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3- L’analisi del Business Model nelle Equity Research di Borsa Italiana: una ricerca empirica

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3- L’analisi del Business Model nelle Equity Research di Borsa Italiana: una ricerca empirica

La letteratura riguardo gli studi prodotti dagli analisti finanziari è relativamente recente, in gran parte di matrice anglosassone e si può ricondurre a due filoni di ricerca principali: il primo ha indagato le cause e le conseguenze della raccomandazione e del target price forniti dall’analista, soffermandosi in particolare sul loro legame con l’accuratezza delle previsioni effettuate sugli utili, sulla scelta dei vari metodi valutativi e sulle reazioni del mercato.

Il secondo filone si è invece posto l’obiettivo di capire quali siano le informazioni che gli analisti utilizzano per giungere ad un determinato target price: le indagini sono state di tipo qualitativo ed è stata usata spesso la content analysis per cercare di capire quali siano gli elementi che influiscono maggiormente sull’esito finale del report.

Il primo filone di ricerca ha riscosso molto più interesse, tanto da parte del mondo accademico come dalla comunità finanziaria in senso stretto, a causa del ruolo sempre più importante e dibattuto che hanno gli output delle valutazioni compiute dagli analisti sull’equilibrio dei mercati finanziari e per le molteplici sfaccettature in cui si sono potute dividere le singole ricerche.

Il secondo filone di ricerca precedentemente citato ha indagato quali informazioni stanno alla base di una raccomandazione, ricorrendo alla tecnica delle content analysis.

3.1 Obiettivo della ricerca

Con questa ricerca ci ricolleghiamo al secondo filone di studi presente in

letteratura, analizzando le Equity Research prodotte dagli analisti finanziari da

una prospettiva particolare, quella appunto del Business Model. Dopo aver

trattato nel primo capitolo l’evoluzione di tale concetto e la sua crescente

importanza tanto nel mondo accademico quanto nella vita quotidiana delle

imprese, si è deciso di studiare se e come gli analisti finanziari considerano il

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Business Model delle imprese che valutano nei loro report, alla luce dei diversi problemi che abbiamo esaminato nel secondo capitolo riguardo la figura dell’analista e il suo ruolo all’interno dei mercati finanziari.

La suddetta analisi empirica, in quanto focalizzata soltanto sul Business Model, non ha antecedenti in letteratura. È stata svolta sul mercato italiano poiché le ricerche appartenenti al secondo filone, oltre ad essere scarse, sono rivolte esclusivamente al mercato statunitense, quindi è interessante osservare se nel contesto del nostro paese alcuni risultati si confermano o meno, tenendo sempre presente la nostra limitata prospettiva di analisi.

A sostegno di tale scelta si aggiungono due notevoli elementi che differenziano il mercato italiano delle Equity Research da quello statunitense: la carenza del sistema legislativo italiano in materia di obblighi di disclosure da parte degli analisti ed il diverso regime di accessibilità alle Equity Research da parte del pubblico degli investitori. L’unico problema evidente nella scelta del mercato italiano quale oggetto di studio è il ridotto numero di società attive nel “mercato dei report” e la forte concentrazione di queste.

1

3.2 Metodologia della ricerca

Poiché non esiste in dottrina una definizione condivisa del termine Business Model, la ricerca è stata svolta facendo riferimento a due modelli interpretativi differenti e ad alcune domande ulteriori utili allo scopo del presente lavoro. I modelli scelti sono il Canvas di Osterwalder e il Qmat utilizzato dalla Borsa Italiana, entrambi trattati nel primo capitolo del presente lavoro.

Per quanto riguarda il Canvas, tale modello pare essere tra tutti quello più in voga nella quotidiana pratica aziendale, avendo riscosso molto successo nel mondo della consulenza direzionale e negli ambiti più strettamente manageriali e imprenditoriali. Molti imprenditori, manager e consulenti di successo hanno dichiarato di utilizzarlo nelle rispettive attività lavorative elencandone i numerosi vantaggi applicativi e molti di essi hanno addirittura partecipato in prima persona

1 Cfr. paragrafo 2.1

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195

alla stesura dell’ultimo libro di Osterwalder.

2

La facilità e la rapidità di utilizzo, la comprensibilità, l’impatto visuale e non ultima anche l’ottima opera di divulgazione che il suo autore sta facendo in giro per il mondo, con conferenze e workshop sul tema, sono gli elementi principali del successo di questo modello.

Riguardo al Qmat, la scelta è stata certamente più agevole: esso rappresenta un documento ufficiale adottato da un’istituzione importante quale Borsa Italiana nell’adempimento delle proprie funzioni per definire e schematizzare il Business Model delle aziende nella fase di quotazione. La letteratura in materia è in gran parte di matrice anglosassone e dunque non lo cita, ma è indubbio che nel contesto italiano, che con questa ricerca si va ad esaminare, esso abbia un valore fondamentale. A Borsa Italiana si deve inoltre l’onore di essere stato il primo ente a promuovere la diffusione e l’utilizzo del termine Business Model in Italia.

3

La ricerca è stata svolta leggendo analiticamente tutte le informazioni di tipo qualitativo fornite dagli analisti nelle Equity Research e compilando di conseguenza una tabella Excel che comprendeva da un lato l’elenco di tutti i report esaminati e dall’altro una griglia valutativa appositamente creata, nella quale hanno trovato spazio le domande a cui le imprese devono rispondere nella redazione del Qmat, i nove blocchi riassuntivi del Business Model secondo la versione del Canvas e ulteriori domande. Ad ogni report letto seguiva la compilazione della tabella in base alle informazioni in esso trovate.

3.2.1 Selezione del campione

In un primo momento sono state considerate tutte le Equity Research presenti sul sito della Borsa Italiana a partire dal 01/01/2013 fino al 18/11/2013, data in cui ha preso avvio la ricerca. Tali documenti sono stati suddivisi in due modi: per società produttrice dello studio e nelle due macroclassi ‘Financial’ e ‘Non Financial’, a seconda del settore industriale della società valutata.

2 Osterwalder A. et al., 2012, op.cit.

3 Bubbio A. et al., 2012, op.cit., p.24

(4)

196

Il risultato finale è stato di 970 studi, di cui 157 appartenenti al settore Financial e 813 ai rimanenti settori Non Financial, pubblicati da 17 società diverse.

Società Numero

Ricerche

Financial Non Financial

Merrill Lynch 201 41 160

Kepler 152 21 131

Citigroup 108 41 67

Intermonte 104 25 79

Banca IMI 86 8 78

Banca Akros 86 0 86

Axia 74 0 74

Equita SIM SpA 46 6 40

Mediobanca 33 0 33

Integrae Spa 19 7 12

Twice Research Srl 18 1 17

Banca Aletti 14 1 13

Centrobanca 13 1 12

Cheuvreux 6 1 5

ICBPI

4

5 5 0

UBI Banca 4 0 4

Twice 1 0 1

Totale 970 157 813

La distribuzione del numero di ricerche per società produttrice è molto disomogenea e conferma la forte concentrazione di questo mercato:

5

ben 8 società ne hanno prodotte meno di 20, altre 5 invece tra i 20 e i 100 ed infine le 4 società più attive ne hanno pubblicate più di 100.

4 Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane SpA

5 Si conferma dunque quanto già anticipato nel paragrafo 3.2.

(5)

197

Le ricerche su aziende appartenenti al settore Financial corrispondono al 16,18%

del totale e possiamo notare che circa l’80% di queste è concentrato nelle 4 società più attive e che alcune società produttrici di Equity Research si esimono dall’emanare report su tali aziende, probabilmente perché non hanno analisti interni esperti su tale settore.

In seguito a questa prima fase di raccolta dei dati, è stato deciso un metodo per selezionare il campione: avendo notato, dopo una lettura preliminare, che i report che riguardavano società Financial non presentavano differenze significative con gli altri, sono stati presi in esame entrambi, eliminando l’ipotesi iniziale di condurre un’analisi settoriale.

Per quel che attiene alla selezione del campione, sono state eliminate le quattro società che nel periodo considerato avevano prodotto meno di dieci report, in quanto ritenute poco significative. Per le rimanenti è stato applicato il seguente criterio: selezione casuale del 10% dei report prodotti da ogni società, con arrotondamento all’unità più vicina, ponendo come vincolo un numero minimo di cinque studi per ognuna, per conferire una sufficiente rappresentatività all’interno del campione. Di conseguenza, le cinque società che avevano prodotto tra i dieci ed i cinquanta report sono state pesate in modo maggiore rispetto alle altre.

Laddove presenti, agli studi Financial è stato dato un maggior peso, al fine di averne un numero totale adeguato e anche perché il fatto che alcune società non ne avessero alcuno, esigeva che le altre sopperissero a tale mancanza.

Il campione finale che si è venuto a costituire è composto da 111 Equity Research, 36 delle quali hanno come oggetto società Financial e 75 società Non Financial ed è così formato:

Società Numero

Ricerche

Financial Non Financial

Merrill Lynch 20 10 10

Kepler 15 7 8

Citigroup 11 5 6

(6)

198

Intermonte 10 5 5

Banca IMI 9 2 7

Banca Akros 9 0 9

Axia 7 0 7

Equita SIM SpA 5 2 3

Mediobanca 5 0 5

Integrae Spa 5 2 3

TwiceResearchSrl 5 1 4

Banca Aletti 5 1 4

Centrobanca 5 1 4

Totale 111 36 75

3.2.2 Analisi preliminare ed ulteriore suddivisione del campione

La prima fase della ricerca è stata una lettura preliminare di alcune Equity Research del campione, per acquisire confidenza con questo genere di documento. La prima osservazione che è venuta spontanea è stata che ogni società che produce le ricerche ha un proprio modello redazionale per esse, anzi talvolta anche più di uno, di modo che la comparabilità tra i report risulta molto complicata.

In secondo luogo, è stato notato che ogni report ha una sua motivazione editoriale, talvolta molto specifica, che ne giustifica la pubblicazione: nella maggior parte dei casi questa è indicata nella prima pagina in alto, nei restanti essa è comunque facilmente intuibile.

Queste due osservazioni preliminari hanno influenzato lo svolgimento della

ricerca nel senso che la prima l’ha resa più complessa, appunto per la minor

confrontabilità delle sezioni narrative delle Equity Research, mentre la seconda

ha indotto ad una ulteriore suddivisione del campione, in quanto è stato chiaro fin

dall’inizio il collegamento tra il genere di report pubblicato e le informazioni che

in esso venivano fornite.

(7)

199

La suddivisione per tipologia di report è sembrata utile per poter capire se ed in che modo la motivazione della ricerca influenzi gli analisti finanziari nell’inserimento di informazioni di tipo qualitativo all’interno della stessa.

I risultati che sono conseguiti da questa operazione sono i seguenti: più della metà degli studi, ben 60, riguardano il commento dei risultati – o in pochi casi l’attesa per gli stessi – della società analizzata e sono redatti solitamente nei giorni appena successivi al rilascio del bilancio annuale, semestrale o trimestrale da parte di quest’ultima, occasioni che spesso coincidono con le presentazioni della società agli analisti; 15 sono Initial Coverage o New Coverage, cioè rappresentano la prima Equity Research che l’analista pubblica su di una determinata società, in alcuni casi perché questa si è quotata da poco, in altri si tratta semplicemente di una scelta aziendale che intende coprire con le proprie ricerche anche tale società; 11 sono Company Update,

6

nei quali l’analista fornisce un aggiornamento sulla situazione generale della società, senza un motivo particolare; 6 sono commenti dei risultati della società in esame a cui si aggiunge una notizia particolare; 6 sono relativi ad annunci di nuovi obiettivi aziendali, per la precisione quattro business plan, un financial plan e una dichiarazione di nuovi target da parte del management; 5 si riferiscono ad operazioni di finanza straordinaria, tra cui tre mergers and acquisitions, un aumento di capitale ed uno scorporo; 4 sono commenti a dei cambiamenti nella governance aziendale, due nella figura del CEO (Chief Executive Officer) e altri due nella struttura azionaria; 2 sono dei downgrade del rating di alcune tipologie di obbligazioni o di altri strumenti finanziari emessi dalle società esaminate ed infine 2 sono Industry Overview

7

nelle quali è menzionata anche la società in esame.

6Il termine Company Update si ritrova in molte altre Equity Research, ma soltanto in questi 11 casi abbiamo un aggiornamento generale sulla società, svincolato da novità particolari; nei restanti casi il termine è sempre accompagnato da una motivazione particolare che ha spinto alla redazione del report, la quale ci ha indotti a classificarli diversamente .

7 L’Industry Overview è una tipologia di Studio Societario in cui l’analista affronta alcune tematiche chiave di un particolare settore e confronta alcune delle società più rappresentative di questo. E’ diverso dagli “Studi di Settore” svolti dagli analisti, anch’essi fruibili dal sito di Borsa Italiana, i quali trattano in modo più specifico le problematiche e le caratteristiche di un determinato settore.

(8)

200

La seguente tabella riassume i risultati trovati:

Tipologia di ricerca Numero di ricerche e % sul totale

Commento dei risultati 60 54,05%

Initial Coverage 15 13,51%

Company update 11 9,91%

Commenti dei risultati + notizia particolare

6 5,4%

Annuncio di nuovi obiettivi aziendali 6 5,4%

Operazioni di finanza straordinaria 5 4,5%

Cambiamenti nella governance aziendale 4 3,6%

Downgrade rating strumenti finanziari 2 1,8%

Industry Overview 2 1,8%

3.2.3 La griglia valutativa

Una volta selezionato il campione, con le suddivisioni per macrosettore analizzato e per tipologia di report effettuato dall’analista, è stato necessario elaborare una griglia di valutazione per poter proseguire con la ricerca. Tale griglia è stata suddivisa in tre aree: la prima relativa al Qmat, la seconda al Canvas e la terza ad ulteriori domande.

Riguardo al Qmat, si richiede di indicare per ogni funzione del Business Model di ogni Sbu (Strategic business unit) i seguenti elementi:

 una descrizione

 i fattori critici (Kfs) necessari per operare con successo

8

 le risorse impiegate dalla società

 le competenze distintive di cui la società dispone

 se viene gestita internamente o in outsourcing (make or buy)

8 “I fattori critici di successo (Kfs) sono gli elementi necessari per operare, in ogni fase del Business Model, in modo efficace e con risultati superiori rispetto ai concorrenti. I Kfs dipendono dalla qualità e dalla quantità delle risorse impiegate e dalle competenze distintive maturate in ogni fase” (Borsa Italiana, 2012, op.cit.)

(9)

201

Nella stesura della griglia, è stato preliminarmente verificato se nello Studio Societario vi fosse una descrizione suddivisa per funzioni aziendali e, in caso affermativo, come si potesse rispondere alle domande seguenti.

Da una lettura preliminare delle Equity Research, è stato notato che alcune informazioni, in particolare riguardo al make or buy, potevano ritrovarsi all’interno delle stesse, anche qualora non fosse presente un’analisi dettagliata suddivisa per funzioni, di conseguenza queste informazioni sono state ricercate lungo tutto il testo.

Il Qmat richiede anche un’analisi dell’eventuale vantaggio competitivo derivante dal Business Model, da condurre per ogni Sbu, che in questa sede è stata riproposta schematizzata in tre domande precise:

 è indicato il vantaggio competitivo derivante dal modo in cui le funzioni si combinano e completano tra loro?

 in quale modo viene espresso? (prezzo, costi, valore percepito dal cliente)

9

 è posta enfasi sulle differenze con i competitors?

Per queste tre domande è stata di grande aiuto una content analysis sui termini

‘vantaggio competitivo’ e ‘competitors’, ma una lettura attenta del testo si è rivelata comunque necessaria.

Alla prima domanda è stata data risposta affermativa anche nei casi in cui l’indicazione del vantaggio competitivo non era esplicitamente legata al Business Model ed analogamente, alla terza domanda si è risposto affermativamente anche qualora l’enfasi sulle differenze con i competitors fosse legata ad un aspetto particolare della società slegato dal suo Business Model oppure si trovasse in un altro paragrafo della sezione narrativa dell’Equity Research rispetto a quello che trattava il vantaggio competitivo.

Infine, poiché nella Nota metodologica del Qmat è riportato che “per alcune tematiche di particolare rilevanza si richiede alla società di compilare apposite

9 Il Qmat propone una tavola con tre esempi per indicare il vantaggio competitivo: “1)- l’elevamento posizionamento del marchio consente un premium price del 20%; 2)- la Società detiene un brevetto industriale che le consente di risparmiare il 15% dei costi produttivi rispetto alla media del settore; 3)- la Società ha una struttura distributiva più capillare (100 punti vendita in più nel mercato di riferimento rispetto al principale competitor)”. La tavola indica anche l’importanza che ogni singola funzione aziendale ha nella determinazione del suddetto vantaggio competitivo.

(10)

202

tavole di approfondimento (focus) fornendo le risposte alle domande indicate nelle tavole stesse”,

10

come ultima domanda relativa alla sezione del Qmat è stato verificato se venisse fatto un focus da parte degli analisti su una particolare tematica.

Nelle ultime tre pagine del primo capitolo del Qmat, relativo al Business Model, sono riportati in modo molto analitico i dati che le imprese devono compilare per i tre focus che possono essere tenute a compilare: questi riguardano le funzioni R&D, Produzione e Sales & Marketing.

Nell’individuazione di tali focus, in un primo momento, ci si è attenuti a queste puntuali indicazioni pubblicate nel documento di Borsa Italiana, che non hanno portato nemmeno un risultato positivo, in quanto eccessivamente analitiche nella loro formulazione. E’ stato dunque deciso di considerare come focus, ai fini di questa analisi, la presenza di una vasta e dettagliata sezione narrativa incentrata su una determinata funzione aziendale, indipendentemente dal fatto che questa descriva tutti i punti elencati nei tre esempi forniti dal Qmat.

Riguardo alla seconda area di analisi, è stato molto più semplice trovare gli elementi che componessero la griglia in quanto il modello Canvas è già di per sé molto schematico con i suoi nove blocchi. Le informazioni da ricercare nelle Equity Research di conseguenza corrispondevano a questi ultimi:

 partnership chiave

 risorse chiave

 attività chiave

 struttura dei costi

 modello dei ricavi

 canali distributivi

 relazioni con i clienti

 segmenti dei clienti

 valore offerto

In un primo momento si è proceduto alla compilazione della griglia utilizzando una content analysis per ognuno dei termini da esaminare: si andava alla ricerca

10 Borsa Italiana, 2012, op.cit.

(11)

203

della parola chiave e di altre che facevano diretto riferimento ad essa, come argomentato nel libro esplicativo del Canvas.

11

Ad esempio, per la ‘Struttura dei costi’ sono stati ricercati i seguenti termini: ‘costi variabili’, ‘costi fissi’,

‘economie di scala’ ed ‘economie di scopo’; per il ‘Modello dei ricavi’ invece questi altri: ‘vendite’, ‘commissioni’, ‘prestiti’, ‘noleggio’, ’leasing’, ‘quote di iscrizione’, ‘canone d’uso’, ‘licenze’ e ‘pubblicità’; per i ‘Segmenti dei clienti’, termini come ‘nicchia’, ‘piattaforma multi-sided’, ‘segmentazione’,

‘diversificazione’ e via dicendo per le restanti voci.

Con il prosieguo del lavoro ci si è accorti che un tale modello di analisi non era completamente efficace e poteva essere migliorato, almeno per due motivi: in diversi casi vi era un chiaro riferimento all’elemento che stavamo cercando pur senza l’utilizzo diretto di alcuno dei termini chiave selezionati in precedenza; in altri casi, assai più numerosi, l’analista riportava una delle parole chiave, ma dalla lettura della frase in cui questa si trovava non era possibile dedurre alcuna informazione sull’elemento che si stava valutando, di conseguenza tale parola in quel dato contesto non era significativa per esprimere il concetto che si cercava.

In conclusione si è utilizzato un’analisi sostanziale delle sezioni narrative delle Equity Research, ricercando eventuali descrizioni degli elementi in esame, tenendo ben presente l’aiuto delle parole chiave dapprima selezionate, ma non affidandoci soltanto su di esse.

La terza area della griglia valutativa comprende otto domande che sono state ritenute utili per i fini della presente ricerca:

 c’è comunicazione da parte dell’analista con esponenti della società riguardo cambiamenti nel Business Model di questa?

 l’analista tiene conto di eventuali cambiamenti nel Business Model per l’elaborazione delle stime future?

 l’analista fornisce dati sul Business Model storico?

 l’analista sottolinea eventuali problemi e/o rischi nel Business Model attuale?

11 Osterwalder A. et al., 2012, op.cit., p.20-41

(12)

204

 se vi sono più Business Model nella società, questi vengono menzionati separatamente?

 se sì, vengono risaltate le sinergie e le interdipendenze tra di loro?

 c’è un riferimento esplicito al termine Business Model?

 c’è un riferimento esplicito ad un termine simile?

Per rispondere alla prima domanda, sono stati utili alcuni termini chiave come

‘conference call’ e ‘meeting’, ma una disamina attenta dell’intero testo è stata comunque necessaria per capire se l’elemento ricercato sussisteva o meno.

Per la seconda domanda ci si è concentrati sulle apposite sezioni in cui gli analisti descrivono le loro previsioni sui risultati futuri delle società, andando a verificare se ci fosse un riferimento esplicito ad una revisione delle previsioni causata da una modifica della strategia aziendale o del Business Model. È stata inclusa anche la strategia aziendale per la semplice considerazione che una variazione di questa comporta un’inevitabile modifica anche nel Business Model.

Per quanto riguarda la domanda seguente, si sono considerate in un primo momento tutte le sezioni delle Equity Research in cui si argomentava la storia della società, per poi selezionare al loro interno quelle in cui veniva trattato più specificamente il Business Model o almeno uno dei suoi elementi, secondo le definizioni di entrambi i modelli interpretativi adoperati nella presente ricerca.

L’approccio seguito per la quarta domanda ricalca in buona parte quello impiegato per la seconda: anche qui ci si è soffermati, laddove presenti, sulle sezioni degli Studi Societari in cui venivano trattati i rischi aziendali, mentre in caso contrario si è proceduto alla lettura del testo per intero; inoltre si sono considerati anche i rischi ed i problemi attinenti la strategia aziendale ed il posizionamento competitivo all’interno del settore di riferimento, in quanto questi si riflettono in rischi e problemi riguardanti anche il Business Model.

Quest’ultima considerazione, analogamente a quella fatta sopra per la seconda

domanda, non è un semplice artificio per aumentare il numero dei risultati, ma è

la conseguenza del fatto che talvolta è complicato analizzare il Business Model

di una società in modo isolato, senza tenere adeguatamente in considerazione

l’intera fase di definizione e attuazione della strategia.

(13)

205

Per la quinta e la sesta domanda si è cercato di capire attraverso la lettura del report se la società avesse più di un Business Model al suo interno e in tal caso come questi fossero descritti: se ciò fosse a malapena accennato, se ci fosse una descrizione sommaria e/o una ripartizione dei risultati per ogni Sbu, oppure se ci fosse una descrizione analitica per ognuno di essi. Questa classificazione è stata decisa dopo aver visionato diversi Studi Societari ed è parsa la più rappresentativa.

All’interno delle società con più di un Business Model, si sono poi cercate informazioni sulle sinergie e sulle interdipendenze tra di essi, anche se solo potenziali.

Rispondere alle ultime due domande è stato molto più semplice poiché si è fatto, come la maggior parte delle ricerche empiriche sul tema della disclosure del Business Model,

12

una content analysis, prima per il termine Business Model, poi per altri che abbiamo ritenuto appartenenti alla stessa area semantica o talvolta addirittura utilizzati come sostituti dello stesso: sono stati scelti ‘Business Plan’,

’Distribution Model’, ‘Revenue Model’, ‘Modello Organizzativo’, ‘Production Model’, ‘Strategic Plan’ e ‘Business Strategy’.

13

3.2.3.1 Il metodo di completamento della griglia

Per la maggior parte delle domande presenti nella griglia di valutazione è stato ritenuto opportuno completare quest’ultima semplicemente con un sì o con un no, a seconda dell’indicazione che si riceveva dalla lettura, e non con una scala di punteggi per ogni informazione ricercata, come è stato fatto in altre ricerche empiriche sul tema.

14

12

Bambagiotti-Alberti L., Giunta F., Verrucchi F., Business Model disclosure: is there any gap to fill?, Università di Firenze, Dipartimento di Business Administration, 2007; Bagnoli C, Redigolo G., 2011, op.cit. ad esempio

13 Sono stati considerati anche i corrispondenti termini nella traduzione dall’inglese all’italiano, ove presenti.

14 Bambagiotti-Alberti L. et al., 2007, op.cit. Gli autori nella loro ricerca empirica sulla disclosure del modello di business da parte delle imprese, utilizzano una scala di punteggi da 0 a 3 per ogni elemento ricercato allo scopo di misurare il grado di effettività e di ampiezza dell’informazione eventualmente fornita.

(14)

206

Questa scelta si deve alla difficoltà e all’arbitrarietà nella decisione e nell’applicazione di una tale scala di valori e alla struttura stessa della griglia di valutazione, per la quale era sufficiente capire se l’analista valutasse o meno un dato elemento e non anche quanto e come lo facesse, poiché la diversità dei due modelli utilizzati ha permesso di porre le domande in modo tale da capire ciò anche senza usare una scala di punteggi.

Da considerare anche il fatto che “è possibile che alcuni temi siano per loro natura sintetici, cosicché una trattazione più ampia non ne arricchisce la portata informativa, o che richiedano una trattazione di ampiezza molto variabile da impresa a impresa. Inoltre, in assenza di restrizioni alla lunghezza di un documento, un’impresa potrebbe decidere di utilizzare un’ingente quantità di parole “vuote” per annacquare l’importanza di fatti significativi o, addirittura, per evitare la divulgazione di informazioni specifiche”.

15

Come vedremo nel prossimo paragrafo, in cui si mostreranno i risultati della ricerca, per alcune domande sono state fatte ulteriori specificazioni e classificazioni in quanto ritenute significative.

3.3 Risultati della ricerca

In seguito alla descrizione delle metodologie della ricerca, si riportano i risultati di questa, dapprima in modo sintetico e in un secondo momento in modo più analitico, suddividendoli in base alla discriminante delle tipologie di Studi Societari, come descritte in precedenza.

15 Bagnoli C., Redigolo G., 2011, op.cit., p.15. Gli autori si riferiscono ai documenti di bilancio delle imprese, in particolare alla Relazione sulla Gestione. Crediamo comunque di poter estrapolare la loro osservazione nel contesto degli Studi Societari redatti dagli analisti finanziari, mantenendone il significato originario.

(15)

207

3.3.1 Risultati generali

Riguardo alle domande relative al modello interpretativo del Qmat, si hanno i seguenti esiti:

- Per ogni funzione aziendale:

Domande Numero risultati

Descrizione 4

Fonti di vantaggio competitivo 5

Risorse impiegate 5

Competenze distintive 8

Make or buy 15

Le 15 risposte affermative alla domanda sul ‘make or buy’ comprendono al loro interno 7 ‘make all’, nei quali si sottolinea la completa integrazione verticale della società esaminata, mentre nei restanti casi vengono citate una o più fasi della catena produttiva che vengono esternalizzate, per tre motivi principali: in quanto poco redditizie, molto semplici da eseguire, oppure perché considerate attività non strategiche.

- Per ogni Sbu:

Domande Numero risultati

Indicazione vantaggio competitivo 30

Se sì, in che modo 30

Enfasi sulle differenze con i concorrenti

25

Alcune considerazioni interessanti da fare su queste tre risposte:

(16)

208

- le prime due sono totalmente coincidenti, segno che l’indicazione del vantaggio competitivo non è mai data in maniera generica, ma viene sempre accompagnata da una spiegazione.

- all’interno dei 30 risultati positivi si trovano due indicazioni di svantaggio competitivo (causato dall’eccessivo indebitamento) e quattro di essi sono forniti riguardo ad una sola delle Sbu della società.

- la modalità di vantaggio competitivo più riscontrata è un riferimento, talvolta generico, ad un maggior valore offerto (o percepito tale dai clienti), con ben 9 riferimenti; seguono con 4 l’accenno ad una posizione di premium price e con 3 l’elevata visibilità del brand e la posizione di leader di mercato.

- le risposte affermative alla terza domanda sono solo parzialmente corrispondenti con quelle delle due precedenti: 14 su 25 sono le stesse che si trovano nelle due precedenti, le altre 11 invece no. Ciò conferma quanto già anticipato, cioè che l’enfasi sulle differenze con i concorrenti non è necessariamente legata all’analisi del vantaggio competitivo, anzi talvolta è presente quando quest’ultima è assente e viceversa.

L’ultima domanda, riguardo ad un eventuale focus su una o più funzioni o processi fondamentali ha riscontrato 9 risposte affermative, tra le quali prevale nettamente il focus sulla funzione distributiva con 4 risultati.

Osservando la configurazione di Business Model adottata da Osterwalder, i suoi 9 blocchi caratteristici presentano il seguente esito alla conclusione della ricerca:

Domande Numero di risultati

Partnership chiave 28

Attività chiave 61

Risorse chiave 44

Struttura dei costi 55

Modello dei ricavi 75

Segmenti dei clienti 45

Canali distributivi 42

(17)

209

Relazioni con i clienti 15

Value proposition 50

Nonostante i numeri più significativi, non è stata effettuata una ulteriore classificazione di queste risposte, per diversi motivi: spesso ‘il blocco’ era presentato in modo molto generico, cosicché la risposta poteva darsi come affermativa, ma un’ulteriore classificazione sarebbe stata complicata; in altri casi veniva invece descritto così approfonditamente che una sua successiva catalogazione con altre risposte sarebbe risultata forzata e non veritiera; infine, in molte Equity Research, per ogni blocco del modello Canvas, si avevano più risposte: ad esempio, le risorse o le attività chiave erano più di una, la struttura dei costi o dei ricavi presentava più voci e via dicendo, di modo che non era semplice capire quale fosse, ammesso che esistesse, l’elemento prevalente.

I motivi sopra elencati avrebbero dunque reso difficoltosa e poco significativa una specificazione successiva dei risultati dei 9 blocchi del Canvas, perciò si è preferito presentare soltanto l’esito finale delle risposte.

Le ulteriori domande che sono state indagate nella ricerca presentano i seguenti risultati:

Domande Numero di risultati

Comunicazione con la società riguardo cambiamenti nel Business Model

23

16

Cambiamenti nel B.M. incidono sulle stime future

37

Presenza dati sul B.M. storico 25 Problemi/rischi nel B.M. attuale 77 Descrizione separata dei diversi B.M. 70 Sinergie/interdipendenze tra i B.M. 14

16 All’interno di questa voce, si ritiene opportuno menzionare quattro riferimenti espliciti alla disclosure aziendale, presenti in altrettanti Studi Societari, che sembrano utili al dibattito sulla comunicazione economico-finanziaria ed in particolare alla tematica della domanda di informazioni da parte degli analisti finanziari, fruitori principali dei documenti emanati dalle imprese. I diversi riferimenti definiscono la disclosure dell’azienda esaminata rispettivamente: buona ed efficace; limitata; scarsa; opaca.

(18)

210

Citazioni del termine “Business Model” 51 in 29 Equity Research

17

Citazioni di termini simili 55 in 29 Equity Research

Riguardo alla terza domanda, è stato deciso di considerare come risposte affermative anche quelle che trattavano soltanto la storia della società, senza alcun riferimento diretto al suo Business Model, in quanto dall’evoluzione storica, anche se presentata in pochi punti chiave, si possono dedurre delle notizie interessanti sul Business Model e i suoi cambiamenti nell’arco del tempo:

ben 11 risposte su 25, pari al 44%, sono di questo genere. Le restanti non analizzano mai l’evoluzione storica dell’intero Business Model, ma soltanto quella di uno o più dei suoi elementi, in quanto ciò, oltre a richiedere una conoscenza della società molto approfondita, risulterebbe anche molto lungo e complesso.

La domanda sulla considerazione dei problemi o dei rischi inerenti al Business Model è quella che ha incontrato maggiori risposte in quanto molto spesso nelle Equity Research si trovano sezioni dedicate alla descrizione dei rischi aziendali o dei rischi inerenti alla valutazione dell’azienda in esame, nelle quali si sono trovate informazioni riguardanti il Business Model, talvolta in via diretta, altrimenti in via più indiretta trattando i rischi generali della società.

Quest’ultimo genere di rischi, seppur più generico rispetto a quelli direttamente collegabili alla presenza di un determinato Business Model, è stato considerato come risposta positiva, in quanto un rischio a livello generale per la società si rispecchia anche in un rischio per l’attuazione del suo Business Model e soprattutto molto spesso risulta essere un elemento rilevante per l’analisi di quest’ultimo, in quanto una o più modifiche nel Business Model potrebbero mitigare o addirittura eliminare il suddetto rischio.

A causa della presenza delle sezioni degli Studi Societari dedicate ai rischi aziendali, questi risultano essere molto spesso più di uno, in diversi casi anche tre

17 In un’occasione viene sottolineata apertamente l’importanza di avere Business Model simili quando si selezionano le comparables nell’applicazione della metodologia di valutazione dei multipli di mercato.

Ciò è un ulteriore segnale della crescente importanza del concetto di Business Model nel mondo della valutazione d’azienda.

(19)

211

o quattro insieme, cosicché è stato deciso di selezionare la risposta come affermativa ogni volta in cui era presente almeno un rischio e di trascrivere in un altro file le tipologie di rischio ogni volta segnalate dall’analista. La presenza di tali sezioni ha fatto sì che la quasi totalità delle risposte alla nostra domanda riguardasse i rischi del Business Model e non i suoi problemi costitutivi: questi ultimi, considerati anche in via indiretta attraverso i problemi generali della società, si sono ritrovati soltanto in pochissimi casi nei quali si faceva riferimento ad una particolare dipendenza della società da un determinato fattore per il mantenimento della sua redditività o per lo svolgimento della sua attività caratteristica.

Dal file precedentemente citato emerge che i rischi più menzionati sono: il rischio di mercato (citato 39 volte), il rischio paese (32) ed infine il rischio operativo (17). Meritano considerazione anche i rischi di tasso e di cambio (10 entrambi), il rischio finanziario (8) ed il rischio di settore (5).

La domanda successiva, riguardante l’eventuale descrizione separata dei diversi Business Model presenti in una società, ha riscontrato ben 70 casi in cui risulta presente tale pluralità e secondo la classificazione esposta in precedenza

18

sono così suddivisi: 27 ‘cenni’, 33 ‘descrizioni sommarie e/o ripartizioni dei risultati per ogni Sbu’ e 10 ‘sì analiticamente’.

Le eventuali sinergie o interdipendenze tra i diversi Business Model presenti in una società vengono descritte con una frequenza molto minore e i 14 casi in cui ciò accade sono distribuiti omogeneamente tra i tre diversi tipi di descrizioni considerati nella domanda precedente. Essi trattano prevalentemente delle sinergie e risultano così suddivisi: 3 sinergie distributive, 2 commerciali, 1 passata, 3 future/potenziali e le altre generiche.

Entrando invece nel merito dell’ultima domanda, il termine che risulta di gran lunga più citato è ‘Business Plan’ (39);

19

lo seguono a larga distanza,

‘Distribution Model’ (5) e ‘Strategic Plan’ (4).

18 Si veda il paragrafo 3.3.3

19 Compresa la traduzione italiana ‘ Piano Industriale’

(20)

212

Degno di nota il fatto che sia soltanto un caso che i risultati positivi siano 29, al pari della domanda precedente riguardo le citazioni del termine Business Model, poiché soltanto 7 di questi sono coincidenti.

3.3.2 Risultati per tipologia di Equity Research

Scendiamo adesso nel dettaglio di ogni voce della griglia di valutazione per osservare i risultati della ricerca in modo più analitico, attraverso la suddivisione di questi per tipologia di Equity Research.

Come già anticipato, questo criterio discriminante non era stato preventivato prima dell’inizio di questo lavoro e soltanto dopo aver letto alcuni Studi Societari ci si è accorti dell’utilità di indagare i risultati della presente ricerca anche attraverso questo genere di ripartizione, poiché fin dalle prime letture è risultato più che evidente il legame tra la motivazione editoriale sottostante ad una Equity Research e il contenuto delle informazioni qualitative in essa presenti.

L’obiettivo è dunque di verificare in che misura la tipologia di Equity Research influenza gli analisti finanziari nell’erogazione delle informazioni qualitative, nel presente caso riguardanti il solo Business Model, anche se l’indagine potrebbe senza alcun problema allargarsi a tutte le altre.

Seguendo questo indirizzo di ricerca, si è quindi proceduto con la selezione delle tipologie di Equity Research più ricche di informazioni qualitative sul Business Model e dunque più significative per il nostro scopo.

Tale selezione è stata svolta contando sulla nostra griglia di valutazione, per ogni tipologia di Equity Research, il numero totale di risultati positivi presenti per tutte le domande che sono state indagate. In seguito, tale risultato aggregato è stato diviso per il numero di report presenti con tale motivazione editoriale alla base, di modo che siamo giunti ad avere il numero medio di risultati positivi alle domande poste nella griglia per ogni tipologia editoriale di Equity Research.

Il rischio di questo procedimento era che alcune di queste tipologie fossero

pesate in misura eccessivamente scarsa, in quanto ben sei su nove tra quelle

trovate sono presenti in misura inferiore a sette unità all’interno del campione. Al

contrario, possiamo essere certi che queste ultime non sono state sopravvalutate,

(21)

213

poiché hanno tutte e sei presentato risultati molto scarsi, mentre non si può dire lo stesso di una loro eventuale sottovalutazione, e questo rimane un limite di questa ricerca, anche se è logico ritenere che le suddette motivazioni editoriali siano talmente specifiche che gli analisti, nei rispettivi Studi Societari, si limitino a fornire gli elementi informativi coerenti con tale motivazione editoriale, i quali, per quanto esaustivi e precisi possano essere, ricoprono in genere soltanto pochissime delle domande su cui ci siamo interrogati con la nostra griglia.

In conclusione, le tipologie di Equity Research che sono state selezionate sono due: le Initial Coverage (o New Coverage) e le Company Update. I risultati positivi sono elevati per entrambe, in particolare per le Initial Coverage, e ciò conferma il fatto che quanto più è generico l’oggetto della motivazione editoriale, tanto maggiore sarà il contenuto di informazione qualitativa presente al suo interno: lo stesso vale anche nel caso in cui sia la prima volta che un analista pubblica un report su di una determinata società, poiché prima di esso non ha mai fornito alcuna informazione né quantitativa né qualitativa a riguardo.

Sono stati esclusi tutti gli altri, a dimostrazione del fatto che una motivazione editoriale eccessivamente specifica comporta un ridotto contenuto di informazioni qualitative.

Degna di nota l’esclusione della categoria dei Commenti dei risultati, che risultava essere nettamente la più presente con il 54,05% delle presenze sul totale del campione: in tutti questi casi, le sezioni narrative dei documenti analizzati, oltre ad essere tendenzialmente ridotte, si concentravano in maggior parte su commenti quantitativi, quali ad esempio le differenze tra i risultati attesi dall’analista e quelli effettivamente verificatisi, le revisioni delle stime fatte sulla base di tali nuovi risultati e alcuni indici di bilancio.

Tra tutte le tipologie di Equity Research escluse merita una segnalazione

l’Annuncio di nuovi obiettivi aziendali, che più delle altre si è avvicinata ad

entrare tra quelle selezionate per lo scopo di questa analisi, ma non vi è

comunque stata inserita in quanto i risultati che la riguardavano, seppur migliori

delle altre tipologie, non sono apparsi all’altezza delle due precedentemente

selezionate. Tale buona performance all’interno della griglia conferma la

(22)

214

precedente ipotesi, cioè il fatto che al diminuire della specificità della motivazione editoriale del documento, aumenta la consistenza della sezione narrativa sulle informazioni qualitative.

Presentiamo di seguito i dati relativi a questa ulteriore ricerca divisi per le tre diverse aree della griglia di valutazione, per conferire maggior comodità alla lettura.

Per quanto riguarda la prima area della griglia di valutazione, relativa al Qmat, sono presentati di seguito i risultati di questa seconda indagine:

Domande Numero risultati Numero Risultati (In.Cov.&Comp.Up)

% risultati

In.Cov.&Comp.U p. sul totale

Descrizione 4 3,6% 4 100% 15,4%

Fonti di V.C. 5 4,5% 5 100% 19,2%

Risorse impiegate 5 4,5% 4 80% 15,4%

Competenze distintive

8 7,2% 5 62,5% 19,2%

Make or buy 15 13,5% 7 46,6% 26,9%

Indicazione V.C 30 27% 14 46,6% 53,8%

Modalità V.C. 30 27% 14 46,6% 53,8%

Enfasi sulle

differenze con i concorrenti

25 22,5% 13 52% 50%

Focus 9 8,1% 6 66,6% 23,1%

Riguardo alla seconda area della griglia di valutazione, che tratta le domande relative al modello Canvas, i risultati sono i seguenti:

Domande Numero risultati Numero Risultati (Init.Cov.&Comp.

% risultati

In.Cov.&Comp.

(23)

215

Up.) Up. sul totale

Partnership chiave 28 25,2% 10 35,7% 38,5%

Attività chiave 61 54,9% 21 34,4% 80,8%

Risorse chiave 44 39,6% 17 38,6% 65,3%

Struttura dei costi 55 49,5% 17 30,9% 65,3%

Modello dei ricavi 75 67,5% 25 33,3% 96,1%

Segmenti dei clienti 45 40,5% 22 48,9% 84,6%

Canali distributivi 42 37,8% 14 33,3% 53,8%

Relazioni con i clienti 15 13,5% 10 66,6% 38,5%

Value proposition 50 45% 23 46% 88,5%

L’ultima area della griglia di valutazione presenta questi risultati:

Domande Numero risultati Numero Risultati (Init.Cov.&Comp.

Up.)

% risultati In.Cov.&Comp.

Up. sul totale Comunicazione con

la società riguardo cambiamenti nel Business Model

23 20,7% 6 26,1% 23,1%

Cambiamenti nel B.M. incidono sulle stime future

37 33,3% 14 37,8% 53,8%

Presenza dati sul B.M. storico

25 22,5% 15 60% 57,7%

Problemi/rischi nel B.M. attuale

77 69,4% 22 28,6% 84,6%

Descrizione separata dei diversi B.M.

70 63,1% 24 34,3% 92,3%

Sinergie/interdipende 14 12,6% 8 57,1% 30,8%

(24)

216

nze tra i B.M.

Citazioni del termine

“Business Model”

29 26,1% 13 44,8% 50%

Citazioni di termini simili

29 26,1% 13 44,8% 50%

Nella prima colonna si trova l’elemento della griglia di valutazione, nella seconda i risultati in numero assoluto che per esso sono stati rilevati, così come presentati nel paragrafo precedente, con l’aggiunta del suddetto risultato in termini percentuali sul totale dei 111 report esaminati.

Nella terza colonna è riportato il risultato per ogni voce, anche qui sia in termini assoluti che percentuali, considerando però soltanto le risposte positive provenienti dalle due tipologie di Equity Research prescelte per questa analisi: le Initial Coverage e le Company Update. Il risultato percentuale in questa sede non viene fornito in rapporto al numero totale delle Equity Research esaminate, ma al numero delle risposte affermative presente di volta in volta per ogni domanda.

Nell’ultima colonna è semplicemente trascritto in termini percentuali il rapporto tra il risultato (in valore assoluto) della colonna precedente e il numero totale delle Equity Research delle due tipologie considerate. Quest’ultimo numero è pari a 26 (15 Initial Coverage e 11 Company Update) e in rapporto al totale dei 111 Studi Societari esaminati, rappresenta il 23,4% di questi.

Tale valore è molto importante per questa analisi, poiché ogni volta che la percentuale presente nella terza colonna risulta maggiore di questo, ciò significa che, per quella data domanda, le due tipologie di Equity Research selezionate presentano un maggior contenuto informativo rispetto alle altre, confermando quindi l’ipotesi iniziale che ha dato avvio a questa suddivisione della ricerca.

Il valore presente nella quarta colonna testa l’ipotesi per cui l’informazione

ricercata è presente nelle due tipologie di Equity Research selezionate: essa

talvolta ha dei valori prossimi al 100% e ciò significa che nella quasi totalità

delle Initial Coverage e delle Company Update esaminate l’informazione

ricercata è presente; in alcuni casi tale valore è invece estremamente basso, ma

(25)

217

ciò va letto alla luce del fatto che l’informazione in questione è scarsamente presente nell’intero campione di Studi Societari selezionati e non soltanto in tali due tipologie.

Per chiarire il senso dei valori percentuali riportati e ribadire come quello presente nella terza colonna sia il più importante, si commenta un caso specifico:

le prime tre domande del Qmat hanno riscontrato dei valori molto bassi, pari a circa il 4% del totale degli Studi Societari esaminati e circa il 15-20% delle due tipologie selezionate. Se si osserva il dato della terza colonna, si intuisce subito che tali informazioni, per quanto rare, sono presenti quasi esclusivamente nelle due tipologie di Equity Research selezionate e quindi l’ipotesi iniziale di una maggior contenuto informativo di queste viene confermata.

Il valore presente nella quarta colonna ha dunque un maggior significato qualora risulti elevato il valore della seconda colonna, ovvero se l’informazione ricercata è presente in un numero sufficientemente grande di report.

3.3.3 Commenti

I risultati evidenziati mostrano fin troppo chiaramente quanto il Business Model nella versione intesa dal Qmat sia eccessivamente analitico per poter essere riproposto nei report degli analisti finanziari.

I risultati delle prime quattro domande sono emblematici in tal proposito e dimostrano che soltanto nelle Initial Coverage e nelle Company Update è possibile una riproposizione integrale dello schema del Qmat: il dato positivo che se ne trae è il fatto che l’analista tiene conto del modello Qmat nelle sue elaborazioni, in quanto lo riproduce egli stesso; il dato negativo è che lo fa soltanto in rare occasioni, quelle appunto che presentano un contenuto descrittivo maggiore e che vengono redatte poco dopo l’invio del modello Qmat originale della società a Borsa Italiana.

Sempre nel merito delle richieste presenti nel Qmat, le domande riguardo il make

or buy, le caratteristiche del vantaggio competitivo e le differenze con i

concorrenti, hanno trovato un numero superiore di risposte, probabilmente a

(26)

218

causa della loro maggiore rilevanza strategica, la più semplice riconoscibilità e la descrizione più generica rispetto alle voci precedenti.

L’ultima domanda del Qmat ha avuto invece un esito scarso, non soltanto a causa del ridotto numero di focus ravvisati all’interno delle Equity Research, ma perché la maggior parte di questi si concentrava su argomenti che non si ricollegavano né a delle funzioni né a dei processi aziendali.

Il modello di Osterwalder, al contrario del Qmat, ha fornito una discreta quantità di risposte affermative.

Ad una prima lettura dei dati emerge subito come il Modello dei ricavi sia, tra i 9 elementi del Canvas, quello con il maggior numero di risposte, a conferma dell’elevata attenzione da parte degli analisti per tale elemento quantitativo, fondamentale tanto per la sopravvivenza come per il successo di un’impresa.

Stupisce lo scarso risultato del blocco delle Relazioni con i clienti, probabilmente perché rispetto a tutti gli altri è il più complicato da riconoscere e da catalogare.

È auspicabile che l’incidenza di tale elemento aumenti nelle valutazioni compiute dagli analisti in quanto all’interno di uno scenario ipercompetitivo come quello attuale, il rapporto con il cliente, la sua fidelizzazione e l’utilizzo positivo dei suoi feedback stanno diventando sempre più importanti.

Si può supporre che le Partnership chiave risultino poco citate dagli analisti per il semplice motivo che non sono sempre presenti, ma è interessante notare che per esse risulta meno significativo il contributo delle due tipologie di Equity Research selezionate per l’analisi, dunque si può concludere che tale elemento è considerato strategico e rilevante dagli analisti perché presente in egual misura anche nei report che contengono una sezione narrativa più ridotta.

Una considerazione analoga può essere fatta per i Canali distributivi e per la Struttura dei costi, nonostante che per tali elementi i risultati siano migliori:

anche in questi due casi gli elementi sono citati in modo abbastanza omogeneo

tra le diverse tipologie editoriali di Equity Research e non si registra dunque una

netta prevalenza all’interno delle Initial Coverage e delle Company Update come

avviene invece per le altre voci.

(27)

219

La maggior parte delle volte la Struttura dei costi non viene argomentata analiticamente, ma soltanto descritta in modo rapido e con molti riferimenti numerici, in particolare riguardo alla sua evoluzione.

20

I Canali distributivi invece sono spesso oggetto di approfondite descrizioni, talvolta anche di focus, poiché vengono ritenuti un elemento strategico importante per le aziende commerciali.

Per i rimanenti blocchi del modello Canvas i risultati sono nella media rispetto agli altri (tra il 40 e il 55%) e vale la considerazione generale per cui le due tipologie di modelli redazionali prescelte per la nostra indagine hanno una forte preminenza sulle altre. L’unico dato che appare interessante è il maggior numero di risultati per le Attività chiave rispetto alle Risorse chiave, probabilmente dovuto al fatto che le prime spesso sono rappresentate da elementi strategici evidenti, tangibili e misurabili, mentre le seconde talvolta sono immateriali e difficilmente quantificabili.

In conclusione, tra i due modelli interpretativi di Business Model, il Canvas è risultato nettamente il più rappresentato all’interno delle Equity Research del campione esaminato, mentre il Qmat si è dimostrato chiaramente troppo analitico e complesso per poter essere riportato puntualmente in tali documenti, i quali contengono nella maggior parte dei casi soltanto poche pagine descrittive.

Soltanto nel 3,6% dei casi gli elementi del Qmat sono presenti in modo integrale, seppur in essi non si ritrovi mai una sezione narrativa del documento impostata interamente alla stessa maniera del Qmat, eccetto che per il grafico che riassume tutte le funzioni aziendali, il quale è presente anche in diverse Equity Research tra quelle che citano il termine Business Model e in poche altre che utilizzano termini simili.

Quanto appena detto è un chiaro segnale del fatto che gli analisti leggono attentamente i Qmat redatti dalle imprese e che preferiscono rielaborarli nel modo più adatto per la loro presentazione piuttosto che ricopiarli pedissequamente.

20 Si conferma quanto argomentato nel paragrafo 3.1

(28)

220

Per quanto riguarda i buoni risultati riscontrati dal modello Canvas in questa ricerca, è doveroso fare la seguente precisazione: in nessun caso vi è un riferimento esplicito all’utilizzo di tale modello né i suoi elementi vengono descritti in modo organico o con una visione d’insieme all’interno del medesimo paragrafo di una sezione narrativa.

Tali risultati si spiegano semplicemente col fatto che, essendo i nove blocchi del Canvas molto generici, è molto probabile trovare una loro descrizione, o anche un semplice cenno, all’interno di un paragrafo delle Equity Research che non tratta specificamente del suddetto elemento o del Business Model.

Sulla base di quanto detto si prova ad azzardare un’idea per una descrizione ottimale dei Business Model aziendali all’interno delle Equity Research: nel caso delle Initial Coverage e delle Company Update, dove la sezione narrativa generalmente è più ampia, gli analisti potrebbero, come in buona parte già fanno, prendere spunto dal modello Qmat, riportandone anche i grafici e gli eventuali focus presenti, e fornendo una descrizione più attenta delle modalità in cui si esplica il vantaggio competitivo; per quanto riguarda le rimanenti tipologie editoriali, nonostante spesso le sezioni narrative siano volutamente molto brevi, sarebbe comunque interessante spiegare il Business Model della società analizzata ed il modo più efficace per farlo sarebbe l’utilizzo grafico del modello Canvas, il quale è semplice, chiaro e completo.

Infine, anche dai dati rilevati dalla terza area della griglia valutativa si possono ricavare alcune indicazioni interessanti, in primis il fatto che l’analisi svolta per tipologia di Equity Research non si è dimostrata efficace.

I risultati riguardo la comunicazione da parte degli analisti con esponenti della società esaminata sono scarsi, ma ciò non rispecchia la realtà dei fatti, poiché la maggior parte della letteratura finanziaria sostiene che la fonte informativa prediletta dagli analisti è appunto il contatto diretto con il management aziendale,

21

assieme alla lettura dei bilanci.

Ciò può essere confermato anche dal fatto che un numero rilevante di Equity Research viene pubblicato nei giorni immediatamente successivi ad una

21 Corvi E., 2000, op.cit.; Aiaf, 2009, op.cit.

(29)

221

presentazione agli analisti da parte della società esaminata.

22

E’ dunque molto probabile che tale informazione non sia inserita nei documenti pubblicati poiché data per scontata.

A livello temporale, le informazioni predilette dagli analisti sono quelle relative a previsioni future e non quelle passate. Queste ultime vengono date nei pochi casi in cui si vuole fare una panoramica storica della società o in cui si rivela utile analizzare l’evoluzione di uno o più elementi, ma le informazioni di tipo previsionale sono certamente più importanti, in quanto influiscono sulle stime e dunque sulla raccomandazione finale.

Nonostante soltanto in un terzo dei report analizzati vi sia un chiaro riferimento ad una revisione delle stime dovuta ad un cambiamento nel Business Model, si ritiene comunque tale dato particolarmente significativo, poiché è molto probabile che non sempre si abbiano cambiamenti nel Business Model tali da giustificare una revisione delle stime e che quindi nei casi in cui ciò si verifica, l’analista è subito pronto a considerarlo.

I problemi ed in particolare i rischi presenti nel Business Model sono ampiamente trattati in un gran numero di Equity Research per i motivi spiegati in precedenza.

23

Quando sono presenti più Business Model in una sola società, si può notare come la loro descrizione sia funzione della lunghezza della sezione narrativa dell’Equity Research: soltanto nel 14,3% dei casi

24

si ha una descrizione analitica, mentre nei restanti si ha soltanto un cenno oppure una brevissima presentazione, spesso accompagnata dall’esposizione dei risultati della società divisi per tipologia di business, per prodotto o per area geografica.

La descrizione delle sinergie e delle interdipendenze tra i Business Model presenti è estremamente rara, probabilmente poiché non risulta facilmente riconoscibile né quantificabile.

22 Questo dato può essere facilmente reperito sul sito della Borsa Italiana alla pagina pertinente di ogni società quotata

23 Cfr. paragrafo 3.4.1.

24 Tale percentuale corrisponde ai 10 risultati in cui è stata riscontrata una descrizione analitica dei diversi Business Model, rapportati al numero totale (70) dei report in cui la società analizzata presenta più di un Business Model.

(30)

222

Le citazioni del termine Business Model presentano risultati inaspettatamente positivi, se si pensa alla difficoltà di definire questo concetto da parte della dottrina.

Riguardo ai termini simili, soltanto in pochissimi casi essi sono usati come sostituti del Business Model

25

e prevale nettamente la citazione del Business Plan, a conferma dell’importanza crescente di questo documento strategico redatto dalle imprese su base regolare e richiesto anche da Borsa Italiana nell’adempimento delle sue funzioni per l’ammissione alla quotazione delle società sul segmento MTA. Quanto detto non ci permette però di confermare il fashion effect teorizzato da alcuni studiosi,

26

secondo i quali vi è un abuso nell’utilizzo del termine Business Model a causa della sua elevata popolarità e dell’intenso dibattito accademico riguardo al suo significato.

Gli stessi studiosi ipotizzano anche un cultural gap e un technical gap riguardo a tale termine: il primo causato da una palese mancanza di consenso sul suo significato ed il secondo dovuto ad una altrettanto evidente mancanza di omogeneità nelle modalità in cui vengono erogate le informazioni.

Nonostante la prospettiva di osservazione di tali studiosi sia diversa da quella utilizzata nel presente lavoro, si possono confermare tali gap anche riguardo al dominio delle Equity Research.

27

Per concludere i presenti commenti, si osserva che, nelle sezioni narrative delle Equity Research, l’attenzione degli analisti è focalizzata su tre temi principali: il commento dei risultati aziendali; i rischi e le prospettive dell’azienda; la strategia generale. Il primo di questi non è rilevante per la presente analisi, il secondo lo è soltanto nel modo in cui tratta argomenti relativi al Business Model, infine il terzo è estremamente importante.

25 ‘Modello Organizzativo’ è l’unico termine che viene utilizzato come sostituto di Business Model. Per il resto tale categoria tratta aspetti particolari, come ad esempio il ‘Distribution Model’ o il ‘Production Model’, oppure riguarda il Business Plan.

26 Tali ricercatori, nel loro studio sulla disclosure del Business Model da parte delle imprese, teorizzano il fashion effect nella prospettiva dei manager. (Bambagiotti-Alberti L. et al. 2007, op.cit., p.11)

27 Riguardo al technical gap, i medesimi ricercatori ritengono che tale difetto di omogeneità nella modalità di esposizione delle informazioni sul Business Model possa essere risolto soltanto dall’intervento di un’autorità che le renda omogenee. (Bambagiotti-Alberti L. et al., 2007, op.cit.) Questa osservazione può essere estesa con efficacia all’ambito editoriale delle Equity Research.

(31)

223

Da una lettura attenta del campione esaminato, ci si accorge chiaramente che gli analisti prestano molta attenzione ad argomenti relativi alla strategia generale delle società, più che alle rispettive modalità attuative, identificabili con il Business Model. A dimostrazione di ciò vi sono: i numerosi commenti riguardo operazioni di merger and acquisitions, anche potenziali; le osservazioni riguardo le possibilità di entrare in nuovi mercati o di perseguire nuovi generi di business;

le differenze nelle strategie perseguite o perseguibili in futuro dalle diverse Sbu; i numerosi riferimenti alla struttura azionaria, alla governance e ai relativi cambiamenti.

Tutto ciò è coerente con due fattori determinanti ai quali l’analista dà priorità nelle sue valutazioni: la stabilità aziendale e le prospettive di crescita.

Se a ciò aggiungiamo che solitamente la sezione narrativa ha un contenuto piuttosto ridotto, si può facilmente capire perché lo spazio relativo al Business Model e ai suoi componenti sia così esiguo.

3.3.4 Limiti della ricerca

La presente ricerca ha certamente dei limiti evidenti: in primo luogo, il focus esclusivo sul mercato italiano non permette di estendere eventuali conclusioni in ambito internazionale; inoltre, nonostante 111 ricerche analizzate non siano poche in numero assoluto, tale campione rimane pari a poco più del 10% delle ricerche totali presenti nel periodo considerato, quindi le conclusioni e le osservazioni che possono derivare dall’analisi qui effettuata soffrono di questa lacuna anche all’interno del più ridotto contesto italiano.

Il limite più ineludibile rimane senza alcun dubbio l’assenza di una definizione

univocamente accettata di Business Model, la quale ha indotto ad utilizzare due

modelli interpretativi differenti, ma che in ogni caso rimane una profonda lacuna

in un’area della dottrina aziendalistica che aspira ad affermarsi, non solo come

mera teoria accademica, ma anche come stimolo all’innovazione e alla

ristrutturazione per molte imprese. Una tale definizione avrebbe facilitato

l’esecuzione della ricerca e reso più solide ed universali le sue conclusioni.

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