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ARISTOTELE VITA: Gli scritti di Aristotele

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VITA:

(tratto e riadattato da Reale Antiseri storia del pensiero occidentale

)

Aristotele nacque nel 384/383 a.C. a Stagira, al confine macedone. Il padre di Aristotele era medico e fu al servizio del re Aminta di Macedonia (padre di Filippo il Macedone). E’ quindi probabile che, per un certo periodo di tempo, il giovane Aristotele con la famiglia abbia dimorato a Pella (capitale del regno macedone) e abbia frequentato la corte.

A diciotto anni, cioè nel 366/65 a.C., Aristotele si recò ad Atene ed entrò nell’Accademia platonica.

Fu appunto alla Scuola di Platone che Aristotele maturò e consolidò la propria vocazione filosofica, tanto che restò nell’Accademia per ben vent’anni, ossia fino a che Platone rimase in vita. E’ certo che nell’arco dei vent’anni passati all’Accademia, che sono gli anni decisivi nella vita di un uomo, Aristotele acquisì i principi platonici nella loro sostanza e li difese in alcuni scritti, ma anche li sottopose a stringenti critiche, tentando di piegarli in nuove direzioni.

Alla morte di Platone (347 a.C.), Aristotele non si sentì di rimanere nell’Accademia, perché la direzione della Scuola era stata presa da Speusippo (il quale capeggiava la corrente più lontana dalle convinzioni maturate da Aristotele) e pertanto se ne andò da Atene e si recò in Asia Minore dove fondò una Scuola e rimase alcuni anni.

Con il 343/342 inizia un nuovo periodo nella vita di Aristotele: Filippo il Macedone lo chiama a corte e gli affida l’educazione del figlio Alessandro, che aveva allora tredici anni. Purtroppo sappiamo pochissimo dei rapporti che si stabilirono tra i due eccezionali personaggi (uno dei più grandi filosofi e uno dei più grandi uomini politici di tutti i tempi) che la sorte volle legare. E’ certo comunque che Aristotele (in seguito) non capì l’idea di ellenizzare i Barbari e di parificarli con i Greci. Il genio politico del discepolo, in questo ambito, dischiuse prospettive storiche assai più nuove e più audaci di quelle che le categorie politiche del filosofo non permettessero di comprendere, dato che erano categorie sostanzialmente conservatrici.

Alla corte macedone Aristotele restò forse fino a quando Alessandro salì al trono, cioè fin verso il 336 a.C.

Finalmente nel 335/334 a.C. Aristotele tornò ad Atene e fondò la sua Scuola vicino ad un tempietto sacro ad Apollo Licio, donde venne il nome di “Liceo” dato alla Scuola. E poiché Aristotele impartiva i suoi insegnamenti passeggiando nel giardino della Scuola, essa fu chiamata anche “Peripato” (dal greco Peripatos = passaggiata), e Peripatetici furono detti i suoi seguaci.

Il Peripato si contrappose così all’Accademia, e, per un certo periodo di tempo, la eclissò interamente.

Furono questi gli anni più fecondi nella produzione di Aristotele: gli anni che videro il completamento e la grande sistemazione dei trattati filosofici e scientifici che ci sono pervenuti.

Nel 323 a.C., morto Alessandro, ci fu in Atene una forte reazione antimacedone, nella quale fu coinvolto anche Aristotele, reo di essere stato maestro del grande sovrano (formalmente fu accusato di empietà). Per sfuggire ai nemici, si ritirò a Calcide, dove aveva delle proprietà, lasciando Teofrasto alla direzione del Peripato. Morì nel 322 a.C., dopo pochi mesi di esilio.

Gli scritti di Aristotele

Scritti essoterici = scritti per il pubblico: non ci sono prevenuti; ne abbiamo solo pochi frammenti e ne conosciamo i contenuti “a grandi linee”. Sono opere in cui Aristotele appare ancora vicino al suo maestro sia per i contenuti (immortalità dell’anima, conoscenza come reminiscenza, la morte come liberazione, la filosofia come abbandono del mondo sensibile e contemplazione delle idee eterne), sia per la forma letteraria e lo stile: infatti questi scritti hanno struttura dialogica e utilizzano i miti e altri ornamenti vivaci.

Scritti esoterici ( = iniziatici, segreti) o acroamatici (= per gli ascoltatori): sono tutti gli scritti utilizzati per l’insegnamento all’interno del Liceo; hanno uno stile scarno ed essenziale, hanno la veste di trattati sistematici, rigorosi, razionali, esprimono il pensiero maturo di Aristotele, ormai molto distante dalla filosofia di Platone.

Gli scritti esoterici o acroamatici sono stati pubblicati, due secoli dopo la morte di Aristotele, da Andronico di Rodi, che è anche l’artefice della classificazione con cui questi scritti sono giunti fino a noi.

SCRITTI ESOTERICI:

ARISTOTELE

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1) Scritti di Logica, noti complessivamente col nome di Organon (= strumento): comprendono 6 trattati (Categorie, Dell’interpretazione, Analitici Primi, Analitici Secondi, Topici, Confutazioni sofistiche) e riguardano il metodo del ragionamento.

2) Scritti di fisica, scienze naturali (botanica, zoologia, metereologia ecc.), psicologia e scritti di matematica:

comprendono numerosi trattati che riguardano il mondo naturale o sensibile.

3) 14 libri della Metafisica: il termine metafisica fu “inventato” da Andronico di Rodi e stava semplicemente ad indicare i trattati che venivano dopo la fisica. La metafisica di Aristotele si occupa delle cause e dei principi primi dell’essere, dell’essere in quanto essere, della sostanza e dell’essere soprasensibile o spirituale.

4) scritti di etica, politica, economia, poetica e retorica

DIFFERENZE E ANALOGIE TRA PLATONE E ARISTOTELE

La diversa concezione del sapere e della realtà

Platone e Aristotele discordano fra di loro per la diversa concezione generale degli scopi e della struttura del sapere.

1) In primo luogo Platone crede nella finalità etica e politica della conoscenza e vede il filosofo, nella sua massima incarnazione, come un governante e un legislatore della città.

Aristotele invece fissa lo scopo della filosofia nella conoscenza disinteressata del reale e vede il filosofo, nella sua più compiuta espressione, come un sapiente, o uno scienziato-professore, tutto dedito alla ricerca e all’insegnamento. Se in Platone prevale quindi il momento etico-politico, in Aristotele predomina quello conoscitivo e scientifico.

N.B. La finalità etico-politica della conoscenza - per Platone - non comporta la riduzione della filosofia a tecnica (come invece avveniva per i Sofisti). Platone è convinto che l’azione morale e politica dell’uomo debba fondarsi su una conoscenza certa e oggettiva della realtà, quindi anche Platone, come Aristotele, ricerca l’episteme, la scienza.

2) In secondo luogo Platone pensa che il “nostro mondo”, cioè la realtà materiale e mutevole, sia solo il riflesso o la copia di un mondo superiore, immateriale ed eterno: il mondo delle Idee. Per Platone solo la conoscenza delle Idee costituisce la Scienza (episteme), mentre la conoscenza del mondo materiale è Opinione (doxa). Il mondo materiale non ha nessuna consistenza propria, nessuna autonomia, è un mondo di ombre, di copie imperfette delle Idee.

Per Aristotele invece non esiste nessun mondo di Idee separate dalla realtà materiale: perciò il “nostro mondo” sensibile non è più visto come un mondo imperfetto, derivato e dipendente da un “altro mondo”

ideale. Pertanto questo mondo sensibile può essere l’oggetto di studio della scienza.

3) In Aristotele non c’è - conseguentemente - quella tendenza ascetico-religiosa che avevamo trovato in Platone; appare invece un interesse per la realtà naturale, sensibile, che viene considerata “buona” e autoconsistente. Quindi anche la conoscenza empirica viene considerata positivamente, viene ritenuta necessaria per l’edificazione della scienza. Platone invece aveva scarso interesse per la conoscenza della natura e riteneva ingannevole la conoscenza empirica: la vera conoscenza era un processo tutto interiore di reminescenza e di riflessione razionale.

Diversità di metodi e di interessi

Questa diversa concezione del sapere e della realtà si concretizza anche in un diverso metodo di filosofare.

Mentre in Platone vi è un filosofare aperto e problematico che ripropone incessanetemente interrogativi e soluzioni, in Aristotele c’è la tendenza ad organizzare il discorso filosofico in un sistema “chiuso”, cioè in un insieme fisso e immutabile di verità rigidamente connesse.

Inoltre, mentre Platone fa uso dei miti cercando per questa via di superare i limiti della ragione, Aristotele concepisce la filosofia come una speculazione rigorosamente razionale: quindi nelle opere esoteriche non fa mai ricorso alla mitologia.

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Infine, come abbiamo già detto, Aristotele nutre un vivo interesse per le scienze naturali (zoologia, biologia ecc. non a caso era figlio d’un medico!) e uno scarso interesse per la matematica; Platone al contrario è poco interessato alle scienze naturali e attribuisce invece grandissima importanza alla matematica, considerata preliminare alla dialettica filosofica.

Analogie sostanziali fra Platone e Aristotele

Le differenze enunciate non devono far pensare ad una contrapposizione netta fra Aristotele e Platone.

Aristotele, pur andando oltre Platone, è pur sempre il “discepolo di Platone” e il suo sistema reca forti eredità del maestro.

In primo luogo va evidenziato il fatto che Aristotele, come Platone, si oppone al relativismo dei sofisti:

anche per Aristotele è possibile raggiungere una conoscenza oggettiva e certa (valida sempre e per tutti).

In secondo luogo notiamo che anche Aristotele, come Platone, afferma l’esistenza di una realtà spirituale, soprasensibile, eterna, anche se la rappresenta in modo completamente diverso da Platone. Quindi Aristotele conferma la “seconda navigazione” platonica e, insieme a Platone, si oppone al materialismo di Democrito.

A questo proposito va notato che nel sistema di Aristotele ci si trova spesso di fronte a una tensione tra naturalismo e spiritualismo: ciò significa che Aristotele cerca di render conto dell’autonomia e del valore positivo della realtà naturale, ma nello stesso tempo afferma l’esistenza di una causa prima spirituale, attribuisce un carattere spirituale all’intelletto umano e pone il fine ultimo dell’uomo nella contemplazione delle realtà sovrasensibili.

Il quadro delle scienze secondo Aristotele

Aristotele divide e classifica le scienze secondo le loro finalità:

1) al primo posto stanno le scienze teoretiche, che ricercano il sapere per se stesso, cioè la conoscenza disinteressata, libera; esse sono la metafisica, la fisica (che include tutte le scienze naturali e anche la psicologia) e la matematica. Queste scienze studiano il necessario (ciò che non può essere diverso da ciò che è così com’è).

2) al secondo posto stanno le scienze pratiche, che hanno uno scopo: orientare il comportamento umano individuale (etica) e collettivo (politica, economia).

3) al terzo posto stanno le scienze poietiche che hanno come scopo la produzione: produzione di opere d’arte (poetica), di discorsi (retorica), di oggetti. Sulla produzione di oggetti, cioè sulla tecnica, Aristotele non ha scritto nulla.

La logica non rientra nelle tre branche suddette perché essa descrive il metodo di ragionamento che viene utilizzato da tutte le scienze sopra elencate.

NOTA BENE: per Aristotele la filosofia nasce dalla “meraviglia” di fronte alla realtà e dal desiderio di capire le cause di quella realtà che “stupisce”. Il fine della filosofia è quindi semplicemente la conoscenza, desiderata e cercata per se stessa. La filosofia è costituita quindi, primariamente, dalle scienze teoretiche.

Perché Aristotele attribuisce alle scienze teoretiche il primo posto, cioè la dignità più alta?

Perché le scienze teoretiche sono libere, in quanto non sono asservite a nessuno scopo esterno ad esse, e quindi sono più nobili delle scienze pratiche e poietiche, che invece sono asservite ad altro (così come l’uomo libero è più nobile del servo che non vive per se stesso, ma per servire un altro uomo).

Notiamo che qui si manifesta una mentalità piuttosto diverso da quella odierna, che molto spesso attribuisce valore a un pensiero soltanto per la sua efficacia pratica e per i risultati utili che può produrre.

ARISTOTELE : LA METAFISICA

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Che cos’è la metafisica?

E’ noto che il termine “metafisica” (= ciò che è oltre la fisica) non è termine aristotelico (fu coniato da Andronico di Rodi per designare i libri che, nella sua edizione delle opere aristoteliche, venivano dopo quelli dedicati alla fisica).

Aristotele usava, per lo più, l’espressione “filosofia prima” o teologia in opposizione alla filosofia seconda o fisica, ma il termine metafisica fu preferito dai posteri: infatti la “filosofia prima” è la scienza che si occupa delle realtà-che-stanno-al-di-sopra-di-quelle-fisiche. E metafisica fu denominato, in tutta la storia del pensiero occidentale (dopo Aristotele), ogni tentativo di superare il mondo empirico per raggiungere una realtà sovrasensibile.

Le definizioni che Aristotele diede della metafisica sono quattro:

a) la metafisica indaga le cause prime e i principi primi o supremi.

b) indaga l’essere in quanto essere c) indaga la sostanza

d) indaga Dio e la sostanza soprasensibile.

Queste definizioni sintetizzano tutta la precedente filosofia (da Talete a Platone), ma, soprattutto, sono in armonia fra di loro, sono reciprocamente collegate, perché (come vedremo) tutte convergono nel problema della sostanza e della sostanza sovrasensibile.

Metafisica: Le quattro cause

Esaminiamo la prima definizione della Metafisica: “la metafisica indaga le cause prime e i principi primi o supremi”.

Per Aristotele si tratta di comprendere innanzitutto le cause che determinano ciascuna delle singole cose di cui è composto il mondo. Tuttavia, anche se dovessero essere chiarite nel dettaglio le cause di ogni cosa particolare la ricerca non potrebbe dirsi conclusa. Il mondo infatti non è soltanto composto di parti, ciascuna isolata rispetto alle altre, ma è un tutto ordinato: il mondo non è un insieme di cose e di eventi distinti tra loro, ma forma un’unità e quindi la realtà nel suo complesso ci pone domande fondamentali. Si tratta in questo caso di comprendere le cause prime (o ultime), le ragioni originarie che possano permetterci di capire perché la realtà è fatta così. (per esempio posso capire chela causa dell’esistenza degli esseri viventi è il meccanismo della riproduzione, ma qual è la causa prima della catena ininterrotta di generazioni? perché la vita esiste in questo modo?)

Una precisazione: con il termine causa Aristotele intende un concetto piuttosto ampio, più ampio del significato che questa parola ha per noi; egli intende le condizioni che è necessario ammettere per spiegare le cose e il loro divenire.

Aristotele distingue quattro tipi di cause:

1) causa formale 2) causa materiale 3) causa efficiente 4) causa finale

Le prime due non sono altro che la forma (o essenza) e la materia, che costituiscono tutte le cose, e di cui dovremo parlare con maggiore ampiezza più avanti. Ora si badi: materia e forma sono sufficienti a spiegare la realtà, se la consideriamo staticamente; se, invece, la consideriamo dinamicamente, cioè nel suo divenire, nel suo prodursi e nel suo corrompersi, allora non bastano più. Così, ad esempio, una statua è da noi ben conosciuta se conosciamo ciò di cui è fatta (ad esempio il marmo o il bronzo = causa materiale); la forma che fa sì che sia quella determinata statua e non un’altra (ad esempio la forma di Ermes o di Apollo = causa formale); chi ha fatto quella statua (lo scultore = causa efficiente); lo scopo per cui è stata fatta (il guadagno dello scultore oppure il culto religioso = causa finale).

Metafisica: i molteplici significati dell’essere

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La seconda definizione della metafisica, come abbiamo visto sopra, viene data da Aristotele in chiave ontologica: «c’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l’essere in quanto essere universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte». La metafisica, dunque, considera l’essere come “intero”, mentre le scienze particolari considerano solo parti di esso. la metafisica vuole pervenire alle “cause prime dell’essere come essere”, ossia al perché che dà ragione della realtà nella sua totalità; le scienze particolari si fermano alle cause particolari, alle particolari sezioni della realtà.

Ma che cos’è l’essere? Parmenide lo aveva inteso come “unico”. Platone aveva già compiuto un grande progresso introducendo il concetto di “non-essere” come “diverso”, che permetteva di giustificare la molteplicità degli esseri intelligibili (le Idee). Ma Platone non aveva avuto ancora il coraggio di far rientrare nella sfera del vero essere anche il mondo sensibile, che preferì denominare “intermedio fra essere e non- essere (perché diviene). Ora Aristotele introduce la sua grande riforma che comporta il totale superamento dell’ontologia eleatica; l’essere non ha un solo significato ma molteplici significati. Tutto ciò che non è un puro nulla rientra pienamente nella sfera dell’essere, sia esso una realtà sensibile sia esso una realtà intelligibile. Ma, secondo Aristotele, tutti i significati dell’essere implicano un comune riferimento ad un’unità, ossia uno strutturale riferimento alla sostanza . Questa concezione aristotelica, sviluppata poi dai filosofi medievali, sarà chiamata teoria dell’ analogia dell’essere .

Pertanto l’essere o è sostanza, o è affezione della sostanza o attività della sostanza, o , in tutti i casi, qualcosa-che-si-riporta- alla -sostanza.

Aristotele ha cercato anche di redigere una tavola che raccogliesse tutti i significati possibili dell’essere e ha distinto quattro gruppi fondamentali di significati:

1) l’essere come CATEGORIE 2) l’essere come ATTO E POTENZA 3) l’essere come ACCIDENTE

4) l’essere come VERO e il non-essere come falso

1) LE CATEGORIE rappresentano il gruppo principale dei significati dell’essere e costituiscono le originarie “divisioni dell’essere”, o i “supremi generi dell’essere”. Ecco la tavola delle categorie:

1. Sostanza 2. Qualità 3. Quantità 4. Relazione 5. Azione 6. Passione 7. Luogo 8. Tempo ( 9. Avere 10. Giacere)

La nona e decima categoria sono indicate tra parentesi perché Aristotele ne parla pochissime volte.

E’ da rilevare che malgrado si tratti di significati originari, solo la prima categoria ha una sussistenza autonoma, mentre tutte le altre presuppongono la prima e si fondano sull’essere della prima (la “qualità” e la

“quantità” sono sempre di una sostanza, le “relazioni” sono fra sostanze ecc.).

Un’altra osservazione va fatta riguardo alla sostanza: infatti il termine sostanza può riferirsi sia al singolo individuo, sia al genere: il “gatto” è certamente una sostanza, in quanto non è predicato di altro, ha sussistenza autonoma, tuttavia solo il singolo gatto, l’individuo, esiste realmente, mentre il genere gatto è frutto di un’astrazione, esiste come concetto mentale: Aristotele quindi parla di Sostanza prima per riferirsi alla sostanza individuale, realmente esistente, e di Sostanza seconda per riferirsi alla sostanza generica, che esiste solo concettualmente.

2) ESSERE IN ATTO - ESSERE IN POTENZA Una seconda via, battuta da Aristotele per superare le aporie di Parmenide, è quella dei concetti di essere-in-atto e di essere-in-potenza. Secondo Parmenide il divenire è impossibile, perché l’essere non può divenire dall’essere, dato che l’essere c’è già, né dal non- essere, perché il non-essere non esiste e quindi nulla può divenire da esso.

Per Aristotele invece il divenire, che è una realtà evidente, si può concepire come possibile se si pone attenzione al fatto che fra il non essere assoluto e l’essere pienamente in atto v’è l’essere-in-potenza. Se un pezzo di legno diventa una statua attraverso l’opera dello scultore è perché esso lo può diventare, perché è

“in potenza” una statua. Il legno possiede già questo essere-in-potenza, a differenza, ad esempio, dell’aria o del fuoco che non possono diventare una statua. Così il seme è in potenza la pianta, l’uovo è in potenza

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l’uccello, il bimbo è in potenza l’uomo, ecc. Dunque l’essere (l’essere-in-atto, cioè l’essere così come si presenta attualmente, nella sua realizzazione attuale) non diviene dal nulla assoluto, ma dall’essere-in- potenza.

D’altro lato, quando tale essere-in-potenza si è realizzato, noi diciamo che l’essere è in atto. Così è essere-in- atto la statua compiuta rispetto al legno informe, la pianta rispetto al seme, l’uccello rispetto all’uovo, l’uomo rispetto al bimbo. Fra potenza e atto c’è una perfetta corrispondenza. Non qualsiasi cosa, infatti, può diventare una qualsiasi altra cosa (per esempio un seme di frumento non può diventare una quercia o una pianta di mais, ma solo una pianta di frumento).

L’atto, inoltre, è sempre anteriore alla potenza. Sia perché solo riferendoci all’atto noi possiamo concepire la potenza (sappiamo che il seme è in potenza una pianta perché abbiamo presente nella mente la pianta in atto), sia perché ogni potenza è tale in quanto deriva da un precedente atto (il seme deriva dalla pianta, la statua scolpita deriva dallo scultore che ha già in mente la statua in atto, ecc.).

La dottrina della potenza e dell’atto avrà, come vedremo, molteplici applicazioni nella filosofia aristotelica;

ad essa, infatti, Aristotele si riferirà per cercare di comprendere tutta una serie di fenomeni del mondo fisico e umano che altrimenti sarebbero incomprensibili.

3) L’ESSERE ACCIDENTALE è l’essere casuale e fortuito (ciò che “accade che sia”). Si tratta di un modo di essere che non solo dipende da un altro essere, ma che non è legato a questo da alcun vincolo essenziale (per esempio, è un puro “accadimento” che io sia in questo momento seduto, o pallido, ecc.) E’ dunque un tipo di essere che “non è né sempre né per lo più”, ma solo “talora”, casualmente.

4) L’ESSERE COME VERO è quel tipo di essere che è proprio della mente umana che pensa le cose e le sa congiungere come sono congiunte in realtà, o disgiungere come sono disgiunte in realtà. Quest’ultimo tipo di essere è studiato nella Logica (vedi oltre).

Metafisica: il significato di sostanza

Il punto di riferimento unitario dei vari significati dell’essere è per Aristotele la sostanza. Ogni cosa può esser detta “essere” perché è sempre in qualche modo collegata con la sostanza. La sostanza è allora l’essere fondamentale, tanto che domandarsi «che cos’è l’essere?» equivale, per Aristotele, a domandarsi «che cos’è la sostanza?». Il problema della molteplicità degli esseri diventa quindi il problema della molteplicità delle sostanze, e la metafisica, come scienza dell’essere, diventa per Aristotele primariamente scienza della sostanza.

La metafisica dovrà quindi studiare che cosa sia la sostanza in generale, e poi porsi il problema di quali sostanze esistano: se solo le sostanze sensibili o anche le sostanze soprasensibili.

SOSTRATO. Sostanza, dice Aristotele, significa anzitutto “sostrato”. E con sostrato egli intende «ciò di cui vengono predicate tutte le altre cose, mentre esso non viene predicato di nessun’altra». In questo senso la sostanza, come prima categoria dell’essere, si contrappone alle altre categorie. Mentre la qualità, la quantità, ecc. si predicano dell’essere sostanziale, l’essere sostanziale rimane il soggetto ultimo di ogni altra cosa.

Così possiamo dire che il bianco è la qualità di una statua, ma non possiamo poi dire che la statua sia il predicato o l’attributo di qualcos’altro. Essa esiste autonomamente in sé e per sé, ed è appunto questa esistenza autonoma ciò che caratterizza in ultima analisi un essere come sostanza.

Procedendo nell’analisi, Aristotele dice che sostanza è sia il sinolo (o composto) di materia e forma (per esempio la statua concreta che deriva dall’unione di forma e materia), sia la forma (e cioè la struttura o configurazione della statua), mentre la materia non può essere considerata sostanza perché non esiste una materia pura, priva di qualsiasi forma (la materia di fatto si presenta sempre in una certa forma). Pertanto la materia, in quanto tale, non esiste autonomamente, in sé e per sé.

FORMA: la forma delle cose è sostanza perché è la forma che determina la materia in un certo modo e che costituisce una realtà nel suo essere più profondo: la forma di una cosa esprime l’essenza della cosa stessa.

Quindi la forma delle cose non è solo il fondamento costitutivo delle cose, ma anche il principio per cui noi le possiamo conoscere in ciò che esse propriamente sono.

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Teniamo a mente che “forma” non significa aspetto esteriore, apparenza, ma “struttura”, “ principio organizzatore” (per esempio la forma di una casa è il progetto che determina la disposizione dei mattoni, delle travi, delle porte ecc.) .

NOTA BENE: Le forme di cui parla Aristotele corrispondono evidentemente alle Idee di Platone. C’è tuttavia una differenza importantissima: le idee di Platone erano realtà sussistenti, esistenti in una dimensione ultraterrena, separate dalle cose di cui erano causa. Per Aristotele invece le forme delle cose devono essere immanenti alle cose, infatti se le idee o forme sono fuori delle cose, non si vede come possano spiegarne l’essere o farcele meglio conoscere. Questa difficoltà era già presente allo stesso Platone, il quale aveva cercato di risolverla facendo ricorso al mito del Demiurgo: Platone aveva cioè risolto il problema del rapporto fra le idee e le cose parlando di “imitazione” e facendo ricorso a una divinità mediatrice. Aristotele però non accetta questa soluzione perché (secondo lui) non si tratta di una spiegazione razionale, ma solo di una invenzione poetica e mitica.

Quindi le forme delle cose, secondo Aristotele, non sono separate dalle cose stesse, ma sono immanenti, cioè esistono dentro le cose, e solo così possono essere principio ontologico e gnoseologico delle cose.

In definitiva Aristotele nega l’esistenza delle Idee, cioè di forme delle cose separate dalle cose, ma tuttavia non nega, come vedremo, l’esistenza di sostanze immateriali.

SINOLO: a questo punto risulta chiaro che sostanze sono anche, per Aristotele, i sinoli, vale a dire i

“composti di materia e forma”, vale a dire tutte le cose e tutti gli individui concreti: infatti essi hanno esistenza autonoma, e sono sostrato di determinazioni. Sostanza in senso proprio è il sinolo di materia e forma.

Metafisica: sostanza, materia e forma, potenza e atto

Le dottrine esposte fin qui vanno ancora integrate con alcune precisazioni riguardanti la potenza e l’atto riferiti alla sostanza, alla materia e alla forma. Secondo Aristotele c’è una corrispondenza tra la materia e la potenza, e tra la forma e l’atto. Infatti la materia è potenza o potenzialità perché è capacità di assumere o di ricevere la forma: ad es.. il bronzo è potenza della statua, perché è capacità di assumere la forma della statua.

La forma si configura invece come atto o attuazione di quella capacità: la forma della statua è l’attuazione della potenzialità insita nel bronzo. Le sostanze-sinoli, in quanto composti di materia e forma, saranno pertanto dei misti di potenza e atto: questo significa che tutte le cose materiali avranno un’esistenza attuale identificata dalla loro forma, ma avranno anche una certa potenzialità, vale a dire la capacità di trasformarsi, di assumere nuove forme.

Se esistessero degli esseri immateriali, questi, in quanto privi di materia, sarebbero anche privi di potenzialità, e quindi non sarebbero suscettibili di trasformazioni.

Metafisica: la sostanza soprasensibile

Il problema che si pone alla fine della metafisica è: esistono degli esseri immateriali, o spirituali, vale a dire:

esistono delle sostanze soprasensibili, costituite solo da forma (forme pure e atti puri)?

L’argomentazione di Aristotele a favore dell’esistenza di sostanze soprasensibili presuppone alcuni concetti trattati nella Fisica, che qui dobbiamo anticipare: 1°) quando parla di movimento Aristotele si riferisce a qualsiasi tipo di mutamento o di divenire (quindi movimento nello spazio, ma anche trasformazione, generazione e corruzione, accrescimento e diminuzione) 2°) ogni movimento-divenire è passaggio dalla potenza all’atto, ed esige una causa che sia già in atto: quindi ogni cosa in movimento è mossa da altro. 3°) il tempo è eterno, infatti se avesse un inizio e una fine ci sarebbero un “prima” e un “dopo” del tempo, ma

“prima” e “dopo” sono ancora tempo: l’eternità del tempo implica l’eternità del movimento e del mondo, perché il tempo dipende dal movimento (senza movimento non ci sarebbe percezione del tempo).

Seguiamo ora il ragionamento con cui Aristotele dimostra l’esistenza della sostanza soprasensibile, cioè di Dio. Le sostanze materiali sono tutte dotate di movimento (in quanto hanno una potenzialità che si deve attuare). Ora tutto ciò che si muove è necessario che sia mosso da altro: ogni movimento richiede un

“movente” o “motore”; se questo si muove rimanda a un altro “motore” ancora, e così via (per esempio la rete è mossa dalla pallina, ma questa è mossa dalla racchetta, la racchetta è mossa dal braccio e così via). In

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questo processo di rimandi non è possibile risalire di motore in motore all’infinito, perchè altrimenti non avremmo mai la causa del movimento e dunque neppure il movimento stesso.

E’ necessario quindi che ci sia un principio assolutamente “primo” e assolutamente “immobile” che sia la causa prima del movimento intero.

Poiché il movimento è inteso da Aristotele come passaggio dalla potenza all’atto, tale principio, assolutamente immobile, dovrà essere inteso come assolutamente privo di potenza e quindi come atto puro (solo l’atto puro non si muove, non diviene, perché è già completamente attuato, non ha nessuna potenzialità da realizzare). Come tale non potrà avere in sé alcuna materialità, dato che la materia implica potenzialità e movimento.

Aristotele pertanto afferma l’esistenza di un PRIMO MOTORE IMMOBILE, ATTO PURO (perché privo di potenzialità), FORMA PURA (perché immateriale), e questo Primo Motore è Dio.

Secondo Aristotele non esiste un unico Dio, in realtà sono molti i motori immobili, quindi le sostanze immateriali che danno origine al movimento delle cose materiali: il primo Motore Immobile muove la sfera delle stelle fisse e poi c’ è un Motore Immobile (una sostanza immateriale e divina) per ognuna delle 55 sfere che stanno fra la sfera delle stelle fisse e la Terra. Aristotele però sente il bisogno di unificare questa pluralità di cause affermando l’esistenza di un PRIMO Motore al quale gli altri sono subordinati;

insomma in Aristotele c’è un monoteismo esigenziale più che effettivo.

Ma in che modo questo Dio Atto Puro può muovere le cose restando assolutamente immobile? Come oggetto di desiderio e di amore. “Il primo motore muove come l’oggetto di amore attrae l’amante”. Dio è perfetto (proprio perché è atto puro) e quindi è il bene sommo, è sommamente desiderabile e amabile, per questo muove le cose semplicemente attirandole, senza muoversi. Pertanto la causalità di Dio non è una causalità efficiente (che implica il movimento), ma finale: Dio muove le cose perché è il bene supremo e perfetto a cui esse tendono

Secondo Aristotele Dio, oltre che Primo Motore Immobile, Atto Puro, Sostanza immateriale, è anche Vita intellettiva o Intelligenza o Pensiero, perché se egli è perfetto deve possedere la vita nella sua forma più alta e libera (la vita intellettiva è attività superiore a tutte le altre perché non è determinata dall’esterno ed è quindi assolutamente libera)

Ma che cosa pensa Dio? pensa la cosa più eccellente: se stesso. Per questo Aristotele lo definisce “Pensiero di Pensiero”. Dio non può pensare le cose del mondo e gli uomini, esseri imperfetti e mutevoli, perché altrimenti si abbasserebbe, si degraderebbe. Per la stessa ragione Dio non ama il mondo e gli uomini, perché l’amore è una manifestazione di bisogno (Amore è figlio di Povertà, aveva detto Platone) incompatibile con la perfezione divina; Dio quindi è oggetto di amore ma non soggetto di amore (= è amato, non amante).

Infine Dio non ha creato il mondo, ma è soltanto causa del divenire del mondo: di fronte all’esistenza eterna di Dio sta l’esistenza eterna della materia che si muove e si attua perché attratta, ultimamente, dalla perfezione divina.

Come si vede la concezione teologica di Aristotele è molto distante sia da quella della religione olimpica (la divinità aristotelica non è antropomorfa, non ha sembianze, comportamenti e sentimenti umani), sia da quella biblica e cristiana: in particolare nella teologia biblica e cristiana c’è la creazione, la provvidenza e l’amore di Dio per le creature, amore gratuito e donativo, che ovviamente non nasce da un bisogno o da una imperfezione, ma da una ricchezza e sovrabbondanza d’essere. Tuttavia non mancano alcune somiglianze tra il Dio aristotelico e quello biblico (la perfezione, l’immutabilità e quindi l’eternità, il monoteismo nel senso che abbiam detto), che verranno valorizzate dalla teologia cristiana.

In conclusione occorre rilevare che Aristotele, dopo aver negato l’esistenza delle Idee platoniche intelligibili immateriali, ha tuttavia introdotto una sostanza immateriale; quindi la sua critica a Platone non nega la validità della “seconda navigazione” platonica, vale a dire la scoperta di una dimensione spirituale,

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soprasensibile; però Aristotele concepisce la realtà spirituale in modo diverso, non come forma intelligibile delle cose, ma come causa intelligente del divenire delle cose.

ARISTOTELE : LA FISICA

La fisica riguarda tutte le sostanze costituite di forma e materia, la quali sono caratterizzate dal movimento.

Abbiamo già visto nella Metafisica quali sono le cause e le condizioni del movimento e del divenire.

A questo punto occorre precisare che per A. esistono diversi tipi di divenire:

1) della sostanza: generazione e corruzione 2) della qualità: alterazione

3) della quantità : aumento e diminuzione 4) del luogo: traslazione

Fisica: il cosmo, mondo terrestre e mondo celeste

Secondo Aristotele il mondo fisico è diviso in due “zone”: il mondo terrestre o sublunare e il mondo celeste o sopralunare.

Il mondo terrestre è costituito da una materia composta dai quattro elementi: terra aria fuoco e acqua.

Il mondo terrestre è soggetto a tutti i 4 tipi di divenire e tutte le cose terrene sono corruttibili.

Il movimento naturale nel mondo terrestre è un movimento rettilineo e non è determinato dalla forza di gravità (sconosciuta ad Aristotele), ma dalla tendenza di ogni elemento a raggiungere il suo luogo naturale: il luogo della terra è il più centrale e basso nell’universo, sopra la terra stanno l’acqua, poi l’aria e poi il fuoco;

i corpi tendono a cadere verso il basso oppure a sollevarsi in base agli elementi da cui sono costituiti.

Attorno alla terra ruotano i corpi celesti (la luna, il sole, i sette pianeti e le stelle), incastonati in sfere trasparenti (ogni sfera è come una buccia che avvolge la terra, e Aristotele per spiegare tutti i movimenti astronomici afferma l’esistenza di 56 sfere).

Tutto il mondo sopralunare (corpi celesti e sfere) è costituito da una sola materia, chiamata etere, ed è caratterizzato da un unico tipo di divenire: il movimento circolare (che appartiene alle traslazioni).

Pertanto tutte le sostanze del mondo sopralunare sono incorruttibili, eterne, come del resto è eterno il mondo nel suo insieme (ma è spazialmente finito).

Complessivamente la realtà risulta perciò costituita, per Aristotele, da tre livelli: 1: Sostanze soprasensibili, immateriali e immobili, 2: sostanze celesti, sensibili e mobili ma incorruttibili, 3: sostanze terrestri, sensibili, mobili e mutevoli, corruttibili.

La concezione aristotelica dell’universo (la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare, la collocazione della terra al centro dell’universo con i corpi celesti ruotanti intorno e portati da sfere), con alcune correzioni fatte da Tolomeo, rimarrà la concezione cosmologica comunemente accettata fino alla rivoluzione astronomica dell’età moderna (realizzata nei secoli XVI e XVII da Copernico, Keplero e Galilei).

Fisica: l’ordine finalistico della natura

Lo studio delle cause degli esseri e dei molteplici mutamenti del mondo sensibile conduce Aristotele, nella Fisica, a polemizzare non solo con Platone riguardo all’immanenza della causa formale, ma anche con Democrito, e in genere con il meccanicismo atomistico. Per Aristotele tale concezione non rispecchia la realtà e non spiega i mutamenti che in essa avvengono. Non rispecchia la realtà perché in questa esistono vere e proprie diversità qualitative e sostanziali (e non solo quantitative). Non spiega i mutamenti che

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avvengono nella realtà, perché questi presentano un ordine e una finalità costanti che in nessun modo possono essere spiegati dal semplice incontro casuale degli atomi. Si pensi, ad esempio, al crescere di un organismo vivente, al comportamento di un animale, o anche all’alternarsi regolare delle stagioni.

E’ necessario pensare che in natura sia presente ed agisca una vera e propria causa finale che dia ordine e regolarità alla natura. Essa non è da ricercarsi in un fine unico trascendente le cose, ma va individuata nella stessa forma immanente alle singole sostanze, ovvero nella loro causa formale. La forma, infatti, secondo Aristotele, non solo costituisce la particolare natura di una cosa, ma è anche il principio attivo che suscita il suo moto naturale e ne determina l’ordine e la direzione secondo un piano prestabilito. Pertanto, in natura, la causa formale e la causa finale coincidono: è la forma stessa il fine a cui tende il dinamismo naturale di una sostanza sensibile: il fine di un organismo vivente sarà il pieno e perfetto sviluppo dell’organismo stesso, il fine dei corpi inanimati sarà il loro “luogo naturale”.

Le forme: un codice genetico?

Ponendo nella forma dei corpi la causa finale di essi, Aristotele prospetta un’originale concezione della finalità della natura. Non una finalità ad essa estrinseca o a cui essa è forzata dall’esterno, per esempio da un principio intelligente e ordinatore divino come il Demiurgo platonico, bensì una finalità intrinseca, propria di ciascuna natura, che tende di per sé a sviluppare quel piano ordinato che in essa è inscritto con la sua forma. Con terminologia moderna è stato detto che la forma aristotelica svolge la funzione di causa finale in modo non dissimile dal “codice genetico” di cui parla la contemporanea biologia molecolare.

FISICA: la tensione tra naturalismo e spiritualismo

In Aristotele troviamo una tensione tra Naturalismo e Spiritualismo. Il naturalismo si manifesta non solo nell’interesse per la natura e per le scienze naturali, ma anche nel tentativo di spiegare la natura ricorrendo a cause “naturali”, evitando il ricorso a cause esterne alla natura (da ciò il rifiuto delle Idee platoniche). Lo spiritualismo si manifesta nell’affermazione di sostanze o realtà soprasensibili e nel ruolo assegnato ad esse per spiegare il movimento, la conoscenza, la vita etica; lo spiritualismo emerge anche quando Aristotele attribuisce una particolare nobiltà e perfezione alla realtà spirituale e alla conoscenza della stessa.

Queste due tendenze, naturalismo e spiritualismo, portano talvolta Aristotele a proporre 2 soluzioni diverse, in una certa misura incompatibili e contrapposte, per uno stesso problema.

Così abbiamo visto che la sostanza viene definita come sinolo di materia e forma (naturalismo) però poi si afferma anche l’esistenza di una sostanza immateriale che è forma pura (spiritualismo).

Il dinamismo della natura viene spiegato facendo ricorso alle forme immanenti agli esseri naturali, forme che costituiscono il fine intrinseco a cui tende lo sviluppo degli esseri naturali (naturalismo), però Aristotele afferma anche che deve esserci un Motore Immobile che dà origine, come causa finale, al divenire della natura (spiritualismo).

Ritroveremo questa tensione anche nella psicologia e nell’etica.

ARISTOTELE - LA PSICOLOGIA

1) LA PSICOLOGIA

La fisica aristotelica non si limita allo studio delle sostanze mobili inanimate, ma si estende anche allo studio delle sostanze mobili animate, o sostanze viventi, dalle piante, agli animali, all’uomo. Fra le opere dedicate agli esseri viventi (molte delle quali affrontano temi che oggi diremmo di scienza naturale) un posto particolare spetta al trattato Sull’anima, in cui sono contenute le affermazioni fondamentali della psicologia di Aristotele, intesa appunto come “studio dell’anima” (psyché = anima) quale principio degli esseri viventi.

2) L’ANIMA FORMA DEL CORPO

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