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Nell’uomo le paratiroidi superiori originano a livello della quarta tasca branchiale mentre le inferiori nascono a livello della terza.[1]

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INTRODUZIONE

Anatomia ed embriologia delle paratiroidi

Nell’uomo le paratiroidi superiori originano a livello della quarta tasca branchiale mentre le inferiori nascono a livello della terza.[1]

Durante lo stadio branchiale, le ghiandole paratiroidee risultano strettamente connesse con gli altri derivati delle rispettive tasche; le ghiandole superiori sono perciò in rapporto con il complesso laterale della tiroide, mentre le inferiori con il timo. Durante la migrazione del timo in sede toracica le paratiroidi inferiori lo seguono, separandosi solo quando hanno raggiunto il polo inferiore della tiroide. A causa della variabilità degli esiti di questa migrazione, le ghiandole possono avere talvolta localizzazione ectopica:

lo spazio tracheo-esofageo o la biforcazione carotidea per

le superiori, il timo o lo spazio mediastinico per le

inferiori [1,2].

(2)

Le paratiroidi sono normalmente presenti nel numero di quattro (85% dei casi) ma esiste un certo grado di variabilità; nel 13% dei casi si riscontrano ghiandole soprannumerarie mentre nel 3% si repertano 3 o meno ghiandole [1,2]. Si ritiene che le ghiandole soprannumerarie derivino da una separazione dei residui paratiroidei durante la migrazione delle ghiandole [1,2].

Le paratiroidi sono vascolarizzate dall’arteria tiroidea inferiore o da una ramo anastomotico tra arteria tiroidea superiore ed inferiore mentre il drenaggio venoso è assicurato dalle vene tiroidee [1,2].

Le paratiroidi superiori sono più frequentemente indovate in tessuto adiposo e localizzate sulla superficie del lobo tiroideo, superiormente e posteriormente al punto d’ingresso del nervo laringeo inferiore in laringe; le paratiroidi inferiori sono più frequentemente localizzate al polo inferiore della tiroide, in prossimità del legamento tireo-timico ed in posizione inferiore ed anteriore rispetto al decorso del nervo laringeo inferiore [1,2].

Le ghiandole normali tendono ad essere piatte ed ovoidali

(globose in corso di patologia), di colore giallo-marrone

(tipo camoscio) negli adulti e grigio semitrasparenti nei

(3)

neonati; con misure, fisiologicamente, di circa 3 x 4 x 3 mm [1,2].

Istologicamente le paratiroidi sono costituite da un parenchima contente cellule principali (le principali secretici di PTH), cellule ossifile e cellule poligonali ed uno stroma contenente adipociti. Il significato funzionale delle cellule ossifile e poligonali rimane poco chiaro.

L’ormone paratiroideo

L’ormone paratiroideo è un peptide lineare contenente 84 residui amminoacidici (peso molecolare 9500 Da). Deriva da un precursore, il preproparatormone (115 aminoacidi), rapidamente trasformato in proparatormone (94 aminoacidi) ed infine in paratormone (PTH).

L’estremità aminoterminale (N-terminale) della molecola è quella biologicamente attiva (PM 2.500) [3].

Il PTH regola il metabolismo del calcio e del fosforo all’interno dell’organismo.

A livello osseo il PTH agisce, in una prima fase con un

processo di trasporto attivo ed in una seconda fase

(4)

stimolando gli osteoclasti ed inibendo gli osteoblasti, aumentando pertanto il rimodellamento della struttura ossea stessa.

A livello renale il PTH esercita un’azione rapida con aumento della escrezione di fosfati, potassio, acido carbonico (effetto fosfaturico) e diminuzione della escrezione di ioni idrogeno, ioni ammonio, calcio e magnesio (effetto ipocalciurico).

A livello intestinale il PTH promuove l’assorbimento del calcio presente nella dieta accelerando la conversione del

1,25-diidrossicolecalciferolo, il metabolita fisiologicamente attivo della vitamina D.

Quando il livello di calcio ionizzato si abbassa, le paratiroidi aumentano la secrezione del PTH, incrementando il riassorbimento osseo e renale di calcio e l’eliminazione renale del fosforo organico. In questo modo una maggior quantità di calcio entra in circolo ed i livelli di calcio ionizzato si riaccostano alla normalità.

Raggiunto l’equilibrio i livelli ematici di calcio ionizzato

inibiscono le paratiroidi che riducono la produzione e

rilascio del PTH. [3]

(5)

Iperparatiroidismo primitivo

L’iperparatiroidismo primitivo (IPP) è una patologia caratterizzata da una inappropriata secrezione di paratormone (PTH) rispetto ai livelli ematici di calcio, con perdita del feed-back fisiologico [3,4][Figura 1].

Tale condizione ha una prevalenza del 2% e un’incidenza annuale del 0.2% nella popolazione sopra i 55 anni ed è 2 volte più frequente nel sesso femminile rispetto a quello maschile [3,4]

Nel 85% dei casi tale condizione è riferibile ad un adenoma di una singola ghiandola paratiroide, nel 2% ad una iperplasia di tutte le ghiandole paratiroidi, nel 3% ad iperplasia di 3 ghiandole, nel 10% ad iperplasia di due ghiandole o doppio adenoma, nel 1% dei casi ad un carcinoma di una ghiandola paratiroide [3,4,5].

L’iperparatiroidismo primitivo è sporadico (non ereditario)

in oltre il 95% dei casi; la maggior parte dei casi di

iperparatiroidismo primitivo ereditario si associa a

sindrome MEN 1 (caratterizzato da iperparatiroidismo,

neoplasia del pancreas endocrino e neoplasia ipofisaria),

in misura minore alla sindrome MEN 2A (carcinoma

(6)

midollare della tiroide, feocromocitoma) e MEN 2B (carcinoma midollare della tiroide, feocromocitoma, neurinomi mucosi ed habitus marfanoide), mentre la sindrome FIHP (iperparatiroidismo familiare isolato) si ritrova nell’1% di dei pazienti con iperparatiroidismo primitivo [5]. La maggioranza dei pazienti affetti da iperparatiroidismo primitivo presenta livelli ematici di calcio superiori alla norma (valori normali 8-10.5 mg/dl) associata a ridotta fosforemia, un’aumentata escrezione urinaria di calcio fosforo ed un’incrementata decalcificazione ossea. Tuttavia esiste anche una forma di Iperparatiroidismo Primitivo con normocalcemia, caratterizzata da andamento silente e progressivo [4,6].

Storia naturale

Il paziente con Iperaparatiroiddismo Primitivo (IPP) può

presentare uno spettro di sintomatologie che non sempre

risultano patognomoniche, partendo da condizioni

completamente asintomatiche fino quadri potenzialmente

letali.

(7)

Tra i sintomi classici dell’IPP ricordiamo: nefrolitiasi e nefrocalcinosi, osteite fibroso-cistica, sintomi addominali (dalla dolenzia addominale fino a ulcera gastrica e pancreatite), ipertensione moderata, debolezza e atrofia muscolare, dolori ossei diffusi, stati depressivi/irritativi.

Inoltre è presente una accelerazione del turn over osseo proporzionale ai livelli di PTH, fino a quadri di osteoporosi conclamata [3,4].

In fasi avanzate (ormai molto rare nei paesi con sistemi sanitari progrediti) i pazienti affetti da IPP possono presentare: osteoporosi con fratture spontanee (i livelli di PTH correlano con il grado di riduzione di massa ossea), ipertensione grave, nefrocalcinosi, ottundimento, depressione grave, fino a quadri di estrema gravità quali calcifilassi, insufficienza renale cronica e/o coma ipercalcemico [3,4].

Una quota significativa (80%) di pazienti tuttavia può

presentarsi asintomatico oppure con una sintomatologia

molto sfumata, le cosiddette “forme mild”: senso di

debolezza generalizzato, dolori diffusi alla muscolatura,

stipsi, nausea, anoressia, poliuria, modeste alterazioni

all’ECG (riduzione intervallo QT), lieve osteoporosi,

(8)

depressione e confusione mentale lievi ed in generale una riduzione della qualità media della vita [4,7].

In questi casi i livelli ematici di calcio risultano di poco superiori alla norma (sempre però con un feedback alterato) [4]. Tuttavia, in questi pazienti esiste un rischio, calcolato tra il 23% e il 62%, di sviluppare silentemente osteoporosi, nefrocalcinosi o nefrolitiasi con perdita della funzione renale nel corso dei successivi 10 anni [3,4,6,7].

Tali pazienti presentano quindi la necessità di un monitoraggio stretto per tutto il resto della vita.

Esistono inoltre per questi pazienti rischi di comorbidità cardiovascolare con incremento del rischio di morte improvvisa cardiovascolare direttamente proporzionale ai livelli ematici di calcio [4,7].

Terapia

Attualmente non vi sono evidenze che supportino la reale

efficacia di un trattamento medico dell’IPP. Recentemente

è stata introdotta una nuova molecola sperimentale della

(9)

classe dei calcio-mimetici, cinacalcet, che è risultata in grado di ridurre i livelli sierici di paratormone e di calcio ionizzato [9]. Tuttavia i costi sanitari di un monitoraggio e di un trattamento medico a lungo termine si sono dimostrati superiori a quelli di un trattamento chirurgico [9,11] che rimane ad oggi l’unico trattamento di scelta definitivo con un tasso di successo tra il 95% ed il 98%

nelle casistiche di chirurghi esperti [11-15,].

Le linee guida internazionali hanno stabilito la necessità di intervento chirurgico per IPP in tutti i pazienti sintomatici [2]; nei casi asintomatici l’intervento di norma viene raccomandato se l’età alla diagnosi è inferiore a 50 anni [2]. Per i pazienti con età superiore ai 50 anni l’intervento chirurgico viene proposto se sono presenti :

• calcemia superiore di 1-1.6 mg/dl il limite superiore di normalità (10.5 mg/dl)

• anamnesi positiva per crisi ipercalcemiche

• riduzione sine causa della clearance della creatinina del 30% dei valori normali per età, presenza di calcoli renali asintomatici

• calciuria superiore ai 400 mg/die

(10)

• riduzione della massa ossea superiore a 2 DS rispetto al valore medio normale per età e per sesso, valutata con MOC.

Tuttavia la scelta di un trattamento conservativo impone ai pazienti un monitoraggio a lungo termine costoso e impegnativo; inoltre li espone ad un rischio relativo maggiore di sviluppare osteoporosi, nefrolitiasi, complicanze cardiovascolari (ipertrofia ventricolare sinistra), disordini neurologici, ed una generale minor qualità della vita [2,11]. Per questo motivo, considerando gli standard di sicurezza ed efficacia raggiunti dalle moderne tecniche di paratiroidectomia, la terapia con intervento chirurgico dovrebbe essere raccomandata in tutti i pazienti con PHPT con basso rischio operatorio e anestesiologico e una lunga spettanza di vita [10,11].

L’approccio chirurgico convenzionale, eseguito per la prima volta dal chirurgo viennese Felix Mandl nel 1925, prevede l’esplorazione del collo alla ricerca delle ghiandole paratiroidee malate e la loro successiva asportazione [12].

Le evoluzioni delle tecniche di imaging quali

Ecotomografia, Tomografia Assiale Computerizzata,

(11)

Scintigrafia con traccianti specifici per le paratiroidi (

99m

Tc-Sestamibi) (Figure 2 e 3) hanno permesso di localizzare in fase pre-operatoria le paratiroidi patologiche, favorendo lo sviluppo di tecniche chirurgiche sempre più modellate verso una minor invasività [13-16]

(Figure 4-8). Un’ulteriore passo in avanti in senso mini- invasivo è stato compiuto con l’avvento della misurazione intraoperatoria del Paratormone (qPTH assay) introdotta da Nussbaum nel 1988 [17] e perfezionato, escludendo l’utilizzo di materiali radioattivi, da Irvin nel 1994 [18].

La moderna tecnica di monitoraggio del PTH (qPTHa)

consiste nel dosaggio del peptide mediante illuminometria

in differenti momenti della procedura operatoria: il primo

prelievo si effettua prima di iniziare la procedura (PTH

basale), un secondo alla visualizzazione della ghiandola

aumentata di volume, un terzo durante la manipolazione

di dissezione, un quarto ed un quinto rispettivamente

dopo 5 minuti e dopo 10 minuti il termine della

dissezione. La caduta dei livelli di paratormone sotto il

50% del valore più alto ed all’interno del range di

normalità (10-65 ng/l) dimostra una rimozione radicale

del tessuto paratiroideo iperfunzionante con una

sensibilità del 98% - 99% [14,19,20] (Figura 9). Il

(12)

dosaggio intra-operatorio del PTH mostra tuttavia alcuni limiti, in caso di iperparatiroidismo secondario [21] o nel caso di malattia multighiandolare [22,23,24]. Per tale motivo, infatti, alcuni autori raccomandano di monitorare la caduta del PTH per 15 minuti, al fine di individuare risalite precoci del PTH indicatrici di una chirurgia non radicale [25]. L’uso del qPTH assay associato alla chirurgia focalizzata per PHPT ha però dimostrato la sua utilità in termini di efficacia chirurgica e complicanze post-operatorie [14-16,20,26,27]. Rispetto alla esplorazione cervicale bilaterale, infatti, le rimanenti ghiandole non vengono manipolate ed i rischi di danneggiamento sono estremamente ridotti [14,20,26,27].

Chirurgia Endoscopica e Video-assistita delle Paratiroidi

La chirurgia mini-invasiva con approccio endoscopico si è

sviluppata a partire dal 1996. Michel Gagner, per primo

ha introdotto la paratiroidectomia endoscopica,

rappresentata da un accesso chirurgico a partire dalla

creazione di uno spazio operativo in sede cervicale con

(13)

insufflazione continua di gas CO

2

e nella dissezione mediante strumenti endoscopici introdotti attraverso trocars [28]; tale procedura, assai vicino alla tradizionale tecnica laparoscopica, presenta, tuttavia, svantaggi legati all’insufflazione di gas (enfisema sottocutaneo, ipercarbossiemia) [29], richiede notevole abilità tecnica ed infine, basandosi su approccio laterale, consente di intervenire soltanto sulle ghiandole omolaterali al sito di accesso (Figura 6).

Nell’evoluzione delle tecniche video-assistite minimamente invasive, i diversi autori hanno favorito, taluni, l’approccio mediano (Miccoli, Bellantone) [16,30,31] (Figura 8), altri l’approccio laterale (Henry) [32]

(Figura 7)

Tecnica MIVAP

Introdotta nel 1997 da Miccoli, la Minimally Invasive

Video-Assisted Parathyroidectomy (MIVAP) è

caratterizzata da un approccio mediano senza l’utilizzo

dell’insufflazione di gas.

(14)

La tecnica MIVAP, tuttavia non può essere utilizzata in tutti i pazienti con PHPT. I criteri di esclusione assoluti per questa tecnica sono rappresentati: la concomitante presenza di un gozzo tiroideo di grosse dimensioni, il sospetto di neoplasia maligna paratiroidea; i criteri di esclusione relativi sono: chirurgia cervicale pregressa, localizzazione preoperatoria non conclusiva (Tab.1).

I ferri chirurgici necessari per questa tecnica sono costituiti da un set derivato dalla chirurgia otorino e plastica, che consiste in (figura 10):

• Bisturi monouso e due pinze chirurgiche;

• Spatola aspiratore di Miccoli;

• Clip-applier e clip vascolari in titanio da 3 e 5 mm

• Due pinze di Bellucci

• Due forbici di Bellucci

• Due coppie di detrattori tipo Miccoli

• Spatole smusse di Miccoli

• Endoscopio da 5 mm a 30°

• Bisturi elettrico monopolare con lama isolata fino a 5 mm dalla punta

• Porta-aghi e filo montato riassorbibile

• Collante dermico (Dermabond)

(15)

L’intervento può essere diviso in quattro tempi:

1. Accesso allo spazio operatorio

2. Identificazione del nervo laringeo ricorrente 3. Identificazione ed asportazione dell’adenoma 4. Chiusura

Il paziente viene posizionato supino sul tavolo operatorio,

con il collo non iperesteso (Figura 11). L’operatore si trova

alla destra del paziente, l’aiuto e la telecamera alla

sinistra mentre un assistente mantiene i retrattori dalla

posizione posta dietro la testa del paziente. Lo

strumentista si posiziona alla destra dei piedi del

paziente (figura 12). La cute viene preparata nel modo

convenzionale e viene coperta con cerotto trasparente

Steridrape® per evitare ustioni sul bordo della ferita

(figura 13). Viene praticata un’incisione cutanea traversa

di 15 mm, 2 cm al di sopra del manubrio sternale. Il

grasso sottocutaneo e il platisma vengono sezionati

delicatamente per evitare ogni minimo sanguinamento,

che vista la esiguità del campo chirurgico inficerebbe la

riuscita dell’intervento (Figura 14). La linea alba cervicale

viene aperta longitudinalmente per non più di 3-4 cm. I

muscoli pretiroidei del lato interessato vengono

(16)

gentilmente retratti con retrattore convenzionale, mentre un secondo nastro agisce direttamente sul lobo tiroideo, che viene spostato medialmente e sollevato (Figura 15).

La dissezione dei muscoli pretiroidei avviene sotto visione diretta, lo spazio operatorio è mantenuto tramite piccoli retrattori. Da questo momento si introduce l’ottica a 30° e l’intervento viene condotto con strumenti chirurgici di piccole dimensioni (2 mm di diametro) (Figura 16).

Il primo passo della dissezione per via endoscopica consiste nella legatura della vena tiroidea media, passaggio che permette la completa esposizione del campo operatorio. Utilizzando uno dei due nastri retrattori è possibile sollevare e spostare medialmente il lobo tiroideo dal lato da esplorare, facilitando l’esposizione del lato postero-laterale del lobo, sulla cui superficie andranno ricercate le ghiandole patologiche.

La magnificazione del campo operatorio offerta dall’ottica

endoscopica permette di identificare in maniera molto

semplice le strutture nobili della regione, ovvero il nervo

laringeo inferiore o ricorrente, che generalmente giace

immediatamente superiormente e posteriormente alla

paratiroide inferiore ed inferiormente ed anteriormente

alla paratiroide superiore, nello spazio tiro-tracheale,

(17)

posteriormente al tubercolo di Zuckerkandl (Figura 17).

L’esplorazione è condotta per via smussa con spatole atraumatiche. Una volta identificato l’adenoma è necessaria una manipolazione delicata e precisa, al fine di preservare l‘integrità della capsula della paratiroide (Figura 18): la sua rottura potrebbe determinare la disseminazione di cellule paratiroidee con sviluppo di paratiroidomatosi. I vasi dell’ilo della ghiandola possono essere sezionati dopo legatura tramite clip vascolari in titanio da 5 mm. Viene estratto attraverso l’incisione.

Utile alla fine della procedura l’osservazione della paratiroide ipsilaterale per valutare l’integrità e la preservazione della vascolarizzazione.

Una volta terminata la dissezione chirurgica l’intervento viene concluso una volta ricevuti i risultati del dosaggio intraoperatorio del PTH, oppure effettuando l’identificazione delle restanti ghiandole paratiroidi (esplorazione cervicale bilaterale) raggiungibili tramite l’accesso unico centrale .

Nella chiusura non vengono posizionati drenaggi; i piani

anatomici vengono suturati con punti staccati di

materiale riassorbibile (tipo Dexon© 3/0; la cute viene

(18)

chiusa con una colla chirurgica (Dermabond®) [2] (Figura 19)

Questa tecnica permette di eseguire l’esplorazione cervicale bilateralmente ove necessario, di poter associare un’eventuale intervento alla tiroide [2,32-34].

CONFRONTO FRA ESPLORAZIONE CERVICALE BILATERALE E DOSAGGIO INTRAOPERATORIO

DEL PARATORMONE NELLA PARATIROIDECTOMIA MINI-INVASIVA VIDEO-

ASSISTITA (MIVAP)

Lo scopo di questa tesi è di confrontare in due gruppi di

pazienti con PHPT la radicalità chirurgica e la durata

media dell’intervento, utilizzando due tecniche

chirurgiche mini-invasive videoassistite: MIVAP con

esplorazione bilaterale del collo in un gruppo e MIVAP

focalizzata con dosaggio intraoperatorio del PTH (qPTH

assay).

(19)

MATERIALI E METODI

Da Ottobre 2005 a Febbraio 2006, 40 pazienti con iperparatiroidismo primitivo sporadico sono stati sottoposti ad intervento chirurgico presso la UO Chirurgia Generale II (Dir. Prof. P. Miccoli).

I pazienti sono stati divisi in due gruppi: al primo gruppo (QA) sono stati assegnati 20 pazienti, 17 donne e 3 uomini, con età media pari a 57.6 anni (range 37 – 72 anni), valore medio del PTH pre-operatori pari a 308.2 pg/ml (range 77-984 pg/dl), livelli di calcio sierico medio pre-operatori pari a 11.02 mg/dl (range 10.5-11.4 pg/dl) (Tabella 2); tali pazienti, previa localizzazione tramite Scintigrafia con Sestamibi- Tc

99

ed Ecotomografia, sono stati sottoposti ad intervento di paratiroidectomia videoassistita (tecnica MIVAP) adiuvata da dosaggio intraoperatorio del paratormone (qPTHa).

Al secondo gruppo (BE) sono stati assegnati 20 pazienti,

17 donne e 3 uomini, 58.0 anni di età media (range 26-76

anni), valore medio di paratormone sierico 320.5 pg/ml

(range 83-776 pg/dl), valore medio di Calcio Totale 11.31

mg/dl (range 10.3-14.7 mg/dl) (Tabella 2); tali pazienti

(20)

sono stati sottoposti ad esplorazione cervicale bilaterale con tecnica MIVAP. La contemporanea asportazione di una o più ghiandole macroscopicamente patologiche e l’identificazione delle rimanenti ghiandole paratiroidi sane, escludendo la malattia multighiandolare, autorizzava la conclusione della procedura.

Tutti i pazienti appartenenti a questo gruppo avevano effettuato studi di localizzazione con Ecotomografia e con Scintigrafia con Sestamibi-Tc

99

.

Tutti i pazienti hanno firmato regolare consenso informato.

Nel corso del follow-up, i pazienti sono stati sottoposti a

controllo dei livelli di calcio e di paratormone ad uno e

sei mesi dall’intervento chirurgico.

(21)

RISULTATI

I due gruppi risultavano omogenei in termini di età, sesso, livelli pre-operatori medi di PTH e calcio sierico.

Tutte le procedure sono state condotte endoscopicamente, e in nessuno dei due gruppi sono stati riportate complicanze post-operatorie (emorragia, lesione del nervo laringeo, infezione della ferita chirurgica, ipoparatiroidismo transitorio).

Il tempo operatorio medio dei pazienti del primo gruppo (QA) è stato di 33.1 minuti (21–45 minuti); nei pazienti del secondo gruppo (BE) 24.0 minuti (14-43 minuti)(p=0.02).

Nel secondo gruppo in 4 casi è stata identificata, durante l’esplorazione cervicale bilaterale, una seconda ghiandola di aspetto macroscopicamente patologico: in 3 casi l’esame anatomo-patologico condotto sul reperto ha indicato paratiroidi normali, in 1 ha indicato iperplasia delle cellule principali .

Tutti i pazienti sono stati dimessi in prima giornata, con

livelli di calcemia nella norma (Calcemia Totale media in

(22)

prima giornata 9.6 mg/dl, range 8.5-10.5 mg/dl per il gruppo BE; 9.2 mg/dl, range 8.8-10.3 mg/dl per il gruppo QA).

Nel follow up, ad un mese dall’intervento i livelli di calcemia si sono normalizzati in tutti i pazienti sia del gruppo BE (Calcio Totale medio a 1 mese 9.43 mg/dl;

range 8.5-10.4 mg/dl) sia del gruppo QA (Calcio Totale medio ad 1 mese 9.05 mg/dl; range 9.1-10.3 mg/dl), mentre i livelli sierici di PTH risultavano normalizzati in tutti i pazienti del gruppo BE (valore medio di paratormonemia ad un mese dall’intervento nel gruppo BE 61.1 pg/dl; range 20-76 pg/dl) ed in 19 su 20 dei pazienti del gruppo QA (valore medio di paratormonemia ad un mese dall’intervento nel gruppo QA 65.3 pg/dl;

range 31-200 pg/dl).

A sei mesi dall’intervento i livelli di calcemia erano nei

limiti della norma in tutti i pazienti sia del gruppo BE

(Valore medio di calcemia a sei mesi 9.6 mg/dl; range

8.6-10.4 mg/dl) sia del gruppo QA (Valore medio di

calcemia a sei mesi 9.8; range 9.0-10.3). I livelli sierici di

PTH risultavano normalizzati in 19 dei 20 pazienti del

gruppo QA (valore medio di paratormonemia a sei mesi

68.7 pg/dl, range 44-110 pg/dl), mentre risultavano

(23)

normalizzati in tutti i pazienti del gruppo BE (valore medio di paratormonemia a sei mesi 59.2 pg/dl, range 21-70 pg/dl). (Tabella 2)

In 1 paziente del gruppo QA i livelli di PTH sierico si sono rivelati persistentemente aumentati ad 1 e 6 mesi del follow-up (Valori rispettivi 200 e 110 pg/dl) con calcemia normalizzata 9.5 e 9.1 mg/dl rispettivamente ad uno e a sei mesi dall’intervento.

Tale paziente di fatto partiva da un livello pre-operatorio di 984 pg/ml ed un adenoma paratiroideo di circa 3 cm. I livelli di eucalcemia associati a valori di PTH tutt’ora elevati ma in progressiva riduzione, associati alla scomparsa dei sintomi da parte del paziente, dimostrano, comunque, l’efficacia terapeutica.

DISCUSSIONE

L’intervento chirurgico rimane, ad oggi, l’unica strategia

terapeutica realmente affidabile per i pazienti affetti da

IPP [2,9-15].

(24)

Negli ultimi anni si sono sviluppate tecniche chirurgiche sempre meno invasive che hanno permesso di curare questi pazienti con elevati standard di sicurezza, associando una riduzione del dolore post-operatorio, un migliore risultato cosmetico e un più rapido recupero funzionale [13-16].

Il qPTH assay si è dimostrato un validissimo strumento nella chirurgia della paratiroide, assicurando un ausilio di primissimo ordine durante l’intervento e fornendo un significativo apporto allo sviluppo delle moderne tecniche mini-invasive [15-18];

La paratiroidecomia mini-invasiva con approccio focalizzato più qPTH assay infatti ha dimostrato tassi di successo elevati, fino al 99% nelle diverse casistiche [13,14,19,20].

Nonostante l’indiscutibile utilità il qPTH assay mostra alcuni limiti.

In caso di malattia multighiandolare la rimozione di un

primo adenoma può determinare un picco di caduta nella

concentrazione ematica del paratormone, indicando

falsamente la riuscita rimozione di tutto il tessuto

patologico [22,23,24]; questo è reso possibile dal fatto che

talvolta esiste una dominanza funzionale di una

(25)

ghiandola adenomatosa sull’altra; gli esami funzionali tipo la scintigrafia con MIBI ed il qPTH assay possono così risultare fallaci [22].

Un ulteriore limite è rappresentato dai pazienti con iperparatiroidismo secondario (insufficienza renale cronica ) nei quali il qPTH assay non risulta decisivo nel predire una persistenza di tessuto paratiroideo funzionale [21].

Ultimo, ma non meno importante, il costo del kit per il dosaggio ancora decisamente alto, tale da non render possibile, in molte realtà ospedaliere il suo utilizzo[13,14]

L’esplorazione cervicale bilaterale convenzionale è una metodica con tasso di successo elevato nel trattamento chirurgico dell’iperparatiroidismo primitivo [12,13].

Questa tecnica, visualizzando tutte le ghiandole

paratiroidee, permette al chirurgo di poter valutare

macroscopicamente non solo il tessuto patologico ma

anche quello normale, rendendo possibile, ove presente, il

riconoscimento immediato di una paratiroide

iperplastica, riducendo nettamente il rischio di

persistenza di malattia anche in caso di patolgia

multighiandolare [12,13]. Tale approccio inoltre elimina

(26)

l’utilizzo del kit di dosaggio del PTH, e quindi abbatte i costi di gestione per questo intervento [13].

L’esplorazione cervicale bilaterale video-assistita unifica il principio della visualizzazione di tutte le ghiandole paratiroidi con i vantaggi di un approccio minimamente invasivo [16,30-34], non riducendo il tasso di successo chirurgico [34]. Tale approccio inoltre può essere proposto per la terapia dell’iperparatiroidismo primitivo nelle forme familiari [34].

In 4 dei 20 casi trattati con esplorazione bilaterale video- assistita, è stata rimossa una seconda paratiroide. In 1 dei 4 casi la paratiroide rimossa è risultata contenere iperplasia delle cellule principali. Da un lato questo ha probabilmente evitato una persistenza, o eventualmente, una ricorrenza di malattia; dall’altro, però, ha portato alla rimozione di tessuto paratiroideo sano.

Poiché il criterio di discernimento tra ghiandole

paratiroidee sane e malate nella esplorazione cervicale

bilaterale è il criterio macroscopico (dimensione e

morfologia) , si pone in essere il rischio di una rimozione

inappropriata di ghiandole dimensionalmente aumentate,

ma non necessariamente iperfunzionanti. L’esperienza

chirurgica, in questi casi, è condizione fondamentale,

(27)

poiché la giusta conoscenza della fisiologia e dell’anatomia normale delle paratiroidi, possono evitare la rimozione inappropriata, così come permettere al chirurgo il riconoscimento di una struttura potenzialmente patologica.

Il confronto tra la durata media dell’intervento nei due gruppi ha dimostrato una differenza statisticamente significativa in termini di durata media della procedura a vantaggio dell’esplorazione cervicale bilaterale (24.0 vs 33.1 min, p=0.02), poiché con questa metodica non si attende il risultato a 10 minuti dall’asportazione dell’adenoma paratiroideo. Tale differenza, tuttavia, non sembra, da un punto di vista dell’economia di gestione della sala operatoria, significativo.

I tempi operatori medi riportati, sono da attribuire

all’esperienza dell’equipe operatoria. Infatti la padronanza

della tecnica video-assistita mini-invasiva è criterio

imprescindibile ed è richiesta al chirurgo ampia

esperienza di chirurgica endocrina convenzionale, prima

di rivolgersi a tale approccio. E’ probabile che l’inizio

dell’esperienza video-assistita, come normale da una

curva di apprendimento, porti ad un aumento

(28)

(temporaneo) della durata media di intervento quando paragonata ad accesso convenzionale cervicotomico.

Nella casistica studiata non è stata riportata nessuna complicanza post-operatoria in termini di emorragia, ipoparatiroidismo (transitorio o definitivo), lesioni del nervo laringeo inferiore o infezione di ferita; questi risultati possono essere attribuito ad una serie di fattori:

• l’esiguità del campione

• l’esperienza in chirurgia endocrina dell’equipe operatoria

• l’eccellente visualizzazione offerta dalla tecnica MIVAP delle strutture nobili (nervo laringeo inferiore, strutture vascolari) grazie alla magnificazione offerta dell’ottica endoscopica.

Il follow-up dei pazienti dei due gruppi studiati, ha dimostrato a 6 mesi la normalizzazione dei livelli di calcemia e di PTH (Tab.2).

Questi risultati, dimostrano che, con i possibili pitfalls

discussi sopra, entrambe le metodiche risultano sicure ed

efficaci nella cura dell’iperparatiroidismo primitivo.

(29)

Un paziente del gruppo QA, presenta, a distanza di 6 mesi dall’intervento, livelli persistentemente alti di PTH, non manifestando tuttavia segni o sintomi di Iperparatiroidismo primitivo.

Tale paziente si è sottoposto all’intervento dopo una lunga storia di sintomi sfumati (algie, irritabilità, dolori addominali vaghi) con successiva presentazione classica (nefrolitiasi e riduzione della massa ossea all’esame di mineralometria). Al momento dell’intervento i valori ematici di PTH erano pari a 984 pg/dl e il calcio sierico pari a 10.8 mg/dl ed è stato rimosso un adenoma paratiroideo delle dimensioni di 3 cm.

Nel follow-up post-operatorio, il paziente ha presentato normalizzazione della calcemia (9.7 mg/dl e 9.5 mg/dl, ad 1 e 6 mesi post-operatori), e valori di PTH elevati (200 pg/ml e 110 pg/ml, rispettivamente ad 1 e 6 mesi).

Tuttavia, il trend dei dosaggi del PTH ha dimostrato una progressiva e continua riduzione.

E’ molto probabile che la lunga durata di malattia abbia

determinato un rallentamento della ripresa del normale

feed-back fisiologico, che verosimilmente verrà ristabilito

nei prossimi mesi e certificato dai successivi controlli .

(30)

Va sottolineato come le indicazioni all’intervento con esplorazione cervicale bilaterale siano le stesse della MIVAP con qPTH assay (Tab.1); tali indicazioni sono assolutamente necessarie per determinare l’accuratezza e l’efficacia e, non da ultimo, la sicurezza per entrambi i due tipi di intervento.

CONCLUSIONI

I risultati del confronto tra le due tecniche chirurgiche suggeriscono che l’esplorazione cervicale bilaterale video- assistita (BE) è una procedura sicura ed efficace, con tassi di successo elevati al pari della MIVAP con qPTH assay (QA) nel trattamento dei pazienti con Iperparatiroidismo primitivo.

Entrambi gli approcci chirurgici presentano limiti ed opportunità differenti, non dimostrando al momento la netta superiorità di una tecnica sull’altra.

La MIVAP con qPTH assay permette di condurre una

dissezione limitata dei tessuti del collo, ma

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necessariamente obbliga il chirurgo all’uso di un kit costoso, comporta un aumento della durata dell’intervento poiché si attendono gli esiti dei risultati del dosaggio del PTH e presenta un rischio relativo di persistenza di malattia, seppur moderato, in caso di patologia multighiandolare .

L’esplorazione cervicale bilaterale video-assistita, per contro, permette la visualizzazione di tutte le ghiandole paratiroidi, favorendo il chirurgo nel caso in cui più ghiandole risultino patologiche, evita l’uso del qPTH assay e determina, laddove il chirurgo abbia esperienza di accesso videoassistito, una riduzione della durata media dell’intervento chirurgico.

Tuttavia, grande cautela deve essere sempre utilizzata nell’esplorazione bilaterale, per evitare l’asportazione di paratiroidi macroscopicamente anormali, ma non necessariamente patologiche.

(32)

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