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Odio e altre forme d amore - Scheda n. 3

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Academic year: 2022

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IL LINGUAGGIO DELL’ODIO IN RETE.

DALLE PAROLE CHE FERISCONO ALLA VIOLENZA CHE UCCIDE

1. Una figura matronale del disegnatore Altan, con uno sguardo intento e amaro, si domanda:

“Non vorrei aver commesso un’imprudenza a nascere donna” (Pimpa, Cipputi e altri pensatori, la Repubblica- L’Espresso, Roma 2019, p. 9);

2. La natura controversa dell’odio, per rapporto all’amore: due grandi forze cosmogoniche, che animano e guidano il mondo e la questione di quale costituisca l’energia originaria: Freud e Klein. Il ruolo della riparazione;

3. Il fenomeno della violenza nella storia: grande livellatrice o forgiatrice di diseguaglianze e gerarchie sociali? (W. Scheidel, La grande livellatrice, il Mulino, Bologna 2019);

4. Cenni sulla condizione femminile nell’àmbito del passato: Egitto, Creta, mondo biblico, Etruschi, Greci e Romani; il ricordo di un matriarcato originario (J.-J. Bachofen e il fenomeno del matriarcato slavo). Sentenze che, all’opposto, ribadiscono l’inferiorità e la debolezza della donna, ad es. “Vis grata puellis”, massima ricavata liberamente da Ovidio, ma occorre ricordare anche alcuni miti originari, come il Ratto delle Sabine;

5. Le guerre, che punteggiano la storia dell’umanità, rappresentano momenti culminanti di contesa fra nemici e di guerra alle donne: il possesso ostile del corpo femminile scandisce vittorie e sconfitte, trionfi e disfatte: si consideri ad es. M. Ponzani, Guerra alle donne, Einaudi, Torino 2012;

6. Un motivo profondo dell’inimicizia che provano certi maschi nei confronti della componente femminile dell’umanità: l’identificazione di tale componente con la natura, natura contro cui si lotta, in un ambiguo sforzo di emancipazione; la “modernità”, in particolare, è contrassegnata dall’impegno tenace di accantonare la natura, percepita come il paradigma perduto (M. Nussbaum, Sex and social Justice, OUP-USA, New York 1999). Un tal quadro fa comprendere la nascita di una vigorosa corrente di ecofemminismo, fiorente anche in Italia, che si propone di combattere, simultaneamente, la violenza contro le donne e la violenza contro l’ambiente naturale, cercando di fermare femminicidio e terricidio (L’ecofemminismo in Italia, a cura di F. Marcomin- L. Cima, Il Poligrafo, Padova 2017);

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7. Primi tentativi d’interpretazione: O. Weininger, Sesso e carattere (1903), postula una rivalità essenziale, una vera e propria guerra fra l’uomo e la donna; scopre l’attività proiettiva del maschio nei confronti della femmina, la cui immagine, concepita attraverso la funzione immaginativa, verrebbe riempita di paure e di speranze, di idealizzazione ma anche denigrazione; influenza Freud, ma poi ricade nei più vieti pregiudizi e stereotipi, affermando che ciò accade per l’assoluta mancanza d’identità della donna, che diventa dunque plasmabile a piacimento. Un altro antropologo “eretico”: R. Eisler, Uomo diventa lupo (1951), tratteggia la figura maschile a partire dal paradigma del lupo, usando ed abusando della metafora della caccia spietata, del branco e di un’aggressività implacabile. Per Spengler, l’uomo non è un animale da preda, e qui la nostra sensibilità si ristora, ma poi aggiunge: “L’uomo è il re degli animali da preda”;

8. Occorre riflettere sul valore performativo della parola, usata spesso irresponsabilmente, anche banalizzata. La corruzione di una società e di uno Stato sono anticipate dalla corruzione del linguaggio, dal distacco fra il nome e la cosa, distacco che consente l’insincerità e la manipolazione (accenno al tema della post-verità e a quello delle fake news). Ma il rapporto tra corruzione del linguaggio e anomia sociale era già presente ai pensatori antichi più profondi come Tacito, Seneca e Quintilliano.

La parola costituisce un bene preziosissimo, da cui dipende la vita e la morte (si pensi a una sentenza di tribunale, o alla diagnosi per una malattia sofferta, ma ancora non ben definita).

La parola, che contraddistingue l’essere umano, conferisce un grande potere, da amministrare con oculatezza e la necessaria libertà di parola comporta un rischio terribile, collegato proprio alla libertà: quello di ledere la dignità e il rispetto con i quali si deve trattare ogni universo personale. La genuina comunicazione non coincide con il semplice flusso informativo, sovente unidirezionale e agevolmente manipolabile, fino a ridursi ad un flebile flatus vocis, o ad un frastuono di fondo;

9. Cenno sui casi di Monica Cirinnà, Laura Boldrini, Bebe Vio ed Emma Marrone: quel che colpisce è l’accanimento, ma è pura incoscienza dimenticare che, dalla parola che ferisce all’azione che uccide o che conduce al suicidio, il passo è più breve di quanto, comunemente, si pensi. Il pretesto è che certe persone sono “decisamente antipatiche”, e che si tratta solo di

“sfoghi virtuali”; invece occorre ripetere che la dimensione “virtuale” è spesso più efficace di quella semplicemente “reale”; è quanto ribadisce, preoccupata, Liliana Segre, che parla di

“smemoratezza inconsapevole” e tali ammonimenti vengono da una donna che ha vissuto, in

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prima persona, le grandi tragedie del Novecento, come la Shoah (A. Balenzano, Segre e chi la insulta sul web. Persone che mi fanno pena, “Corriere della Sera”, 29/10/2019, p. 24.

Liliana Segre ha ricevuto l’incarico di presiedere una commissione al Senato, con la finalità di fermare l’odio dilagante).

In quest’orizzonte, dominato dall’artificio, occorre recuperare un’attitudine realistica nella designazione; fermare l’odio significa formare, educare, non reprimendo soltanto.

Cominciando a chiamare le cose con il loro nome, informando in modo serio e non manicheo, infine guardando in faccia l’evoluzione sociale e familiare. È tempo di regole, ma non bastano le censure; occorrono leggi più severe, a tutela della personalità femminile, ma occorre propiziare un orientamento alternativo della società (nel Codice Rocco lo stesso stupro veniva classificato come delitto contro la moralità pubblica e il buon costume e non come lesione contro la dignità della persona, dalle conseguenze devastanti, prevalendo il bene dell’intero sociale più che il rispetto per l’individualità). Infine, migliorare l’assistenza e il prendersi cura delle donne che han subito violenza, ma senza ferirne la privacy;

10. Milena Santerini è membro della No hate Parlamentary Alliance, presso il Consiglio d’Europa, Alleanza che lotta per fermare l’odio. Santerini, con Roversi e Ziccardi, mette l’accento sulla diffusa ostilità contro chi è considerato più debole, che rischia di diventare un capro espiatorio. L’odio mira all’essenziale, riducendo l’Altra, o l’Altro, a una sua particolare determinazione, secondo un’operazione che i linguisti chiamerebbero “sineddoche” (pars pro toto); tale violento riduzionismo è favorito dall’ignoranza arrogante che prospera nei meandri di una travolgente crisi economica e anche morale. Il fattore tecnologico poi propaganda l’odio, erodendo ogni limite, si affida agli algoritmi (algocrazia), nascondendo le esplosioni aggressive dietro l’anonimato e l’impulsività delle azioni, che sembrano tracciare, attorno all’utente, una specie di “bolla” insuperabile. Andrea Riccardi ammonisce che ogni sfaccettatura dell’odio contemporaneo, per esempio dell’odio razziale, corrisponde agli altri aspetti, per cui si tratta di contrastare ogni forma di odio, come la diffamazione, l’insulto e la denigrazione. Le parole sono come pietre, alla lettera colpiscono e uccidono;

11. La prevenzione non può che affidarsi all’educazione; nel caso della violenza alle donne, il retroterra sembra costituito dalla misoginia, una parte importante della misantropia; se si legge in profondità, vi sono responsabilità anche nelle famiglie, e perfino nell’educazione impartita da certe madri e da certi padri assenti, con un maschio diseducato affettivamente (ma la diseducazione è un tipo di educazione, sia pur negativa); un maschio abituato a

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reprimere le proprie emozioni, a coltivare un narcisismo feroce e un senso di presunta superiorità che culmina nella cristallizzazione di una vera e propria armatura caratteriale;

cenno alle narrazioni di V. Brancati sull’educazione del maschio in Sicilia: cfr. Don Giovanni in Sicilia (1941), Il bell’Antonio (1949), Paolo il caldo (1955);

12. J. Kobek, Io odio internet, Fazi, Roma 2018 e, soprattutto, R. Dolce- F. Pilla, Il web che odia le donne, Ledizioni, Milano 2019: due libri che documentano, in modo impressionante, i numerosi atti di aggressione digitale di massa contro le donne. Attraverso l’analisi di casi concreti, si traccia un quadro scioccante ricavato dalla parte più oscura della Rete.

 In conclusione, in parte la Rete esalta questi fenomeni, in parte riproduce dei fenomeni tristemente presenti, ed anche frequenti, nella nostra società. Tale odio e tale violenza non debbono essere sottovalutati, nascendo da una mentalità che discrimina sul fondamento del

“genere”. Si tratta dunque di una condizione non priva di minacce, e la “piramide dell’odio”

va smontata dalla base, attraverso un’opera consapevole di sensibilizzazione ed educazione, capace di puntare sul dialogo e su di una maturazione complessiva dei rapporti sociali. Basti pensare che, attualmente, un maschio su dieci è convinto che se le donne non indossassero abiti provocanti non subirebbero alcuna violenza e ciò che preoccupa è che tali opinioni non sono espresse solo dagli anziani, ma anche da rappresentanti delle generazioni più giovani (la violenza avviene non solo nel mare aperto della società, ma anche, prevalentemente, entro le mura domestiche). In definitiva, occorre decantare il linguaggio da cui tutto parte: dall’uso inappropriato della parola raptus, che legittima ogni gesto incontrollato, alla frase qualunquista: “se l’è cercata”, evitando inoltre quel mormorio legittimativo: “era un bravo ragazzo, un tranquillo lavoratore”… E poi che l’informazione non indulga su particolari raccapriccianti e morbosi, o anche su aggiunte che sembrino legittimative di ogni atto violento, anche del più estremo.

La violenza di genere riguarda tutti ed è trasversale a tutte le culture, la praticano gli Italiani come gli stranieri e i migranti e coinvolge tutte le classi sociali, le etnie e le religioni, realizzandosi così una paradossale solidarietà nel male. Se siamo tutti interpellati, vi sono dei buoni interrogativi etici, che scaturiscono dalla coscienza di ognuno, che indicano la via di un’alleanza per arginare questa vera e propria piaga sociale.

Cenno bibliografico conclusivo:

L. Canfora, Fermare l’odio, Laterza, Roma- Bari 2019; O. F. Kernberg, Erotismo e aggressività nei disturbi gravi di personalità, R. Cortina, Milano 2019; G. Ziccardi, L’odio online. Violenza verbale

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e ossessioni in Rete, R. Cortina, Milano 2016; A. Roversi, L’odio in Rete, il Mulino, Bologna 2006;

I. Guanzini, Tenerezza. La rivoluzione del potere gentile, Ponte alle Grazie, Firenze 2017; V. Davies, Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo, Einaudi, Torino 2018; L. Mortari, La sapienza del cuore. Pensare le emozioni, sentire i pensieri, R. Cortina, Milano 2017; R. Solnit, Chiamare le cose con il loro nome, Ponte alle Grazie, Firenze 2019; L. Gruber, Basta!, Solferino, Milano 2019.

Giuseppe Goisis

Filosofo politico- Università Ca’ Foscari

Riferimenti

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