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cronologico, tratti fondamentali dell’arte di Giacometti che, come noto,

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5. FEDELE MAESTRO DI VITA: IL DISEGNO

Ciò che vorremmo qui di seguito esporre è una sorta di procedimento a ritroso. In particolare, sino a questo momento abbiamo deliberatamente optato per una presentazione di Giacometti che, prendendo le mosse dai suoi capolavori scultorei con le specifiche peculiarità, narrasse ed esponesse, attraverso i frutti derivati dalla carriera artistica lunga una vita, idee e concezioni artistiche originali e, come osservato, archetipiche.

Siffatta scelta, a una prima impressione, potrebbe apparire come una

mancanza di metodo nel delineare confusamente, specie dal punto di vista

cronologico, tratti fondamentali dell’arte di Giacometti che, come noto,

hanno trovato una prima applicazione visiva nel disegno, nel quale il

precoce Giacometti si cimentò presumibilmente a partire dall’età di otto

anni. In verità, tuttavia, l’idea alla base della corrente trattazione consiste

nel mettere in evidenza, in un primo momento, ciò che dell’artista è

maggiormente e più diffusamente noto, ovvero la scultura, per giungere, in

un secondo momento, a trattare della produzione artistica meno conosciuta

ai più, ovvero il disegno e l’intero apparato delle opere grafiche, tra cui

litografie e calcografie. La sottoscritta stessa confessa di aver incontrato per

la prima volta, affascinata dall’aura suggestiva che è insita in ogni opera di

Giacometti e che pertiene a ogni sua creazione, il talento innato e la

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Figura 37 Donna seduta, 1955-1960 ca.

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LI

maestria dell’artista, per l’appunto, in una sua opera scultorea: Donna in piedi custodita alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia. Tutto ciò al fine di mettere in luce maggiormente l’importanza rivestita dalla produzione grafica, in particolare dal disegno che, a ben vedere, si cela in ogni altro genere di produzione, scultorea o pittorica che sia, che ha altresì simboleggiato un indiscusso e costante maestro di vita e di arte e, a dispetto di quanto sia stato reclamizzato, ha rappresentato un punto fondamentale al quale Giacometti si è attenuto nell’arco dell’intera esistenza. Dunque, un procedimento quello da noi scelto che mira a mettere in luce lo strumento per eccellenza che caratterizza l’intero percorso artistico di Giacometti e che pertiene a tutte le opere, da quelle tarde sino a risalire alla produzione giovanile, in larga maggioranza costituita da disegni.

Dopo siffatte premesse, vorremmo approfondire ciò che del disegno è stato sin qui detto, in particolare nel precedente capitolo, e mostrare come tematiche tipicamente diffuse nelle opere scultoree trovino precedenti nelle opere grafiche. Un esempio tra tanti è il disegno Donna seduta – datato ca.

1955-1960 (Fig. 37) ed eseguito a matita su carta che compare all’interno del volume dedicato ai disegni di Alberto Giacometti e introdotto da James Lord

1

– nel quale è osservabile la raffigurazione di una donna la cui fisionomia si perde nei tratti marcati del segno e, dato ben più interessante, la riproduzione degli arti inferiori, similmente alla scultura da noi in precedenza analizzata che arreca lo stesso titolo, sembra confondersi e fondersi con quella delle gambe della sedia. Questo breve riferimento per avvalorare ulteriormente e rendere maggiormente tangibile un dato: il disegno anticipa e sottende tutto nella produzione artistica di Giacometti.

Adesso che abbiamo spiegato quanto sia importante il disegno nel

1 Cfr. J. LORD (a cura di), Alberto Giacometti. Disegni, (testo in it. e ingl.), Electa, Milano 1990, p. 73.

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LII

panorama artistico di Giacometti, andiamo a rintracciarne le motivazioni profonde, ovvero tentiamo di esporre le spiegazioni essenziali che sottendono la predilezione dello strumento disegno. Partiamo da una prima definizione:

Il disegno è la manifestazione più veritiera di un artista. Esso è l’espressione più intima, spontanea e rivelatrice della sua sensibilità, e dà quindi la misura più piena delle sue conquiste. È il modo, l’ampiezza e la profondità con cui l’artista affronta la verità che determina la qualità dei suoi disegni. Questa verità consiste nella visualizzazione dei valori spirituali che gli sono propri.

Fra le forme che hanno interessato l’uomo fin dalle origini della civiltà, la figura umana è al primo posto. Ciò che andiamo a cercare e apprezziamo nell’opera d’arte è la rilevanza sia emozionale che intellettuale che essa assume per l’esperienza dell’uomo. Essa può esprimersi in una grande varietà di modi, in dipendenza dal temperamento, dalla capacità immaginativa, e dal talento del singolo artista, ma non può eludere la realtà. Le più grandi opere d’arte sono quelle che comunicano, attraverso originalità e vigore espressivo, una risposta riconoscibile alla vita e un’idea chiara delle sue esperienze. Sono quelle, in una parola, che diciamo rappresentative2.

Riteniamo interessante tale incipit che introduce al volume di Lord indicato in nota, in quanto contiene importanti chiarimenti in merito alle ragioni che fanno del disegno lo strumento principe dell’attività dell’artista, in particolare, come vedremo, di Giacometti. Come osservabile, ricorre in maniera significativa, più volte, il riferimento al concetto di verità e autenticità. In particolare, si allude alla percezione di realtà che varia da un soggetto all’altro. Il disegno, dunque, più di altri strumenti, sembra mettere a nudo ciò che di più intimo vive nell’animo di ogni artista, mettendone in

2 J. LORD (a cura di), Alberto Giacometti., cit., p. 9.

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Figura 38 Madonna con Bambino - Copia dall’antico

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luce la personale Weltanschauung. L’impossibilità di eludere la realtà, nello specifico, si connota come prerogativa essenziale dell’arte di Giacometti, in quanto l’artista desidera per mezzo del disegno mettere alla prova costantemente la propria abilità conoscitiva. E il concetto di realtà cui fa riferimento Lord nell’allusione all’apprezzamento di un’opera d’arte non è certo di tipo oggettivo, ma allude alla percezione, costantemente rinnovata e rinnovabile da parte dell’artista, degli oggetti, nonché degli esseri umani, che elude ogni sorta di mera imitazione, in quanto ogni singolo oggetto o persona presa in considerazione emana e suscita nell’artista, attraverso il suo sguardo recettivo, stimoli creativi sempre nuovi. In particolare, Giacometti, finanche nelle sue copie che avevano per modello una fonte tratta dal repertorio artistico dell’antichità – cfr., a titolo esemplificativo, il disegno dal titolo Madonna con Bambino - Copia dall’antico (Fig. 38) datato, come visibile in basso a destra, Alberto Giacometti febbraio-marzo 1915 ed eseguito a inchiostro su carta, illustrato nel succitato volume di Lord –, è capace di dispiegare tratti espressivi alquanto originali. Come osserva Lord, l’intento di Giacometti era palesare

la possibilità dell’arte di scoprire nella natura – secondo quanto aveva detto Dürer – l’arte che vi risiede, di rendere noto ciò che non è conosciuto e […]

preservare dall’oblio e dalla distruzione tale conoscenza. Egli era impegnato senza compromessi nell’attualità dell’esperienza visiva. Cézanne usava dire che guardava le cose con tale scrupolosa attenzione che spesso gli sembrava che i suoi occhi dovessero sanguinare. Giacometti si comportò allo stesso modo […]3.

3Ibidem, p. 18.

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LIV

Il paragone menzionato fa riferimento alla capacità di Giacometti, al pari del maestro Cézanne, di attenersi costantemente e fedelmente al concetto di verità il cui fondamento risiedeva nella sincerità della percezione visiva che richiedeva, a livello pratico, la resa plastica. La caratteristica, inoltre, che rende unici i disegni di Giacometti è la noncuranza dal canto suo di reinterpretare qualcosa di già visto, come accadeva diffusamente in altri artisti, e lo pungolava l’opposta volontà di avvalersi dello strumento conoscitivo del disegno per comprendere sempre più ciò che egli stesso era capace di osservare. Tuttavia, ciò che lega in maniera indissolubile la produzione scultorea e pittorica al disegno è l’evoluzione di quest’ultimo, che si dispiega nella mente dell’artista allorché percepisce la difficoltà della riproduzione. Maturò l’idea che «se voleva raggiungere la verità doveva rallentare la sua mano perché si adeguasse alla velocità dell’occhio»

4

. Questa la ragione per cui decide di dedicarsi in particolar modo alla scultura più che alla pittura e nel 1922, allorché giunse a Parigi, si accinse alla difficile ricerca dell’espressione personale per giungere davvero all’autentico vedere. Si realizza in tal modo nell’artista un salto qualitativo, in quanto egli comprende che la verità non può prescindere dalla capacità di renderla visibile. Questo lo scarto che distingue i disegni maturi dai precedenti per la caratteristica fondamentale di assenza di facilità di esecuzione e resa scultorea. Successiva alla parentesi surrealista è di nuovo la forte volontà dell’artista di accordare volume e spazio con lo sviluppo di uno stile personale. L’anno 1946 è fondamentale, in quanto sancisce l’affermazione di Giacometti come artista a tutto tondo, scultore, disegnatore, nonché pittore e nei disegni di quel periodo osserviamo come le tre attività siano correlate ma indipendenti

4 Ibidem.

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LV

l’una dall’altra. Ciò che potremmo aggiungere in merito ai disegni di Giacometti è che tratto costante di essi è la loro natura sommaria. Essi infatti hanno l’apparenza di veri e propri schizzi, in quanto Giacometti se ne serviva a scopo personale per registrare ciò che aveva colpito in primo luogo il suo sguardo. Dunque, arte al servizio della vita come possiamo ben evincere dalle stesse parole di Giacometti: «L’arte mi interessa molto … ma la verità mi interessa infinitamente di più»

5

.

A dispetto del carattere generalmente spettrale dei disegni di Giacometti, il colpo di gomma trasversale, atto a dispiegare la luce, ne rende particolarmente suggestiva la resa e conferisce loro, al contempo, un aspetto ancor più precario.

Infine, ricorriamo ad un’altra immagine, a nostro parere eloquente dal punto di vista della concezione artistica di Giacometti, che illustra ulteriormente la predilezione dell’artista per la verità in rapporto all’interesse per l’arte. Tale immagine proviene, come ricorda Soavi, da una lettera redatta nel 1884 da Van Gogh e offre lo spunto per far rinvenire un determinato modo di affrontare la vita che si riflette in uno analogo di affrontare l’arte e sembra, in verità, descrivere l’esperienza di Giacometti e confarsi a essa:

[…] una tela bianca ha paura di un vero e appassionato pittore, capace di osare; di un pittore che ha saputo vincere il fascino del ’tu sei un buono a nulla’. La vita stessa presenta ogni giorno all’uomo un lato bianco infinitamente banale, scoraggiante, sul quale ci si può disperare: un aspetto verginale quanto la tela bianca sul cavalletto6.

5Ibidem, p. 11.

6 G. SOAVI (a cura di), Disegni di Giacometti, May, Roma 1980, p. 10.

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LVI

5.1. La percezione di realtà

A conferma delle affermazioni di Giacometti in merito al maggiore interesse che in lui suscitava la realtà a confronto con l’arte concorre il pensiero dello scrittore francese Yves Bonnefoy il quale afferma che esistono alcuni artisti che riescono a essere compresi soltanto nella misura in cui ci si accorge che nella loro produzione artistica

fan posto a bisogni, dello spirito o della semplice esistenza, che questa stessa epoca ha dimenticato o reprime. […] i bisogni dimenticati sono […] bisogni che la società vorrebbe ritrovare, senza sapere […] come farlo. E degli artisti, le cui aspirazioni sembrano inattuali, possono così rispondere al più profondo auspicio del presente e mostrarsi in questo i più arditi tra i moderni […]7.

Questo il caso di Giacometti, la cui precoce vocazione artistica emerse in un momento storico, nel primo periodo prebellico, nel quale gli artisti si facevano artefici di un’arte rinnovata, in una parola moderna. Ciò che distanziava quest’ultima dal precedente modo di fare arte a partire dal XV secolo era una ragione di tipo spirituale. Ovvero, gli elementi significanti delle creazioni artistiche predisponevano di una loro autonomia e non erano vincolati alla mera imitazione degli oggetti osservati o a un progetto premeditato da parte dell’artista. Siffatta situazione, ben delineata a livello artistico, è denominata «poetica del segno» che, come evincibile dall’espressione, sembra alludere a una certa autonomia del segno. Essa venne fatta propria, tra i tanti, da Matisse che intrattenne un intenso rapporto con Giacometti, come dimostrato dal carteggio che intercorreva tra

7 Y. BONNEFOY, Alberto Giacometti, a cura di S. Esengrini, Abscondita, Milano 2004, p. 11.

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i due di cui si fa chiaro testimone la nota lettera a Matisse scritta dall’artista svizzero. Inoltre, i primi disegni di Giacometti sono espressione della succitata poetica, anche se, come già ricordato, essi sono ancora scevri dello spirito critico elaborato nei confronti della percezione della verità che anima le opere mature. Essi infatti sono ancora espressione di una visione spensierata, nella quale emergono le influenze e l’ambiente vissuto, ma è ancora lontana la messa in discussione della facilità della resa, nonché l’elaborazione della difficoltà di esprimere in modo appropriato la propria percezione di realtà. A rendere Giacometti un grande artista e distinguerne la resa artistica fu proprio tale elaborazione di realtà che esulava di gran lunga da un modo di vedere che, per maggior chiarezza, possiamo definire descrittivo in opposizione a uno interpretativo. Importante da rilevare risulta l’influenza del padre, seppur nell’evidente diversità artistica, il quale

«insegnava che è la conoscenza della realtà esistente al di fuori dell’opera a permettere la vera invenzione sul piano dei segni»

8

. L’elaborazione di questa nuova coscienza da parte di Giacometti prese avvio a partire dal 1922, come detto, l’anno in cui si trasferì a Parigi e venne in contatto con le più rilevanti avanguardie storiche. I disegni elaborati all’Académie de la Grande-Chaumière per gli studi di nudo sul modello si connotavano per il tratto marcatamente libero ed è possibile leggervi una decomposizione di piani che riecheggiava lo stile delle opere cubiste. A rendere ancor più evidente quanto peculiare sia la personalità di questo meraviglioso artista, che vediamo rispecchiata nelle sue opere, è l’esperienza di vita stessa di Giacometti dalla quale egli trae spunto per qualunque creazione, in quanto la vita si antepone all’arte, ma è l’arte stessa che diviene strumento maestro

8 Ibidem, p. 15.

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LVIII

per dispiegare la vita. Per esempio, come ricorda Bonnefoy

9

, nell’osservare un volto all’interno della metropolitana non si atteneva a principi estetici di bellezza o bruttezza, ma scorgeva nella persona scrutata in maniera quasi maniacale una distanza insormontabile che l’espressione «come un Sahara»

ben evidenzia. In questa visione Giacometti avvertiva un senso epifanico a cui però, in maniera conflittuale, desiderava dar espressione. Quello appena descritto come altri episodi, tra cui primeggia l’accanimento nella resa di un cranio il cui esito venne a configurarsi, per ammissione dello stesso Giacometti, come fallimentare, permettono di definire la personalità dell’artista in questione come fortemente disturbata da interrogativi ossessivi che egli stesso tenta parzialmente di placare ricorrendo a icone reiterate in gran parte delle sue opere, ai cosiddetti archetipi ossessivi. In maniera convincente Bonnefoy osserva come Giacometti fosse attratto da

«un al-di-là di quest’apparenza», cogliesse in essa un evento, un enigma, non semplici forme, bensì «una presenza – o, se si preferisce, un’assenza – che gli poneva delle domande sulla sua stessa presenza in questo mondo»

10

. E allorché la realtà iniziò a esser percepita come impura, egli volle avvicinarsi a essa attraverso il procedimento a memoria che, allora, nella mente dell’artista si configurava come l’unica possibilità di rappresentazione che lo allontanasse dallo smacco. Il risultato visibile di tale procedimento è la serie delle figure piatte intitolate Tête qui regarde – composte da una verticale allusiva dell’esser ritti, della presenza e da una orizzontale significante lo sguardo, la parte più profonda della presenza – che rende testimonianza della noncuranza da parte di Giacometti di attenersi ai principi della percezione sensibile degli oggetti dell’arte figurativa per eccellenza, ovvero l’arte rinascimentale e classica della

9 Cfr. ibidem, p. 16.

10 Y. BONNEFOY, Alberto Giacometti, cit., p. 18.

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mímesis, mettendo in primo piano la percezione di una presenza che, a un occhio poco attento, rischia di apparire come pura astrazione.

Paradossalmente, a nostro parere, l’elaborazione di siffatta concezione artistica da parte di Giacometti mette in luce un’attenzione del tutto particolare alla realtà, o meglio, alla sua essenza. L’oggetto percepito da Giacometti, come nei suoi numerosi disegni di nature morte, innescava un meccanismo di coinvolgimento dell’artista nell’opera tanto che, a ragione, Bonnefoy afferma che veniva evocato « … sul foglio il luogo in cui …»

comparivano «l’osservato e l’osservatore»

11

. Arte, dunque, come espressione del rapporto tra artefice e artefatto. Tuttavia, in maniera assai complicata, Giacometti non intende con queste opere astrarsi dal mondo, intende sempre attenersi a ciò che si connota come esistenziale, non desidera esprimersi ricorrendo, alla maniera dei cubisti, a qualità formali che finiscono, al pari dei precetti dell’arte rinascimentale, per delinearsi come valori ineludibili, nonché impositivi. Giacometti conferisce nuovamente, in tal modo, vigore alla soggettività romantica.

5.2. Il primo disegno: sguardo e spunti interpretativi della donna

Giunti a questo punto, avvertiamo il desiderio di soffermarci sul primo disegno

12

derivato dalla mano di Giacometti che venne eseguito quando l’artista non aveva ancora dieci anni e che, per più di una ragione, si rivela assai significativo. A questo scopo ci avvarremo di un interessante

11 Ibidem, p. 20.

12 Si veda M. LEIRIS – J. DUPIN, Intervista con Pierre Schneider: Il mio lungo cammino, in A. Giacometti, Scritti, a cura di M. Leiris - J. Dupin, tr. it. di E. Grazioli - C.

Negri, Abscondita, Milano 2001.

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LX

contributo di Jean Clair

13

. Prima di procedere occorre, comunque, una piccola precisazione di ordine temporale. Stando alla biografia di James Lord, non sembra si possa stabilire con precisione quando Alberto abbia principiato a disegnare. Lord riporta le parole dello stesso artista a distanza di alcuni anni: «Incominciai a disegnare nello studio di mio padre tanto tempo fa, fin dove arriva la mia memoria»

14

. L’autore, per spiegare l’espressione generica di Giacometti «tanto tempo fa», aggiunge che il periodo in cui trascorreva il tempo libero nella cavità della roccia o allorché necessitava di fantasticare di delitti e di stupri per addormentarsi Giacometti non aveva ancora iniziato a disegnare ma lo avrebbe fatto probabilmente di lì a poco. Chiusa la parentesi, procediamo. Si tratta di un’illustrazione per la fiaba di Biancaneve, in particolare della scena della morte della fanciulla la quale giaceva «in una piccola bara con i sette Nani», come Clair riferisce ricordi lo stesso artista. Tale disegno risulta significativo, in quanto mette in evidenza che

[…] l’incipit della sua opera si colloca all’insegna […] della dicotomia sguardo/occhio, di questo chiasmo costitutivo di un intero percorso artistico, così come guardare la meravigliosa effigie della Principessa infusa dei colori della vita, come si evince nella favola raccontata dai fratelli Grimm, ‹bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l’ebano›15 significa non vederla e vederla al contempo, significa soffrire per non poter posare su di lei lo sguardo. […] in età adulta fu proprio questa stessa immagine perennemente

13 Si veda J. CLAIR, Il residuo e la somiglianza. Un ricordo d’infanzia di Alberto Giacometti, in C. Di Crescenzo (a cura di), Alberto Giacometti. Sculture, dipinti, disegni, Artificio, Firenze 1995, pp. 38–47.

14 J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p.26.

15 Le parole «Weiss als Schnee, so rot als Blut und so schwarzhaarig wie Ebenholz»

risultano tratte dalla fiaba popolare Schneewittchen und die Sieben Zwerge (Biancaneve e i sette nani) dei fratelli Grimm, Jacob e Wilhelm, scritta intorno al 1814 e pubblicata all’interno della raccolta Kinder- und Hausmärchen (Fiabe dei bambini e del focolare).

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LXI

inaccessibile, questa visione di un reale sempre negato, […] che Giacometti, fino alla morte, si sforzò di rievocare, tentando perlomeno di cogliere ciò egli stesso ha definito […] ‹il residuo›16.

Gli elementi che contribuiscono a rendere importante tale illustrazione si possono ritrovare nel pensiero di Clair appena ricordato. Da quelle affermazioni, infatti, si evincono tematiche importanti, in primis la rilevanza dello sguardo che, nell’intero percorso artistico di Giacometti, ha rappresentato una vera e propria costante. Inoltre, attraverso il riferimento alle sembianze evanescenti di Biancaneve, prende corpo il concetto dell’oggetto colto in quanto presenza, che rappresenta un aspetto significativo alla base della poetica artistica elaborata da Giacometti. Infine, sembra esser nascosta in nuce, per quanto non si possa affermare l’intenzionalità consapevole da parte dell’artista, l’allusione al rapporto conflittuale elaborato nei confronti del sesso femminile, che è il tema centrale che ci interessa sviluppare e che anch’essa costituisce, per quanto in maniera maggiormente evidente e forzata nelle opere di stampo surrealista di Giacometti, una costante che possiamo rintracciare nell’intera oeuvre dell’artista svizzero. Occorre, tuttavia, ricordare che l’inaccessibilità dell’immagine e la visione di «un reale sempre negato» si riferiscono generalmente alla difficoltà di percezione del reale inteso nel senso più esteso del termine da parte di Giacometti. L’espressione « … soffrire per non poter posare su di lei lo sguardo» sembra, a nostro parere, alludere alla dicotomia attrazione-repulsione che rappresentò una costante del sentimento percepito da Giacometti nel relazionarsi con una donna. Ancora possiamo osservare come tematiche vivamente importanti e, per tanto,

16 A. GIACOMETTI, Scritti, a cura di M. Leiris - J. Dupin, tr. it. di E. Grazioli - C. Negri, Abscondita, Milano 2001., p. 273.

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LXII

frequenti nel percorso di Giacometti emergano proprio nella forma del disegno. Riallacciandosi alla descrizione di Biancaneve nella favola dei fratelli Grimm caratterizzata a livello coloristico dal bianco della neve, il rosso del sangue e il nero dell’ebano, Clair

17

mette in luce come in alcune poesie calligrafiche dell’artista, elaborate a partire dal 1933, siano presenti espressioni quale, per esempio, la «goccia di sangue» nel Poème en 7 espaces – dove vi sono altresì richiami al meraviglioso come si evince dall’espressione «due artigli d’oro». L’allusione all’immagine del sangue ricorre in Charbon d’herbe, «la goccia di sangue sulla pelle di latte», e riecheggia il titolo della versione italiana di Biancaneve, La ragazza di latte e sangue, che, come osserva Clair

18

, Giacometti conosceva. Sia che si tratti di neve, più familiare sicuramente a Giacometti – ricordiamo in tal modo il forte legame dell’artista con l’ambiente montano che rivive in numerosi disegni dell’artista – di quanto non sarebbe stato generalmente a un pubblico italiano, sia che si tratti di latte, viene echeggiata, attraverso l’immagine di gocce rosse su un piano bianco, la stessa contrapposizione che si palesa nel passaggio dal bianco dell’innocenza infantile al rosso del desiderio sessuale adulto. Candore e, al contempo, violenza sul corpo femminile. La trattazione e l’interpretazione delle tre gocce di sangue da parte di Clair seguono un percorso interessante che ripercorre la simbologia del sangue sia nella tradizione dell’Antico Testamento, sia nel pensiero cristiano, tuttavia, ai fini del nostro lavoro non risultano determinanti. Ciò che, infatti, ci riproponevano di illustrare attraverso tale esempio è come l’oscillazione tra positivo e negativo abbia sempre rappresentato una costante del percorso artistico di Giacometti, dalla giovinezza all’età matura.

17 Cfr. J. CLAIR, Il residuo e la somiglianza., cit., passim.

18 Ibidem, p. 38.

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LXIII

5.3. Alcuni disegni di donna

Come abbiamo fatto per le opere scultoree di Giacometti, desideriamo, allo stesso modo, mettere in luce come l’immagine conflittuale della donna trovi una precedente e simile raffigurazione nei disegni dell’artista. Giorgio Soavi

19

, nel trattare dei disegni di Giacometti alludendo, per altro, anche alla tecnica compositiva e all’utilizzo di particolari strumenti da parte dell’artista, per esempio matite a mina dura, mette in evidenza come il soggetto prediletto dei disegni di Giacometti sia la figura umana, la cui principale impressione evoca agli occhi dell’osservatore una forte sensazione di lontananza a dispetto della vicinanza del foglio sul quale è raffigurata. In particolare, i disegni concernevano «la ricerca o il sogno di una testa»

20

ed era proprio nella raffigurazione di un volto che erano percepibili i segni di una sorta di maltrattamento. Infatti, in maniera assai interessante a tal proposito e in linea con l’obiettivo di mettere in luce la costante presenza di opposizioni all’interno di uno stesso soggetto, Soavi afferma come nei ritratti la moglie Annette sia «resa» dall’artista «in stato di grazia» ma, al contempo, «consunta fin dalle prime apparizioni»

21

.

Significativo del rapporto conflittuale alla base della personalità di Giacometti è il cambiamento avvenuto, come ricorda Soavi, verso la fine del 1963. Si convinse che tele e carta da disegno fossero troppo bianche e lucide, ragion per cui mise da parte numerosi ritratti eseguiti sino a quel momento lasciandoli incompleti. Lo scrittore osserva come in tutti i ritratti dell’artista si leggesse «una inesauribile predisposizione all’agonia»

22

che

19 Si veda G. SOAVI (a cura di), Disegni, cit.

20G. SOAVI (a cura di), Disegni, cit., p. 10.

21 Ibidem, p. 11.

22 Ibidem, p. 10.

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LXIV

era il riflesso di un modo di procedere disciplinato e ossessivo al contempo.

Dunque, persino la preparazione al ritratto portava i segni di una personalità fortemente ossessionata dalla giusta distanza: nell’atelier della casa paterna a Stampa nei Grigioni sono ancora visibili, nonché, come ricorda James Lord

23

, nell’atelier di Rue Hippolyte-Maindron, i segni per la sedia del modello, quelli per il cavalletto, nonché quelli per lo sgabello dell’artista.

Tornando ai disegni, per darne un’immagine maggiormente concreta, eloquente risulta l’osservazione di Soavi, il quale afferma che, pur utilizzando la matita a mina dura, l’effetto era come se il foglio fosse impolverato, «Tutto era magro, osseo, anzi filiforme. E il risultato sorprendente e poetico»

24

.

Come ricorda Soavi

25

, Giacometti era il primo a entusiasmarsi di fronte a oggetti comunemente realizzati ma, allorché si accingeva a renderli lui stesso in forme artistiche, in creta o con pennelli, suo malgrado tracciava la sua scrittura riduttiva. Soavi trova che l’età decisiva per divenire se stesso sia avvenuta a Giacometti nel 1946 quando disegnava i suoi oggetti di culto, ovvero gli amici, la famiglia, nonché gli oggetti della sua stanza e nel rifacimento perenne degli stessi oggetti lo scrittore vede la costruzione del

«film della formazione di un disegno»

26

. I segni fitti a forma di ragnatela sembrano palesare la volontà di Giacometti di non aggirare l’ostacolo della resa ma porlo, al contrario, davanti agli occhi.

Quello di Biancaneve non rappresentò un caso isolato nella produzione artistica di Giacometti. Pare infatti, come afferma James Lord

27

, che i suoi disegni di bambino fossero perlopiù illustrazioni dei libri che egli leggeva

23 Si veda J. LORD, Un ritratto di Giacometti, cit.

24 G. SOAVI (a cura di), Disegni, cit., p. 11.

25 Cfr. ibidem, passim.

26 G. SOAVI (a cura di), Disegni, cit., p. 14.

27 Cfr. J. LORD, Giacometti. Una biografia,cit., p. 27.

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LXV

nello studio del padre: ricorrenti erano le scene di delitti e torture. Vi si celava una vera e propria ossessione per la crudeltà e la violenza; Lord allude persino alla presenza nel giovane Giacometti di impulsi sadici.

Naturalmente Giacometti, avendo modo di accedere ai fascicoli e ai volumi di riproduzioni posseduti dal padre, eseguì numerose copie di opere d’arte. Quello era il periodo in cui la riproduzione non creava alcuna difficoltà di resa, tutto era all’insegna della facilità e, fin dalle prime esecuzioni, Giacometti si rivelò assai abile. All’età di dodici anni, secondo Lord

28

, si cimentò in un disegno di una delle riproduzioni delle opere di Albrecht Dürer che lo affascinò moltissimo. Esso, oltre a essere il primo disegno al quale Giacometti dedicò impegno e concentrazione, si rivela significativo nel corso della nostra trattazione. Si trattava della nota incisione Il cavaliere, la Morte e il Diavolo. A ben vedere, non si tratta di un disegno al femminile, ma si rivela importante in quanto mette in luce importanti concezioni relative al rapporto uomo-donna. Sebbene non vi sia in Giacometti alcuna invenzione, in quanto egli si accinse a riprodurre un’opera dell’artista tedesco vissuto ben quattrocento anni prima, possiamo osservare come Alberto fosse attratto da un tipo di rappresentazione, come quella in questione, nella quale vi era raffigurato l’ideale del valore virile e della fiducia in sé, personificato nella figura maschile del cavaliere armato a cavallo.

Un altro disegno, questa volta al femminile, rappresenta un’anticipazione di quella che sarà la caratteristica primaria attribuita alle sculture femminili, ovvero la fissità. In particolare, il disegno in questione risale al periodo in cui Giacometti si trovava a Ginevra, allorché vi si era trasferito, suo malgrado, per iscriversi all’École des Beaux-Arts.

28 Ibidem, p. 28.

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LXVI

L’insegnamento convenzionale ricevuto in quella scuola indusse l’artista a frequentare la Scuola d’Arte Applicata nella quale vi era un’attenzione maggiore all’attuazione pratica. Il disegno succitato, eseguito un giorno durante l’ora di nudo nella quale posava una modella prosperosa dal nome Lulù, colpisce per un aspetto in particolare: gli enormi piedi della ragazza.

Siffatto dettaglio, oltre a descrivere la caparbietà del giovane artista che si rifiutava di disegnare la figura per intero, secondo la consuetudine della scuola, preferendo disegnare soltanto ciò che lo interessava, in questo caso i piedi della ragazza, sembra alludere nella riproduzione di enormi piedi all’idea di immobilità che caratterizza la successiva serie di Donna in piedi e preannunciare una visione di fissità al femminile che i piedi smisuratamente grandi di queste figure ben saldati al terreno avvalorano.

Fino a quel momento pare che la resa di oggetti o persone, riferendoci unicamente ai disegni, non fosse stata intaccata ancora da niente. Le cose, al contrario, cambiarono, per quanto attiene all’applicazione scultorea, all’allorché Giacometti il 21 dicembre 1920 si trasferì da Firenze a Roma, dove vivevano alcuni suoi cugini. In particolare, l’incontro con la cugina Bianca, allora quindicenne, vivace e graziosa, suscitò in Giacometti un sentimento di estremo piacere tanto che se ne innamorò. Tuttavia, ella non lo ricambiava e ciò rappresentò «… il primo amore dichiarato e infelice della sua vita di adulto»

29

. L’amore non corrisposto ingenerò conflittualità tra i due e il costante malumore ebbe dei risvolti negativi nella resa scultorea, particolarmente difficoltosa, del busto di Bianca. Tratteremo più nel dettaglio tutto ciò nel capitolo successivo.

Un altro episodio che vede ancora protagonista Bianca è legato al viaggio in treno fino a Maloja che la giovane e Giacometti intrapresero

29 J. LORD, Giacometti. Una biografia,cit., p. 49.

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LXVII

insieme. Pernottarono in quella città e dopo cena Giacometti bussò alla porta di Bianca che si era ritirata nella sua stanza d’albergo. Ella era restia ad aprire, in seguito a continue insistenze di Giacometti ella gli domandò cosa volesse ed egli rispose che desiderava disegnare i suoi piedi.

Osserviamo come ricorre l’ossessione dei piedi con tutte le sue allusioni

poc’anzi citate. Suo malgrado, la giovane lo fece entrare e Giacometti si

accinse a disegnare, munito di carta e matita, i piedi di Bianca e ne rimase

soddisfatto. L’appagamento è da collegarsi alla buona riuscita nella resa di

quel particolare, che contrastava fortemente con la resa fallimentare del

busto della giovane. Può probabilmente alludere a una sorta di rivincita nei

riguardi di Bianca la quale lo sottometteva e lo umiliava, in quanto,

disegnando quel particolare della sua persona, riusciva, seppur

minimamente e per breve tempo, a dominarla.

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