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INTERVENTO DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI VENEZIA

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INTERVENTO DELL’ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI VENEZIA

Signor Presidente, Signori Magistrati, Autorità, Colleghi, Signore e Signori,

Vi porto il saluto dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Venezia che ho il piacere e l’onore di rappresentare in qualità di presidente.

In questa giornata dedicata all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario Tributario intendo sottoporre all’attenzione dei Partecipanti due temi centrali, quello della certezza del diritto e quello della parità delle parti davanti al giudice.

È noto a tutti come il sistema tributario sia caratterizzato da interventi legislativi frastagliati e per nulla organici che rendono troppo incerta una materia assai delicata che incide sensibilmente sia sulla vita economica, e non solo, di aziende e cittadini, sia sul bilancio dello Stato.

Ai Giudici Tributari è, dunque, affidato l’arduo compito di interpretare le norme tributarie che malauguratamente troppe volte conduce a risultati contrastanti che non giovano a nessuna delle parti in causa. Assistiamo, infatti, troppo spesso a sentenze a corrente alternata che non sembrano tenere conto dei principi delle parità delle parti, del giusto processo e del principio di capacità contributiva.

Alcuni esempi risultano emblematici dell’incertezza che attualmente connota il sistema tributario.

Prendiamo le mosse dall’obbligo del rispetto del diritto al contraddittorio preventivo in relazione al quale la Corte di Cassazione ha in più occasioni sottolineato la sua applicabilità a tutti i tipi di controllo e a tutti i procedimenti tributari (in questo senso si ricordano le Sezioni Unite nelle sentenze n. 18184 del 29 luglio 2013 e n. 19667 e 19668 del 18 settembre 2014). Applicabilità che è stata, poi, smentita nella sentenza n. 24823 dell’8 dicembre 2015 e nuovamente affermata nella più recente sentenza n. 4587 pronunciata in data 22 febbraio 2017.

Altra area in cui certo non sembra regnare la certezza del diritto è quella relativa agli accertamenti bancari rispetto ai quali ci sono voluti dieci anni affinché la Corte Costituzionale, con la sentenza n.

228 del 6 ottobre 2014, dichiarasse illegittima la presunzione relativa ai prelevamenti bancari non giustificati; presunzione oggetto di recente modifica normativa1 nonostante, nel frattempo, alcuna giurisprudenza della Corte di Cassazione abbia rilevato l’illegittimità dell’applicazione di detto meccanismo presuntivo nei confronti dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo sia con riguardo ai prelevamenti, sia con riguardo ai versamenti non giustificati (in questo senso si vedano le sentenze n. 23041 dell’11 novembre 2015 e n. 16440 del 5 agosto 2016).

Ed ancora, non pare intravvedersi alcuna certezza nemmeno in ordine al tema delicatissimo della decadenza del potere di accertamento. Si evidenzia, infatti, che ci sono voluti quattro anni affinché il

1 Art. 7-quater, co. 1, lett. a) e b), del D.L. n. 193/2016.

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legislatore2 – dopo l’incertezza creata dall’intervento della Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 247 del 2011 – intervenisse al fine di rendere certa l’applicazione della disciplina del raddoppio dei termini, ancorandolo all’effettiva presentazione della denuncia penale.

Sul punto si evidenzia che in alcune recenti pronunce la Corte di Cassazione, facendo leva sul tema spinoso della successione delle leggi nel tempo, sembra essere andata oltre le intenzioni del legislatore, che erano quelle della chiarezza, creando un doppio regime di applicazione della norma, contribuendo in questo modo a mantenere proprio quel grado di incertezza riguardo al raddoppio dei termini che il legislatore aveva voluto eliminare.

Tant’è vero che, in questo contesto di incertezza, alcuni Giudici di merito, anche delle Commissioni Venete, non risultano avere aderito all’orientamento della Cassazione.

Altro fronte sul quale per anni ha regnato l’incertezza e sul quale l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti non pare siano stati in rapporto di parità, attiene ai termini di presentazione delle dichiarazioni fiscali integrative. Ci sono voluti, infatti, otto anni per parificare i termini di accertamento rispetto a quelli di presentazione delle dichiarazioni integrative in favore dei contribuenti (si veda l’art. 5 del D.L. n. 193/2016 che ha modificato l’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998).

In questi otto anni, anche su questo argomento, recentemente risolto dal legislatore, la giurisprudenza si era pronunciata in modo ondivago riconoscendo solo in parte il principio di parità delle parti processuali.

È evidente, dunque, che in un momento storico caratterizzato da gravi difficoltà economiche che, almeno in parte, si ritiene di poter superare anche attraverso il doveroso recupero della evasione fiscale, alla Giustizia Tributaria è attribuito un ruolo delicato.

Tuttavia è opportuno ricordare che il fine della Giustizia Tributaria non è quello di far quadrare il bilancio dello Stato, bensì quello di dirimere, con competenza e senza pregiudizi, le controversie fiscali che insorgono tra l’Amministrazione finanziaria ed i contribuenti, tenendo sempre presente i principi delineati dall’articolo 111 della Carta Costituzionale, secondo cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale».

Pertanto, come rilevato anche dal Presidente dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, Massimo Miani, in occasione dell’inaugurazione dell’anno Giudiziario Tributario tenutasi a Roma il 27 febbraio scorso, è il momento di «introdurre un giudice a tempo pieno, professionale, che possa assicurare autonomia, terzietà e indipendenza della funzione giudicante, oltre che una maggiore sua produttività».

2 Art. 1, co. 132, della L. 208/2015.

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Alla luce di tali principi destano, dunque, molta perplessità le recenti dichiarazioni della Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Raffaella Orlandi, laddove riferisce che l’Agenzia delle Entrate sta

«lavorando con la Corte per avere sentenze pilota».

Ciò di cui la Giustizia Tributaria necessità, infatti, non è un rapporto di consulenza con una delle parti processuali, bensì di un potenziamento del proprio organico che operi in modo professionale ed indipendente, nel rispetto del principio dell’imparzialità del giudice nel duplice aspetto dell’essere e dell’apparire imparziale, al fine di garantire la massima autonomia di giudizio in favore di una vera giustizia.

Massimo Da Re

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