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La verificazione anticipata dei crediti nell’espropriazione forzata:vecchie soluzioni nuovi problemi - Judicium

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Academic year: 2022

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CORTE DI CASSAZIONE –SEZ.III–28 SETTEMBRE 2009, N.20733–DI NANNI,PRES. –FRASCA, REL. –P.M. FINOCCHI GHERSI (CONCL. CONF.)– L.C.(AVV. COLANTONE LECIS,MANCUSI) C. SANPAOLO IMI S.P.A.(AVV.GIANNI).

L’ordinanza determinativa della somma per la conversione del pignoramento procede alla individuazione del credito del creditore procedente e dei crediti dei creditori intervenuti e si concreta nell’esercizio da parte del giudice dell’esecuzione di un potere di ricognizione dell’ammontare di detti crediti e, quindi, nell’accertamento, in funzione del procedere dell’esecuzione, di essi. (1)

L’opposizione agli atti esecutivi con cui si contestino i crediti ai fini della determinazione della somma di conversione introduce un accertamento, riguardo all’ammontare o alla stessa esistenza parziale o totale di un credito, richiesto soltanto in funzione dell’ottenimento del bene della vita costituto dall’annullamento o dalla modificazione dell’ordinanza determinativa della somma di conversione, in funzione del doversi provvedere sull’esecuzione a seguito dell’istanza di conversione, ed il giudicato che ne scaturirà avrà ad oggetto esclusivamente questo bene. (2) L’accertamento dell’esatto ammontare del credito del creditore procedente o di quello del creditore intervenuto oppure dell’esistenza del credito di un creditore intervenuto (ove l’opposizione abbia contestato la sua esistenza), resterà ininfluente al di fuori del processo esecutivo; resterà, invece, preclusa la possibilità di riproporre ai sensi dell’art. 512 c.p.c. le questioni decise dall’opposizione agli atti in sede di distribuzione della somma di conversione, e tale effetto preclusivo si giustifica per la ragione che esse sono oramai definite nel processo esecutivo dall’opposizione agli atti (cioè dal suo giudicato) e la distribuzione riguarda la somma acquisita per effetto della conversione per come determinata dall’ordinanza di conversione stessa. (3)

La possibilità che avverso l’ordinanza di determinazione della somma di conversione possano essere proposte contestazioni relative all’ammontare del credito del creditore procedente, del credito dei creditori intervenuti e della stessa esistenza del credito di un creditore intervenuto, per come ritenute dall’ordinanza stessa, non toglie che quando la contestazione sia fatta dal debitore esecutato ed attinga il credito del creditore procedente o l’esistenza o l’ammontare del credito di un creditore munito di titolo, egli possa tutelarsi anche con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c., al fine di ottenere l’accertamento del diritto di procedere all’esecuzione forzata per la parte o per il credito, siccome consacrati nel titolo esecutivo e non già in funzione soltanto del modo di procedere dell’esecuzione in corso. (4)

Avverso l’ordinanza di conversione non è esperibile l’opposizione distributiva per la ragione che il rimedio dell’art. 512 c.p.c. e, per altro verso, la stessa prospettiva più ridotta (perchè non spendibile dal creditore procedente e da quelli intervenuti) dell’opposizione all’esecuzione, appaiono del tutto inidonee all’apprestamento a favore della parte interessata di un rimedio efficace per reagire contro il modo di essere della considerazione di un credito ai fini del provvedere sull’istanza di conversione. (5)

Svolgimento del processo

1. G.B., nella qualità di terza datrice di ipoteca su un immobile assoggettato ad esecuzione forzata dal Banco di Napoli s.p.a., in forza di titolo esecutivo costituito da un mutuo garantito da ipoteca sull’immobile, concesso a favore di L.C., proponeva dinanzi al Tribunale di Livorno, giudice della relativa esecuzione, opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del 2 novembre 2001, con la

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quale, all’esito dell’audizione delle parti, quel giudice provvedeva sull’istanza di conversione del pignoramento a suo tempo depositata dalla G. il 16 ottobre 1998 nel ricorso per Cassazione si dice il 15, determinando in L. 555.000.000 (risultanti dalla quantificazione in L. 591.172.581 dell’importo del credito del Banco di Napoli, al lordo di L. 45.000.000, versate all’atto dell’istanza di conversione, ed al netto delle spese dell’esecuzione, determinate in L. 8.827.419) l’importo da versare in sostituzione dell’immobile pignorato.

A sostegno dell’opposizione la G. assumeva l’erroneità della somma determinata, a causa di errori commessi dal consulente tecnico d’ufficio, che era stato incaricato - a seguito della proposizione dell’istanza di conversione - dell’esatta determinazione del credito della banca procedente. Tali errori riguardavano l’individuazione dei tassi di interesse in quelli relativi al credito fondiario edilizio anziché in quelli delle operazioni di mutuo ordinario, il calcolo degli interessi corrispettivi pur dopo la dichiarata risoluzione del mutuo, e il calcolo dell’anatocismo.

Nel contraddittorio della SGA s.p.a. (successore del Banco opposto, in qualità di cessionaria del credito esecutato), il Tribunale, dopo un lungo svolgimento processuale, nel corso del quale disponeva anche una consulenza tecnica d’ufficio, rigettava l’opposizione con sentenza del 17 gennaio 2004, compensando le spese del giudizio.

2. La sentenza si fonda sulle seguenti ragioni.

Innanzitutto esamina l’opposizione qualificandola espressamente come opposizione agli atti esecutivi, giacché si preoccupa di argomentarne la tempestività in riferimento all’ordinanza del 2 novembre 2001 proprio nel presupposto di quella qualificazione.

Riferisce, quindi, che l’opponente aveva contestato l’ammontare della somma determinata dall’ordinanza de qua per l’erroneità di alcune voci di credito individuate dal consulente tecnico d’ufficio, che era stato nominato - con ordinanza del 20 luglio 1999 - a seguito del contradditorio instauratosi sull’istanza di conversione, per "determinare con esattezza l’importo dovuto" e nell’intento di "prevenire eventuali opposizioni" tra le parti. Tali errori, secondo l’opponente, inerivano alle determinazioni del consulente tecnico, recepite dall’ordinanza del 2 novembre 2001 e relative ai tassi di interesse previsti per il credito fondiario edilizio (mentre si trattava di mutuo fondiario ordinario), al calcolo degli interessi corrispettivi pur dopo la risoluzione del mutuo e all’erroneità del calcolo dell’anatocismo.

Il Tribunale, sulla base del richiamo a Cass. n. 9442 (rectius: 3442) del 1988, ha ritenuto che le contestazioni mosse dall’opponente alla detta ordinanza in ragione del recepimento degli errori della consulenza tecnica, dovessero essere sollevate in sede di distribuzione ai sensi dell’art. 512 c.p.c. Tuttavia, dopo aver preso atto dell’orientamento giurisprudenziale de quo, il Tribunale ha espressamente enunciato di avere, a seguito della plausibilità di alcune osservazioni ai conteggi della C.T.U. svoltasi nel processo esecutivo e nell’intento di "favorire una soluzione condivisa tra le parti", disposto un supplemento alla consulenza, depositato il 21 giugno 2002, dal quale era emerso che il credito della banca alla data del 25 novembre 1998 (data dell’udienza ai sensi dell’art. 495 c.p.c.) era di L. 473.331.665 e di L. 498.336.620 alla data del 1 marzo 2000.

Dopo di che il Tribunale ha rilevato che tali emergenze giustificavano la compensazione delle spese.

3. Contro questa sentenza hanno proposto congiunto ricorso per Cassazione fondato su due motivi il L. e la G..

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Ha resistito con controricorso la San Paolo IMI s.p.a. nella qualità di mandataria e procuratrice della SGA s.p.a..

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Motivi della decisione

1. Preliminarmente si rileva che, caratterizzandosi il giudizio sull’opposizione agli atti esecutivi relativa ad esecuzione forzata che coinvolga il terzo prestatore di ipoteca come giudizio a litisconsorzio necessario fra il creditore procedente, il debitore principale esecutato e il terzo datore di ipoteca, il L. ha legittimazione attiva alla proposizione del ricorso, apparendo palese il suo interesse a che la somma di conversione risulti determinata esattamente, cioè in funzione del debito a lui riferibile.

2. Con il primo motivo si deduce "violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 495 c.p.c.” e si lamenta che la sentenza impugnata abbia riconosciuto che, all’esito di un supplemento della consulenza tecnica disposto nel corso del giudizio di opposizione, era risultato, in ragione del computo corretto degli interessi moratori sul capitale residuo all’atto della risoluzione del contratto di mutuo garantito dall’ipoteca, che vi era stato uno scarto di L. 117.840.664 fra l’importo dovuto alla data dell’udienza tenutasi il 25 novembre 1998 ai sensi dell’art. 495 c.p.c. e quello determinato in L. 591.172.581 dall’ordinanza impugnata quale importo da versarsi per la conversione, ma nonostante tale riconoscimento abbia rigettato l’opposizione.

Da tanto deriverebbe una illogicità e contraddittorietà dei due assunti, perchè se il credito era quello individuato dal supplemento di consulenza, la determinazione della somma da versarsi in funzione della conversione era stata errata e, dunque, l’opposizione avrebbe dovuto essere accolta perchè fondata. D’altro canto l’art. 495 c.p.c., nel prescrivere che la somma sostitutiva per la conversione dev’essere pari all’importo dovuto al creditore pignorante e a quelli intervenuti, comprese "le spese di esecuzione, del capitale, degli interessi e delle spese", esigerebbe la coincidenza dell’importo della somma con quello del credito complessivo e, dunque, la parità e non l’approssimazione fra di esse. Erroneamente, citando alcune massime di questa Corte e fraintendendone il significato, la sentenza impugnata avrebbe, del resto, ritenuto che la valutazione della corrispondenza debba essere soltanto sommaria.

Con il secondo motivo si denuncia "violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt.

88, 92, 112, 495 c.p.c." e ci si duole che non sia stata accolta la richiesta di condanna alle spese nei confronti dell’opposto, che, invece, era giustificata per il fatto che il Banco di Napoli, all’atto dell’istanza di conversione, aveva prospettato un credito di L. 639.972.603 mentre la sentenza ne ha ritenuto esistente uno di L. 473.331.938.

3. Va preliminarmente rilevato che, non solo il Tribunale ha espressamente deciso l’opposizione come opposizione agli atti esecutivi, ma lo ha fatto essendo stato investito dalla G. (siccome si dà atto nella esposizione del fatto) proprio con un’opposizione proposta con quella qualificazione e, quindi, con una aderenza alla domanda come qualificata della parte.

La motivazione con la quale il Tribunale ha rigettato l’opposizione agli atti esecutivi si richiama a Cass. n. 3442 del 1988.

Essa non appare condivisibile, di modo che il primo motivo dev’essere accolto.

Le ragioni di tale accoglimento esigono che il Collegio preliminarmente si soffermi sull’assetto dei rimedi esperibili in relazione al provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione determina la

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somma da versarsi da parte del debitore in funzione della conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c. Va avvertito che le considerazioni che si verranno svolgendo sono relative alla questione con riferimento al regime della disciplina del processo esecutivo e segnatamente dell’art.

512 c.p.c. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 35 del 2005, convertito con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005. 3.1. Il principio di diritto affermato da Cass. n. 3442 del 1988, cui si è richiamato il Tribunale è il seguente: “Il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, in sede di conversione del pignoramento, determina ai sensi dell’art. 495 c.p.c., comma 2, la somma di denaro da versare in sostituzione delle cose pignorate, comporta una valutazione sommaria delle pretese del creditore pignorante e dei creditori intervenuti e delle spese già anticipate o presumibilmente da anticipare, prescindendo dalle contestazioni circa la sussistenza o l’ammontare dei singoli crediti o la sussistenza di diritti di prelazione, che vanno sollevate solo in sede di distribuzione a termini dell’art. 512 c.p.c.. Detta ordinanza configura un atto esecutivo impugnabile con opposizione ex art. 617 c.p.c. non per l’accertamento dell’importo dei crediti contestati, bensì solo per la verifica che la determinazione della somma in concreto effettuata dal giudice dell’esecuzione è conforme ai criteri desumibili dall’art. 495 c.p.c.”.

Come ebbe a sottolineare la dottrina, commentando la sentenza, peraltro essa, nella motivazione, non individua specificamente che cosa debba intendersi per verifica che la somma "è conforme ai criteri desumibili dall’art. 495 c.p.c." ed in che cosa tale verifica si distingua dall’accertamento della sussistenza e dell’ammontare dei singoli crediti, che andrebbe, invece, riservato alla sede delle distribuzione ed al rimedio di cui all’art. 512 c.p.c..

Nel caso di specie la controversia, peraltro, aveva riguardato - per quello che in questa sede interessa - due opposizioni agli atti esecutivi proposte dal debitore, l’una contro l’ordinanza di determinazione della somma di conversione ed avverso il creditore procedente, nel presupposto che fossero eccessivi gli interessi sul capitale e le spese, l’altra contro un creditore intervenuto, con contestazione e del credito capitale e dei relativi interessi.

Il principio sopra riportato, per quanto attiene alla prima parte, quella relativa alle contestazioni relative ai crediti, era stato da questa Corte affermato già in precedenza in altra occasione. Cass. n.

5867 del 1982, infatti, aveva così statuito: “La conversione del pignoramento ha l’effetto di sostituire, nel vincolo, una somma di denaro - pari all’importo delle spese e dei crediti - al bene oggetto del pignoramento, il quale, pertanto, permane, vincolando, dopo la sostituzione, la somma depositata al soddisfacimento dei crediti per cui si procede, comprensivi degli interessi e delle spese.

Conseguentemente l’iter procedurale deve proseguire fino a tale soddisfacimento che - restando soppressa la sola fase della vendita, ormai inutile - avviene con la distribuzione della somma di denaro, depositata in sostituzione del bene pignorato, fra il creditore pignorante e quelli intervenuti, senza che una tale fase possa essere omessa, mentre le controversie di cui all’art. 512 c.p.c., attinenti alla sussistenza o all’ammontare di uno o più crediti ovvero di diritti di prelazione, vanno sollevate soltanto nel corso di essa.”.

Il senso dei principi affermati dalle due decisioni richiamate - per quanto attiene alle contestazioni sui crediti (e prescindendo dalla circostanza, sopra segnalata, che la controversia oggetto della prima in realtà concernesse proprio contestazioni sui crediti) - era di assoluta omologazione del trattamento di ogni controversia inerente la sussistenza o l’ammontare di uno dei crediti coinvolti, cioè individuati dall’ordinanza di indicazione della somma da versare per la conversione dal primo comma dell’art. 495 c.p.c. (sul punto rimasto immutato nelle sue varie versioni). Per cui, in base a tali principi, il rinvio alla sede della distribuzione del ricavato ed al rimedio di cui all’art. 512 c.p.c.

operava sia con riferimento all’ipotesi che fosse stato il debitore esecutato a sollevare contestazione

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contro l’an o il quantum del credito del creditore procedente, sia che fosse stato quel debitore a sollevare contestazioni contro l’an o il quantum del credito di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, sia che fosse stato quel debitore a sollevare contestazioni contro l’an o il quantum del credito di un creditore intervenuto non munito di titolo esecutivo, sia in fine che contestazioni fossero state sollevate a posizioni invertite da uno di tali creditori. Ognuna di tali contestazioni era rinviata alla distribuzione del ricavato ed al rimedio di cui all’art. 512 c.p.c.. Sottesa all’interpretazione in questione era la conseguenza che la tutela dell’interessato avverso gli errori di determinazione dell’ordinanza di individuazione della somma di conversione fosse procrastinata alla "sede di distribuzione" e, quindi, ad un momento successivo al versamento della somma di conversione ed all’inizio delle operazioni inerenti la distribuzione.

Peraltro, come si è veduto a proposito del primo principio, restava oscuro che cosa si dovesse intendere per "questioni inerenti la conformità dell’ordinanza determinativa ai criteri desumibili dall’art. 495 c.p.c.". E l’incertezza risultava aggravata dal rilievo che l’oggetto della controversia concerneva questioni sull’ammontare dei crediti.

3.2. Ora, i principi espressi dalle due massime ricordate non solo non sono quelli attualmente sostenuti dalla giurisprudenza della Corte ma, per la verità, non trovavano esatta corrispondenza neppure nella giurisprudenza anteriore, la quale era, in realtà, attestata su un diverso principio, che ammetteva - sia pure statuendo in riferimento a casi concreti che somministravano quella fattispecie - almeno il debitore riguardo al credito del creditore procedente allo svolgimento di una contestazione sull’an e/o sul quantum, tramite opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. proponibile avverso, o meglio a seguito, dell’ordinanza di indicazione della somma per la conversione.

Già Cass. n. 2753 del 1972 aveva affermato quanto segue: “Il titolo esecutivo, e non il precetto, indica, direttamente ed immediatamente, quale sia il contenuto e quali siano i limiti del diritto per cui legittimamente si procede, onde nessun valore può avere il precetto per la parte in cui risulti in contrasto col titolo. Pertanto, il giudice dell’esecuzione, per stabilire la somma, oltre gli accessori, che il debitore è tenuto a versare per la conversione del pignoramento, non deve necessariamente far riferimento alla somma per la quale è stato intimato il precetto, ma deve determinarla, in via incidentale anche in mancanza di una formale opposizione all’esecuzione, con riferimento al titolo esecutivo, quando il precetto sia stato intimato per una somma maggiore di quella risultante dal titolo stesso. La discrepanza tra titolo esecutivo e precetto può essere dedotta dal debitore, a norma dell’art. 495 c.p.c., come motivo affinché la somma da sostituire al bene pignorato sia determinata in misura diversa da quella pretesa dal creditore procedente, anche se non è stata proposta dallo stesso debitore l’opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615 c.p.c.”.

È evidente che questa non recente decisione ammetteva per implicito che il debitore potesse proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. per contestare la somma indicata nell’ordinanza di cui all’art. 495 c.p.c..

Fra il precedente del 1982 e quello del 1988 si colloca, d’altro canto, Cass. n. 4516 del 1987, secondo la quale: “Nell’espropriazione forzata, con riguardo alla conversione del pignoramento, ove il creditore pignorante indichi in una certa somma di denaro il suo credito complessivo da soddisfare, la contestazione da parte del debitore esecutato dell’ammontare così indicato, per essere superiore a quello effettivamente dovuto, investendo il diritto dell’istante di procedere ad esecuzione forzata per quella (maggior) somma, concreta (e va qualificata come) una opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., pur se il giudice dell’esecuzione emetta l’ordinanza ammissiva della conversione del pignoramento, determinando nella misura indicata dal creditore pignorante la somma di denaro da depositare, sussistendo in ogni momento del processo esecutivo e, quindi,

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anche in sede di conversione del pignoramento, l’interesse del debitore esecutato alla determinazione ed all’accertamento del quantum del credito per il cui soddisfacimento si procede in executivis senza dovere attendere la fase di distribuzione della somma ricavata per ottenere la eventuale restituzione di quanto versato in più del dovuto”.

Dopo la sentenza del 1988 la giurisprudenza della Corte soltanto in una occasione ha ribadito i principi affermati da Cass. n. 3442 del 1988.

Cass. n. 386 del 1994 ha, infatti, affermato che: “L’ordinanza con la quale, in sede di conversione del pignoramento, il giudice dell’esecuzione determina, con le modalità di cui all’art. 495 c.p.c., l’entità della somma da versare in sostituzione delle cose pignorate è provvedimento che, implicando una sommaria valutazione, a questo solo fine, delle pretese dei creditori nonché dell’importo delle spese dai medesimi già anticipate e di quelle che presumibilmente saranno anticipate, talché non esplica alcuna funzione risolutiva di contestazioni sull’esistenza e l’ammontare dei singoli crediti, né ha contenuto decisorio rispetto al diritto di agire in executivis, con la conseguenza che l’opposizione contro di esso proposta può inquadrarsi soltanto nel modello dell’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c. e deve essere proposta nei relativi termini, mentre le contestazioni rilevano esclusivamente ai fini della distribuzione del ricavato e vanno esaminate e decise in tale sede.”.

3.3. Per il resto, la giurisprudenza della Corte ha espresso, invece, i seguenti principi, che sostanzialmente si muovono secondo una logica comune e diversa da quella del confinare le contestazioni in ordine all’an ed al quantum del credito in ambito di distribuzione del ricavato e, quindi, di rimedio ai sensi dell’art. 512 c.p.c..

Cass. n. 6994 del 1992 ebbe a statuire, con evidente distacco dalla sentenza richiamata dalla pronuncia impugnata, quanto segue: “Il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, determina, in sede di conversione del pignoramento, ex art. 495 c.p.c., la somma di denaro da versare in sostituzione delle cose pignorate, comporta una valutazione sommaria delle pretese del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, nonché delle spese già anticipate e, presumibilmente, da anticipare, prescindendo dalle contestazioni circa la sussistenza e l’ammontare dei singoli crediti e la sussistenza dei diritti di prelazione, che vanno sollevate solo in sede di distribuzione a termini dell’art. 512 c.p.c., ferma restando la possibilità per il debitore o per il soggetto nel cui pregiudizio si svolge il processo di espropriazione di proporre opposizione all’esecuzione o di sollevare contestazioni circa l’esistenza e l’ammontare dei singoli crediti.”.

Questa decisione, come si vede, affermò l’esistenza di una sorta di pluralità di mezzi di tutela.

A sua volta, Cass. n. 9194 del 1999, prendendo espressamente posizione contro l’orientamento espresso dalla sentenza n. 3442 del 1988, ebbe a sancire che: “L’ordinanza di conversione del pignoramento, emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 495 c.p.c., comma 2, è impugnabile con opposizione all’esecuzione, quando oggetto della opposizione medesima sia l’an o il quantum del debito esecutato.

Nel relativo giudizio, il creditore opposto è tenuto a fornire la prova del proprio credito, producendo i titoli sui quali esso si fonda. A tali fini, potranno essere presi in considerazione anche i titoli che non siano stati allegati al ricorso di intervento del creditore nella procedura esecutiva, in quanto il creditore non è tenuto a corredare tale ricorso con il titolo, la cui esibizione è necessaria solo per provocare atti di esecuzione e per partecipare al riparto”.

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È da notare che nel caso di specie deciso vi era stata un’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore contro un creditore intervenuto e, quindi, tale decisione - a differenza delle altre appartenenti all’orientamento ammissivo della opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., le quali si riferivano ad una opposizione del debitore contro il creditore procedente - si è pronunciata nel senso del riconoscimento del rimedio anche per la contestazione del credito di un creditore intervenuto, nella specie munito di titolo esecutivo (ancorché allegato proprio in vista della conversione).

Successivamente, si segnalano le seguenti decisioni, espressione di un orientamento oramai costante:

a) Cass. n. 12197 del 2001, che - ripetendo l’affermazione di cui a Cass. n. 3442 del 1988 - ha così deciso: “L’opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione determina la somma da sostituire al bene pignorato a norma dell’art. 495 c.p.c. concerne la verifica che la determinazione della somma in concreto effettuata dal giudice dell’esecuzione sia conforme ai criteri desumibili dall’art. 495 c.p.c., mentre non riguarda l’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare dei crediti dei creditori intervenuti, che è questione proponibile o in sede di distribuzione a norma dell’art. 512 c.p.c., ovvero mediante l’opposizione ex art. 615 c.p.c.”;

b) Cass. n. 17481 del 2007 ha statuito: “L’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 495 c.p.c., in sede di conversione del pignoramento, determina la somma di denaro da versare in sostituzione delle cose pignorate non esplica alcuna funzione risolutiva delle contestazioni sulla sussistenza e sull’ammontare dei singoli crediti o sulla sussistenza dei diritti di prelazione né ha contenuto decisorio rispetto al diritto di agire in executivis.

Pertanto l’opposizione proposta contro il provvedimento di conversione è inquadrabile nel modello di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e con la stessa l’opponente non può limitarsi ad affermare in modo generico la non corrispondenza della somma sostitutiva fissata dal giudice al diritto, ma è tenuto ad indicare in modo specifico gli elementi di fatto e le ragioni di diritto per cui chiede che il provvedimento sia dichiarato illegittimo. Tale opposizione concerne, quindi, la verifica che la determinazione in concreto effettuata dal giudice dell’esecuzione è conforme ai criteri di cui alla norma indicata, mentre non riguarda l’accertamento dell’esistenza o dell’ammontare del credito del creditore pignorante o dei creditori intervenuti, che è questione proponibile o in sede di distribuzione a norma dell’art. 512 c.p.c. ovvero mediante opposizione ex art. 615 c.p.c.. (Nella specie, in applicazione del riportato principio, la sentenza - non avendo a tanto provveduto il giudice di merito - ha rilevato che erroneamente con l’opposizione agli atti esecutivi era stato contestato il diritto a pretendere gli interessi, diritto da contestare, invece, mediante opposizione all’esecuzione in quanto attinente all’ammontare del credito esecutato, ed ha dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta, cassando senza rinvio la sentenza impugnata)”;

c) Cass. n. 18538 del 2007 si è così espressa: “In materia di esecuzione, la determinazione della somma di denaro da versare in sostituzione delle cose pignorate, che il giudice opera ai sensi dell’art. 495 c.p.c., comporta una valutazione sommaria delle pretese del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nonché delle spese già anticipate e da anticipare e non deve tenere conto dell’esistenza o dell’ammontare dei singoli crediti e della sussistenza dei diritti di prelazione, in quanto tali questioni possono porsi solo in sede di distribuzione della somma ricavata dalla vendita ai sensi dell’art. 512 c.p.c., fatta salva la possibilità che il debitore contesti, con l’opposizione all’esecuzione, l’esistenza del credito, ovvero che lo stesso è inferiore a quanto dovuto. Né può affermarsi che tale soluzione comporta un ingiustificato aggravio del principio di economia processuale, in quanto imporrebbe al debitore esecutato di contestare l’esistenza del credito od il suo ammontare in sede di distribuzione della somma depositata ovvero con opposizione agli atti

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esecutivi, considerato il diverso principio in materia, che è quello della sollecita definizione della pretesa dei creditori istanti, questi sì pregiudicati dalle contestazioni dei crediti”;

d) Cass. n. 4446 del 2009, da ultimo, ha affermato: “L’ordinanza di conversione del pignoramento prevista dall’art. 495 c.p.c. non esplica alcuna funzione risolutiva delle contestazioni sulla sussistenza e sull’ammontare dei singoli crediti o sulla sussistenza di diritti di prelazione, né ha un contenuto decisorio rispetto al diritto di agire in executivis. Tale provvedimento, costituendo un tipico atto esecutivo, è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., perchè con essa si contesta il quomodo del procedimento esecutivo, ovvero che la determinazione dell’importo pecuniario da sostituire ai beni pignorati effettuata dal giudice dell’esecuzione sia conforme ai criteri desumibili dell’art. 495 c.p.c.; nel conseguente giudizio, peraltro, l’opponente non può limitarsi ad affermare in modo generico la non corrispondenza della somma sostitutiva fissata dal giudice rispetto a quella ritenuta legittimamente computabile, ma è tenuto ad indicare in modo specifico gli elementi di fatto e le ragioni di diritto per cui chiede che il provvedimento sia dichiarato illegittimo” (Cass. n. 4046 del 2009).

Va notato, in fine, che la configurabilità di un’opposizione agli atti esecutivi contro l’ordinanza di conversione nei termini ammessi dalla giurisprudenza qui riportata era stata incidentalmente ammessa dalle Sezioni Unite (Cass. sez. un. n. 11178 del 1995, nella cui motivazione si legge:

“L’ordinanza che determina la somma sostitutiva è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi e ne costituisce oggetto la verifica della conformità a legge, sulla scorta dei criteri stabiliti dall’art.

495 c.p.c., comma 1, della determinazione della somma in concreto effettuata dal giudice dell’esecuzione”).

4. Lo stato attuale della giurisprudenza della Corte pertinente, naturalmente alla situazione quo ante l’ultima novella dell’art. 512 c.p.c., pone in evidenza alcune certezze.

La prima è che l’ordinanza con cui il giudice indica la somma di conversione sarebbe suscettibile di opposizione agli esecutivi con riferimento all’osservanza formale dei criteri di determinazione stabiliti dall’art. 495 c.p.c. e delle regole procedimentali espresse o sottese dalla norma. In sostanza dovrebbero venire in rilievo errori relativi al quomodo del processo esecutivo, siccome normativamente disciplinato dalla norma dell’art. 495 c.p.c. o da quelle presupposte o generali del processo esecutivo.

Per dare contenuto a questa proposizione - per la verità non esemplificata in concreto nella richiamata giurisprudenza - si possono fare alcuni esempi.

Se l’ordinanza ha omesso di considerare una delle poste previste (ad esempio, un credito o una fra le voci ivi indicate) e non vi sia contestazione riguardo all’an e/o al quantum di essa, tale errore attiene al quomodo del processo esecutivo ed essendo l’ordinanza de qua un atto del processo esecutivo che chiude un sub-procedimento, è giocoforza ammettere detta opposizione. Allo stesso modo si deve ragionare ove sia stata considerata nella somma complessiva una voce non prevista dalla norma: anche questo sembra un errore inerente il quomodo del processo esecutivo. Non diversamente, se non è stato rispettato il modus procedendi previsto dall’art. 495 c.p.c. quanto ai presupposti (ad esempio se non vi sia stata istanza, se non sia stato rispettato il termine di preclusione di volta in volta previsto dalle varie versioni dell’art. 495 c.p.c.) o quanto alle garanzie (ad esempio non si è disposta l’audizione delle parti o in concreto è stato negata).

La seconda certezza parrebbe essere che, se sorgono contestazioni del debitore in ordine all’an o al quantum del credito del creditore procedente per come indicato dall’ordinanza di determinazione della somma sostitutiva, il rimedio ammesso è l’opposizione all’esecuzione forzata ai sensi dell’art.

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615 c.p.c., dovendosi escludere che il debitore per tutelarsi debba aspettare la sede di cui all’art. 512 c.p.c. ed esperire il rimedio ivi previsto (anche se, a sua scelta, può farlo e, quindi, dar corso al versamento e procedere alla contestazione in quella sede).

Una terza certezza concerne la deducibilità da parte del debitore con l’opposizione ai sensi dell’art.

615 c.p.c. (e non necessariamente con il rimedio di cui all’art. 512 c.p.c.) di una contestazione in ordine all’an o al quantum di un credito di un creditore intervenuto munito di titolo esecutivo: è di tutta evidenza, ancorché la questione non risulti affrontata espressamente, ma solo sfiorata dalla Corte (come s’è visto dalla sentenza n. 9194 del 1999), che l’assoluta omologia di posizione fra il creditore principale procedente e quello intervenuto munito di titolo esecutivo, impone di ammettere il rimedio di cui all’art. 615 c.p.c. a favore del debitore per le stesse ragioni per cui lo si ammette contro il creditore principale, trattandosi di rimedio esperibile contro la pretesa esecutiva, cioè assistita da titolo esecutivo, sia essa fatta valere in via principale o per via di intervento.

4.1. Le incertezze emergenti dallo stato della giurisprudenza della Corte riguardano i seguenti problemi.

Ove il debitore voglia contestare l’ordinanza di determinazione della somma di conversione quanto all’an o al quantum di un credito di un creditore non munito di titolo esecutivo, qual è il rimedio esperibile? Ove la doglianza circa la detta ordinanza si intenda sollevare da parte del creditore procedente o di un creditore intervenuto, munito o meno che sia di titolo, perchè un credito non è stato ammesso o perchè è stato ammesso solo in parte in una situazione di contestazione dell’an e/o del quantum, qual è il rimedio esperibile? È palese che la posizione di tali soggetti consiglia l’individuazione di un qualche mezzo di tutela, atteso che, se nessuna tutela immediata fosse possibile ed avesse corso, quindi, il versamento della somma per come determinata prescindendo dalle ragioni di detti creditori, costoro perderebbero ogni possibilità di far valere le loro ragioni nell’esecuzione: invero, sostituita al bene la somma, magari di valore grandemente inferiore a quanto comprendeva il loro credito per come fatto valere, essi, in sede di distribuzione del ricavato non avrebbero alcuna prospettiva di tutela ai sensi dell’art. 512 c.p.c., perchè la somma da spartire non contempla il loro credito (o il loro maggior credito).

Si tratta di interrogativi che in passato, specie in sede di commento di Cass. n. 4516 del 1987, avevano fatto prospettare alla dottrina la tesi che il rimedio esperibile dovesse essere in questi casi ed anzi anche quando fosse stata possibile l’opposizione all’esecuzione (e, quindi, la contestazione fosse stata proposta dal debitore contro il creditore procedente o un creditore munito di titolo esecutivo), l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (e ad escludere, per converso, che dette contestazioni dovessero essere esperite nella sede di cui all’art. 512 c.p.c), con una sorta di assunzione da parte dell’opposizione de qua di una funzione distonica rispetto a quella sua propria, cioè della funzione di mezzo di accertamento dell’an della pretesa esecutiva (nel caso di creditore procedente o intervenuto e munito di titolo) e del diritto da soddisfarsi sine titulo (nel caso di creditore non munito di titolo) nel processo esecutivo. Accertamento, peraltro, di natura funzionale solo al procedere dell’esecuzione forzata e non del relativo diritto sostanziale. Accertamento determinativo in sostanza del diritto di procedere all’esecuzione in corso in un certo modo, secondo la tipica funzione dell’opposizione agli atti, e non invece dell’effettiva sussistenza e del quantum del diritto di credito, restando essa impregiudicata.

A questa prospettazione si potrebbe obiettare che essa si risolve comunque nell’attribuzione all’opposizione agli atti di una funzione del tutto impropria, cioè della funzione di mezzo di accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza del diritto di procedere all’esecuzione riguardo al creditore procedente o intervenuto e munito del titolo e del diritto di parteciparvi riguardo al creditore non munito di titolo. Si tratta di questioni che afferiscono all’an e non al quomodo e che

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come tali - quando proposte dal debitore contro il creditore procedente o l’intervenuto titolato - dovrebbero essere tipiche questioni da dedursi con opposizione all’esecuzione. D’altro canto, il fatto che l’accertamento in questo caso avverrebbe incidenter tantum involge anche un problema ulteriore e preliminare: quello determinato dalla previsione di una cognizione incidentale del giudice investito della domanda di opposizione agli atti su sollecitazione dello stesso soggetto che propone la domanda. Questa sollecitazione si avrebbe tanto se l’opposizione agli atti fosse proposta dal debitore con la deduzione di una contestazione sul credito del creditore procedente per come individuato dall’ordinanza di determinazione della somma di conversione o sul credito di un creditore intervenuto munito di titolo o sul credito di un creditore intervenuto che ne sia privo, sempre per come colà determinati, tanto se l’opposizione fosse proposta dal creditore procedente o da un creditore titolato o meno con la deduzione di una contestazione sull’omessa od insufficiente considerazione del credito da parte dell’ordinanza determinativa. Infatti, nella domanda introduttiva dell’opposizione agli atti, l’opponente dovrebbe sempre esporre come fatti costitutivi siffatte contestazioni. E dunque, una volta considerato che l’art. 34 c.p.c. è norma che consente la cognizione incidenter tantum per effetto di una contestazione di un fatto costitutivo della domanda prospettata dal convenuto e non sulla base di una prospettazione di tale fatto come controverso da parte dello stesso attore, si potrebbe ritenere che, in realtà, ammettere nei detti casi l’opposizione agli atti comporti una deduzione della contestazione sul credito come oggetto diretto della domanda e non come oggetto di un accertamento incidentale e come tale non rilevante ai fini della individuazione della domanda stessa.

Inoltre, assoggettare le indicate contestazioni al breve termine decadenziale di proposizione dell’opposizione agli atti comporta il pericolo di un’oggettiva riduzione degli spazi di tutela.

4.2. Di fronte a tali obiezioni, si potrebbe, invece, prospettare una diversa soluzione che tenda a valorizzare la circostanza che in sede di conversione del pignoramento le due situazioni descritte ed anzi in genere le stesse contestazioni mosse dal debitore contro il creditore procedente o quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo in ordine all’an ed al quantum della somma di conversione si debbano considerare come simili a quelle che danno luogo alle controversie riconducibili all’ambito del rimedio di cui all’art. 512 c.p.c. e che, in ragione della particolarità dello svolgimento del processo esecutivo a seguito dell’istanza di conversione e del suo accoglimento con l’ordinanza determinativa della conversione, diventano immediatamente proponibili.

Queste le ragioni.

La situazione che origina per effetto dell’emissione dell’ordinanza determinativa della somma di conversione viene nella sostanza a caratterizzarsi come una situazione corrispondente a quella che prelude alla distribuzione della somma ricavata dopo l’effettuazione della vendita. Ne consegue che sembrerebbe sostenibile che il rimedio di cui all’art. 512 c.p.c. possa diventare senz’altro esperibile, perchè è come se il processo esecutivo fosse arrivato ad un punto del suo svolgimento equivalente a quello che è funzionale alla distribuzione del ricavato dopo la vendita. È vero che, quando è avvenuta la vendita, è acquisita alla procedura la somma da distribuirsi, mentre con l’ordinanza di determinazione della somma di conversione quest’ultima non è ancora acquisita e deve essere versata. Sennonché, nel caso della conversione l’ordinanza de qua prende posizione sui crediti che si debbono soddisfare, li individua e, quindi, realizza una situazione che non è dissimile da quella che si realizza in funzione della distribuzione del ricavato, per il tramite delle norme degli artt. 510, 541, 542 c.p.c. e dell’art. 596 c.p.c. e segg.. Il punto indiscutibilmente comune alle due situazioni è il venire in evidenza dei crediti, o meglio della loro esistenza o meno dal punto di vista dell’ufficio giudiziario che procede. Questa emersione, quale elemento che accomuna la determinazione della somma in funzione della conversione e le operazioni di individuazione dei crediti sottese alle norme

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citate, sembra giustificare nel primo caso un’immediata esperibilità del rimedio di cui all’art. 512 c.p.c..

Si potrebbe, dunque, sostenere che quando, a seguito dell’emanazione dell’ordinanza di determinazione della somma di conversione, il debitore solleva una contestazione sull’an o sul quantum di alcuno dei crediti, sia esso quello del creditore principale, sia esso quello di un creditore intervenuto, munito o meno di titolo esecutivo, oppure il creditore procedente o alcuno dei creditori muniti o meno di titolo sollevano una contestazione in ordine all’insufficiente indicazione del loro credito o all’eccessiva indicazione del credito altrui, la relativa controversia assume un contenuto sostanziale non dissimile da quello delle controversie ai sensi dell’art. 512 c.p.c. e giustifica la qualificazione della controversia introdotta da detti soggetti come controversia ai sensi dell’art. 512 c.p.c..

Il vantaggio che ne deriverebbe sarebbe anche il conseguente superamento dei problemi di legittimazione che invece si pongono nella logica dell’ammissione del rimedio di cui all’art. 615 c.p.c., che non è spendibile dai creditori (che si siano visti negare la considerazione del loro credito in tutto od in parte) e dal debitore contro il creditore non munito di titolo esecutivo.

5. Il Collegio ritiene, tuttavia, che le obiezioni mosse alla ammissibilità del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi nelle descritte situazioni ed innanzi riassunte siano, in realtà, superabili e che detto rimedio è quello più adeguato normativamente rispetto ad esse.

Occorre muovere da un rilievo preliminare che concerne la situazione che si determina per effetto della emissione da parte del giudice dell’esecuzione dell’ordinanza determinativa della somma di conversione, a seguito dell’istanza di conversione da parte del debitore. L’ordinanza, come s’è rilevato poco sopra, sulla base di quanto esige lo stesso art. 495 c.p.c., nel determinare la somma di conversione procede necessariamente alla individuazione del credito del creditore procedente e dei crediti dei creditori intervenuti.

Essa si concreta, dunque, nell’esercizio da parte del giudice dell’esecuzione di un potere di ricognizione dell’ammontare di detti crediti e, quindi, nell’accertamento, in funzione del procedere dell’esecuzione, di essi.

Tale accertamento esprime la creazione di una situazione di novità nel processo esecutivo, per il fatto stesso che riconosce formalmente ai crediti un certo modo di essere ai fini del procedere dell’esecuzione. Quale espressione del potere di gestione del processo esecutivo, tale accertamento, costituendo parte dell’oggetto del potere esercitato dal giudice dell’esecuzione, non può che essere racchiuso nel provvedimento determinativo e ciò non diversamente da come lo è quello sull’inerenza all’esecuzione di un determinato credito (ad esempio, sul fatto che vi è stato un intervento). Si tratta, inoltre, di un accertamento che è funzionale al procedere dell’esecuzione a seguito dell’istanza di conversione e che, quindi, serve a "provvedere" su di essa, cioè sulla particolare "domanda" ad essa sottesa.

Poiché l’ordinanza è un atto del processo esecutivo e come tale rientra nel novero degli atti impugnabili con l’opposizione agli atti e, dunque, non può escludersi che essa sia impugnabile con tale rimedio, diventa a questo punto illogico escludere che la domanda sottesa all’opposizione contro di essa proposta non possa esprimere una contestazione riguardo a tutto ciò che in essa, come provvedimento, ha trovato consacrazione e, quindi, in ordine alla determinazione dell’ammontare del credito del creditore procedente e dei crediti dei creditori intervenuti e, quindi, alla loro stessa rilevanza in funzione della determinazione della somma di conversione.

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Ne consegue che la domanda di opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore contesti l’ammontare del credito del creditore procedente come determinato nell’ordinanza, quella dello stesso debitore con cui contesti l’ammontare o la sessa esistenza del credito di un creditore intervenuto e, quindi, il quanto ed il se con cui ad essi sia stato dato rilievo ai fini della determinazione della somma di conversione, quella del creditore procedente con cui si contesti l’ammontare del credito per come determinato dall’ordinanza, quella di un creditore intervenuto con cui si contesti l’insufficienza o l’omissione della considerazione del proprio credito, prospettano legittimamente come oggetto dell’accertamento sollecitato dall’opposizione queste questioni, perchè esse rappresentano i fatti costitutivi della invalidità dell’ordinanza determinativa. E lo rappresentano non diversamente di profili formali di inosservanza delle regole di cui all’art. 495 c.p.c., che sopra sono stati esemplificati.

L’accertamento che così si sollecita riguardo all’ammontare o alla stessa esistenza parziale o totale di un credito è qui richiesto soltanto in funzione dell’ottenimento del bene della vita costituto dall’annullamento o dalla modificazione dell’ordinanza determinativa della somma di conversione, in funzione del doversi provvedere sull’esecuzione a seguito dell’istanza di conversione, ed il giudicato che ne scaturirà avrà ad oggetto esclusivamente questo bene.

Se, pertanto, l’opposizione del debitore che abbia contestato l’ammontare del credito del creditore procedente o di quello di alcuno dei creditori intervenuti o la stessa esistenza del credito di uno dei creditori intervenuti viene accolta, l’accertamento che ne conseguirà comporterà soltanto che l’esecuzione potrà evolversi sulla base della nuova determinazione della somma di conversione accertata nel giudizio di opposizione agli atti (ed eventualmente nella sua fase sommaria, attraverso il provvedimento indilazionabile, poi confermato all’esito della cognizione piena), che dovrà considerare il credito di cui trattasi nel modo accertato oppure non dovrà considerarlo affatto.

L’accertamento dell’esatto ammontare del credito del creditore procedente o di quello del creditore intervenuto oppure dell’esistenza del credito di un creditore intervenuto (ove l’opposizione abbia contestato la sua esistenza), resterà, invece, ininfluente al di fuori del processo esecutivo. E, quindi, il creditore procedente che abbia visto ridurre l’ammontare del suo credito per effetto dell’opposizione ai fini della somma di conversione, bene potrà farlo valere per il dippiù in separato giudizio, se del caso riutilizzando il proprio titolo esecutivo nuovamente. Il creditore intervenuto che abbia visto ridotto o negato il suo credito, a sua volta bene potrà far valere l’eccedenza o l’intero credito in separato giudizio e, se titolato, riutilizzare il titolo esecutivo. Il debitore che abbia visto rigettare la sua opposizione agli atti diretta a contestare l’ammontare del credito del creditore procedente, o quello del credito di un intervenuto o la sua stessa esistenza, conserverà la possibilità di proporre opposizione all’esecuzione per far valere la stessa contestazione contro il creditore procedente o quello intervenuto, munito di titolo esecutivo, e la possibilità - eventualmente - di proporre autonomo giudizio di accertamento negativo del credito contro il creditore intervenuto non munito di titolo.

Tutto questo è giustificato dall’oggetto stesso del giudicato che si forma a seguito dell’opposizione agli atti.

Resterà, invece, preclusa la possibilità di riproporre ai sensi dell’art. 512 c.p.c. le questioni decise dall’opposizione agli atti in sede di distribuzione della somma di conversione. Ma tale effetto preclusivo si giustifica per la ragione che esse sono oramai definite nel processo esecutivo dall’opposizione agli atti (cioè dal suo giudicato) e la distribuzione riguarda la somma acquisita per effetto della conversione per come determinata dall’ordinanza di conversione stessa.

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5.1. La proposta ricostruzione, là dove si concreta nel riconoscimento della possibilità che avverso l’ordinanza di determinazione della somma di conversione possano essere proposte contestazioni relative all’ammontare del credito del creditore procedente, del credito dei creditori intervenuti e della stessa esistenza del credito di un creditore intervenuto, per come ritenute dall’ordinanza stessa, non toglie che quando la contestazione sia fatta dal debitore esecutato ed attinga il credito del creditore procedente o l’esistenza o l’ammontare del credito di un creditore munito di titolo, egli possa tutelarsi anche con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c. E ciò, al fine di ottenere l’accertamento del diritto di procedere all’esecuzione forzata per la parte o per il credito, siccome consacrati nel titolo esecutivo e non già in funzione soltanto del modo di procedere dell’esecuzione in corso.

6. Questa ricostruzione sembra preferibile rispetto a quella, sopra adombrata, tendente a riportare all’art. 512 c.p.c. le contestazioni sull’an e/o sul quantum insorte riguardo alla indicazione del credito nell’ordinanza di determinazione della somma di conversione. Lo è per la ragione che il rimedio dell’art. 512 c.p.c. e, per altro verso, la stessa prospettiva più ridotta (perchè non spendibile dal creditore procedente e da quelli intervenuti) dell’opposizione all’esecuzione (evocata, come si è visto, dalla giurisprudenza di questa Corte), appaiono del tutto inidonee all’apprestamento a favore della parte interessata di un rimedio efficace per reagire contro il modo di essere della considerazione di un credito ai fini del provvedere sull’istanza di conversione.

L’uno e l’altro rimedio, infatti, determinerebbero, qualora in sede sommaria fosse riconosciuto che il credito del creditore procedente è minore o che è minore il credito di un creditore intervenuto munito di titolo, la sospensione dell’esecuzione e, quindi, del doversi provvedere sull’istanza di conversione, che dunque non potrebbe avere corso. Non potrebbe, invero, immaginarsi che, essendo stata la sospensione dell’esecuzione parziale e dovendo l’esecuzione proseguire per la parte non oggetto di sospensione, all’istanza di conversione possa farsi luogo per la somma non oggetto di sospensione. Il bene, infatti, in tale caso non potrebbe essere liberato e, dunque, si dovrebbe fare luogo ad una conversione parziale, il che è del tutto al di fuori della logica dell’istituto.

7. L’esposta ricostruzione si rende preferibile anche perchè si pone in linea con il regime dell’art.

512 c.p.c. introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, convertito con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005, che ha ricondotto le relative controversie sostanzialmente all’art. 617 c.p.c.. Ma non è questo problema che la Corte deve approfondire in questa sede.

8. Si può passare a questo punto all’esame del primo motivo, che, come si è anticipato, appare fondato.

Invero, il Tribunale ha rigettato l’opposizione agli esecutivi, in quanto la G. l’aveva proposta adducendo a sua giustificazione fatti che sarebbero stati idonei a giustificare - a suo dire - un’azione ai sensi dell’art. 512 c.p.c. al momento della distribuzione. In realtà, come s’è visto, quei fatti, in quanto diretti a contestare la sussistenza di parte del credito per cui si procedeva, erano fatti idonei certamente ad integrare pienamente, sulla base della ricostruzione innanzi esposta proprio l’opposizione agli esecutivi, che effettivamente era stata proposta. Avrebbero potuto, inoltre, essere spesi anche con un’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

Avendo la G. scelto la prospettiva dell’opposizione agli atti, il Tribunale avrebbe, dunque, dovuto considerarli in funzione di essa. E, all’esito delle risultanze dell’espletata consulenza tecnica, di cui dà atto la stessa sentenza impugnata, in ordine alla più ridotta misura del credito della creditrice procedente, l’opposizione si sarebbe dovuta accogliere con la conseguente caducazione dell’ordinanza di determinazione della somma di conversione limitatamente all’importo non dovuto secondo il supplemento di consulenza tecnica e, quindi, alla parte di credito accertata (con i limitati

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effetti sopra chiariti) inesistente, nonché l’effetto di determinare lo sviluppo successivo dell’esecuzione in conformità.

La sentenza impugnata, dunque, dev’essere cassata per non avere così provveduto.

Il giudizio va rinviato al Tribunale di Livorno, che deciderà in conseguenza e, in particolare, accoglierà l’opposizione provvedendo ad annullare parzialmente l’ordinanza di determinazione della somma di conversione per la parte di credito del creditore procedente accertata inesistente dal supplemento di consulenza tecnica con riferimento al momento dell’udienza del 25 novembre 1998, di modo che la conversione dovrà avere luogo per la somma al netto di essa.

Naturalmente il giudice di rinvio potrà tenere conto degli accessori maturati successivamente, determinati sempre in relazione al credito accertato esistente.

Non conoscendosi gli sviluppi del processo esecutivo non è possibile decidere la causa nel merito.

(omissis)

(1-5) La verificazione anticipata dei crediti nell’espropriazione forzata:

vecchie soluzioni, nuovi problemi

L’elaborata sentenza, che riconosce nell’opposizione agli atti esecutivi il principale (sebbene non esclusivo) strumento per la verificazione dei crediti nella conversione del pignoramento, si rivolge al passato – non essendo applicabile al caso deciso, ratione temporis, la riforma del 2005-2006 – ma guardando al futuro: e sebbene dichiari (par. 7) di poter soltanto accennare alla riforma dell’art. 512 c.p.c. (legge n. 80/2005), la Corte osserva che la soluzione indicata, interamente ritagliata su norme e orientamenti anteriori, ha il pregio di essere coerente con la novella che ha ricondotto

“sostanzialmente” le controversie distributive nell’alveo dell’art. 617 c.p.c.

Sembra quindi che la norma sopravvenuta possa fungere da chiave di lettura della passata esperienza giurisprudenziale: in verità sempre caratterizzata – e la Corte non manca di sottolinearlo, senza fare sconti a se stessa – da scarsa coerenza o, se si preferisce, da una improvvisata logica del

“caso per caso”. E’ evidente l’intento di mettere ordine, anzitutto muovendo da una coraggiosa revisione critica del passato, nel caos di una materia da sempre priva di sicuri punti di riferimento.

Per lungo tempo, la giurisprudenza di legittimità è rimasta ancorata al principio secondo cui, in fase espropriativa (e così anche in occasione della conversione), fosse esperibile un mero controllo di ritualità sugli interventi, riassunto nella nozione di “legittimazione” e ruotante attorno ai requisiti di certezza, liquidità, esigibilità del credito (requisiti che, secondo taluni, sarebbero venuti meno con le riforme del 2005-2006); controllo esperibile anche ex officio dal g.e., tutto interno all’esecuzione in corso e destinato a recedere dinanzi alla vera e propria cognizione sul credito, che aveva (e non poteva che avere) luogo in fase distributiva nelle forme ordinarie ex art. 512 c.p.c., vecchio testo, con connessa sospensione ex lege delle attività implicate dalla contestazione del riparto. Quanto all’azione spiegata dal creditore procedente (e, talora, degli intervenuti muniti di titolo), la giurisprudenza aveva affermato che, in sede di conversione, il g.e. potesse direttamente procedere alla verifica del titolo esecutivo ogni qual volta emergesse una divergenza tra il diritto, in quello consacrato, e la pretesa così come formulata in precetto; salva sempre, per il debitore, la possibilità di contestare nel merito esistenza ed ammontare del credito in sede di distribuzione, oltre che in quella dell’opposizione all’esecuzione.

L’idea di un controllo a contenuto soltanto processuale (il “bene della vita” di cui parla ora la Corte) non è quindi una novità assoluta, almeno con riferimento alla posizione degli intervenuti sforniti di titolo.

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L’istituto della conversione del pignoramento metteva tuttavia a dura prova la distinzione tra quanto ritenuto possibile, rispettivamente, in fase espropriativa (il controllo di forma) ed in sede distributiva (il controllo di merito), per la fondamentale ragione – mai davvero recepita dalla S.C. – che l’istanza distributiva del debitore impone all’esecuzione un esito alternativo, che supera la necessità non soltanto della vendita, ma anche della distribuzione forzata. Se infatti l’importo da sostituire al bene pignorato deve essere esattamente pari alla somma dei crediti in concorso ed alle spese di procedura (sul punto, un lucido accenno nella sentenza in commento), è evidente che i problemi di norma conosciuti nella sede della distribuzione finale non potranno che essere anticipati al momento in cui il g.e., sentite le parti, determina l’importo per la liberazione del bene (e per il connesso esito alternativo del processo di espropriazione).

Eppure, la giurisprudenza ha sempre ribadito (e ribadisce anche questa volta) l’indirizzo secondo cui la conversione opera soltanto una sostituzione dell’oggetto del processo, cui seguirà l’ordinaria fase distributiva: in diversi termini, la conversione del pignoramento è alternativa della sola vendita, e non anche della distribuzione forzata.

Di qui gli orientamenti, criticamente passati in rassegna nella sentenza in commento, sul carattere

“soltanto sommario” degli accertamenti svolti dal g.e. in sede di conversione, cui avrebbero di necessità fatto seguito gli accertamenti “pieni ed esaurienti” della fase di distribuzione. Si tratta di uno degli aspetti in relazione ai quali maggiormente si è esercitata l’opera creatrice della giurisprudenza: in realtà, infatti, l’art. 495 c.p.c. non ha mai parlato di una cognizione “sommaria”

del g.e., contrapposta a quella “ordinaria” che ha luogo nelle opposizioni; siamo, sempre e soltanto, nell’ambito delle più o meno libere costruzioni giurisprudenziali, mediante le quali si è cercato di dare una risposta credibile ad una serie di complesse questioni che il legislatore del ’40 non aveva verosimilmente neppure immaginato, e che sono emerse prepotentemente soltanto nella pratica.

Sta di fatto che, per lungo tempo, la giurisprudenza ha ribadito che ciò che poteva

“sommariamente” accertarsi in sede espropriativa (e così anche in occasione della conversione del pignoramento) era la mera “legittimazione” al concorso, mentre le vere cognizioni sui crediti non potevano che aver luogo in fase di opposizione, lungo il corso (art. 615, comma 2, c.p.c.) ovvero al termine del processo espropriativo (art. 512 c.p.c.).

Se quindi è stata sempre riaffermata la possibilità di esperire, anche in sede di (o nell’occasione della) conversione, l’opposizione all’esecuzione per contestare il diritto in executivis dei creditori muniti di titolo (perché tale opposizione è spendibile in ogni momento del processo esecutivo sino alla sua conclusione, determinando tra l’altro delicati problemi di convivenza con l’opposizione distributiva), ciò che restava in ombra era la possibilità di avanzare analoga contestazione nei confronti dei creditori non titolati, i quali prima della vendita (arg. ex art. 629, comma 2, c.p.c.) esercitano indubbiamente un’azione di contenuto minore: volta sempre alla soddisfazione sul ricavato, ma priva della possibilità di compiere autonomi atti d’esecuzione (art. 500 c.p.c.).

Un’azione, quindi, non contrastabile con l’opposizione all’esecuzione, per chiaro difetto dei relativi presupposti.

Altro principio costantemente riaffermato (e lo riafferma anche la sentenza in commento) è che le controversie distributive, avendo contenuto fortemente specializzato, non possono essere anticipate in una fase anteriore del processo esecutivo e, segnatamente, nella fase di conversione (in cui non si tratta di distribuire il ricavato, ma proprio di determinare il ricavato da distribuire conoscendo incidentalmente dei crediti in concorso).

In questo delicato contesto si collocano le riforme del 2005-2006.

Queste, tuttavia, non si sono limitate a trasformare la controversia distributiva in un incidente interno all’esecuzione di cui conosce, in prima battuta, il g.e. risolvendolo col suo provvedimento tipico – l’ordinanza opponibile ex art. 617 c.p.c. quale atto dell’esecuzione – ma hanno previsto e disciplinato (per quanto in forma assai criticabile: cfr. l’art. 499 c.p.c. novellato) quel procedimento di verifica dei crediti non assistiti da titolo esecutivo che da sempre veniva invocato come una delle gravi carenze del processo espropriativo concorsuale.

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Qualsiasi idea si abbia di tale nuovo procedimento, al cui centro è stato posto il comportamento del debitore esecutato (e cioè, se esso sia un procedimento di vera cognizione sommaria; se esso sia rivolto a tutti i creditori non titolati ovvero ai soli creditori che agiscano su scrittura contabile obbligatoria; se quanto in esso “accertato” valga ai soli fini dell’espropriazione o vincoli anche nella successiva fase di distribuzione, etc.), è indubbio che le cognizioni anticipate di cui emergesse necessità prima della distribuzione (e quindi non solo la conversione, ma anche la riduzione del pignoramento, la limitazione del cumulo delle espropriazioni, la cessazione della vendita a lotti, la riduzione “proporzionale” di cui al nuovo art. 546, comma 2, c.p.c., etc.) dovranno fare i conti non soltanto col modello della controversia distributiva secondo il nuovo testo dell’art. 512 c.p.c.

(vecchio problema), ma anche col modello del procedimento incidentale di verifica (problema nuovo).

Infatti, l’art. 499, comma 5, c.p.c. vuole che il g.e. avvii tale procedimento in parallelo con l’autorizzazione della vendita; ma se l’istanza di conversione sia presentata subito dopo il compimento del pignoramento, sorge la necessità di stabilire se il “sentite le parti”, di cui all’art.

495, comma 2, c.p.c., sia sinonimo del procedimento di verifica, o sia evocativo di quanto avvenuto nella pratica delle esecuzioni prima ed indipendentemente dalle più recenti (più o meno meditate, più o meno adeguate) riforme dell’intervento e del concorso.

La sentenza in commento, sia pur implicitamente, sembra volgersi verso la seconda soluzione; e ci sembra una scelta del tutto corretta se non altro perché, ragionando sul riflesso della specializzazione delle fasi e dei rimedi, il procedimento di verifica è ben più settoriale della controversia distributiva, essendo esso destinato ad “accertare”, ai fini dell’esecuzione, la posizione dei soli creditori sforniti di titolo, lasciando di lato i creditori titolati (nonché gli intervenuti sulla scorta di provvedimento d’urgenza e i titolari di diritti sul ricavato a norma dell’art. 2812 c.c.);

laddove, in sede di conversione del pignoramento (come nelle altre occasioni di cognizione anticipata sul concorso), vengono in rilievo le posizioni di tutti i creditori concorrenti, senza eccezioni e senza distinzioni legate a prelazioni sostanziali o anche processuali.

Se così è, occorre ammettere che le riforme del 2005-2006 hanno finito per complicare la materia, sia pure nel tentativo di razionalizzarla.

Il dato che può essere tenuto fermo è che, dinanzi all’azione del creditore titolato (sia esso procedente o interventore), il debitore dispone, anche in sede di conversione, dello strumento dell’opposizione all’esecuzione, mediante il quale si contesta “il diritto della parte istante di procedere all’esecuzione forzata”. Il procedimento di conversione, ad esempio, potrà essere occasione per far emergere l’eccesso della domanda esecutiva, ed a tal proposito – come ricorda la sentenza in commento – è consolidato l’insegnamento secondo cui occorre aver riguardo al diritto consacrato nel titolo, piuttosto che alla richiesta formulata nel precetto. L’esame dei repertori mostra che problemi di questo genere potrebbero essere risolti con una cognizione ex officio del g.e., e possono formare al tempo stesso materia di opposizione all’esecuzione. In ogni caso, è materia di opposizione di merito la contestazione sull’esistenza o sull’ammontare del credito.

I dati successivi dipendono dalla fase in cui si colloca l’istanza di conversione.

Se anteriore al procedimento di verifica ex art. 499 c.p.c., il g.e. disporrà di poteri cognitivi non dissimili da quelli spendibili in fase di distribuzione: è felice l’intuizione della sentenza annotata, laddove opera un collegamento tra l’opposizione agli atti e la controversia distributiva. Dietro tale rapido accenno, vi è infatti la realtà di un g.e. che, in quanto tale e senza trasformarsi in un giudice della cognizione, conosce della sostanza dei crediti in concorso, adottando provvedimenti decisori (sia pure ai soli fini dell’esecuzione) in forma ordinatoria, perciò opponibili nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c. Detto in altri termini, la fonte di quella “cognizione sommaria”, di cui la giurisprudenza ha sempre parlato sia pure con riferimento alla sola “legittimazione” al concorso (ed in assenza di qualsiasi indice normativo), trova ora un solido riferimento nel novellato art. 512 c.p.c.

Se invece l’istanza di conversione segua il procedimento di verifica, è giocoforza ammettere che i risultati di quest’ultimo – sebbene all’interno di esso i poteri cognitivi del g.e. siano assai più limitati, se non addirittura elisi del tutto – saranno vincolanti anche in sede di conversione (come in

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