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1 - LA NASCITA DI GISELLE

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Academic year: 2022

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1 - LA NASCITA DI GISELLE

La presenza, più che abbondante, di riflessioni, commenti e versioni si spreca per il balletto Giselle, così come per ogni altro grande classico teatrale che si rispetti, poco importa che sia opera, danza o prosa. È un’abbondanza che è segno distintivo di un grande classico.

Sin dalla nascita, nel 1841, Giselle, oltre che a proporsi come caposaldo della letteratura ballettistica, porta i segni del momento storico e culturale al cui interno è stato generato.

Questo movimento è, ovviamente, il Romanticismo.

Parlare di Giselle significa dunque rintracciare, nella sua stessa trama, nelle sue convenzioni drammatiche, le origini del Romanticismo, un movimento complesso e contrastante, diffuso con precise specificità secondo i paesi europei e gli squarci temporali di volta in volta indagati. Un movimento di cui la contadinella del paese sulle rive del Reno è l’alfiere, involontaria, nel mondo del balletto.

Per lo studioso Alfredo De Paz, “La parola italiana romanticismo e le espressioni analoghe in altre lingue - in tedesco Romantik, in inglese romanticism, in francese romantisme – derivano dall’aggettivo inglese romantic, neologismo entrato nell’uso verso la metà del Seicento per indicare la materia avventurosa degli antichi romances, cioè dei romanzi cavallereschi e pastorali…”.

Sempre in Paz, leggiamo che, attraverso “uno slittamento semantico”, il termine “venne a designare, in seguito, ciò che, nei paesaggi o nelle rovine, faceva rivivere la stranezza e l’ingenuità dei vecchi romanzi”.

Con lo studioso Gabriele Crepaldi, leggiamo che “Nel Settecento con il termine romantic si indicava una cosa irreale, fantastica […[, e, di conseguenza, uno stato d’animo fantasioso e sognatore, poco realista. I poeti romantici si appropriarono di questo termine per opporre polemicamente al razionalismo dei letterati illuministici l’esaltazione dei sentimenti. […]

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Il Romanticismo rivalutò lo spiritualismo, l’individualismo, lo storicismo e la dialettica e concepì la vita dell’uomo…non come un’evoluzione lineare, ma come una perenne lotta tra elementi diversi, un percorso tortuoso e pieno di ostacoli, caratterizzato a volte da ripensamenti, dubbi e pentimenti”.

Sono appunti e riflessioni che, pur provenienti da contesti d’arte e filosofia, calzano a pennello alla nostra riflessione su Giselle.

Alla luce di questa riflessione ci renderemo conto che Giselle non è nata per caso, o solo per una fortuita combinazione di eventi. C’è anche questo elemento di casualità, ma non è il solo fatto determinante.

Giselle infatti è l’espressione di un sommovimento sotterraneo, di

“lavori in corso”, se l’espressione è lecita, che ne hanno sollecitato la nascita; come se questo balletto fosse una sorta di “erede al trono”, il trono del balletto romantico, e dunque come se la sua nascita fosse un’urgenza irrinunciabile.

Questo personaggio è stato letteralmente “creato” da spinte propulsive, di carattere estetico e ideologico, che ne hanno voluto la creazione e che, alla fine, l’hanno partorito.

Ecco perché, in questo balletto:

- gli incontri di personalità,

- gli incroci e le stratificazioni di materiale drammaturgico e spettacolare,

- i rimandi ad altro, ad altre tradizioni, ad altre culture, - il debutto, in assoluto, di nuovi temi e motivi,

tutto questo insieme di elementi, sgorga dalle sue fondamenta, si fonde insieme, e plasma la materia costituente dello spettacolo, e dà vita ad una tale abbondanza di valenze che queste, nel tempo, nei secoli, hanno sostenuto, e sostengono ancora, ampiamente, sia la fortuna dello spettacolo in sé che i suoi adattamenti, le sue versioni.

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2 - I “PADRI” DI GISELLE

Come in ogni altro ambito, artistico, e umano, in senso lato, la storia della danza è disseminata di date epocali, di momenti che segnano i punti del “non ritorno”. Sono le svolte definitive, le piattaforme di lancio per la creazione/definizione di nuove “visioni del mondo”, di parametri dopo i quali nulla è come prima. E ciò che segue porta, per sempre, l’impronta ideale, ideologica, costitutiva, di “quel” giorno. È il 28 giugno 1841 quando il ballet-pantomime Giselle ou le Wilis, e il personaggio della contadinella che ne è protagonista, si affacciano al mondo. La culla è il palcoscenico della vecchia Opéra di Parigi, in rue Le Peletier (in seguito andata a fuoco, dunque diversa dall’attuale sede di Palais Garnier).

“Levatrici” del lieto evento sono tre artisti, uniti in un sodalizio umano e artistico, le cui impronte professionali sono saldate dall’amicizia, dal caso e dalle nuove istanze, estetiche e intellettuali, promosse dall’ormai affermato movimento romantico. A questa terna si aggiungono e si aggiungeranno, nell’immediato della sua creazione, e nella continua revisione della drammaturgia, della coreografia, della musica del balletto, altri nomi. Ma restano questi tre nomi le pietre basilari per la “costruzione” di Giselle. I tre autori sono:

- il coreografo Jean Coralli (1779-1854), per le scene d’insieme, al quale si aggiunge, nell’immediato, Jules Perrot (1810-1892), per sottolineare la prova della protagonista, sua compagna, la prima ballerina Carlotta Grisi (1819-1899), tra le maggiori del secolo;

- il musicista Adolphe Charles Adam (1803-1856);

- il librettista Théophile Gauthier (1811-1872), con il contributo di Jules Henri-Vernoy de Saint Georges (1800- 1875).

A questi tre nomi “fondanti” si aggiungono ancora lo scenografo Pierre Ciceri (1782-1866), che, con il proprio estro creativo, fra Opéra, Théâtre français e Théâtre italien, porta un contributo determinante nello scolpire l’immaginario romantico in danza. Per i costumi, Elena Cervellati, nel suo imprescindibile “Théophile Gautier e la danza”, annota che, nel balletto, l'ambientazione dei centosettanta abiti utilizzati da Paul Lormier (1813-1895), provenienti da altri balletti e opere, colloca l'azione in un tempo indefinito, fra 1300 e '500.

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3 - THEOPHILE GAUTHIER

Intellettuale prismatico, ovvero con più talenti, Gauthier è stato pittore prima di diventare scrittore, poeta, critico d’arte, saggista, traduttore, esteta, teorico del romanticismo francese, del quale ha difeso a spada tratta gli esordi e i presupposti ideologici in occasione della tempestosa “prima” teatrale di Hernani, di Victor Hugo, il cui debutto suscita un terremoto, a Parigi, nel 1830.

Nel 1836, Gauthier compone uno dei capisaldi letterari del romanticismo: “Préface de Mademoiselle de Maupin”, dove, secondo Marius-François Guyard, oppone “il culto della bellezza pura ad ogni utilizzazione sociale dell’arte, la libertà della creazione estetica dalle convenzioni e dalle proibizioni della morale”.

Gauthier ha desunto lo schema del libretto di Giselle da una raccolta di saggi di Heinrich Heine, De l’Allemagne, pubblicato in Francia nel ’34. Il volume è ricco di leggende e racconti del folklore tedesco e nordico, popolato da ninfe, ondine, Troll, gli spiritelli dei boschi, e Kobold, i folletti nani che proteggono la casa.

Qui Gauthier, come ci informa la Cervellati, trova un preciso riferimento ad una leggenda austriaca, “di origine slava, dove si narra delle Villi, fanciulle morte prima delle nozze che, insoddisfatte per non aver consumato il matrimonio, non riescono a rimanere ferme nella propria tomba […]

Gauthier dichiara espressamente di aver attinto dal testo di Heine:

riporta in testa al libretto di Giselle un brano di De l’Allemagne preceduto dalla dicitura “tradizione tedesca da cui è tratto il soggetto del balletto Giselle […]. In effetti, […] il secondo atto è davvero tutto da far risalire alle immagini evocate da Heine. […] È tuttavia possibile rintracciare in Giselle molteplici riferimenti a balletti precedenti. […[ per non risalire fino al Settecento, la paysannerie, la follia e le visioni di sogno sono ambiti che entrano abitualmente nei balletti.[…] Giselle…però non appare come luogo di un citazionismo più o meno celato, quanto piuttosto come crogiuolo di elaborazione di temi evidentemente significativi del gusto e dell’immaginario propri dell’epoca”.

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4 - LA PAZZIA

Proprio la pazzia, elemento di studio scientifico ai primi dell’800, è uno dei temi forti nella drammaturgia teatrale nella danza dei fini del ‘700, così come nella letteratura operistica “della prima metà dell’800, quando il teatro d’opera mette in scena un tema che raffigura il disturbo mentale non come risultato di fattori esterni (spiriti o fantasmi), bensì come turbamento fisico originato in un contesto familiare e sociale molto concreto”.

È così che, nel primo atto di Giselle, si addensa una pantomima di franca derivazione dai comici italiani della Commedia dell’Arte, genere che a Parigi era conosciuto dalla fine del XVI secolo. È un vero cifrario, non sempre e non del tutto chiaro allo spettatore di oggi, tanto più nella sua radice semantica, che pure pesca in una gestualità di immediata comunicativa.

Ma è indispensabile per integrare, nel racconto, la vicenda di Albrecht (nome poi cambiato in Albert), duca di Slesia, travestito da popolano per corteggiare Giselle, semplice contadina, contrastato da Hilarion, guardiacaccia, di lei innamorato.

Questi scopre l’inganno, e denuncia Albrecht davanti a Bathilda, principessa, promessa sposa del duca, e a Giselle, che, per il dolore, impazzisce e muore, lei che era debole di cuore.

Nel secondo atto, in un cimitero nella foresta, Albert pentito si reca sulla tomba di Giselle, ora divenuta spirito, che lo accoglie con amore.

Ma è circondato dalle Villi, le vergini morte prima del matrimonio;

comandate da Mirtha, la loro terribile regina, vorrebbero costringerlo alla stessa danza mortale che, nel frattempo, ha già ucciso Hilarion.

Giselle, però, interviene a proteggere il giovane, salvo grazie alla forza dell’amore, con i primi raggi del sole.

Perfettamente integrata alla danza, anzi incastonata in essa, l’eloquenza dei gesti, dunque della pantomima, è declinata per affermare l’amore (Giselle), indicare la disputata promessa di matrimonio (Giselle versus Bathilda), negare la propria falsa identità (Albrecht), rifiutare il legame (Albrecht versus Giselle), suggerire la progressiva perdita della ragione (Giselle).

A supportare il ventaglio mobile di mani, braccia, volti, piantati sulla solida staticità delle gambe, è la grande varietà di ritmi e colori

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orchestrati da Adam, in una ricchezza tonale che garantisce serrata efficacia drammatica.

“La vicenda si rifà al principio romantico della mescolanza dei generi nella pastorale che diventa tragedia, nel primo atto, e trasfigurazione fantastica del dramma nel secondo.

Il contrasto sociale è dato dal confronto tra la semplice spontaneità contadina di Giselle e l’alterità aristocratica di Bathilda, nel primo atto, mentre si sposta in un piano “morale” con lo scontro dialettico fra Mirtha, vendicatrice, e Giselle redentrice”.

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5 - LA MUSICA

Per la parte musicale, chi ci illumina, inconsapevole, nel valutare la partitura di Adam, è Arthur Schopenhauer (1788-1860), il pensatore tedesco per il quale, secondo Paolo d’Angelo, “la musica non esprime questo o quel sentimento determinato, ma «la gioia, il turbamento, il dolore, il terrore, il giubilo, la letizia, la serenità in se stessi»”.

Nulla di più di un frase del filosofo del pessimismo per valutare, in Giselle, pagine che declinano, in spontanea effervescenza, ciascuno e molti altri ancora degli stati d’animo qui elencati.

Li ritroviamo distribuiti in pagine pensate “pour trouver l’inspiration […] à regarder les pieds des danseuses. […] On ne travaille plus, on s’amuse”, come confessa il compositore nel suo epistolario. (trad.

“per trovare l’ispirazione…nel guardare i piedi delle danzatrici. Non si lavora, ci si diverte”).

La sublime ispirazione nasce dunque dai piedi delle ballerine, e il nostro Adam si diverte, anche se, è ancora lui che parla, vuole innalzare la musica di danza “a un rango più elevato di quello che le viene generalmente assegnato”.

Per ottenere tale risultato, Adam si ispira allo “stile luminoso e puramente melodico della scuola di Gioacchino Rossini”, dal quale gli deriva “il senso acuto della concisione drammatica”; qualità che restano vive, e operanti, in ognuna delle diverse e spesso contrastanti versioni del balletto.

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6 - LA “FORTUNA” DI GISELLE

Giselle, il balletto pensato e montato in pochi mesi, era nato per essere “consumato” in altrettante poche repliche, ci dice Elisa Vaccarino.

Secondo Alberto Testa, resta invece in cartellone per 27 volte, 21 nel 1842, guadagnando una dopo l’altra tutte le piazze europee, Italia compresa, per migliaia di repliche.

A Parigi, precisa Elena Cervellati, è in scena, fino al 1868, con fasi alterne di riprese e abbandoni.

Chi salva il balletto dall’oblìo è il coreografo Marius Petipa, fratello di Lucien, primo protagonista del balletto. Memore delle edizioni parigine, Petipa ne elabora tre allestimenti, nel 1884, ’87, ’99. Sarà questa versione, reimportata in Occidente dai Ballets Russes di Diaghilev nel 1910, con interpreti Vaslav Nijinsky e Tamara Karsavina, a costituire l’ossatura per tutte le versioni d’impianto classico accademico del balletto.

È significativo che, a pochi mesi dalla nascita, Giselle, a Parigi, si è già conquistata, come era abitudine allora, una parodia, “La Wili”, al Théatre du Palais Royal.

Non c’è consapevolezza, per alcuno, eccetto il compositore Adam, che il tempo avrebbe trasformato questo balletto in un monumento, archetipo ed emblema del balletto romantico.

Perché è nella fertile densità di materia che informa il balletto, nelle sue stesse pieghe, nella combinazione felice di elementi che si integrano senza che l’uno prevalga su altri, che hanno trovato spazio le riletture coreografiche di volta in volta capaci di modificare o rovesciare, come un morbido guanto, forma e sostanza della vicenda.

Infatti Giselle, “più che un balletto è il balletto, [ovvero] una certa idea del balletto, incarnata in forme capaci di inflettersi, nella loro angelica labilità, secondo gli ambienti in cui appare, senza mutare la loro essenza”.

Mats Ek, geniale coreografo svedese, nell’82 traspone il balletto in un indefinito contemporaneo, e, soprattutto, dopo lo svolgimento del primo tempo nella inquietante sensualità di una natura fatta di pezzi di corpo di donna, sceglie per il secondo atto un ospedale psichiatrico. Qui Giselle, non più morta, ma “solo” folle e internata, accoglie Albrecht, pentito, denudato del proprio passato, poi sollevato da un abbraccio amicale di Hilarion.

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Viene esaltato, qui, uno degli elementi fondamentali della drammaturgia di Giselle: la possibilità di riscatto e redenzione offerta al dongiovanni pentito, Albrecht, di risorgere a nuova vita dopo aver espiato, nel dolore e nella consapevolezza, il male da lui fatto.

La “rinascita a nuova vita” del “cattivo” Albrecth, ispirata dal credo cristiano, avvicina il personaggio ad altre, grandissime figure della letteratura, e, in buona sostanza, rende il nobile giovane il vero protagonista della trama.

In seguito, Arthur Mitchell, per il suo Dance Theatre of Harlem, nell’84, guida il racconto in una versione creola, su coreografia di Frederick Franklin, ambientata tra le piantagioni di canna da zucchero nel Sud degli States. Mantenuti sostanzialmente immutati i ruoli, la drammaturgia è immersa però nelle questioni razziali che toccano gli schiavi recentemente liberati (Giselle e Hilarion) e il loro divieto di matrimonio con quelli ormai liberi da generazioni (Albrecht e Bathilda).

Maryse Delente, in Giselle ou le mensonge romantique (1992), fa delle Villi non più spiriti vendicativi, ma donne assetate di un inappagato desiderio di sensualità, resa manifesta dall’esaltazione dei corpi e da una gestualità violenta.

Sulla stessa partitura, ancora oggi si incrociano sguardi contemporanei, ma assai diversi, in un confronto aperto in video e in palcoscenico.

È la sorte che tocca ai grandi classici: la capacità di suscitare eternamente nuove possibilità creative, riletture/riscritture che, agganciate al tempo di oggi o di ieri, ne esplorano, dall’interno, vesti e potenzialità espressive senza fine.

Perché Giselle, se vogliamo, è in ciascuno di noi: è in ogni persona che, anche una sola volta nella vita, è stata toccata e travolta dall’illusione e dalla perdita dell’amore, e, con quello, anche se per un solo momento, dalla momentanea perdita della ragione.

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