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L’apparecchiatura che attualmente concentra e riunisce la maggior quantità d’immagini, il computer, sta inghiottendo rapidamente tutto: stampa, televisione, cinema, comunicazioni e reti sociali. È un contenitore insaziabile che

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Introduzione

Scopo di questo mio lavoro è attuare una riflessione inerente al fenomeno del videofonino come strumento di ripresa, analizzando e interrogandomi sui diversi punti di vista che lo pongono come fautore di nuovi linguaggi. Il cellulare in poco più di un decennio ha infatti visto mutare le proprie pratiche di utilizzo, inizialmente legate al semplice ascoltare, verso altre funzioni più legate al toccare/riprendere/guardare.

E non è un caso. Oggi siamo saturi, annegati nelle immagini.

L’apparecchiatura che attualmente concentra e riunisce la maggior quantità d’immagini, il computer, sta inghiottendo rapidamente tutto: stampa, televisione, cinema, comunicazioni e reti sociali. È un contenitore insaziabile che

<<si pone come totem audiovisivo, mentre Internet si pone come un’autostrada che permette di soddisfare qualsiasi desiderio>>

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. La moltiplicazione delle immagini genera la sensazione che esse circolino a velocità maggiore: tutto sembra contagiato dall’immediatezza e dall’istantaneità ed esse si succedono velocemente le une alle altre. A quanto accennato bisogna aggiungere il modo in cui tali contenuti vengono disposti sul monitor: la presenza simultanea di più finestre che convivono sul medesimo schermo. Grazie a ciò l’utente unisce la visione all’interazione con le altre risorse del computer e ne deriva un’attenzione

1 Tranche 2011, p. 46

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diffusa, rivolta a tutto e a niente, che sacrifica alcune delle premesse essenziali della visione tradizionale.

In parallelo, il cinema attraversa la peggior crisi della sua storia. Non si tratta solo del fatto che gli spettatori abbiano smesso di andare al cinema: è il concetto stesso di sala cinematografica ad essere stato trasformato.

Il cerimoniale della proiezione del film è stato svalutato ed equiparato ad un semplice atto di consumo; le nuove forme di visione hanno contaminato la precedente abitudine di abbandonarsi e di immergersi nel grande schermo. La fruizione individuale e il piccolo formato stanno eliminando l’esperienza collettiva della sala tradizionale, generando al tempo stesso una visione più diffusa e disponibile: a qualsiasi ora, in qualsiasi posto. Si afferma oggi l’inarrestabile potenza del digitale. L’ultima “fuga in avanti”, il cinema 3D, sembra avvicinarsi alle origini del film e allo stupore che generava e ai videogiochi, più che al mezzo di espressione artistica che conosciamo tradizionalmente come cinema.

In questo complesso panorama sono comparse le “immagini portatili”, ovvero le immagini generate mediante la tecnologia del cellulare, così chiamate per la leggerezza dello strumento che le rende possibili e che fa sì che esse siano sempre con noi, in tasca o nella borsetta.

Il loro mezzo principale di diffusione è Internet e sono prodotte da un

nuovo apparecchio telefonico: il videofonino, oggetto che, nel momento in cui

viene utilizzato come mezzo di ripresa, viene ad assumere il ruolo di “protesi” del

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nostro corpo

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e così facendo lo potenzia. Questa piccola videocamera è disponibile, discreta ed immediata, sconfigge pertanto sul tempo ogni altro mezzo di ripresa

3

. Quello che era nato come telefono portatile e senza fili, si è trasformato oggi in un dispositivo che, a sua volta, minaccia di inghiottire anche il computer tradizionale.

L’ultima generazione, gli smartphone o telefoni intelligenti, sono accostabili al coltellino svizzero: servono a tutto. Si tratta di potenti gadget che concentrano ed attraggono in sé tutti gli usi miniaturizzati e portatili: ascoltare musica, navigare in Internet, scaricare file, giocare, intrattenere reti sociali, usare una macchina fotografica o una videocamera. All’interno di questo repertorio, le possibilità di catturare e trasmettere immagini pone la telefonia all’altezza dei grandi mezzi come la televisione.

Il telefono, medium personale, ha ormai abbandonato la sua natura puramente vocalica e si presenta pertanto come un oggetto dotato di poteri magici, capace di recare le immagini di cose e persone assenti. La fusione del digitale con le tecnologie mobili ha permesso a singoli individui di produrre e vedere film ad un costo molto basso, impossibile prima d’ora, anche in tempi brevissimi.

Il mio studio vuole dunque cercare di analizzare questo complesso fenomeno in cui noi siamo totalmente immersi e di cui facciamo esperienza ogni

2 Menduni scrive: <<L’oggetto si fonde con il nostro corpo, di cui è quasi una protesi, al cui orecchio sta attaccato dividendo con altri pochi oggetti riservati (il portafoglio, l‘agenda, il pettine, il trucco, l’intimità della nostra borsa o tasca)>>. Anche Elisa Andreis sostiene: << Il cambiamento è radicale, si ribalta la prospettiva, da semplice strumento per la comunicazione tra due parti, il telefono diventa un oggetto strettamente personale. Una protesi elettronica che rassicura, perché amplifica i nostri sensi di controllo: vista e udito>>. (Entrambi cit. in Marcheschi 2009, p. 35, nota 13)

3 Marcheschi 2009, pp. 29-41

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giorno, con la consapevolezza che il panorama è talmente vasto, che necessariamente bisognerà trascurare alcuni aspetti per evidenziarne altri.

Nella prima parte della tesi, dopo una breve storia del videofonino, mi sono soffermata sulle visioni profetiche di Vertov, Astruc e della stagione sperimentale Underground degli anni ’60 e ‘70, considerati suoi padri illustri soprattutto per quell’idea di occhio tecnologico più libero e perfetto rispetto a quello umano che in sé sintetizza le caratteristiche di leggerezza, velocità e sensibilità

4

.

Ho poi sondato le caratteristiche di questo nuovo mezzo evidenziandone non solo i pregi, ma anche i difetti, legati in particolare alle nuove modalità di fruizione dei film che sempre più spesso avvengono direttamente dal piccolo schermo del cellulare.

Sono quindi passata ad analizzare alcune tipologie di mobile movie: i video-report di giornalismo occasionale, i video di famiglia e gli happy slapping (clip inscenate a bella posta per essere riprese e postate sui siti di condivisione), per poi arrivare a parlare dei primi documentari social movie creati dagli utenti stessi della rete e concretizzati dai registi premi Oscar Ridley Scott e Gabriele Salvatores: Life in a Day e Italy in a Day.

Ho terminato questa prima, lunga parte, con una riflessione sul problema della privacy legato alle riprese -anche illecite- effettuate dai possessori di cellulari che spesso diffondono informazioni riservate oppure filmano semplicemente scene di vita quotidiana (con ignari protagonisti) per poi metterle on line sul social network preferito: uno per tutti, Facebook.

4 Lischi, 1996

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Essendo docente di scuola superiore di secondo grado ho ritenuto opportuno anche inserire una breve sezione inerente la liceità dell’uso del videofonino in ambito scolastico, sondando le leggi che ne regolano l’utilizzo ed il conseguente problema legato alla privacy degli studenti, spesso minorenni e ad ogni modo sempre ignari delle conseguenze che possono derivare da un utilizzo scorretto (e a volte “selvaggio”) delle immagini “rubate” con questo strumento.

Non mi sono soffermata solo sul cyberbullismo, ma ho evidenziato anche le potenzialità offerte dall’uso del videofonino a scuola, prima tra tutte quella di poter effettuare vere e proprie lezioni di regia e montaggio per un ampio numero di studenti.

Nella seconda parte ho sondato il vasto panorama dei festival dedicati al telefonino rivolti ai veri intenditori del “microschermo” in cui ci si interroga sulle nuove linee di demarcazione che separano le produzioni tradizionali con telecamere ad alta definizione e le microproduzioni quotidiane realizzate con videofonini o macchine fotografiche digitali.

In un tempo relativamente breve sono nati un gran numero di festival dedicati ai film per cellulare e non sorprende che spesso siano stati sponsorizzati dai produttori di telefoni e dalle compagnie telefoniche.

Alcuni tra questi hanno acquisito fama mondiale (si veda ad esempio il

Festival Pocket Films di Parigi), mentre altri sono stati brevi meteore che ad ogni

modo hanno contribuito ad arricchire un panorama sempre più vasto in cui il

tascabile esce allo scoperto ed invade lo schermo.

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Questa ricerca, poiché non esistono pubblicazioni interamente dedicate a tale fenomeno, è stata effettuata essenzialmente in rete ed ha evidenziato alcune criticità sia per limiti personali che per difficoltà oggettive. La prima è stata certamente la lingua: molti siti presentano dei contenuti scritti esclusivamente in lingua straniera (spesso francese e inglese, ma anche tedesca o olandese) e ciò ha reso spesso difficoltoso comprenderli a pieno. Problematico inoltre è stato capire per quante edizioni un Festival avesse avuto luogo e perché ad un certo punto avesse cessato di esistere. Presumo che le motivazioni siano essenzialmente di natura economica, ma non ho trovato alcuna documentazione che lo attesti. Infine un altro problema ha riguardato la visione dei lungometraggi o (più spesso) dei corti in concorso perché essi non sono più condivisi in rete (questa è -a mio parere- una contraddizione, perché si sta parlando di produzioni nate da un videofonino per essere condivise anche e soprattutto con gli utenti di Internet).

Visionando decine di film ho potuto notare che riprendere con il telefono portatile spinge spesso il filmmaker ad inscrivere il mezzo stesso all’interno del film. Nelle clip più creative infatti il cellulare non è solamente un generatore di nuove situazioni narrative, ma le sue differenti funzioni costituiscono

“frontalmente” il soggetto del film. Un esempio è dato dal corto GPS yourself

5

di Remi Boulnois che mostra un uomo che lancia il suo telefono in aria in modo che gli riporti una visione satellite dell’ambiente in cui si trova e che lo circonda

6

.

5 Corto in gara al Festival Pocket Films di Parigi nel 2008. Durata: 45”. Lo si può vedere alla pagina http://www.festivalpocketfilms.fr/spip.php?article904 visionata il 22/02/2015.

6 Cinema e video sono sempre stati assillati, in misura variabile, dal cosiddetto “fantasma di Icaro”, desiderando vedere ed inquadrare il mondo da un altrove per decifrarlo come uno spazio

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Sebbene nel corso degli anni la qualità tecnica dell’immagine dei videofonini sia enormemente cambiata, aprendo a molte possibilità sia estetiche che tematiche, nei festival si continua ad affermare che si può fare cinema con qualunque cinepresa o videocamera, compresa quella del telefono cellulare; il valore cinematografico di un film sembra quindi risiedere nel suo progetto, non nella camera usata. Inoltre questi video appartengono ad un’ampia varietà di generi differenti: film di famiglia, lungometraggi e corti sperimentali, di finzione o documentari, cinegiornali amatoriali etc.

I festival dedicati ai cosiddetti Diy

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si sono diffusi ampiamente non solo in Europa, ma anche in America e nei paesi asiatici e solo recentemente tali iniziative sembrano aver subito una leggera flessione.

Nella parte finale di questo lavoro ho dedicato la mia attenzione allo studio del cinema di Pippo Delbono e dei film da lui realizzati interamente –o in parte- con il videofonino, provando a spiegare il perché di questa sua scelta e le conseguenze che ne derivano dal punto di vista narrativo e cinematografico.

L’uso della tecnologia leggera ben si adatta allo sguardo itinerante del regista ligure che, muovendosi sulle superfici di un mondo alienato, non esita a mostrare luoghi topici della società italiana, raccontando indifferentemente l’esclusione e l’emarginazione dei più deboli, la propria malattia o l’incontro con Bobò in un manicomio di Anversa, trasformando un diario poetico in una documentazione del reale.

ancora vergine. Il videofonino, permettendo movimenti di macchina aerei, riesce con facilità a trasportare lo spettatore verso percezioni inedite e movimentate. (Lischi 1996, p. 90)

7 <<Do it yourself>>

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Il mezzo leggero gli permette di effettuare ricerca e sperimentazione in un campo nuovo e ricco di possibilità, riprendendo e immortalando istanti di vita senza avere in mente alcuna sceneggiatura (<<se non quella data dalla vita>>, rivelerà il regista), ma lavorando essenzialmente sulla forza emotiva delle immagini, alla ricerca della verità e del senso della vita che sta dentro alle cose.

Ho in ultimo riflettuto sulle forme della soggettività del regista che emergono con una certa regolarità nei lungometraggi esaminati come la voce over o la grande mobilità della camera: ogni ripresa effettuata con il videofonino è infatti una soggettiva e come tale trasmette direttamente il suo sguardo

8

.

Questo studio affronta dunque il fenomeno del cinema fatto con il videofonino da varie angolazioni. In poco più di un decennio è nata una nuova idea di esperienza filmica e la produzione con il videofonino sta progressivamente sondando le proprie possibilità audiovisive, alla ricerca di identità ed autonomia. Ciò che emerge è un fenomeno nuovo e mutevole dove non esiste più l’equazione grandi mezzi = professionalità contro piccoli mezzi = amatorialità. Il telefonino con videocamera permette un nuovo sguardo, una nuova libertà ed una nuova verità; il cinema si sposta nella strada, nella casa e infine nelle tasche della gente.

Come ha scritto Ethan Zuckerman:<<Se il cellulare è l’innovazione più importante del decennio, lo è grazie alla sua enorme penetrazione nel mondo, paragonata ad Internet (…). Il cellulare dotato di videocamera si rivela potente

8 Il telefono portatile è un mezzo saldamente ancorato a chi effettua le riprese e all’ hic et nunc del momento in cui si filma.

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perché è pervasivo, personale e permette la creazione di contenuti da parte di chiunque>>

9

.

9 Draft Paper on Mobile Phones And Activism, 27 aprile 2007, consultabile alla pagina http://ethanzuckerman.com/blog/2007/04/09/draft-paper-on-mobile-phones-and-activism/.

Pagina visitata il 20/02/2015.

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Parte prima

1. Dal telefonino al videofonino

Il 1876 è l’anno ufficiale di nascita del telefono

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: uno strumento nuovo, potente, capace di trasportare la voce umana a distanze sempre crescenti.

Inizialmente immaginato come naturale sostituto del telegrafo, diventa un mezzo di comunicazione per tutti, in grado di modificare le abitudini sociali e ridisegnare le relazioni.

Se fino al 1880 circa, il telefono è ancora uno strumento scientifico utilizzato nei laboratori, è a partire dagli anni seguenti che banchieri, agenti di cambio e le ferrovie, iniziano ad usare intensamente i primi servizi telefonici, seguiti da imprenditori e professionisti. A quel tempo il telefono era tuttavia ancora considerato un "telegrafo parlante" più rapido e comodo dell'apparecchio inventato da Morse e gli abbonati potevano comunicare solo con utenti della stessa rete urbana.

Dopo la prima guerra mondiale, anche in Italia si comincia a usare il telefono non solo per le chiamate di lavoro ma anche per "fare quattro chiacchiere". Il telefono perde la manovella di chiamata e la pila, mentre il

10 In Italia le prime concessioni telefoniche a imprenditori privati si datano al 1881.

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microfono e il ricevitore si fondono in un corpo unico: nasce la "cornetta" (o microtelefono) e l'apparecchio diventa più leggero, compatto e facile da usare.

A partire dagli anni Cinquanta si assiste a un vero e proprio incremento nelle richieste di nuovi allacciamenti telefonici: il boom economico e gli investimenti sulle infrastrutture sono tra i motivi principali di questa importante diffusione. I designer iniziano a ridefinire il telefono, facendo ampio uso di plastiche, colore e forme più adatte al nuovo uso sociale, soprattutto tra i più giovani.

Alla fine del periodo 1970 - 1990 il telefono raggiunge ogni casa e ufficio fino a stimare venti milioni di apparecchi, uno ogni due abitanti. Il dispositivo resta invariato nella forma e nel funzionamento, mentre la vera rivoluzione avviene "intorno" al telefono, dove iniziano ad apparire nuovi accessori.

Segreteria telefonica, fax, cercapersone e apparecchi per vivavoce: strumenti ancora analogici ed esterni al telefono, che permettono l'accesso a nuovi servizi attraverso la rete telefonica.

Due strumenti hanno modificato drasticamente il modo di telefonare e comunicare: la telefonia mobile e Internet.

La telefonia cellulare è nata dopo la seconda guerra mondiale nei laboratori Bell, ma <<ha proceduto lentamente perché gli operatori di telefonia fissa non erano particolarmente interessati a fare concorrenza a sé stessi>>

11

. Le tecnologie radiomobili erano pensate per particolari esigenze: forze dell’ordine,

11 Menduni, 2007.

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militari ed un’esigua clientela di vip che poteva esibire il telefono in macchina, come Humphrey Bogart nel film Sabrina

12

.

Solo negli anni Ottanta si sono create le condizioni per lo sviluppo della tecnologia cellulare: <<la competizione tra gli operatori di telecomunicazioni, l’accresciuta domanda di reperibilità, la disponibilità di microprocessori a basso costo e dimensioni ridottissime, la saturazione delle frequenze dei servizi tradizionali, che richiedeva una migliore utilizzazione dello spettro elettromagnetico e quindi un passaggio al digitale>>

13

. Nessuno poteva tuttavia immaginare il successo, la popolarità e il grande abbattimento dei costi che avrebbe raggiunto la telefonia cellulare, facendola passare rapidamente da genere di lusso a genere di largo consumo.

La Motorola realizzò nel 1973 un modello sperimentale che pesava più di un chilo da cui partì la prima telefonata: la leggenda narra che da una strada di New York l’ingegnere statunitense Martin Cooper

14

fece squillare il telefono del direttore dei Bell Labs, ovvero la concorrenza

15

. Dieci anni dopo fu sempre la Motorola a lanciare il primo telefono portatile di serie, il DynaTac 800, al prezzo di 3.995 dollari per un peso di 800 grammi e 35 minuti di autonomia. La prima risposta dei consumatori fu lenta a causa dei costi elevati e la telefonia cellulare in Europa arrivò solo nel 1986.

12 Billy Wilder, Sabrina, 1954. Humphrey dialoga con il suo ufficio grazie al radiotelefono veicolare, di cui viene inquadrata anche la lunga antenna. Il contesto vuole suggerire che il personaggio è ricchissimo, viste le prevedibili bollette telefoniche.

13 Menduni 2007, pp. 114-115

14 3 aprile 1973

15 Menduni 2007, p. 116

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Nel 2003 il telefono cellulare ha dunque compiuto 30 anni: tale è l’arco di tempo che ci separa dalla prima chiamata effettuata

Per l’effettiva commercializzazione del servizio sono stati necessari altri 10 anni (1983) negli Stati Uniti , tre in meno che in Europa. Da quel momento l’evoluzione ha subito un’accelerazione tanto che, già nel 1991, è stato possibile lanciare in Europa una seconda generazione di telefonia mobile sostituendo al precedente sistema analogico con un protocollo basato sulla tecnica digitale, il GSM (Global System for Mobile communications)

16

. Esso ha aperto alla possibilità di andare oltre la comunicazione vocale, introducendo ai servizi dati valore aggiunto quali fax e messaggistica varia (famosi gli SMS, Short Message Service);

contemporaneamente, i terminali mobili si sono dotati di schede intelligenti estraibili: le SIM card (Subscriber Identity Module). Esse sono memorie aperte, aggiornabili ed espandibili a cui si accede con un codice personalizzato pin: una sorta di minuscole carte d’identità elettroniche personali che consentono al cliente di attivare il servizio acquistato dallo specifico provider su un qualunque telefono.

In Italia la diffusione dei telefonini procede in modo esponenziale, tanto che nel 2000 avviene il sorpasso sulle linee fisse e la crescita non si ferma. Il cellulare comporta un cambiamento di funzione del telefono, che ne accentua in prima istanza le prerogative di medium personale. Ora, segnala Borrelli, <<L’unità comunicativa non è più la famiglia, ma direttamente l’individuo (…). Per molto

16 Lo standard tecnologico GSM è stato adottato da tutti i paesi europei, consentendo così di spostarsi da un paese all’altro senza dover cambiare telefono ad ogni frontiera.

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19

tempo il telefono è stato l’unico personal medium in una società dominata dai massa media>>

17

.

Nel 2004 è decollata la terza generazione di rete, l’UMTS, un sistema che è stato definito a “banda larga” perché capace di trasportare una quantità di dati molto maggiore rispetto alla precedente tecnica. I segnali digitali possono acquistare una velocità che, a seconda delle condizioni di trasmissione, varia da trecento mila a due milioni di bit al secondo

18

, sufficiente quindi per inviare anche contenuti video (la riuscita non è garantita dalla sola spedizione ma anche, particolare non trascurabile, dalla predisposizione allo specifico servizio delle apparecchiature riceventi). Con l’avvento dell’UMTS

19

è sorta la necessità di predisporre dispositivi per la ricezione di video in tempo reale; le dimensioni dello schermo e della tastiera sono aumentate, senza tuttavia compromettere la leggerezza e la facilità di trasporto.

La terza generazione di cellulari ha permesso nuovi servizi: i messaggi multimediali contenenti foto, clip audio o video; la registrazione e la visualizzazione di video; il download di file musicali, le video-telefonate; la videoconferenza. Esso ha dato vita ad un ibrido fra cellulare e computer palmare, lo smartphone, che permette di svolgere funzioni proprie di un ufficio mobile.

Infine l’UMTS converge con la televisione. Con l’UMTS <<la voce passa in secondo piano e si prospetta una serie di servizi che sconfinano nelle “riserve di caccia” del computer e del televisore, intrecciandosi con l’intrattenimento e con l’ufficio mobile. Le telefonate vere e proprie non sono più il centro propulsore dell’attività

17 Borrelli 2000 p. 44

18 Muratore, 2000

19 Universal Mobile Telecommunications System

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telefonica cellulare>>

20

. L’antica <<capacità e garanzia identificativa della voce

21

>>, combinata con le nuove potenzialità video degli smartphone, incoraggia e permette lo sviluppo di innovativi servizi quali la possibilità di inviare nostri messaggi vocali, contenuti MMS (Multimedia Message Service) o e-mail.

A parere di Petullà e Borrelli <<l’aggiunta delle funzionalità video sembra doversi ancora confrontare con il dissidio che si crea tra un’immagine che fissa lo sguardo, prende tempo e attiva la riflessione, e l’attacco e lo scorrere veloce della voce, così allineata alla contingenza e al soffio della vita, forse uno dei motivi di inquietudine associabile al medium telefono>>

22

.

Nel 2014 anche in Europa si è infine iniziata ad utilizzare la telefonia mobile 4G

23

indicando, relativamente a tale campo, le tecnologie e gli standard di quarta generazione successivi a quelli di terza generazione, che permettono quindi applicazioni multimediali avanzate e collegamenti dati con elevata banda passante.

1.1 Il terzo occhio

L’idea di associare immagini e telefonia risale a tempo fa

24

, ma si è soliti attribuire la paternità a Philippe Kahn, il quale l’11 giugno 1997 ideò un

20 Menduni 2007, p. 127

21 Petullà L.-Borrelli D. 2007, p. 22

22 Petullà L.-Borrelli D. 2007, p. 24

23 Acronimo di 4th (fourth) Generation

24 La prima presentazione al pubblico di un reale video-telefono era avvenuta all’interno di una fiera internazionale nel 1962 negli Stati Uniti. Ben presto essi cominciarono ad essere

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dispositivo per inviare via cellulare le foto della figlia appena nata. Poco dopo, nel 1999, l’operatore giapponese di telefonia Tu-ka lanciava un modulo per scattare foto in bianco e nero, accoppiabile al telefonino. Tuttavia, bisogna attendere fino al 2000 perché entri in commercio il primo telefonino con macchina fotografica incorporata, il modello j-sh04 della Sharp. Il telefono comprendeva un sensore cmos da 110.000 pixel ed uno schermo a 256 colori. Fu l’inizio di un matrimonio dal successo garantito. Il suo scopo iniziale, però, inviare e scambiare immagini come funzione aggiuntiva, non è stato finora la sua applicazione principale. Ad attrarre, della nuova funzione, è, a parere di Raphael Trache <<la possibilità di isolarne l’uso, convertendola in una fotocamera autonoma, slegata dal possibile invio immediato delle immagini catturate>>

25

. Ciononostante, questa camera, paragonabile per qualità a quelle normalmente presenti sul mercato amatoriale, non lo è ancora per ciò che concerne quelle professionali e più sofisticate

26

anche perché il phone cameramen, sostiene Tranche, scatta immagini senza poterne controllare la resa espressiva. Siamo di fronte ad un attrezzo che impone dei limiti, anche se tali limiti, grazie alla progressiva convergenza tra cellulari e fotocamere, stano ormai scomparendo.

commercializzati: il picco di vendite fu raggiunto nel 1973, ma in totale si registrarono solo 453 apparecchi venduti (per comprendere le ragioni del fallimento del videotelefono si veda Petullà L.-Borrelli D., Roma 2007, pp. 43-53); l’attuale lancio del videofonino ha invece registrato un successo strepitoso ed inatteso. <<Entrambi partivano spingendo sull’inserimento dell’elemento visivo ma, in entrambi i casi, vi è sullo sfondo uno scenario molto più ricco. L‘immagine che finalmente completa la conversazione, rendendola più naturale, deve fare da traino all’interconnessione della persona con un mondo di flussi informazionali gestito con i computer e le reti telematiche>>. (Petullà L.-Borrelli D., Roma 2007, p. 53).

25 Tranche R.-R., Immagini portatili: dallo schermo al computer in Odin R., (a cura di) Bianco e nero, fascicolo 568 Il cinema nell’epoca del videofonino, Roma 2010, pp. 46-55

26 Va segnalato che i parametri di base (messa a fuoco, diaframma, profondità di campo e variazione della focale) sono sempre più potenziati.

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Alla fine del 2009 la Samsung ha lanciato il modello di cellulare sch-w880, con fotocamera da 12 megapixel e zoom ottico 3x. La caratteristica più evidente di questo modello era il suo aspetto da fotocamera (compresa l’impugnatura), motivo per cui sarebbe più esatto definirlo una fotocamera che incorpora il cellulare. Sempre nel 2009 è comparso il primo telefonino con fotocamera HD (1280 x 720 pixel), il Mobile Hi-Vision Cam Wooo della Hitachi. Un effetto che deriva da questa evoluzione è la progressiva scomparsa della demarcazione tra macchina fotografica e videocamera, due funzioni che oggi confluiscono in un unico dispositivo.

In meno di dieci anni il cellulare è dunque diventato un oggetto e una pratica di massa. La sua materialità di oggetto non può essere sottovalutata:

gradevole al tatto, arrotondato, colorato, personalizzabile con suonerie o cover;

tutti aspetti che concorrono a riflettere la nostra personalità, anche davanti agli altri. L’oggetto si fonde con il nostro corpo, di cui è spesso una protesi, al cui orecchio sta attaccato dividendo con altri pochi oggetti riservati (il portafoglio, l’agenda, il pettine, il trucco) l’intimità della nostra borsa o tasca. L’uso del cellulare ha prodotto in pochi anni un fitto insieme di codici e di pratiche sociali, spesso condivisi, ed ha assunto una <<capacità camaleontica di stare in equilibrio tra pubblico e privato, fra la presenza in folle di persone e l’intimità di relazioni che riguardano solo noi>>

27

. Uno studioso francese, riferendosi all’uso itinerante di questi apparecchi all’interno dello spazio pubblico e alla loro capacità di

<<permettere contemporaneamente il ripiegamento sul sé e la gestione di alcune

27 Menduni 2007, p. 121

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23

interazioni sociali con la gente che sta attorno>>, ha definito tale fenomeno una

<<bolla comunicazionale>>

28

. Anche con il cellulare riusciamo a ritagliare uno spazio per noi, persino nei luoghi più affollati e con esso possiamo anche manifestare ostilità o disinteresse verso ciò che ci circonda. C’è ad ogni modo una circolazione tra sfera pubblica e privata che rende possibile una privatizzazione dello spazio pubblico ed una pubblicizzazione dello spazio privato.

Il telefonino è connesso ad una singola persona e ai suoi spostamenti;

esso è sempre personale, mentre il telefono fisso, nato come comunicazione di affari, era diventato un bene famigliare

29

: al telefonino ci si aspetta che ci risponda la persona che stiamo cercando, mentre al telefono fisso si cercava un membro di una famiglia provvista di apparecchio.

Il videotelefono mobile, o videofonino, è diventato un’apparecchiatura e un servizio disponibile a costi accessibili per una larga parte della popolazione mondiale – la più occidentalizzata-. Negli ultimi 10 anni la ricerca si è sforzata per renderlo “friendly” nell’uso e piacevole nel design ed è andata avanti nell’obiettivo di realizzare dei monitor con videocamera integrata che fossero in grado di mostrare in maniera adeguata il viso delle persone durante la conversazione.

28 Pierre Flicky, Storia della comunicazione moderna, Bologna 1991 pp. 272-273. Flicky fa l’esempio di un ragazzo con le cuffie che si isola dall’ambiente urbano che lo circonda: egli si porta dietro una sfera privata mentre attraversa una sfera pubblica, con un rimescolamento continuo dei due ambiti. Egli, così facendo, manda agli altri passanti un messaggio, affermando che la sua appartenenza alla società non è una resa senza condizioni e che lui continua a portarsi dietro la sua cultura. Con l’iPod, come con il telefonino, questa tendenza si accentua.

29 Menduni 2007, pp. 122-123

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È solo con l’emergere di una cultura di massa, segnalano Petullà e Borrelli

30

, che fa uso di personal computer in cui convergono molteplici funzioni che si può pensare a una videotelefonia che abbia capacità da raggiungere, in una qualche forma, un’adeguata diffusione. È un medium che abbraccia contemporaneamente la sfera pubblica e quella personale, esiste sia a livello individuale che sistemico, ed è una tecnologia fondante sia in termini infrastrutturali che esperienziali.

Il videofonino può certamente continuare ad essere visto come dispositivo dalla forte caratterizzazione individuale, nelle sfere utilitaristiche e/o più propriamente culturali. Tuttavia, va anche inquadrato in un <<sistema tecnologico di rete che vive comunque l’isteresi socio-tecnica tipica delle grandi infrastrutture moderne, e che dunque si confronta con le pratiche, i condizionamenti e le concezioni in sé imperanti, a cui spesso deve sottostare>>

31

. Come ci rammenta lo storico dei media Peppino Ortoleva

32

, il telefono è

<<l’esempio d’eccellenza di una rete sociale in quanto ha la funzione non solamente di fornire un servizio ma di permettere una varietà di relazioni (…) ed è un vero e proprio doppio, o un parallelo tecnologico del sistema delle relazioni sociali, che ne ripete la varietà, la complessità, la distribuzione>>.

La grande novità di incorporare nel telefono tante nuove funzioni e di renderle facilmente fruibili è un susseguirsi di sfide tecniche << poiché gli smart phone hanno molti vincoli. Il luogo fisico in cui operano, la capacità della batteria,

30 Petullà L.-Borrelli D., 2007, p. 16

31 Petullà L.-Borrelli D., 2007, p. 70

32 Ortoleva 1998, p. 86

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25

il campo del segnale, la larghezza dello schermo e il modo con cui ci interagiamo- ad esempio, non si ha a disposizione una tastiera->>.

Proprio nell’incontro con Internet e con i servizi multimediali, il telefono sembra perdere, almeno in parte, la sua caratteristica di medium personale totalmente interattivo e in cui i contenuti sono determinati interamente dagli utenti, per assumere una funzione che alla nascita gli era stata inizialmente attribuita, sia pure solo in via sperimentale: quella di <<terminale broadcast per la comunicazione da uno-a-molti di messaggi preconfezionati>>

33

.

La tecnologia UMTS in brevissimo tempo ha trasformato gli smartphones (telefoni intelligenti) nello strumento principale di accesso alla rete

34

ed ha permesso di assemblare al loro interno una serie di funzionalità anche di tipo informatico. Con questi telefonini si possono anche produrre e distribuire audiovisivi. Lorenzo Jovanotti nel 2006 ha diffuso un videoclip, Una storia d’amore, integralmente girato con un videofonino e montato su un computer portatile. Esiste anche la possibilità di inserire nella programmazione televisiva materiali autoprodotti dagli utenti con i loro cellulari UMTS; la compagnia telefonica 3 ci ha provato, ma ha dovuto sospendere il servizio perché l’esibizionismo degli autoproduttori realizzava contenuti a volte inopportuni

35

.

Come ha osservato Bettetini

36

<<da semplice telefono il cellulare tende a trasformarsi in una sorta di assistente personale PDA (Personal Digital assistant), in grado di aiutare l’utente nelle varie attività della giornata. Da strumento per la

33 Borrelli 2000 p. 44

34 La telefonia cellulare dà oggi la possibilità di accedere ad Internet attraverso il proprio cellulare da qualsiasi punto in cui ci si trovi.

35 Menduni, 2007, p. 129

36 Bettetini G.- Garassini S.- Gasparini B.- Vittadini N. 2001, pp. 125-130

(21)

26

composizione dei numeri la tastiera tende a trasformarsi in dispositivo di input per una serie di funzioni e lo schermo acquista un rilievo fondamentale>>.

Si tratta di un oggetto sempre con noi, “indossabile”, in grado di costruire una “bolla comunicativa” (o “cellspace” per usare la definizione degli statunitensi) che condividiamo con i nostri interlocutori, in una rete non soltanto tecnologica, ma fatta di <<sentimenti più che contenuti, di emozioni più che di razionalità>>

37

. In quanto oggetto il cellulare è carico di significati che vanno al di là delle sue semplici prestazioni tecnologiche.

Un articolo apparso su quotidiano “La Stampa” il 10 maggio 2013

38

titolava: “Più cellulari che persone nel mondo” e informava che secondo le previsioni dell’ITU

39

nel 2014 ci sarebbe stato un sorpasso storico: il numero degli abbonamenti alla telefonia mobile sottoscritti nel mondo avrebbe superato quello delle persone

40

.

<<Attualmente ci sono 6,8 miliardi di abbonamenti mobili e 7,1 miliardi di persone ma se il tasso di crescita continua ai livelli correnti il superamento sarà inevitabile. Globalmente il tasso di penetrazione della telefonia mobile è pari al 96%, nei paesi sviluppati il 128% e in quelli in via di sviluppo è l'89%. La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), l'erede dell'ex Unione Sovietica, ha il più alto tasso di penetrazione della telefonia mobile con 1,7 abbonamenti per ogni individuo.

37 Colombo 2012, p. 43

38 Carlo Lavalle, 2013

39 Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (agenzia specializzata delle Nazioni Unite)

40 Va segnalato che le statistiche relative alla penetrazione dei servizi mobili di telefonia (% di utenti) sono articolate geograficamente e spesso, essendoci in alcuni paesi l’abitudine di avere schede telefoniche multiple e di diversi operatori, le linee attive possono risultare leggermente superiori al numero di utenti possibili.

(22)

27

Viceversa l'Africa registra il dato più basso, con 63 abbonamenti ogni 100

abitanti >>.

(23)

28

2. I “veggenti” del videofonino:

Vertov, Astruc e il cinema Underground degli anni Sessanta

<<è di dominio pubblico che la storia del cinema (e della videoarte) sia punteggiata da visioni e realizzazioni profetiche>>

41

2.1 Dziga Vertov

La teorizzazione della potenza dell’occhio meccanico rispetto a quello umano è iniziata molto presto: già a partire dagli anni Venti si è verificata l'applicazione di dispositivi di visione particolari alla macchina da presa accanto alla sperimentazione di nuovi spazi e nuove modalità di presentazione delle opere

42

.

Si deve a Dziga Vertov la teorizzazione del kino-glaz, il cine-occhio, in base al quale l’occhio della macchina da presa è nettamente superiore a quello umano, fisiologicamente limitato

43

.

41 Traduzione personale del saggio di Marcheschi E., Videophone: A New Caméra-Stylo?, p. 392 In Casetti F.- Gaines J.-Valentina Re (a cura di), Dall’inizio, alla fine. Teorie del cinema in prospettiva.

Atti del XVI Convegno internazionale di studi sul cinema, 2010, pp. 389-394

42 Lischi 1996, p. 12

43 Io sono il cine-occhio. Io sono l’occhio-meccanico. Io, macchina, vi mostro il mondo, tale come soltanto io posso vederlo. Io libero me stesso da oggi per sempre dall’immobilità umana, io sono nel movimento incessante, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, io striscio sotto di loro, io mi arrampico su di loro, io avanzo accanto al muso di un cavallo che corre, io piombo a tutta velocità nella folla, io corro davanti ai soldati che caricano, io mi rovescio sul dorso, io mi sollevo assieme agli aeroplani, io cado e mi innalzo con i corpi che cadono e si innalzano …(. Liberato dai limiti temporali e spaziali, io confronto ogni punto dell’universo con la posizione in cui l’ho fissato.

La mia strada porta alla creazione di una percezione attuale del mondo. Ecco io decifro anche il modo nuovo un mondo a voi sconosciuto>>. Cit. in Lischi, 1996, pp. 33-34

(24)

29

Nel manifesto del kino-glaz il regista russo sostiene che ci sia bisogno di macchine da presa che abbiano determinate caratteristiche: esse dovrebbero essere leggerissime

44

(così da poter raggiungere ogni luogo anche da soli), versatili (che sappiano vedere anche nella notte o a raggi x) e svincolate dall’occhio umano. Egli prefigura una macchina da presa leggera, con occhi tentacolari che vadano ovunque, convinto che solo quello meccanico consenta di vedere il mondo in maniera nuova. Nel 1918 scriverà:<<Sto uscendo da una stazione ferroviaria (…). Mentre cammino rifletto: bisognerebbe ideare uno strumento capace non tanto di descrivere, ma di fissare, di fotografare questi suoni. Altrimenti sarà impossibile organizzarli, impossibile montarli. Altrimenti ci fuggiranno come ci fugge il tempo>>.

E: <<Noi non possiamo rendere migliori i nostri occhi di quanto essi non siano, ma possiamo perfezionare ininterrottamente la macchina da presa (...).

Fino ad oggi abbiamo usato violenza alla macchina da presa, l’abbiamo costretta a copiare il lavoro del nostro occhio. E quanto meglio era copiato, tanto migliore era ritenuta la ripresa. Noi da oggi liberiamo la macchina da presa e la facciamo lavorare nella direzione opposta, più lontano dalla copia. Fuori tutte le debolezze dell’occhio umano>>

45

. Ancora: <<Io sono il cine-occhio… io mi libero da oggi per sempre dall’immobilità umana, io sono nel movimento incessante, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, (…) io decifro anche in modo nuovo un mondo a voi sconosciuto>>

46

.

44 Al tempo ce n’erano di piccole, quasi amatoriali.

45 Lischi 1996, pp. 28-29

46 Lischi 1996, pp. 32-33

(25)

30

La macchina diventa dunque una protesi metaforica e reale del corpo, è umanizzata.

Vertov si chiede:<<Di che cosa abbiamo bisogno? 1. Veloci mezzi di spostamento; 2. Una pellicola di elevata sensibilità; 3. Delle piccole macchine da presa a mano ultraleggere…>> ed arriva a prefigurare occhi meccanici che ci facciano vedere l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande

47

.

Il cine-occhio, come evidenzia Lischi nel suo saggio sull'eredità di Vertov

48

, era pertanto un occhio più libero e perfetto di quello umano, che racchiudeva in se stesso molteplici qualità: velocità, sensibilità e lucentezza.

Questo occhio influenzò il lavoro di molti registi sperimentali e dell'avanguardia negli anni '60, come Stan Brackage e Jonas Mekas. La stessa Steina Vasulka, pioniera della videoarte, avvertì il grande potenziale dell'occhio elettronico rispetto a quello umano. <<Naturalmente furono coinvolti occhi tecnologici che, nel sacrificare la definizione delle immagini riprodotte, guadagnavano qualcosa in lucentezza, movimento e intimità. Un'intimità che, mentre si imponeva come un nuovo stile di ripresa video, identificava se stessa come il soggetto della ricerca in termini di riscoperta della vita quotidiana nella sua complessità di eventi e pensieri>>.

In un Simposio internazionale inerente all'eredità di Vertov svoltosi a Mosca nel giugno del 1992, Sandra Lischi si è soffermata a riflettere sullo storico divario che separerebbe il cinema dal video, inteso il primo come <<linguaggio

47 Lo stesso vale per Bill Viola che dirà che la videocamera non chiude mai la palpebra: essa può lavorare per l’eternità ed è un occhio che non sbatte mai le palpebre

48 Dal titolo “Dal cine-occhio al video-occhio: riflessioni sull’eredità di Vertov: quante, quali eredità?”, in Cine ma Video, 1996, pp. 25-50

(26)

31

della realtà>> e il secondo come <<concentrato di artificio>>. Ha evidenziato che se il lavoro di Vertov non è immediatamente assimilabile alle pratiche video- artistiche, certo il cine-occhio dialoga fittamente col video-occhio ed è possibile individuare <<tracce di echi inconsapevoli o di lucidissime riletture dell’opera di Vertov nell’audio-visione odierna>>

49

. Il regista russo del resto si vantava :<<Noi siamo stati i primi a fare dei film a mani nude, film forse rozzi, sconnessi, senza magnificenza, forse con alcuni difetti, ma cionondimeno opere necessarie, opere indispensabili, rivolte alla vita e richieste dalla vita>>.

Vertov annota

50

che <<il cine-occhio si serve di tutti i possibili mezzi di ripresa accessibili alla macchina da presa, cosicchè la ripresa rapida, la micro- ripresa, la ripresa inversa, la ripresa di disegni animati, la ripresa in movimento, la ripresa con gli scorci più imprevisti e così via non sono considerati come trucchi, ma come procedimenti normali, largamente usati>>

51

.

A tal proposito anche Epstein sostiene:<<è importantissimo rendere estremamente mobile l’apparecchio di ripresa; piazzarlo, automatico, in palloni da football lanciati in verticale, sulla sella di un cavallo al galoppo, su delle boe nel corso di una tempesta, nasconderlo nel sottosuolo, portarlo all’altezza del soffitto….>.

Abel Gance scriverà :<<L’apparecchio….l’ho attaccato all’uomo e l’ho fatto camminare, correre, girare la testa, cadere in ginocchio, alzare l’occhio dei

49 Lischi 1996, p. 25

50 Lischi 1996, p. 44

51 Gianni Toti nel 1967:<<Non basta essere “maestri della vista”, bisogna creare le cose da vedere (…). Gli entusiasti dello sguardo, del super-sguardo, della realtà e della conoscenza dell’uomo vero e vivo da mostrare e far conoscere e ri-conoscere non possono che tuffarsi nell’inesistente

“linguaggio della realtà”(…) riemergendone però asciutti e muti>>.

(27)

32

suoi obiettivi verso il cielo, ne ho fatto un essere vivente, un cervello e, meglio ancora: ho cercato di farne un cuore. Un cuore……>>.

Lischi conclude: <<In altre parole non è più l’occhio a essere l’organo operativo del movimento, è il dito, quello che preme i tasti, a far sì che l’immagine sia appunto digitale. Per fare un’immagine elettronica, non è tanto necessario saper vedere, quanto saper digitare. La tastiera ha la meglio sulla macchina da presa. È l’era del telecomando. O piuttosto, l’occhio e la mano si sono completamente separati. Ed è la mano a <<vedere>> per prima, a muoversi, a captare, a far nascere l’immagine. L’occhio, per parte sua, eventualmente controlla. Altrove. Filmare non è più guardare, misurare le distanze, cercare i modi di approccio più adatti. È toccare, palpare, andare a tentoni, infiltrarsi, prendere, carezzare, respingere. In video, può talvolta produrre esperienze forti: è il caso dell’invenzione, da parte di Jean-Paul Beauviala, della sorprendente caméra-paluche, questo <<occhio sulla punta delle dita>>, come è stata definita, e dall’uso che ne hanno fatto autori video come Jean-André Fieschi o Thierry Kuntzel>>

52

.

52 Lischi 1996, p. 97

(28)

33

2.2 Alexandre Astruc

Il teorico ed esponente della Nouvelle Vague nel testo La caméra stylo

53

, pubblicato nel 1949, paragona il lavoro del regista a quello di un altro scrittore: il cinema dovrebbe essere un linguaggio capace di ridisegnare le relazioni che gli esseri umani intrattengono tra loro e con le cose, rimanendo distante dal realismo, dal fantastico sociale, dal documentario poetico e dal film surrealista.

Egli sostiene che l'autore scrive con la macchina da presa come lo scrittore fa con un libro e ipotizza che il cinema potrebbe diventare il linguaggio più vasto e trasparente che esista. Egli, inoltre, parla del superamento del cinema-spettacolo grazie a forme più personali di produzione e di fruizione, riferendosi alla pellicola 16 mm e alla possibilità di vedere il film i luoghi diversi rispetto alla sala cinematografica

54

.

Il sogno di Astruc era andare in giro con una piccola telecamera che permettesse di mettere in luce il pensiero: anticipa così la creazione di mezzi leggeri

55

.

Marcheschi

56

ha evidenziato che <<rimuovendo la distinzione tra autore e regista e parlando di auteur à part entière come completamente responsabile del proprio lavoro, Astruc confronta il lavoro fatto con la videocamera con quello

53 Articolo pubblicato nel marzo del 1948 sull’Ecran Française e intitolato: «Naissance d'une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo>>.

54 Astruc parla della possibilità di vedere i film direttamente a casa, per poterli così gustare come si gusta una poesia

55 La tecnologia attuale permette di avere sempre con sé una piccola macchina da presa, come se fosse una penna

56 Marcheschi E., Videophone: A New Caméra-Stylo? In Casetti F.- Gaines J.-Valentina Re (a cura di), Dall’inizio, alla fine. Teorie del cinema in prospettiva. Atti del XVI Convegno internazionale di studi sul cinema, 2010, pp. 389-394

(29)

34

fatto da uno scrittore con la penna: la ripresa video dovrebbe diventare un linguaggio trasparente capace di descrivere i rapporti che gli esseri umani hanno con i loro simili e con le cose, lontano dal realismo e dalla fantasia sociale, il documentario poetico ed il film surreale>>. Riferendosi alla caméra stylo come ad un nuovo mezzo di comunicazione, egli avanza l'idea di oltrepassare lo spettacolo cinematografico usando mezzi di comunicazione di produzione più personale (e qua si riferisce all'uso della pellicola da 16 mm) anche attraverso l'esperienza visiva, che dovrebbe avere luogo in posti diversi dal cinema.

Tra il “cine-occhio” vertoviano e la caméra stylo esistono delle affinità che accomunano quelle tecnologie di ripresa, generalmente definite “amatoriali”, che dal 16 mm arrivano al video

57

.

Il videotelefonino si presenta in questo scenario come il mezzo tecnologico di comunicazione più simile ai concetto di cine-occhio e della caméra stylo. Piccolo più o meno come una penna, viene usato più di una videocamera digitale. L'essere portatile e la sua immediata disponibilità, sue principali caratteristiche, lo rendono il più veloce sistema di registrazione di eventi che accadono attorno a noi. Il videofonino batte qualunque altro strumento di ripresa in termini di disponibilità (è sempre lì), discrezione (è così piccolo da passare inosservato) e vince sul tempo, grazie alla possibilità di inviare i filmati istantaneamente e magari diffondendo ciò che è stato filmato. L'obiettivo del

57 Elena Marcheschi confrontando il cine-occhio di Vertov e la caméra stylo scrive che essi

<<hanno affinità, le stesse che segnano l'analogia tra l'8 mm e la Super-8 fino al video, tecnologie che hanno minato il campo istituzionale, suggerendo nuovi soggetti e modi di vedere e che in qualche modo hanno contribuito a ridurre o rendere meno chiaro il confine tra registi amatoriali e professionali. Questo è un confine che la rivoluzione digitale tende a cancellare ancora di più, sia in termini di produzione che di distribuzione, grazie alla disponibilità di computer e software facilmente reperibili sul mercato>>. Marcheschi E., In Casetti F.- Gaines J.-Valentina Re (a cura di), 2010, pp. 389-394

(30)

35

videofonino è cinico, segnala Elena Marcheschi, ma è per sua stessa natura libero dal bisogno di editing, ed è tagliato per lo sviluppo di nuove forme di giornalismo, ovvero il cosiddetto Citizien Journalism, un genere che, a parere della Mazzoleni

58

, sancisce il trionfo dello sguardo anonimo e la vista dell'uomo in strada. In questo senso è un mezzo di comunicazione che possiede una qualità spontanea ed immediata sconosciuta alle macchine fotografiche digitali o addirittura alle cineprese.

2.3 Youngblood e il cinema Underground anni ’60 e ‘70

Fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 negli Stati Uniti e in Europa cominciano a diffondersi le attrezzature video portatili e non a caso proprio allora ha inizio una riflessione teorica sulle invenzioni tecnologiche e sulla possibilità di creare mezzi di ripresa piccoli ed estremamente maneggevoli. Jonas Mekas e Stan Brakhage, esponenti del Cinema sperimentale Underground degli anni ’60, ritengono fluidità, leggerezza ed economicità, requisiti necessari per realizzare film nuovi che <<saranno fatti ovunque e con chiunque>>. Dagli scritti di Brakhage emerge in particolare la convinzione della necessità di un atteggiamento “amatoriale” e solitario, perchè l’autore oltre a lavorare in modo indipendente, deve mantenere una relazione intima e quotidiana con le macchine da presa, preferibilmente16 e 8 mm.

58 Mazzoleni, 2006

(31)

36

Negli anni ’70, con la diffusione del portapack, tutto questo è sembrato diventare realtà

59

. L’ebbrezza data dalla registrazione e dalla resa simultanea dei fatti, dal poter cancellare e riscrivere come su una lavagna (la caméra stylo prefigurata da Astruc nel 1948), dalla possibilità di riprese potenzialmente ininterrotte hanno provocato, allora, <<un tuffo anti-televisivo e anti-censorio nella realtà: telecamera come arma di lotta>> che ha dato vita alle riprese di strada e al video-verità dei primi anni ’70, con le loro goffaggini e i disturbi del suono e dell’immagine: <<un’immediatezza talvolta rozza>>

60

. In ambito videoartistico tra i primi sperimentatori in questo senso vanno segnalati Steina e Woody Vasulka.

A proposito della ricerche di Steina, Marita Sturken

61

scrive: <<Steina durante gli anni ’70, ha lavorato con video nei quali riusciva ad organizzare meccanismi sempre più complessi. Prima ha fissato le telecamere, poi le ha fatte girare su piattaforme ruotanti e quindi ha aggiunto specchi ed altri effetti ottici.

(…) Steina è riuscita a strappare la sua opera video dalla relazione con il linguaggio cinematografico>>.

Linguaggio video e cinematografico coincideranno proprio con l’avvento del videofonino.

Scrive Steina: <<C’è una visione umana e una visione della macchina.

Perché noi umani dovremmo sempre cercare di imporre la nostra visione del mondo?>>.

59 Benchè quei primi strumenti ci appaiono ora pesanti e complicati rispetto alle handycam odierne

60 Lischi 1996, pp. 26-27

61 Cit. in Lischi 1996, p. 28

(32)

37

In quegli anni Gene Youngblood pubblicava Expanded cinema

62

: tra i suoi concetti di cinema espanso, l'autore include sia il nuovo linguaggio del video che il computer, ma anche <<i film olografici ed attività quali le performance dal vivo e composizioni audio-visive>>. Tra i punti fondamentali del saggio c'è la presa in esame dei primissimi esperimenti di film fatti col computer ed egli mostra apprezzamento verso coloro che utilizzano la videocamera come diario, per filmare momenti privati della propria vita e non solo necessariamente con finalità narrativa.

L’euforia di quegli anni nei confronti di una restituzione integrale degli eventi nel loro farsi, per riprese finalmente senza interruzioni, va di pari passo con la scoperta delle molte possibilità di alterazione della dimensione temporale dell’immagine elettronica; grande attenzione viene data al ralenti

63

.

Dziga Vertov, Alexandre Astruc e gli esponenti del cinema sperimentale underground e della videoarte dell'epoca, pur distanti cronologicamente gli uni dagli altri, sono pertanto accomunati dalla ricerca mezzi leggeri e duttili che, occhi tentacolari e mobili, permettano una visione completa e diversificata.

Oggi il videofonino, grazie alle sue caratteristiche di intimità, immediatezza e leggerezza, sembra quindi presentarsi come il dispositivo di finzione delle immagini più vicino all’universo vertoviano, alle teorie di Astruc e a quel modo di fare cinema “leggero” e indipendente promosso con forza della stagione sperimentale Underground.

62 Testo scritto all'età di 25 anni, nel 1970

63 Si pensi ad esempio ai lavori di Bill Viola e alla pratica dell'attesa intesa come illuminazione/rivelazione

(33)

38

Nel 1996 Sandra Lischi si domandava <<Come potranno unirsi il piacere del cinema, le straordinarie e visionarie immaginazioni consentite dall’elettronica? E come potranno incontrarsi la tensione, la forza sociale, l’urgenza di un certo sguardo <<documentario>> e la creazione di nuovi linguaggi, raccogliendo i lontani insegnamenti di Dziga Vertov?>>

64

. La studiosa concludeva :<<La caméra stylo (macchina da presa-penna) auspicata e teorizzata da Alexander Astruc alla fine degli anni ’40 comincia a scrivere davvero?>>

65

.

64 S. Lischi “Cinema-video e ritorno. Trent’anni di ricerca fra arte e tecnologia” in Cosetta Saba G.

(a cura di), Bologna 2006, pp. 221-222

65 Anche Elena Marcheschi si chiede <<Il videofonino, una nuova caméra stylo? Questa volta sembra che la profezia si sia avverata...>>. In Casetti F.- Gaines J.-Valentina Re (a cura di), Dall’inizio, alla fine. Teorie del cinema in prospettiva, 2010, pp. 389-394.

(34)

39

3. Videofonino: quali caratteristiche?

Il telefono mobile fa parte della nostra vita al punto che siamo arrivati a considerarlo una protesi naturale, qualcosa di organico e di inorganico insieme.

Inglobato nel nostro corpo e nella nostra vita di relazione, questo oggetto così giovane ha determinato svolte radicali nei comportamenti e nei linguaggi dell’intera società. Eppure non molti anni fa sembrava un gadget di alto costo e scarsa utilità, un tipico bene di consumo vistoso per le élites.

Dalla metà degli anni Novanta, in concomitanza con l’avvento del GSM, e in Italia con la progressiva liberalizzazione del mercato, il cellulare è divenuto un fenomeno di massa e negli ultimi anni la sua crescente diffusione fra i giovani ne ha fatto un vero e proprio medium, che anche le generazioni più anziane hanno imparato a utilizzare. Anni decisivi per noi e per il nostro modo di vivere.

Colombo

66

osserva che oggi scegliamo prima l’oggetto, e poi lo utilizziamo per quello che ci serve e che quindi non ci deve sorprendere se il cellulare presenta alcune caratteristiche tipiche degli oggetti che ci circondano: la leggerezza, la piccolezza, il nomadismo.

Per ciò che concerne la leggerezza, <<il telefono mobile – in quanto oggetto- partecipa anch’esso del progressivo alleggerimento delle società avanzate. Ma, da un certo punto di vista, la diminuzione della sua consistenza va di pari passo con la trasformazione del suo ruolo. Il telefono fisso era legato alla

66 Colombo 2001, p. 12

(35)

40

casa, mentre il cellulare, così leggero, fa parte di una rete (di una vita) più impalpabile. Pensiamo alla fisicità della rete telefonica fissa: fili ovunque, alti pali, una modifica visibile del paesaggio. E ora immaginiamo il flusso continuo ma invisibile delle onde elettromagnetiche, che viaggiano da un’emissione ad una ricezione secondo una legge che è insieme assolutamente scientifica e totalmente magica, almeno nella sue percezione(…) In fin dei conti, se la rete fissa assomiglia ai mezzi di trasporto (le ferrovie, le autostrade, i tram), la rete mobile è invece una specie di metafora della telepatia: ci si “sente” più che ascoltarsi. Non percepire in mano (o in tasca, o in borsa, o in valigia) il peso del proprio cellulare accentua la sensazione telepatica, la comunione invisibile con la nostra rete di colleghi, conoscenti, amici, parenti. In questo senso, il cellulare deve essere leggero, da sempre, anche se soltanto da poco lo è diventato>>

67

.

Con il passare degli anni il cellulare si è inoltre miniaturizzato divenendo sempre più piatto, mentre il suo display è divenuto a colori e sempre più grande, per favorire la navigazione in Internet ad una velocità paragonabile a quella dei PC.

Colombo evidenzia infine nel nomadismo un ulteriore punto di forza del videofonino: esso, piccolo e leggero, ci può seguire ovunque e fa pertanto parte di una categoria specifica: gli “oggetti nomadi”

68

.

Il telefono nomade è sempre con noi e ci collega con una rete fitta, ma invisibile. <<La nostra condizione di cyborg

69

può inquietare qualcuno, ma certamente ci permette una densità di rapporti comunicativi quale mai è stata

67 Colombo F., Milano 2001, pp. 14-15

68 Colombo (Milano 2001, p. 19) riprende la definizione da uno studioso francese: Jacques Attali.

69 Colombo fa riferimento agli studi dell’americana Donna Haraway

(36)

41

presente sul pianeta. Concentriamoci su quello che accade quando ci dimentichiamo il telefono da qualche parte: in macchina, a casa quando andiamo al lavoro, al lavoro quando torniamo a casa, e poi al ristorante, in un negozio etc.

A un certo punto avvertiamo che manca qualcosa, come un suono che ci ha sempre, inavvertitamente accompagnato, e che improvvisamente cessa. Ci paralizziamo un istante. Siamo attanagliati dal sospetto. Poi ci tastiamo nel luogo abituale che contiene il cellulare. Ecco, lì, nel momento preciso in cui ci rendiamo conto dell’assenza, che cosa sentiamo davvero? Non è come perdere un oggetto qualunque. Si avvicina di più alla sensazione dello smarrimento di un documento (che ci inquieta perché fa traballare la nostra identità sociale), ma è più intensa.

Siamo senza non qualcosa di nostro, ma qualcosa di noi stessi, la nostra antenna nel mondo. Il cellulare è un piccolo, leggero oggetto nomade che ci accompagna.

A volte ci appartiene, a volte gli apparteniamo>>

70

.

Maurizio Ferraris ed Enrico Terrone

71

, utilizzando il lessico heideggeriano di Essere e Tempo, hanno individuato altri tre tratti salienti del videofonino:

1- Jemeinigkeit, il suo essere proprio mio, individuale, personalizzato, in opposizione a un telefono fisso, domestico, che può appartenere a più persone.

2- Zuhandenheit, il suo essere a portata di mano che fa sì che esso possa essere maneggiato in qualsiasi momento e situazione.

70 Colombo F., Milano 2001, pp. 21-22

71 Ferraris M. - Terrone E., Doppia firma. Ontologia del mobile movie, in Odin R., (a cura di) Bianco e nero, fascicolo 568 Il cinema nell’epoca del videofonino, Roma 2010,pp. 18-27

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