. 18 Circolari ABI on line.

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Pertanto, alla luce dell’intervento della giurisprudenza nel 1999, del conseguente cambio di orientamento, delle incertezze dovute alle successive sentenze, e del proliferare di giudizi intentati dai clienti degli istituti di credito, il Governo ha ritenuto necessario un proprio intervento, al fine di risolvere la spinosa questione. Pertanto, il governo, in forza di quanto consentitogli dalla delega conferita l’anno precedente dalla legge del 24 aprile 1998, n.128, c.d. legge comunitaria 385/1993, che gli ha concesso di apportare disposizioni correttive ed integrative al TUB, ha emanato il D.lgs 4 agosto 1999 n.342 (c.d. decreto salva banche). Sul punto è necessario soffermarsi sull’Art.25 di detto D.lgs, il quale ha aggiunto un nuovo comma all’Art.120 del TUB, prevedendo la facoltà, nell’esercizio dell’attività bancaria, di stabilire i criteri di calcolo degli interessi sugli interessi (c.d. anatocismo), purché con cadenza periodica. Inoltre, con una norma transitoria, inserita nel D.lgs 342/1999, il legislatore ha previsto una sanatoria per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della disciplina, salvaguardando così le clausole di capitalizzazione trimestrale.

Tuttavia, con sentenza del 17 ottobre 2000, n.42519, la Corte Costituzionale, ha

dichiarato l’illegittimità della suddetta disposizione transitoria, per violazione dell'articolo 77 della Costituzione.

Sul punto è inoltre necessario menzionare la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 4 novembre 2004, n.2109520, per mezzo della quale, la Suprema Corte,

ha affermato l'illegittimità, retroattiva, degli addebiti per anatocismo, in quanto, secondo la stessa, le clausole anatocistiche relative agli interessi antecedenti al 1999, non soggiacciono ai principi dell'ordinamento giuridico normativo, ma attengono esclusivamente ad un uso strettamente negoziale.

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http://www.altalex.com/documents/news/2005/11/29/illegittima-moratoria-su-interessi-bancari-passivi-ex-dlgs-n-342-99

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Successivamente, con la sentenza n.24418 del 201021 , la Cassazione a Sezioni Unite

ha sancito, il diritto per i correntisti a richiedere il rimborso delle somme addebitate illegittimamente dalle banche sul conto corrente, per mezzo della capitalizzazione trimestrale degli interessi.

La Suprema Corte, dunque, condividendo la precedente pronuncia delle Sezioni Unite, n.21095/2004 ha puntualizzato che la prescrizione del diritto a richiedere la suddetta restituzione delle somme decorre dalla chiusura del rapporto e non dalla data della singola annotazione a debito sul conto, garantendo in tal modo la resa dell’indebito. Sul punto è intervenuto nuovamente il Governo, che con l’emanazione del D.L. 29 dicembre 201022, convertito in legge con la L. 10/2011, all’Art.2, comma 61, si è

pronunciato in senso diametralmente opposto, disponendo che: “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”. Pertanto, è stata introdotta una nuova metodologia di calcolo relativamente ai tempi di prescrizione, ovvero: il termine dei dieci anni inizia a decorrere dalla singola operazione bancaria, e non dalla chiusura del conto corrente. In tale modo il diritto al ricorso per il cliente si prescrive in un arco di tempo minore e, pertanto, è possibile affermare che questa norma, “salva banche” sia stata emanata a vantaggio esclusivo di queste ultime.

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http://www.altalex.com/documents/news/2011/10/27/anatocismo-e-prescrizione-dalle-sezioni-unite-un-duro-colpo-alle-banche

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Successivamente, con la sent0enza n.78 del 2 aprile23, la Corte Costituzionale, ha

dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, co. 61 della L. 10/201, relativo alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, in quanto in contrasto con quanto disposto dall’Art. 3 Cost. La norma censurata, infatti, facendo retroagire la disciplina prevista, non rispettava il principio generale di eguaglianza e ragionevolezza delle norme espresso dall’Art. 3 Cost.

In seguito, con l’emanazione della Legge di Stabilità 2014, L. 147/2013, il legislatore ha attribuito al C.I.C.R. (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) il compito di stabilire le modalità di calcolo degli interessi nelle operazioni bancarie, con l’intento di eliminare l’anatocismo. Sul punto è necessario evidenziare, però, che con il successivo D.L. n.91 del 2014, convertito in legge con la L. 116/2014 il legislatore, modificando l’Art.120 del T.U.B., ha reintrodotto la facoltà, per gli istituti di credito, di capitalizzare gli interessi.

Alla luce di quanto sopra, si è venuta a creare un’incertezza interpretativa, dovuta al fatto che da una parte vi era un testo che prevedeva la capitalizzazione degli interessi, dall’altro invece restava, comunque, in vigore la delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, che costituiva una fonte primaria di attuazione regolamentare. Pertanto, secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante, la capitalizzazione degli interessi, se successiva all’entrata in vigore della legge di stabilità 2014, doveva ritenersi illegittima. In seguito a quanto sopra, nell’agosto 2015, il CICR ha redatto una bozza di delibera che prevedeva un calcolo distinto tra capitale e interessi, per cui questi ultimi, attivi o passivi che fossero, sarebbero divenuti esigibili soltanto sessanta giorni dopo che il cliente avesse ricevuto l’estratto conto o altre comunicazioni. Inoltre, trascorso tale termine, il cliente avrebbe potuto autorizzare l’addebito degli interessi sul conto, e così facendo la somma addebitata si sarebbe sommata al capitale. Quindi, la proposta di

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delibera del 2015, riconduceva la produzione di interessi moratori a quanto stabilito dal codice, e non anche a quanto disposto dall’art. 120, 2° comma, del TUB, reintroducendo, sostanzialmente un meccanismo simile all’anatocismo bancario. Dunque, tale bozza aveva determinato un vivace dibattito, in quanto ritenuta in contrasto con l’allora vigente art. 120 comma 2 TUB, per cui si avvertì la necessità di operare una nuova modifica al testo24.

Per tali motivi, nell’aprile 2016 è intervenuto il legislatore che, con l’art. 17-bis, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione, con modifiche, nella L. 8 aprile 2016, n. 49, a cui è stata data attuazione con il decreto n. 343 del 3 agosto 2016, del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, entrato in vigore l’1.10.2016, ha apportato alcune modifiche all’art. 120, comma 2, T.U.B.

Innanzitutto, l’art. 120 T.U.B. ha affidato al CICR il compito di fissare “le modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare,

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anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo”.

In relazione al divieto di anatocismo, il DM del 3 agosto 2016, contempla il divieto di capitalizzazione degli interessi, tranne quelli moratori, conformemente ai principi generali fissati dagli Artt. 1194,1234, e 1284 c.c.

Pertanto, con riferimento ai rapporti di conto corrente, l’art. 3, comma 3, della delibera, prevede che gli interessi devono essere conteggiati al 31 dicembre di ogni anno; anche per i contratti iniziati in corso d’anno, detto calcolo si effettuerà comunque al 31 dicembre successivo, mentre l’art. 4 prevede che gli interessi debitori diverranno esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Quando gli interessi saranno esigibili, il cliente può pagarli oppure autorizzarne l’addebito sul conto corrente, ma in quest’ultimo caso, gli interessi vengono sommati al capitale. Nell’ipotesi in cui, invece, il cliente decida di non pagare gli interessi e di non autorizzarne l’addebito sul proprio conto, si verifica il presupposto per l’applicazione degli interessi moratori, per la cui maturazione, secondo parte della dottrina, occorre proporre domanda giudiziale di cui all’articolo 1283 c.c., mentre, secondo l’interpretazione maggioritaria, questi scattano automaticamente con l’inadempimento del debitore.

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4) CLASSIFICAZIONE DELLE OPERAZIONI PER

CATEGORIA

SOMMARIO: 4.1 Classificazione delle operazioni rientranti nel calcolo del TEGM

4.1 Classificazione delle operazioni rientranti nel calcolo del TEGM

All’interno del documento contenente le istruzioni per la rilevazione dei TEGM25, sono elencate le diverse categorie di operazioni di finanziamento, distinte tra quelle incluse nel calcolo del TEGM e quelle escluse. Detta distinzione non deve trarre in inganno il lettore, in quanto la disciplina in materia di usura è applicabile a tutte le operazioni di credito, la suddetta distinzione opera unicamente con riferimento alla rilevazione dei TEGM effettuata da parte della Banca d’Italia al fine di determinare i TSU.

In particolare la classificazione operata dalla Banca d’Italia è la seguente26: Operazioni incluse:

 Cat. 1. Aperture di credito in conto corrente: Rientrano in tale categoria di rilevazione le operazioni regolate in conto corrente in base alle quali l’intermediario, ai sensi dell’art. 1842 e ss. del c.c., si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di denaro per un dato periodo di tempo ovvero a tempo indeterminato e il cliente ha facoltà di ripristinare le

25 L’ultimo documento pubblicato è datato luglio 2016.

26 Cit.

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disponibilità. Vanno inseriti in tale categoria anche i passaggi a debito di conti non affidati nonché gli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato. È richiesta separata evidenza delle operazioni con garanzia e senza garanzia (Cat.1a e 1b). Per operazioni “con garanzia” si intendono quelle assistite da garanzie reali ovvero da garanzie prestate da banche, imprese di investimento, società e enti di assicurazione, confidi e intermediari finanziari iscritti all’albo unico. Vanno segnalate tra le operazioni con garanzia anche quelle parzialmente garantite. È richiesta altresì separata evidenza dei passaggi a debito di conti senza affidamento (Cat. 1c). Qualora su uno stesso conto corrente non affidato si registrino saldi a debito nel trimestre di riferimento e successiva concessione di fido nel medesimo trimestre devono essere considerate due distinte operazioni, ciascuna nella rispettiva sotto-categoria. Parimenti, il mancato rientro di un’apertura di credito scaduta o revocata dovrà essere segnalato, dalla data di scadenza o di revoca, tra i passaggi a debito dei conti non affidati;

 Cat. 2. Finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e sconto di portafoglio commerciale; finanziamenti all’importazione e anticipo fornitori: Rientrano in questa categoria di rilevazione i finanziamenti a valere su effetti, altri titoli di credito e documenti s.b.f., le operazioni di finanziamento poste in essere sulla base di un contratto di cessione del credito ex art. 1260 c.c. diverse dal factoring e le operazioni di sconto di portafoglio commerciale (Cat. 2a).

Deve essere fornita separata evidenza dei finanziamenti a valere su effetti e fatture di cui il soggetto finanziato non è creditore (per esempio anticipi fornitori, anticipi a valere su documenti rappresentativi di merci e finanziamenti all’importazione) (Cat. 2b). Tali operazioni rientrano in questa

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categoria anche quando sono contabilmente gestite sul conto corrente ordinario;

 Cat. 3. Credito personale: Rientrano in questa categoria di rilevazione i prestiti nei confronti delle famiglie consumatrici (cfr. punto B3) che: - siano destinati a finanziare generiche esigenze di spesa o di consumo personali o familiari; - siano erogati in un’unica soluzione e prevedano il rimborso in base a un piano di ammortamento. Il cliente, una volta ottenuti i fondi, potrà disporne per la finalità comunicata al finanziatore, oppure per altre finalità. Se il credito personale viene erogato sotto forma di apertura di credito in conto corrente il finanziamento rientra nella categoria delle aperture di credito in conto corrente (Cat. 1);

 Cat. 4. Credito finalizzato: Rientrano in questa categoria di rilevazione i finanziamenti rateali destinati all’acquisto di uno o più specifici beni o al pagamento di specifici servizi, fino a un importo di 75.000 euro. I crediti inseriti in questa categoria sono caratterizzati da una stretta connessione tra l'acquisto di un bene o di un servizio e la concessione del credito la cui erogazione avviene, da parte dell'intermediario, con il pagamento del corrispettivo all'esercente;

 Cat. 5. Factoring: Rientrano in questa categoria di rilevazione gli anticipi erogati a fronte di un trasferimento di crediti commerciali effettuati con la clausola “pro solvendo” o “pro soluto”, dal soggetto titolare (impresa fattorizzata) a un intermediario specializzato (factor). Si ricomprendono in tale categoria tutti gli anticipi erogati a fronte di operazioni riconducibili a un rapporto di factoring, anche se non effettuate ai sensi della legge n. 52 del 1991.

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Rientrano in questa categoria di rilevazione i finanziamenti realizzati con contratti di locazione di beni materiali (mobili e immobili) o immateriali (ad es. software), acquisiti o fatti costruire dal locatore su scelta e indicazione del conduttore che ne assume tutti i rischi e con facoltà di quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito. Non rientrano nella rilevazione le operazioni di leasing operativo caratterizzate dall’assenza dell’opzione finale di acquisto. È richiesta separata evidenza per il leasing immobiliare a tasso fisso e variabile, il leasing aero-navale e su autoveicoli e il leasing strumentale.

 Cat. 7. Mutui:

Rientrano in questa categoria di rilevazione i contratti di finanziamento che: a) abbiano durata superiore a cinque anni;

b) siano assistiti da garanzia ipotecaria;

c) prevedano il rimborso tramite il pagamento di rate comprensive di capitale e interessi.

È richiesta separata evidenza per i mutui a tasso fisso e quelli a tasso variabile; all’interno di tale ripartizione deve essere poi fornita evidenza separata dei finanziamenti concessi alle “famiglie consumatrici” e alle “unità produttive private” (cfr. successivo punto B3). Per tasso variabile si intende il tasso ancorato all’andamento di un parametro predefinito. I mutui che prevedono contrattualmente un periodo in cui la rata corrisposta dal cliente è calcolata in base a un tasso fisso e un periodo nel quale la rata è determinata utilizzando un tasso variabile (cd. mutui a tasso misto) sono segnalati tra i mutui a tasso variabile. Tuttavia, ove il contratto preveda che le rate siano calcolate in base a un tasso fisso per un periodo pari o superiore a tre anni e in base a un tasso variabile per il restante periodo, la segnalazione va effettuata imputando l’operazione nella categoria a tasso fisso. I mutui che prevedono contrattualmente che ciascuna rata corrisposta dal cliente sia calcolata in base a un tasso fisso per una certa percentuale di importo e in base ad un tasso variabile per la

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